I due tipi di pasta a confronto: quella secca e quella fresca

 

I due tipi di pasta, quella secca e quella fresca – la prima realizzata con semola di grano duro, e la seconda con farina bianca di grano tenero – hanno accompagnato sin dal medioevo, lo sviluppo del mercato. Storicamente, però, la pasta fresca ha sempre avuto la preferenza culinaria, mentre quella secca era limitata sostanzialmente al popolo. Nel secolo scorso, la pasta secca, con l’industrializzazione, ha conquistato il mercato e i consumi di tutti. Vi è stata un’esplosione di ricette che hanno evidenziato il prodotto stesso. La pasta all’uovo, pur commercializzata, è rimasta a livello domestico. Tuttavia, il mercato della pasta fresca, ultimamente, sta recuperando punti a suo favore, grazie a sempre nuovi formati, ma da consumare in pochi giorni. Evidentemente, il pubblico gradisce le “novità”.


Gli inizi medievali

Al tempo della classicità romana, esistevano solo due termini per indicarla: lagana e tracta, che consistevano in semplici sfoglie di pasta. Tuttavia, tutti gli storici, indicano gli arabi come gli inventori della pasta. Questa comunque, era rappresentata da una specie di spaghetti e dalla pastina da brodo.
La cucina italiana medievale, invece, sin dagli inizi, presenta una grande attenzione verso la pasta. Esistevano, già agli albori (tra XIV e XV secolo), ricettari di cucina ricchi di varianti nel prepararla. Si contavano almeno 120 ricette differenti. I ricettari medievali erano finalizzati esclusivamente alla cucina dei nobili, che prediligevano, soprattutto, la pasta fresca e quella ripiena. In ogni caso, era un cibo per ricchi e non per tutti. I ricettari, quindi erano scritti per i grandi cuochi professionisti.
Nello stesso periodo, nascono i primi formati di pasta. Nei ricettari vengono, altresì, descritte le modalità di fattura. O si ricavava dall’impasto una sfoglia tirata a mattarello, o si producevano con le mani dei piccoli formati, caratterizzati con le dita stesse. Nel primo caso, si ricavavano dalla sfoglia tagliarini, pancardelle, longeti, triti e formentine. Sempre dalla sfoglia, ma tagliata in formato piccolo, si ricavavano bindelle o stringhe per la creazione dei maccheroni. Nonostante quello che si pensi, sin dagli inizi, era presente anche la cosiddetta pasta ripiena, molto apprezzata anche a quel tempo, che aveva origine dal laganon. Il formato dei vermicelli era ancora poco citato nei ricettari medievali. Così come passava sotto silenzio la cosiddetta pastina graniforme da brodo, tanto sviluppata nel mondo arabo. Nei testi di Martino, del XV secolo, appaiono, però, i Millefanti, costituiti da palline di pane e farina, della grandezza di chicchi di grano (o di riso), da consumarsi nel brodo, o di manzo o di pollo. Se per il momento non possono essere considerati pasta a tutti gli effetti, ispireranno in seguito la pastina che noi tutti conosciamo. Infatti, nel XVI secolo, Bartolomeo Scappi, cuoco pontificio, crea i Millefanti fatti con la farina e poi essiccati. Quindi un primo formato di pasta, che in seguito darà origine alle pastine da minestra, chiamate sementine o semoline. Una vera e propria miniera di formati diversi, nel XVIII secolo. Si concretizzava, così, nel lungo tempo, l’influsso culturale dovuto al regno musulmano di Spagna.
Il brodo e le minestre avevano grande importanza nell’alimentazione medievale. Esiste, in particolare, una ricetta del XIV secolo, in un manoscritto anonimo, che ci fa capire il gusto delle pietanze medievali. È la ricetta dei “vermicelli a brodetto”. Essa era a base di brodo di carne o di pesce, con latte di mandorle, pezzi di salsiccia fritti e spezie varie. In esso tortelli cotti senza involucro.
Raro è il caso di trovare nei ricettari italiani del XIV e XV secolo, l’uso di pasta lunga nelle minestre. Questo perché l’attenzione in Italia, mirò alla creazione di piatti di pastasciutta, con ingredienti ed accostamenti innovativi. Migliorando e variando i condimenti, si diede vita ad una cucina impensabile ai loro tempi: quella della pasta attuale.

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