Luigi Capuana – Marito giustiziere

 

Luigi Capuana

 

— Mettetevi nei miei panni! — esclamò Bozzani.
I tre amici, che vuotavano con lui spumanti bicchieri di birra in quell’angolo appartato del Caffè Nuovo, scoppiarono in una sonora risata. Erano tutti e tre grassi, con pance sporgenti, con facce piene, rotonde, da frati gaudenti; e lui, invece, era così magro, così esile che fin l’abito grigio, stretto, assestato, sempre abbottonato com’egli usava di portarlo, in certi momenti non sembrava lavorato su misura, ma comprato bell’è fatto in un negozio qualunque.

Bozzani, dopo un istante di sbalordimento per la inattesa risata, riprese:
— È un modo di dire; ma già voialtri non potete mettervi nei miei panni neanche moralmente. Pure vorrei sapere che avreste fatto nel caso mio, se non foste tutti e tre scapoli impenitenti. Ah! Ma non resta scapolo chi vuole. E noi ci crediamo stupidamente liberi di fare o di non fare, anche quando le circostanze ci impongono la loro violenta necessità, e ci fanno oprare tutt’all’opposto di quel che avremmo voluto. L’essere scapoli non garantisce. Voialtri, tutti e tre, avete tre amanti. È peggio di avere tre mogli. L’uomo è così sciocco da pretendere dall’amante l’assoluta fedeltà, che si crede in diritto di imporre alla moglie. Le conseguenze sono le stesse. Tu, Roggetti, hai fatto un duello, ti sei buscato una sciabolata al viso, che tenti inutilmente di dissimulare con la barba; proprio come ti saresti comportato se si fosse trattato del tuo onore coniugale. Tu, Bossi, meni una vita da cane con le finte gelosie di quella maliziosa cretina — scusa, è la verità — per la quale spendi tanti quattrini quanti basterebbero a mantenere non una ma parecchie mogli. Tu, Nelli, sei costretto a mutar di amante ogni tre mesi, per disperazione, come muti di vestiti ogni settimana…. Siete, forse, più tranquilli, non dico più felici, di me? Oh, sì! Tra le vostre amanti e voi non ci sono di mezzo il sindaco, il parroco. Che è per questo? Il vostro stupido amor proprio vi lega più che non faccia il nodo civile e religioso. Esagero? Sia. Ma sono stato scapolo anche io; ho avuto delle amanti anch’io; parlo per esperienza. Lasciamo andare; veniamo al caso mio. Che avrei dovuto fare? Credevo di aver preso tutte le precauzioni possibili. Nata di buona famiglia, educata in un istituto di monache; di carattere mite, sembrava; non bella da dar nell’occhio, da tentare, ma nello stesso tempo non brutta da riuscire poco interessante pel marito. Mi era parso di aver risolto un gran problema sposandola. Infatti a nessuno di voi è passato pel capo di rendermi il servizio che i più intimi si affrettano a regalare a un marito. Non vi ringrazio di questo. Probabilmente non vi è parso che mia moglie valesse la pena di intaccare un’amicizia d’infanzia non turbata mai dal più piccolo malinteso. Non so se, dopo quel che è accaduto, vi siate già pentiti di non aver approfittato dell’occasione avuta sotto mano. No? Tanto meglio. Ma veniamo all’importante.

Dopo due anni di matrimonio, e quando i miei affari andavano benissimo ed io ero nell’ansiosa aspettativa di un erede, che non si decideva a venire, ecco, comincio ad accorgermi di qualche mutamento di mia moglie. Un altro non si sarebbe messo in sospetto; anzi! Ma io non ero stato… noi due non eravamo stati innamorati nel preciso senso di questa parola. Nessun calcolo dall’una parte e dall’altra; ci eravamo piaciuti, sì, discretamente; niente smanie, però nessuna esaltazione; un affetto sincero, placido tra due persone per bene. A poco a poco, mia moglie diveniva, come dire? innamorata di me. — Diamine! Diamine! — pensavo. — Questo è contrario a tutte le leggi psicologiche che regolano il matrimonio. Non senza profonde ragioni è stato formulato l’assioma: Il matrimonio è la tomba dell’amore!

— Senti, caro Bozzani, — lo interruppe Roggetti, ed era buffo con quei mustacchi impiastricciati di spuma di birra. — Tu hai la cattiva abitudine di riflettere, di filosofare a proposito e a sproposito di tutto. Non vuoi persuaderti che niente è più irragionevole della vita: e così te la rendi assai peggiore di quella che è.
— Ora il filosofo lo fai tu, o almeno credi di farlo, — riprese Bozzani. — La vita è anzi ragionevolissima, se non lo sai. Tanto è vero, che va per conto suo, senza il nostro permesso, da conseguenza in conseguenza, con un ragionamento così filato da travolgerci nostro malgrado. Ma io voglio esporvi fatti, voglio spiegarvi perchè ho agito non come forse avreste agito voialtri e come agiscono tanti, cioè, con la più cieca irriflessione. Lasciatemi continuare. Sono in un buon momento di loquacità, di sincerità; non mi accade spesso. Dunque: Diamine! Diamine! — pensai. — Il fenomeno è strano. Ma tutto può darsi; il mondo è pieno di eccezioni! Mi faceva impressione però che quella eccezione, sebbene dovesse lusingare il mio amor proprio, venisse a capitare giusto a me. Come comportarmi? Mi atterriva l’idea che, assieme con l’amore, arrivasse subito la gelosia, il peggior guaio che possa colpire un marito.

Niente gelosia! Dolcezze, attenzioni delicate, premure squisitamente affettuose: — Non tardare per la colazione!… Copriti bene all’uscita dal club!… Divertiti anche per me al Caffè-concerto!… Io? Sta tranquillo; non m’annoio in casa; ho tanto da fare! — Non mi pareva vero. Avevo però un presentimento; non so come esprimermi. Perchè, da mite, da un po’ lenta nei movimenti, da parlatrice piana, dimessa, ella diveniva, di giorno in giorno, ardita, agile nelle mosse, vibrante nella parola, con negli occhi, nell’espressione del viso, qualcosa che prima non c’era e la rendeva quasi bella? Non osavo d’immaginare che quel miracolo lo producessi io. In questo caso avrei dovuto produrlo prima, durante i sei mesi di fidanzamento o, almeno, durante il primo anno di matrimonio, se è vero che il nuovo stato apporta grandi mutamenti nel fisico e nel morale di una signorina.

Fantasticavo, volevo indovinare, invece di chiedere qualche spiegazione. Il caso…. Noi diciamo: «il caso», perchè non sappiamo per quale concatenazione di piccoli, di quasi impercettibili fatti avviene l’imprevisto, l’imprevedibile che ci scombussola, ci fa cascare dalle nuvole e ci spinge a commettere una pazzia, un delitto… o una madornale sciocchezza. Esitai una settimana nell’alternativa tra il delitto e la sciocchezza. Ebbi però la forza di non tradirmi; e credo che quella settimana fu per me un vero stato di pazzia. Nessuno sa simulare o dissimulare meglio dei pazzi.

Avevo in mano una lettera che non mi permetteva più di dubitare della mia disgrazia. Sapevo non solamente che mia moglie mi tradiva, ma anche con chi mi tradiva. E il cambio, veramente, non faceva onore al suo gusto: qui stava il peggio.
— Vuol dire che tu eri superiore al suo…. come si dice…. ideale.
Bossi aveva l’intercalare di quel: come si dice.
— Ciò non consola, fa rabbia piuttosto — continuò Bozzani. — Mi turbinavano in mente i più feroci propositi di vendetta. Li esaminavo, li studiavo, uno per uno. — Ammazzarli! A colpi di rivoltella, come due cani! Non li avrei pagati un centesimo! — Ma fu appunto questo che mi distolse dal farlo. Proprio in quei giorni era stato discusso alle Assise il caso di un marito, che aveva fatto strage della moglie e dell’amante sorpresi in casa col solito tranello di un viaggio improvviso. Era stato arrestato e, dopo sei mesi di prigionia, veniva assolto. Prima; tutti ignoravano la sua sventura; ora i giornali ne erano pieni. Ecco il bel guadagno! Gli uccisi, se nell’altro mondo ci si ricorda di questo, dovevano ridere di lui!

Quell’assoluzione mi faceva rabbia. Come? Abbiamo abolito la pena di morte in una parte del Codice e la manteniamo vigliaccamente, a poche pagine di distanza, in un’altra? Ma sì, ma sì! Questo significa l’assoluzione dei mariti uccisori; si concede ad essi un diritto, che è stato tolto alla Giustizia. Hanno forse paura i signori Giurati, che un giorno capiti anche a loro quel che è capitato a colui che siede nella gabbia, là di faccia e pensano: — Siamo indulgenti: assolviamo, come vorremmo essere assolti trovandoci nello stesso caso di questo disgraziato? — C’è da supporlo, dopo certe inesplicabili assoluzioni. La provocazione? Va bene! La passione? Va benissimo! Il parziale difetto di mente? I periti, con rispetto della Scienza, ne inventano di ogni sorta.

Ma io, signori Giurati, vi confesso che ho calcolato ed eseguito freddamente il mio delitto; ho squartato, ho salato, come carne di maiale, il corpo di mia moglie; l’ho conservato in casa, sotto il letto matrimoniale, una settimana, e vi ho dormito sopra placidamente, quasi non si fosse trattato di nulla!… — E i signori Giurati rispondono: — Abbiamo inteso! Abbiamo inteso: che cosa pretendete? Una bella condanna a vita? Eh, via! Siete un presuntuoso, un vanitoso! Noi vi mandiamo libero, assolto, a riprendere, se vi piace, il vostro mestiere di sgozzatore di mogli. Ci pensino le mogli a riguardarsi, se mai!

Così è impossibile di ottenere la sodisfazione di una magnifica condanna, che ci dia coscienza del fiero gesto fatto ammazzando moglie ed amante, o il solo amante, o la sola moglie, secondo le circostanze. Vale proprio la pena di mettersi nel cimento di buscarsi un colpo di rivoltella da un amante, giacchè non tutti questi signori sono disposti a lasciarsi ammazzare dai mariti? Vale proprio la pena di aver preteso di compire un’alta funzione di vendetta, se dobbiamo poi sentirci dire: — Andate via! Vi siete dunque immaginato di aver fatto una gran cosa?

— Ma che modo di ragionare è questo? — lo interruppe Nelli. — Viene un imbecille qualunque, mi seduce la moglie, mi rende ridicolo davanti alla gente, disonora il mio nome intemerato; e, se mi faccio giustizia, con le mie mani, dovrò esser condannato alla galera per giunta? Oprano bene i Giurati. La colpa è del Codice che punisce gli adulteri con tre, quattro mesi di prigione soltanto. È ridicolo!

— Lo dico anch’io — rispose Bozzani. — Ma per me è più ridicolo e umiliante l’assoluzione del marito uccisore. Bisogna esser cretini per non capirlo.
— E per ciò tu….
— Io, caro Nelli, mi son vendicato più terribilmente; nessuno di voi immagina come.
Nelli, Bossi, Roggetti si guardarono in viso stupiti.
— Capisco — disse Bozzani — che la cosa vi sembrerà strana. Non avete più notato nessun cambiamento nel mio tenore di vita? Voglio sperare che non mi abbiate fatto l’offesa di credermi un… disgraziato rassegnato o contento.
— Inesplicabile, sì. E siamo stati un pezzo nell’angosciosa aspettativa di una… come si dice…
— Esplosione tragica — fece Bozzani, venendo in aiuto di Bossi, che si era arrestato al suo solito: come si dice.
— In certe circostanze, — soggiunse Nelli, — la discrezione è il primo dovere dell’amicizia.
— Avete fatto bene. Dopo lo sfogo di quella sera, ricordate? non vi ho più riparlato del mio tristissimo caso: — Puoi esserti ingannato! Calma! Calma!…
— Oh, non ho dimenticato le vostre esortazioni, i vostri consigli quella sera che il mio straordinario turbamento mi aveva fatto sfuggir di bocca la dolorosissima confessione.

Bozzani, quasi per acuire la curiosità dei suoi amici, prese in mano il bicchiere di birra rimasto intatto davanti a lui, bevve lentamente, ne ordinò un altro, e, sodisfatto dell’attenzione suscitata, riprese, con tono di solennità nella voce:
— Mi son vendicato, terribilmente, senza incorrere nel pericolo d’un processo e nella pettegola pubblicità dei giornali! Quella mattina mia moglie si era fatta più elegante del solito; era allegra, canticchiava, sembrava che la mia creduta cecità la mettesse di buon umore. La presi un po’ bruscamente per un braccio, la feci entrare nel mio studio e misi il paletto all’uscio.
— Vai dal tuo amante? — le dissi sforzandomi di mostrarmi indifferente. Spalancò gli occhi, impallidì. Avevo pronunciato quelle parole con lo stesso tono con cui avrei potuto domandarle: — Vai a messa? — Era domenica.
— Ernesto! Ernesto! — balbettò.
— Guarda! — proseguii prendendo in mano il revolver messo anticipatamente in mostra sul tavolino. — Potrei ammazzarti come una cagna arrabbiata….
— Ernesto! Ernesto!

Indietreggiò coprendosi il viso con le braccia, atterrita.
— Non aver paura! — soggiunsi. — Ormai, quel che è stato è stato. Non me n’importa niente. Tu non sei più mia moglie: sei l’amante di Tito Volpi; non dovrai esser altro da oggi in poi.
— Ernesto! Ernesto!… Perdonami!.. Sono stata pazza!….
— Peggio: ingrata, infame!… Ma, ormai!

Si era buttata ginocchioni, supplicante a mani giunte.
Io stesso mi meravigliavo della mia tranquillità. Avevo ruminato, una settimana, il castigo che volevo infliggere a lei e al suo amante e parlavo da giudice severo quasi si trattasse di un altro.
— Hai scelto tra me e lui: tientelo! Ma dovrà essere per sempre! Lo dirò anche a lui: — Per sempre! — Vi sorveglierò come un poliziotto. Andrai a trovarlo ogni giorno, alla stessa ora — so la via, il numero — alla solita ora! Ti ho seguita… Ho visto… Non ti scusare…. Non ti scusare!… Dovrà essere per sempre! Per sempre! Il giorno che credereste di finirla… allora! Peggio per tutti e due! Non mi sfuggireste! Allora!… Vai dunque. Sei attesa. Non tardare…. Come se io non sapessi niente…. E dillo prima tu a quel signore! Se si figura che tu possa essere un fuggitivo capriccio per lui…. Oh, no! Vi amerete, dovrete amarvi per tutta la vita… almeno finché vivrò io! E sappiate che ho intenzione di vivere a lungo….

Mia moglie mi guardava con crescente terrore. Dovevo sembrarle pazzo… Si addossava all’uscio, quasi tentasse di sparire a traverso il buco della serratura. La presi per una mano — tremava, era diaccia — e la feci sedere; non osò di resistere.
Le sue labbra balbettavano sommessamente: — Ernesto! Ernesto! — supplicava con gli occhi, strizzandosi le mani. Ero ferocemente contento di vedermela là davanti, prostrata a quel modo. Ripresi a parlare, ritto in piedi, con le braccia dietro la schiena.

— Da oggi in poi, tra te e me, in questa casa niente sarà mutato, all’infuori che tu vi sarai… ospite, nelle tue stanze, libera di andare e venire, come sei stata finora. Con l’unica differenza che, apparentemente, continuerai ad essere mia moglie; effettivamente sarai l’amante di Tito Volpi, quasi io non esistessi; col dovere, s’intende, di continuare ad usare le cautelose precauzioni messe in opra per ingannare me e la gente, che vi sono riuscite da un anno, forse da più di più di un anno; non m’importa di sapere la data precisa. Un anno o una settimana o un giorno, per me valgono lo stesso. Sei già pronta… in ritardo, credo; non voglio impedirti. Va’, va’! Non immaginare che io mediti altra vendetta; vivete sicuri, tranquilli su questo punto, tu e lui. La mia inesorabile punizione avverrebbe il giorno che voi cessereste di essere amanti. Ti inganneresti, lusingandoti di sfuggirmi; se ne persuada anche il tuo amante. Ti ripeto: vi sorveglierò, come un poliziotto! Dovrà essere per sempre! — Ed è stato così, cari miei. Se non che….

— La tua vendetta è durata poco?
— Una vera follia!
— Una balordaggine! Incredibile!
— Se non che — continuò Bozzani, senza curarsi delle interruzioni degli amici — quella punizione è stata più rapida, più tremenda che io non osassi di sperare.

Come avevo annunziato a mia moglie, mi presentai pure al suo drudo, impiegato in una Banca. — Sono a sua disposizione… — mi rispose. — Riconosco il mio torto! — Non so che farmi della vostra vita — gli dissi. — Avrei potuto ammazzarvi, cogliendovi sul fatto, se avessi voluto: non vi avrei pagati due soldi! — Gli ripetei freddamente quel che avevo espresso a mia moglie: — Dovrà essere per sempre! Per sempre! Come se io ignorassi! Stampatevelo bene in mente! — E gli voltai le spalle.

Ora mia moglie lo odia; egli la odia. Non si possono più soffrire. Si sentono legati a una catena di ferro, e non tentano di spezzarla. Senza che essi lo sospettino, ho affittato una stanza accanto a quella, modestissima, dov’essi si davano convegno, e che, secondo le mie ingiunzioni, non hanno cambiata. Da un buchino abilmente praticato nell’uscio intermedio, io ho assistito, montato su una seggiola, a parecchie delle loro tristi scene di rimproveri, di sdegni, di desolazione.

Non un bacio, non una stretta di mano! Egli si aggira per la camera, come un animale chiuso in gabbia; lei, coi gomiti sul tavolino e la testa tra le mani, gli lancia fiere occhiate di traverso. Ho udito spesso le loro parole: — Per te! — È vita questa? — Dovremmo finirla! — insiste lei. — Per fargli piacere? — risponde lui. — Se sapesse a che siamo giunti!

Ma passano ore senza che scambino una sola parola. Certi giorni, io sono feroce. Attendo che mia moglie sia pronta per uscire… e l’accompagno per via, come se andassimo insieme per una passeggiata. La gente che ci incontra non può immaginare. E il maggior tormento per lei è questo vedermi al suo fianco, muto, inesorabile, fino alla cantonata che lei deve svoltare!… Lei la vittima; io il giustiziere.

Talvolta qualche conoscente, qualche amico ci ferma. — A spasso? Come due sposini novelli. — Ella trambascia; mi sembra che debba mancare…. È dimagrita; sbiancata. Non ha coraggio d’implorare pietà. Attende forse che io mi plachi. È una gran tortura per lei il dover fingere in casa, davanti alla servitù, davanti alle poche amiche, che è costretta a ricevere, come io le ho imposto.

A tavola, io leggo il giornale, o mangio chino sul piatto, come un miope, le poche volte che non la lascio sola, perchè faccio colazione o desino fuori, col pretesto degli affari.
— È una punizione anche per te… — disse Nelli.
— La vendetta è il nèttare degli Dei, ha scritto un poeta. Io vivo di nèttare! — rispose Bozzani.
— Ma se quei due ti avessero preso su la parola? Se avessero continuato ad essere amanti col tuo bel permesso?
— Mi era passata pel capo anche questa ipotesi, ma la scartai subito. L’amore per forza? Andiamo!

Bozzani rise. Ai tre amici, però, che l’osservavano maravigliati, ma non più increduli come in principio, parve che in quel momento egli ridesse male, come se sotto il feroce cinismo nascondesse un dolore profondo, insanabile.

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