Giorgio Goggi: Un progetto dimenticato per lo Stretto di Messina

A partire da oggi, Experiences pubblicherà relazioni, presentazioni audiovisive, nonché la registrazione filmata dei momenti principali del convegno realizzato a Roma dall’Associazione Europea del Mediterraneo (AEM).

AEM – Camera dei Deputati – Sala del Cenacolo, 4 luglio 2019
Convegno “LE MACROREGIONI EUROPEE DEL MEDITERRANEO E L’AREA DELLO STRETTO”

di Giorgio Goggi (Urbanista)

Da una parte sono sempre stato convinto della necessità di collegare la Sicilia al continente, anche se per motivi urbanistici -che più avanti esporrò- ben diversi dalle necessità di trasporto per le quali il collegamento viene spesso invocato. Dall’altra, però, pavento sia la realizzazione del ponte, che considero un intervento non appropriato alle necessità di quell’area, sia le conseguenze per lo straordinario paesaggio dello Stretto.  Non sono mai stato contrario all’umanizzazione del paesaggio ed alle sue trasformazioni, anche radicali, ma giudico questa non necessaria.
Infatti, le infrastrutture non sono neutrali, ma condizionano gli insediamenti. Pertanto, se costruiamo due infrastrutture diverse, queste determineranno anche due città diverse.
Quindi conviene che, prima di decidere quale infrastruttura realizzare, decidiamo quale città vogliamo costruire per il futuro dell’area interessata.
Questa è appunto la prima scelta che occorre fare per l’area dello Stretto: costruire la città dello Stretto o fornire un passante veloce al traffico che l’attraversa.

L’esperienza che mi ha radicato in questa convinzione è l’aver partecipato, negli anni 1992-94 alla progettazione dell’attraversamento dello Stretto mediante tunnel in alveo, proposta dall’ENI, come responsabile dell’ATI incaricata dal Consorzio ENI degli studi ed i progetti nel campo urbanistico, trasportistico e del disegno urbano.
L’ENI aveva riversato in questo studio la sua esperienza nei gasdotti sottomarini ed aveva risolto tutti i problemi tecnologici. I tunnel sarebbero stati costituiti da elementi modulari posati a circa 45 metri sotto il livello del mare, poiché questi elementi sono soggetti alla spinta idrostatica vengono ancorati al fondo marino con elementi tubolari in acciaio.
Si sarebbe trattato di manufatti assai complessi, realizzati con la sovrapposizione di più gusci in materiali diversi, in grado di soddisfare tutte le norme di sicurezza, anche in caso di gravi sismi o catastrofici incidenti di navigazione.
Il progetto fu poi abbandonato, nonostante i risultati tecnici molto positivi, ed è stato dimenticato, ma l’esperienza di quegli studi è stata fondamentale per chi l’ha vissuta ed essi hanno ancora qualcosa da insegnarci.
Il progetto si discostava radicalmente da quello del ponte perché collegando le due sponde con tunnel subacquei, che non sono condizionati dalla lunghezza del tracciato, si consentiva il collegamento diretto tra le città, in particolare per la rete ferroviaria.  I tunnel inoltre non avrebbero comportato alcuna intrusione nel paesaggio esistente.
Il ponte, invece, per raggiungere la quota d’imposta ed il punto più stretto del braccio di mare, non avrebbe potuto collegare direttamente le città (con il progetto del ponte di allora, il percorso Reggio-Messina, via Scilla-Ganzirri, sarebbe stato di circa 60-70 Km).  Pertanto il ponte sarebbe stato prevalentemente al servizio del traffico nazionale ed internazionale e non di quello urbano: le due città sarebbero rimaste ancora separate.

La ricerca progettuale per i tunnel si mosse su due filoni fondamentali: il primo e preponderante, a carattere tecnologico, il secondo -oggetto del nostro lavoro- a carattere macrourbanistico e trasportistico, che affrontò in modo globale i problemi territoriali dell’area dello Stretto.
Tuttavia, anche nel merito di questo secondo punto di vista, la diversità dell’approccio tecnologico consentì di ripensare globalmente la situazione insediativa dell’area dello Stretto e di trovare soluzioni urbanisticamente e trasportisticamente diverse da quelle fino allora proposte e praticate.
In altre parole, la diversa tecnologia consentì di concepire qualcosa di totalmente diverso.
Non tanto l’attraversamento, ma il problema dell’assetto urbanistico dell’area dello Stretto e delle sue possibilità di sviluppo diventò il punto centrale della ricerca.  La costruzione della “Città dello Stretto” (che avrebbe comportato di gran lunga maggiori e migliori opportunità di sviluppo per tutta l’area) si rivelò presto l’obiettivo prioritario della ricerca, per due ordini di motivi.
In primo luogo la quantità di traffico nazionale ed internazionale che attraversa lo Stretto, quella rilevata allora come l’attuale, non era e non sarà mai tale da non poter essere smaltita, anche se con tempi più lunghi, da un efficiente sistema di traghettazione.
I miglioramenti nella traghettazione, da allora fino ad oggi, lo hanno dimostrato. Ne conseguiva che la realizzazione del collegamento stabile non sarebbe stata giustificabile da nient’altro che dall’incremento del traffico urbano.
Pertanto l’opera era (e dovrebbe essere ancora) direttamente motivata non solo e non tanto dai livelli del traffico passante, ma dagli obiettivi e dalle necessità d’integrazione e sviluppo delle città, in termini sia di insediamenti sia di attività.
In secondo luogo un investimento così rilevante, come quello previsto per la realizzazione di un qualsiasi collegamento stabile (ponte o tunnel che sia), non può trovare giustificazione se non si traduce anche, ed innanzitutto, in nuove condizioni economiche e di vita, in particolare delle aree urbane coinvolte.

Quest’impostazione del problema portò ad un ribaltamento dell’ottica convenzionale: lo sviluppo urbano e l’integrazione delle tre città (Messina, Reggio e Villa S. Giovanni) nella “Città dello Stretto” diventò non una eventuale conseguenza della realizzazione delle infrastrutture, ma l’obiettivo principale e la condizione per realizzare il collegamento fisso attraverso lo Stretto.
Il sistema urbano dello Stretto, formato dalle tre città principali e dagli insediamenti minori, ha una struttura urbanistica complessa; questo vale in particolare per la città di Reggio, estesa su un vasto territorio.
In tutta l’area la mobilità, indotta anche dalla particolare conformazione urbana, è molto elevata.  La barriera fisica dello Stretto tuttavia incide molto sulle relazioni, infatti, la mobilità attraverso lo Stretto è molto meno sviluppata (dei 253 milioni di spostamenti/anno che si contavano allora nell’area dello Stretto, solo poco più di 2 milioni attraversavano).  Per contro, la città dello Stretto oggi è già una realtà almeno per il sistema universitario, distribuito sulle due sponde.
La situazione di mobilità rilevata consentì di prevedere (e di calcolare con modelli di traffico cui collaborò anche la Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Reggio Calabria) che il superamento della barriera fisica avrebbe indotto un consistente aumento degli scambi tra le due sponde, con la creazione di un’unica area di mobilità e di un’unica città di 500.000 abitanti. 
In questo modo si sarebbero generati gli spostamenti necessari a sostenere il progetto: pertanto la condizione per la realizzazione del collegamento fisso era verificata, ma solo entro uno scenario di consolidamento e sviluppo degli insediamenti e delle attività urbane presenti nell’area.
In altri termini, le possibilità realizzare il collegamento fisso erano direttamente legate al recupero ed alla valorizzazione del sistema insediativo locale nella “Città dello Stretto”.
Conviene a questo punto illustrare con maggiore dettaglio i contenuti del progetto di attraversamento con tunnel in alveo.
Nella configurazione definitiva, il collegamento tra le due sponde sarebbe stato costituito da tre tunnel: uno dedicato al trasporto ferroviario, contenente un doppio binario, e due dedicati al trasporto stradale, contenenti ciascuno una carreggiata con due corsie di marcia ed una d’emergenza.

Lo studio del collegamento ferroviario era strategico e fu particolarmente approfondito: era costituito dall’inviluppo di quattro assi ferroviari che si riunivano nel tunnel d’attraversamento.  I quattro assi ferroviari avrebbero costituito un sistema di totale accessibilità urbano-regionale dell’area dello Stretto:
– verso Gioia Tauro sulla costa tirrenica calabrese;
– verso Locri, sulla costa ionica calabrese;
– verso Milazzo sulla costa tirrenica siciliana;
– verso Taormina, sulla costa ionica siciliana.
L’esercizio di questo sistema ferroviario di area urbana sarebbe stato reso possibile dal transito sia dei treni nazionali sia di quelli regionali e locali, con margini di capacità per ospitare tutti i servizi.
Tutti i treni sarebbero confluiti in due stazioni principali a due livelli (uno sotterraneo per l’attraversamento ed uno in superficie, come l’attuale stazione centrale di Bologna con l’Alta Velocità) poste a Reggio/Gallico e Messina Centrale, dove era consentito lo scambio tra tutte le linee.
Nel tratto urbano queste linee avrebbero costituito un efficiente servizio di metropolitana delle tre città principali: Messina, Reggio e Villa S. Giovanni.  La presenza sulla linea dei treni nazionali, regionali e locali avrebbe consentito frequenze fino a cinque minuti sui rami più prossimi all’attraversamento (nell’urbano di Reggio e Messina).
Il servizio metropolitano sarebbe stato assai veloce ed efficiente per gli spostamenti urbani tra le città: il percorso Reggio Centrale-Messina Centrale sarebbe stato coperto in sedici minuti, ed il puro attraversamento, sul percorso Reggio Gallico-Messina Centrale, in cinque minuti.
Pertanto, la velocità del servizio ferroviario avrebbe consentito di collegare direttamente i centri delle città con i tempi di una metropolitana urbana.
Una volta sviluppato il progetto di attraversamento stabile risultò evidente come il concetto chiave per la realizzazione fosse l’equilibrio degli insediamenti e delle attività, associato a flessibilità e gradualità nella costruzione delle infrastrutture.
Apparve chiaro come la rete dei trasporti nell’area dello Stretto fosse un sistema necessariamente formato sia dai collegamenti marittimi (traghetti, aliscafi), sia dal futuro attraversamento fisso, il quale avrebbe dovuto aggiungersi al sistema integrandosi agli altri elementi, al fine di garantire una più elevata accessibilità complessiva.
Numerosi erano i pericoli insiti nella realizzazione del progetto: da quello di causare la rovina dell’industria del traghettamento a quello di creare nuove aree dismesse all’interno degli insediamenti urbani.  Non andava dimenticato lo squilibrio causato dalla rilevante massa di manodopera necessaria per la costruzione, che al termine delle opere non trovasse adeguata collocazione, come avvenne a Taranto all’epoca della costruzione del polo siderurgico.
Non a caso una delle parti più importanti della ricerca economica che ha guidato il progetto ha avuto come obiettivo quello di evitare squilibri nell’assetto economico e del mercato del lavoro.

La tecnologia individuata consentiva ampiamente di realizzare la flessibilità richiesta, si prevedeva, infatti, la realizzazione separata e scaglionata, in relazione alle necessità ed al livello di sviluppo dell’area urbana, dei vari collegamenti tra le due sponde.
Si previde, quindi, un’attuazione per gradi, di pari passo con lo sviluppo delle relazioni e degli insediamenti: in un primo tempo sarebbe stato realizzato il solo attraversamento ferroviario, con la costruzione di un solo tunnel. Questo avrebbe garantito la totale accessibilità urbana e regionale con un sistema di metropolitana ferroviaria ad alte prestazioni.
A questo punto l’armatura infrastrutturale della “Città dello Stretto” sarebbe stata già compiuta, senza aver inserito elementi di squilibrio urbanistico o economico.
Realizzare il collegamento sulla rete di trasporto pubblico, prima che su quella stradale, avrebbe inoltre consentito che l’accessibilità nella “Città dello Stretto” fosse ampia ed offerta a tutti senza limitazioni di condizione sociale.
Il passo successivo sarebbe stato la costruzione del secondo tunnel, destinato al trasporto stradale, con la realizzazione di un collegamento su unica carreggiata a due corsie, una per senso di marcia.
Quando la crescita del traffico avesse richiesto una superiore capacità di trasporto, si sarebbe potuto realizzare il secondo tunnel stradale, riorganizzando il collegamento su due carreggiate separate a sezione autostradale.
La gradualità offriva numerosi vantaggi.  Da una parte il nuovo collegamento non avrebbe sostituto totalmente i traghetti, che sarebbero stati parte integrante del sistema per tutti gli scenari intermedi.
La manodopera necessaria per costruire il collegamento sarebbe stata più limitata, ma impiegata per un tempo più lungo (con una durata minima di oltre quindici anni), quindi formata da addetti stabili.  Inoltre, i manufatti componenti i tunnel sarebbero potuti essere costruiti in qualsiasi cantiere italiano, per essere poi rimorchiati allo Stretto, con larga ripartizione dei vantaggi economici e minori squilibri.
Questo modo di realizzare le infrastrutture avrebbe fatto crescere l’offerta di capacità insieme alla crescita della domanda e quindi anche della capacità di investimento.
Infine, il sistema avrebbe potuto creare da solo una parte delle risorse necessarie al suo completamento; infatti, il tunnel ferroviario realizzato per primo avrebbe iniziato a produrre utili e ad eliminare gli ingenti costi di traghettazione dei treni che allora gravavano sulle FS, quindi a ripagare gli investimenti ancor prima che il sistema fosse completato.

Ma il più importante vantaggio sarebbe stato dato dalla configurazione urbanistica dei tracciati.  La centralità attribuita al problema degli insediamenti indusse a progettare le reti di trasporto sulla struttura urbanistica di Reggio e Messina: ne risultò un tracciato più razionale dal punto di vista trasportistico e più efficace in termini simbolici.
Il traffico passante nazionale non ne sarebbe stato per nulla penalizzato, anche se i tracciati avrebbero privilegiato le relazioni fra gli insediamenti.
La scelta di realizzare il collegamento ferroviario per primo fu anche dettata da preoccupazioni di ordine urbanistico, cioè dalla necessità di recuperare anche i quartieri dispersi nella vasta urbanizzazione reggina, obiettivo congeniale alle caratteristiche del trasporto ferroviario.
Si scoprì l’importanza di luoghi urbani estremamente significativi.  Catona e Gallico -ora insediamenti periferici- e la stazione di Messina con le aree adiacenti, sarebbero stai i privilegiati dall’accessibilità destinati a ricoprire un ruolo nella “Città dello Stretto”.
Anche tutti i luoghi toccati dalle numerose stazioni del servizio metropolitano avrebbero goduto di notevoli caratteristiche di accessibilità (anche se non confrontabili con quelle delle due stazioni di interscambio) e sarebbero potuti diventare altrettanti centri di sviluppo urbano.
Il contenuto del progetto era quindi costituito da più elementi: i manufatti dell’attraversamento, il sistema degli insediamenti, la rete di trasporto e le attività insediate erano inscindibilmente legati, il tutto con l’obiettivo di uno sviluppo globale.
Da ultimo, ma non per importanza, l’aspetto simbolico, in questo caso direttamente connesso con quello ambientale. I tunnel non sarebbero stati visibili all’esterno se non attraverso le poche, discrete emergenze delle prese d’aria, non intrusive nel paesaggio.
Il paesaggio naturale sarebbe rimasto invariato: l’aspetto più affascinante della sfida progettuale affrontata fu quello di unire funzionalmente conservando la separatezza e diversità paesaggistica.

Ho sempre pensato che non si debbano avere eccessive paure nei confronti delle trasformazioni del paesaggio causate dalla tecnologia dei trasporti.  Tuttavia sono profondamente convinto che la tecnologia che raggiunge risultati almeno uguali, ed anche superiori, lasciando il paesaggio invariato, sia sicuramente da preferire.
Questo progetto, ormai abbandonato e dimenticato, fece capire a tutti noi come fosse possibile costruire città in modo ben diverso e più accorto, impostando un rapporto più profondo tra gli insediamenti, la rete di trasporto e lo sviluppo economico locale.

Figura 1 – Tracciati ferroviari e stradali e del tunnel ferroviario di prima fase.
Figura 2 –Fase finale: tracciati ferroviari e stradali e dei tre tunnel.
Figura 3 – Dettaglio della sponda calabra.
Figura 4 – Dettaglio della sponda siciliana

BIBLIOGRAFIA: 
– Leonardo Cavalli, Un modello per prefigurare la città dello Stretto, KINEO 5 1994
Audizione del presidente dell’ENI, ingegner Gabriele Cagliari – seduta di mercoledì 15 maggio 1991 

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