Edoardo Falcioni: Warhol, colui che si può definire come l’artista più iconico del ‘900

ICONS! è la mostra che – al PALP Palazzo Pretorio di Pontedera fino al 20 marzo 2022 – racconta la storia del più pungente interprete della società di massa, testimone variopinto delle icone del suo tempo: Andy Warhol. Tutto il suo percorso professionale è presentato con 141 capolavori di ogni periodo: partendo dalla coloratissima Liz (1964), arrivando all’immancabile Marilyn (dal 1985 al 1988). E ancora, tre splendide Cow (dal 1966 al 1976), accanto ad altre super icone: Brillo Box (1970), Flowers (1970), Eletric Chair (1971), senza dimenticare le Campbell’s Soup (1968).

Warhol Begins

Testo di Edoardo Falcioni, curatore della mostra

Ogni cosa ripete se stessa. È stupefacente che tutti siano convinti che ogni cosa sia nuova, quando in realtà altro non è se non una ripetizione. Andy Warhol

Il fatto che, stando alle parole del re della Pop Art, “ogni cosa ripete stessa” potrebbe essere un bene, una scoperta per niente banale e, anzi, il preludio e il cuore di una delle più grandi rivoluzioni artistiche. Gli antichi Romani dicevano Repetita iuvant. Se interpretiamo questo celebre proverbio adottando una logica da pubblicitari, di cui l’autore a cui è dedicata questa mostra si è sempre avvalso, e che gli ha permesso di cambiare radicalmente la direzione della storia dell’arte, queste due parole potrebbero essere interpretate semplicemente nel senso che più volte una immagine viene ripetuta, maggiori sono le probabilità che questa entri nella mente dell’osservatore. Collocandoci idealmente nell’immediato dopo-guerra, la locuzione latina ci apparirà estremamente in linea con quelle che erano le novità di quel periodo: sono gli anni della ricostruzione, in cui risorsero e nacquero tantissime imprese, le quali, attraverso nuove tecnologie aziendali all’avanguardia, inaugurarono un nuovo corso dell’economia mondiale, nel quale, per la prima volta, giocò un ruolo di fondamentale importanza la pubblicità commerciale. Questa, assieme a tutte le nuove e spietate tecniche di marketing, conferì a certi prodotti un appeal, un fascino e una forza del tutto inediti: più volte un prodotto era “ripetuto” (nel senso che lo si poteva riconoscere su cartelloni pubblicitari, sui giornali, sulle prime trasmissioni televisive e in tantissime altre situazioni), maggiori erano le probabilità che quello stesso prodotto venisse acquistato, in forza di quell’aurea di sacralità che la pubblicità riusciva a conferirgli.

Un angolo dell’allestimento

In quegli stessi anni di crescente prosperità economica, nei primi anni ’60, un giovane grafico pubblicitario di successo stava per inaugurare una rivoluzione senza precedenti: egli avrebbe trasformato quegli elementi socio-economici, tipici di quell’epoca, in arte. Quel giovane si chiamava Andy Warhol.

Non so se questo timido e ambizioso ragazzo, originario di Pittsburgh, si sia mai imbattuto nell’antico proverbio latino; però, parafrasandolo in termini estetici, possiamo avere una prima e vaga idea di quella che è stata la novità warholiana: ripetere una immagine per migliorare l’esecuzione artistica messa in atto dall’ormai ex grafico, fino ad arrivare a creare un prodotto d’arte del tutto inedito e capace di rappresentare, come nessun altro, il contesto storico di quegli anni.

Questo sconvolgimento non si era però limitato solo ad innovare ciò che veniva rappresentato sulla tela, ma arrivò a modernizzare completamente persino il modo stesso di fare arte, ossia la tecnica con cui venivano realizzati i quadri.
La ripetizione e la rielaborazione delle immagini di beni di consumo industriale e di icone ha infatti comportato l’adozione di tecniche di serializzazione, che resero così Warhol più simile ad una macchina piuttosto che ad un artista, coerentemente a quello che era uno dei suoi desideri. Questo modus operandi, il quale consisteva sostanzialmente in un processo semi-meccanizzato che facilitava enormemente la realizzazione delle opere e riduceva notevolmente i tempi di produzione, non venne accolto in maniera benevola dall’establishment artistico dell’epoca. La filosofia e la tecnica di questo giovane che stava per sfondare la scena artistica newyorchese erano visti infatti quasi come una provocazione all’Espressionismo Astratto, movimento allora preponderante negli USA.

La tecnica della serigrafia, tanto criticata quanto rivoluzionaria, venne utilizzata da colui che venne additato dai suoi critici come “Andy il pubblicitario” già nel 1962, per realizzare la serie Campbell’s Soup Cans, composta da trentadue piccole tele di identiche dimensioni raffiguranti ciascuna gli iconici barattoli di zuppa Campbell’s; queste vennero esposte nello stesso anno alla Ferus Gallery di Los Angeles.

La critica, che bollò le opere come “piatte e provocatorie”, non comprese che il fine non era quello di rappresentare un barattolo di zuppa, ma di comunicare l’idea della ripetizione e dell’abbondanza di questo prodotto, coerentemente a quella che possiamo definire la filosofia consumistica dell’epoca.

Queste lattine, le quali altro non sono che i frutti della produzione di massa che tanto affascinava l’artista, sono state infatti tolte dalla concretezza del consumo per divenire così arte, rendendo opera ciò che era sempre stato accessibile a tutti.

È stata proprio questa democraticizzazione artistica ad aver reso l’uomo dalla parrucca argentata uno degli artisti più rappresentativi del secondo ‘900: aderendo alla cultura di massa e facendola entrare nel mondo concettuale dell’arte figurativa, egli ha saputo elogiare, come nessuno aveva mai fatto, gli Stati Uniti d’America, patria d’eccellenza del consumismo, e tutto ciò che hanno simboleggiato dall’immediato dopo-guerra sino agli anni ‘80.

Sono passati più di trent’anni dalla morte di Andy Warhol, avvenuta nel 1987 a causa di una infezione alla cistifellea.
Ai suoi primissimi seguaci si sono sostituiti e susseguiti negli anni numerosissimi artisti che, ancora oggi, cercano di emulare il loro maestro, attualizzando la sua filosofia in chiave contemporanea.

Le sue icone, i suoi personaggi e i suoi soggetti (potrebbe sembrare erroneo definirli “suoi” in quanto egli, come abbiamo visto, non ha fatto altro che ripetere una immagine, ma è stata proprio questa novità filosofica a cambiare completamente il mondo della cultura e a far sì che i simboli di un intera generazione venissero “consegnati” a lui per essere oggi riconosciuti e considerati come suoi) sono sempre più riprodotti ovunque: su magliette, calzini, matite, posters, piatti, zaini…insomma, ovunque!

Alcune delle sue ossessioni profetiche sono divenute oggi realtà; la più celebre è quella dei quindici minuti di celebrità spettanti a tutti, realizzatasi mediante l’avvento dei social network.
Andy aveva sempre desiderato un programma televisivo tutto suo, oggi gli basterebbe però molto meno: un profilo Instagram sarebbe infatti l’ideale per garantirgli quotidianamente quella visibilità che ha sempre desiderato.

Affermando invece che “ La cosa più Bella di Tokyo è McDonald’s. La cosa più bella di Stoccolma è McDonald’s. La cosa più bella di Firenze è McDonald’s. Pechino e Mosca non hanno ancora qualcosa di veramente bello”, egli ha in qualche modo anticipato, con una sottile ironia, la globalizzazione che ha fortemente caratterizzato gli anni 2000.

Nel tentativo di riflettere sui suoi tempi, Andrew Warhol, autentico nome di colui che si può definire come l’artista più iconico del ‘900, finì per cambiarli.
Ciò basta per poter affermare che egli sia non soltanto più attuale che mai, ma addirittura vivo e vegeto, costantemente presente nelle nostre vite; definendo e anticipando la società contemporanea nella quale viviamo, la sua rivoluzione non è agli sgoccioli, ma è solamente appena iniziata: Warhol begins!


Informazioni

www.palp-pontedera.it
T. +39 0587 468487
M. +39 331 1542017

Orario apertura
dal martedì alla domenica e festivi
ore 10.00 – 19.00
Chiuso il lunedì
(ultimo ingresso ore 18.00)

Biglietti

Intero € 12,00
Ridotto € 10,00

Hashtag ufficiale
#WarholPontedera

Ufficio stampa ARTHEMISIA
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
press@arthemisia.it | T. +39 06 69380306

IMMAGINE DI APERTURA Un angolo dell’allestimento

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