William Hogarth – Il poeta in miseria

di Sergio Bertolami

L’opera di William Hogarth che presentiamo è una satira rivolta ai cosiddetti autori di Grub-street. Vivevano in questa strada popolare, nei pressi dell’infimo quartiere di Moorfields, dove si potevano trovare spacci e bordelli, caffetterie per bere e mangiare a prezzo stracciato, soprattutto alloggi a basso costo che offrivano servizi minimi in soffitte malsane. Un ambiente marginale, frequentato e abitato da scrittori di storie di scarso valore letterario, aspiranti poeti, estensori di voci per dizionari popolari, editori e librai di fascia bassa. Una congerie di bohémien, che cercavano di guadagnarsi da vivere senza possedere né talento, né patrocini giusti.

Questa acquaforte è stata pubblicata da Hogarth in due differenti versioni, rese evidenti dal particolare della riproduzione affissa sul muro alle spalle del poeta intento a scrivere versi. Possiamo infatti notare nell’incisione del 1729 una scritta satirica contro Papa Alessandro, “Sua Santità con la sua prima miniera”. Quattro anni dopo questa dicitura venne sostituita con una mappa geografica dal titolo “Veduta delle miniere d’oro del Perù”. Probabilmente alludeva alla bolla dei mari del Sud o ad altre proposte per investimenti finanziari rivelatisi chimerici. Hogarth, dopo aver apportato questa modifica, ripropose l’incisione col titolo “Il poeta distratto” in coppia con una seconda incisione, intitolata “Il musicista infuriato”. L’opera pittorica del 1736, oggi conservata al Birmingham Museum & Art Gallery, fu donata dal pittore alla levatrice della regina Carolina. L’acquaforte, come già spiegato in altre pagine, inverte graficamente il soggetto del dipinto.

Il poeta in miseria

(S.B.) L’ambientazione ritrae una squallida stanza dai muri scrostati, divisa dal resto di un più esteso sottotetto per mezzo di un tramezzo in tavole di legno. Sullo sfondo campeggia un vecchio camino, costruito secondo un modello all’epoca già in disuso, a causa della bocca troppo grande per assicurare il giusto calore. Normalmente è acceso per riscaldare l’ambiente umido e asciugare gli indumenti intimi appesi ad una corda, come mutande e polsini di pizzo. Ora però il braciere è spento: gli attrezzi sono appoggiati al suo interno, il soffietto è lasciato in terra, nella bocca da fuoco sono posti in disparte uno sgabello e alcuni oggetti. La stanza è arredata solo con i pezzi essenziali di un rustico mobilio: qualche sedia, un tavolo, un letto ad alcova ricavato sotto lo spiovente del tetto a mansarda, riparato da una cortina. Ci dorme l’intera famiglia: padre, madre e un pargoletto che ora piange perché ha fame, ma le condizioni di miseria non consentono di provvedere. La scena rappresenta, infatti, la visita di una lattaia che – provenendo ogni giorno dal contado – fornisce ai suoi clienti latte fresco appena munto. Ora però, presenta un lungo conto rimasto ancora in sospeso e reclama con veemenza di essere saldata. Sul lato opposto, il capofamiglia è del tutto disinteressato e non dà ascolto alle proteste; sicché l’unica a dovere affrontare la creditrice furente è la moglie, al centro della stanza, che non sa cosa rispondere. Suo malgrado, le tocca assumersi ogni responsabilità della famiglia. Sta a lei resistere a questa comune sventura, arrivata fra capo e collo quando, per amore, ha dato ascolto a quel giovanotto spavaldo e ricco che l’ha corteggiata e messa incinta. Illudendola con le sue fantasticherie, l’ha persino convinta a fuggire con lui.

È passato un anno, il bimbo è venuto alla luce, ma le condizioni economiche della coppia sono andate sempre più peggiorando. Adesso è lì a rammendare, alla bene in meglio, la patta del pantalone del marito. Lui non ha più il becco di un quattrino. Il sacchetto del denaro è caduto dalle tasche dei calzoni, irrimediabilmente vuoto. La costringe a vivere in quella stamberga senza mobili. Non sa neppure dove appoggiare la giacca di quell’unico abito, ormai sdrucito, che deve rabberciargli. Sta ai piedi della sedia, dove una gatta sorniona e il suo micino ne hanno approfittato per farne un momentaneo giaciglio. Mantello e cappello sono appesi a parete, in attesa di essere indossati, prima di uscire per cercare occupazione. Con tutto ciò, l’uomo è preso soltanto delle sue narrazioni eroiche, tant’è che la sua spada giace a terra di fronte a lui, per cogliere l’ispirazione d’impavidi duelli. Una ispirazione che nondimeno tarda a venire, così come tarda a venire anche la pubblicazione di un libro che possa aprire la fulgida carriera letteraria di questo sognatore. Il poeta, in verità, indossa una vestaglia lacera e si gratta la testa per la frustrazione creativa. Ironia della sorte, l’opera che sta componendo è intitolata “Ricchezze, un poema”. Le pagine appena scartate si trovano sotto il tavolo; quelle dei giorni precedenti ha provveduto la moglie, a colpi di scopa, ad appallottolarle in un secchio. Fra le carte sparse si scorge una copia del “Grub-Street Journal”, il periodico letterario che attraverso la sua satira metteva in ridicolo proprio la scrittura da due soldi prodotta in quel quartiere. Il sognatore cerca illuminazione sfogliando le pagine di un libro. Si addormenta a tarda notte: gli è rimasto sul tavolo un solo morso di candela. Alle spalle c’è una piccola mensola con altri due volumi rilegati: unici beni di una ricchezza perduta. I tre libri probabilmente fanno riferimento alla prima versione di “The Dunciad”, pubblicata in forma anonima nel 1728 dal poeta satirico Alexander Pope. A fianco della mensola, la mappa con il titolo “Una vista delle miniere d’oro del Perù”. L’uomo passa tutto il tempo scrivendo e tirando qualche boccata di fumo. La pipa e la scatola del tabacco sono accanto, sul davanzale della finestra. Il boccale di birra lo ha già scolato. È posato, dietro di lui, sulla sedia su cui è solito bere mentre si riscalda al fuoco del camino, che ora, comunque, è spento e non ha l’aria che presto possa essere riacceso. Insomma, nonostante la sua estrema povertà, sembra che il sognatore non sia capace di rinunciare ai suoi piccoli piaceri personali.

L’unico ad avvantaggiarsi di questa situazione disperata è un cane, che approfittando della porta aperta ruba una costoletta di montone, momentaneamente appoggiata sulla seggiola, in mancanza di un tavolo da cucina, in attesa che si possa riattizzare il fuoco per cuocerla. Era l’ultima derrata alimentare, perché lo stipo che pende sulla sedia è ormai del tutto vuoto. Proponendo l’incisione, con molta probabilità, Hogarth ha voluto ironizzare su di un episodio, più o meno rimaneggiato, della propria infanzia. Suo padre, un intellettuale ridottosi in ristrettezze economiche, nonostante alcune proprietà terriere, in gioventù aveva provato a scrivere versi. In una lettera conservata al British Museum, accenna proprio alla sottrazione di una bistecca, subita durante il periodo di indigenza che fece seguito ai suoi sogni poetici.

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica dell’incisione di William Hogarth dal dipinto conservato al Birmingham Museum & Art Gallery

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