Michele Emmer: La fantastica storia delle bolle di sapone

Perugia, GNU – Galleria Nazionale dell’Umbria
Bolle di sapone. Forme dell’utopia tra vanitas, arte e scienza
Mostra a cura di Michele Emmer e Marco Pierini
Dal 16 marzo al 9 giugno 2019
Website ufficiale

Sono sempre esistite le bolle di sapone? Hanno una storia tra arte, letteratura, architettura, scienza? Se ne sono occupati in tanti delle bolle e delle lamine di sapone? La risposta è gioiosamente SÌ!!!!
Abbi divertimento sulla terra e sul mare
Infelice è il diventare famoso!
Ricchezze, onori, false illusioni di questo mondo,
Tutto non è che bolle di sapone.


Il 9 dicembre 1992 il fisico francese Pierre-Gilles de Gennes, professore al Collège de France, dopo il conferimento del premio Nobel per la fisica terminava la sua conferenza a Stoccolma con questa poesia, aggiungendo che nessuna conclusione gli sembrava più appropriata. La poesia compare come chiosa di una incisione del 1758 di Jean Daullé dall’opera andata perduta di François Boucher La souffleuse de savon.
La sua conferenza era tutta dedicata alla Soft Matter, o “materia soffice”, e uno degli argomenti riguardava proprio le bolle di sapone, che “sono la delizia dei nostri bambini”. Una riproduzione dell’incisione compare ad illustrare l’articolo.
Ma è giustificato un tale interesse per questi oggetti belli, colorati ma fragili, eterei, un soffio e nulla più? Ebbene, le bolle di sapone sono uno degli argomenti più interessanti in molti settori della ricerca scientifica – dalla matematica alla chimica, dalla fisica alla biologia. Ma non solo, anche nell’architettura e nell’arte, per non parlare del design e persino della pubblicità. Una storia che ha avuto inizio molti secoli fa e che continua tuttora.

Arte e scienza: una storia parallela
La storia delle bolle di sapone molto probabilmente inizia con la lenta diffusione del sapone in Europa e con il grande interesse che le bolle di sapone, effetto collaterale della diffusione del sapone, suscitano nei bambini a partire dalle regioni del Nord dell’Europa, Olanda e Germania soprattutto. Nel XVI e ancor più nel XVII secolo giocare alle bolle di sapone doveva essere un passatempo diffusissimo tra i bambini, come attestano le centinaia di dipinti e incisioni sul tema delle bolle, anche se in molte delle opere d’arte è il tema della bolla come simbolo della fragilità e della vanità delle ambizioni umane ad attirare l’attenzione degli artisti.
È molto probabile che siano proprio la grande diffusione del gioco delle bolle di sapone da un lato e il grande interesse degli artisti dell’epoca dall’altro a spingere anche gli scienziati a porsi delle domande a proposito delle lamine di sapone. Primo fra tutti Isaac Newton: Newton il quale occupato al tavolino nelle sue scoperte di ottica, rivoltosi, per accidente vede un fanciullo che fa le bolle di sapone, e in quella osserva apparso, non senza sorpresa, il fenomeno dei colori per la rifrazione de’ raggi. Una donna che potrebbe supporsi la sorella di Newton si trattiene col giovinetto reggendogli il recipiente d’acqua e sorridendo a quel giovane infante. Parole scritte dal conte Paolo Tosio di Brescia in una lettera del 13 settembre 1824 al pittore Pelagio Palagi per indicargli con esattezza quali dovevano essere il tema e i personaggi del dipinto che gli aveva commissionato: Newton che scopre il fenomeno del colore sulle lamine di sapone. Parole scritte molti anni dopo le ricerche di Newton, ma che raccontano di una scena altamente plausibile.
Alla fine degli anni sessanta del XVII secolo Newton inizia a occuparsi di ottica: nel 1666 scrive il lavoro Of Colours, quindi le Optical Lectures (“Lezioni di ottica”) del 1669-1671, pubblicate solo nel 1728, e New Theory of light and colours nel 1672. Durante questo periodo studiò la rifrazione della luce dimostrando che un prisma può scomporre la luce bianca in uno spettro di colori, e quindi una lente e un secondo prisma possono ricomporre lo spettro in luce bianca.
Nel 1671 la Royal Society lo chiamò perché tenesse una dimostrazione del suo telescopio riflettore. L’interesse suscitato lo incoraggiò a pubblicare le note sulla teoria dei colori che più tardi arricchì nel suo lavoro Opticks del 1704. Quando Robert Hooke criticò alcune delle sue idee, Newton ne fu così offeso che si ritirò dal dibattito pubblico e i due rimasero nemici fino alla morte del primo.

Nel 1672 lo scienziato inglese Hooke aveva presentato alla Royal Society una nota, riportata da Birch nella History of the Royal Society del 1757. Scriveva Hooke che con una soluzione di sapone vennero soffiate numerose piccole bolle mediante un tubicino di vetro. Si poté osservare facilmente che all’inizio dell’insuflazione di ciascuna di esse, la lamina liquida sferica che imprigionava un globo d’aria era bianca e limpida, senza la minima colorazione; ma dopo un poco, mentre la lamina si andava gradualmente assottigliando, si videro comparire sulla sua superficie tutte le varietà di colori che si possono osservare nell’arcobaleno.

Il colore era sicuramente uno dei motivi principali dell’interesse del gioco e del fascino che le bolle di sapone hanno esercitato sugli artisti dell’epoca; anche se la difficoltà di rendere con i pennelli il curioso effetto che si manifestava sulla superficie saponosa era abbastanza complicato, tant’è che in quasi tutti i dipinti le bolle di sapone appaiono pressoché trasparenti.
Isaac Newton nella sua Opticks descrive in dettaglio i fenomeni che si osservano sulla superficie delle lamine saponate. Nel secondo volume annota le sue osservazioni sulle bolle di sapone: Oss. 17. Se si forma una bolla con dell’acqua resa prima più viscosa sciogliendovi un poco di sapone, è molto facile osservare che dopo un po’ sulla sua superficie apparirà una grande varietà di colori. Per impedire che le bolle vengano agitate troppo dall’aria esterna (con il risultato che i colori si mescolerebbero irregolarmente impedendo una accurata osservazione), immediatamente dopo averne formata una, la coprivo con un vetro trasparente, ed in questo modo i suoi colori si disponevano secondo un ordine molto regolare, come tanti anelli concentrici a partire dalla parte alta della bolla. Via via che la bolla diventava più sottile per la continua diminuzione dell’acqua contenuta, tali anelli si dilatavano lentamente e ricoprivano tutta la bolla, scendendo verso la parte bassa ove infine sparivano. Allo stesso tempo, dopo che tutti i colori erano comparsi nella parte più alta, si formava al centro degli anelli una piccola macchia nera rotonda che continuava a dilatarsi.

Alla fine della successiva Osservazione 18, aggiunge: “Nel frattempo nella parte alta che era di un blu scuro, e appariva anche cosparsa di molte macchie blu più scure che altrove, comparivano una o più macchie nere e tra queste altre macchie di un nero più intenso […] e queste si dilatavano progressivamente fino a che la bolla si rompeva […]. Da questa descrizione si può dedurre che tali colori compaiono quando la bolla è più spessa”.
Oss. 18. Si sa comunemente che soffiando in una saponata leggera e producendo una bolla, questa dopo un certo tempo comparisce circondata da vari colori […] il che permetteva ai colori di presentarsi sufficientemente ordinati, cingenti come tanti anelli concentrici la sommità della bolla.
Poi a misura che l’acqua, calando continuamente in basso, rendeva la bolla sempre più sottile, questi anelli adagio adagio si allargavano e si distendevano su tutta la bolla.
Intanto dopo che tutti i colori si erano manifestati nell’alto della bolla, nasceva al centro degli anelli una piccola macchia nera rotonda.

Il fenomeno che Newton aveva osservato è noto con il nome di interferenza e avviene quando lo spessore delle lamine è paragonabile alla lunghezza d’onda della luce visibile. È causato dal fatto che, nel liquido saponato, i diversi colori che compongono la luce solare si muovono con velocità differenti.

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SCHEDA DELLA MOSTRA
Perugia, GNU – Galleria Nazionale dell’Umbria
Bolle di sapone. Forme dell’utopia tra vanitas, arte e scienza
Mostra a cura di Michele Emmer e Marco Pierini

IMMAGINE DI APERTURAPelagio Palagi, Newton scopre la teoria della rifrazione della luce, 1827, olio su tela, cm 170 x 220, Brescia, Musei Civici d’Arte e Storia

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