Adolf Loos: ciò che ha scritto e costruito era esattamente quello che pensava

di Sergio Bertolami

37 – L’architetto precursore del Movimento moderno

L’amico architetto di Oskar Kokoschka, Adolf Loos – Dolfi come lo chiamavano familiarmente – non è soltanto il sacro autore di Ornamento e delitto (1908), granitico come la pietra che scolpiva suo padre, scalpellino di Brunn. Sapeva anche scherzare sulle situazioni quotidiane. Come quella volta che, parlando di Ulk, il critico viennese che lo prendeva in giro proprio per quel suo famosissimo saggio, rispondeva lapidario: «Caro Ulk! Ti sto solo dicendo che verrà il momento in cui allestirete una cella carceraria secondo le indicazioni del tappezziere di corte Schulze o del professore Van de Velde e questo conterà come un inasprimento di pena». Dolfi andava alla ricerca della semplicità. Ma non riusciva a trovarla nemmeno fra i suoi contemporanei fautori dell’arte applicata. «Una cultura comune – scrive sulla mostra del Deutscher Werkbund – crea forme comuni. E le forme dei mobili di Van de Velde differiscono notevolmente da quelle di Josef Hoffmann. Quale cultura dovrebbero scegliere i tedeschi? La cultura di Hoffmann o quella di Van de Velde? Di Riemerschmied o di Olbrich?». Se da un lato è aperto alle innovazioni, dall’altro Loos è ostile ai formalismi discutibili. Per lui tutto è discutibile, persino l’arte. «L’arte è un’alta dea per l’uomo moderno, e lui sente che è un attentato all’arte quando viene prostituita per merci». Loos nei suoi scritti traccia deliziosi ritrattini letterari coi quali ridicolizza ricchi e borghesi arcicontenti, come quel tale che sente il bisogno di richiedere le prestazioni di un famoso architetto: «Mi porti l’arte, porti l’arte fra le mie pareti domestiche. Non bado a spese». A leggere questo racconto – dal titolo Da un povero ricco (Von einem armen reichen Manne) – potreste riconoscerci Hoffmann che progetta Palazzo Stoclet, oppure Van de Velde e Olbrich che disegnano persino abiti per le proprie consorti. L’architetto immaginato da Loos non si fa ripetere due volte la richiesta del suo nuovo cliente. Va a casa dell’uomo ricco, fa gettare via tutti i mobili – quelli grazie ai quali poteva condividere le sue radici familiari – per chiamare uno stuolo di parchettisti, decoratori, laccatori, muratori, imbianchini, falegnami, idraulici, fumisti, tappezzieri, pittori e scultori e in men che non si dica, l’arte è catturata, inscatolata, ben sistemata tra le pareti domestiche dell’uomo ricco. «L’uomo ricco era tutto felice. Tutto felice attraversava i nuovi locali. Dovunque posasse gli occhi si imbatteva nell’arte, ogni cosa esprimeva l’arte. Quando afferrava una maniglia posava la mano sull’arte, si sedeva sull’arte quando si abbandonava in una poltrona, sprofondava la testa nell’arte quando, stanco, poggiava la testa sui cuscini, i suoi piedi affondavano nell’arte quando camminava sui tappeti. Egli nuotava nell’arte con immenso fervore. Quando anche il suo piatto fu provvisto di decorazioni raddoppiò l’energia con cui si accingeva a tagliare il suo boeuf à l’oignon. Fu lodato. Fu invidiato. I periodici d’arte lo esaltavano come uno dei più grandi mecenati, i locali della sua abitazione furono riprodotti come esemplari, furono discussi e illustrati».

Adolf Loos, racconto dal titolo Da un povero ricco
(Von einem armen reichen Manne)

Un racconto immaginario che sintetizza il clima dell’epoca, dalla Secessione viennese di Klimt, Hoffmann, Helmer e tanti altri, alla Wiener Werkstätte che progetta e produce veri e propri gioielli artistici. A leggere gli scritti completi di Adolf Loos – da Parlato nel vuoto (1897–1900) a Tuttavia (1900–1931) – ci si trova davanti ad una fonte inesauribile di notizie, raccontate con impietoso sarcasmo, ma anche giocosa leggerezza. Questa, per esempio, sembra una spiritosaggine, ma per chi conosce Loos non è una novità: il suo modo di esprimersi è stato sempre sarcastico, enfatico, plateale. Un giorno incontra un famoso architetto di cui tace il nome: «Salve, ieri ho visto uno dei vostri appartamenti. Quello del dott. Y». Forse, attendendosi un complimento, come per schermirsi, quello risponde: «Per l’amor di Dio, non guardate quella bruttura. L’ho fatta tre anni fa». Al che Loos ribatte caustico: «Ho sempre creduto, caro collega, che ci fosse una differenza sostanziale tra noi. Ora mi accorgo che c’è solo una differenza di fuso orario. Una differenza di tempo, che può essere espressa anche in anni. Tre anni! All’epoca io stesso avevo detto che faceva schifo, voi lo state riconoscendo solo ora».

Adolf Loos, ritratto fotografico di 
Otto Mayer (intorno al 1904)

Adolf Loos è un tipo senza perplessità, sempre sicuro delle sue opinioni, che, intelligentemente, qualche volta rende malleabili. Racconta che la fabbrica francese Christofle aveva una filiale di fronte all’Opera a Heinrichshof. «Le vetrine non ti obbligano mai a fermarti». Per cui, dovendoci passare davanti ogni giorno, cerca di farlo in tutta fretta. Un anno accade qualcosa di speciale. «Tra i centritavola e le posate d’argento – le posate per chi sa mangiare, basate sui modelli inglesi, e quelle disegnate da Olbrich per le persone che non possono mangiare – era esposto un pinscher a grandezza naturale in porcellana bianca, smaltata. Solo gli occhi e il muso del cane erano colorati. Il mio primo pensiero è stato: Copenaghen. E ho cominciato ad ammorbidire il mio giudizio su Copenaghen». Esistono artisti, si domanda, che creano oggetti di questo tipo, oggetti che si desidera possedere? Come si chiama? Dove vive? Entra, chiede e si sente rispondere che l’uomo è morto forse da centocinquant’anni. Quella esposta è una copia della fabbrica di Sèvres. Costa troppo, non può permettersi l’acquisto, ma da quel momento Loos sta insieme a quel cane di porcellana tutti i giorni. Si limita ad ammirarlo in vetrina. «È andata così per un anno. Ma l’altro giorno la mia gioia si è trasformata in acqua. Il cane era sparito. Sono entrato e ho detto, dov’è il mio cane? Lo ha comprato un americano». Gli viene, però, assicurato, che presto, spedito l’ordinativo, una nuova copia del cane sarebbe stata in mostra. «Spero che gli americani utilizzino il marciapiede opposto» conclude Loos.

Pinscher tedesco, elegante cane a pelo raso
Adolf Loos con la cagnetta Beau-Beau, intorno al 1930
(Foto di Claire Beck)

Molte volte Loos riesce ad essere spiazzante. Claire Beck Loos (terza moglie dell’architetto) ne traccia un simpatico ritratto confidenziale. Ricorda quando, con un gruppo di amici, entrò nel negozio di un artigiano di ceramiche in un paese sperduto nei dintorni di Cannes. Loos si guarda intorno. Prende un piatto da zuppa da uno scaffale, lo osserva con attenzione e lo posa di fronte a sé. Il proprietario è in allarme. «Mi scusi, monsieur – dice – ma quello è uno scarto!» e, imbarazzato, toglie via il piatto. Loos lo guarda e ride. «Quel piatto è particolarmente bello. Vorrei dodici piatti da zuppa come quello». «Ma è stato un incidente se il marrone è finito sul giallo – risponde disperato il proprietario – Di sicuro non ricapiterà mai su dodici piatti!». «È davvero un grazioso incidente. Non importa se i colori non sono perfettamente uniformi. Mi faccia dodici piatti di scarto … proprio come quello» (Beck 2014).

Claire Beck Loos: Adolf Loos privato. Ritratto di un eccentrico genio

Potrei continuare a raccontare episodi umoristici di questo genere per mettere in luce il temperamento irriverente di Loos, ma forse ripercorrere brevemente gli anni, almeno fino al primo conflitto mondiale, potrebbe tornare utile per comprendere meglio l’architetto che tutti riconoscono come il precursore del Movimento moderno. Primogenito di tre figli, nasce il 10 dicembre 1870 a Brunn, in Moravia (oggi Brno, Repubblica Ceca) da Adolf Loos e da Maria Hertl. È uno studente intelligente, ma dal rendimento incostante, anche perché deve affrontare il continuo trasferimento in vari istituti scolastici. Completa le quattro classi del liceo a Jihlava, Melk e Brunn. Al Melk Abbey Gymnasium, per esempio, rimane solo un anno, il 1881, ma a causa degli scarsi voti la sua iscrizione è rifiutata. Dopo l’estate è trasferito al liceo di Igiau, in Moravia, dove conosce Josef Hoffmann. Frequenta, quindi, dal 1885 la Imperial-regia scuola professionale (K.K. Staats-Gewerbeschule) di Reichenberg, in Boemia, e si diploma alla Scuola Statale Tedesca per il Commercio a Brunn nel 1889. Studia poi, dal 1890 al 1893, presso il dipartimento di ingegneria strutturale dell’Università Tecnica di Dresda, ma anche qui interrompe gli studi per un anno per arruolarsi a Vienna come volontario nella polizia militare; quindi, sempre a Vienna, studia per un breve periodo all’Accademia di arti applicate. Rientrato all’Università, solo al terzo anno, cioè dal 1886, si dedica finalmente all’architettura e nell’estate del 1887 acquisisce anche un certificato di muratore presso l’impresa Czapka & Neusser in Moravia.

Vista dell’Home Insurance Building dell’architetto William Le Baron Jenney a Chicago, Illinois. Primo esempio di grattacielo.

Nell’estate del 1893, nonostante non conosca una parola d’inglese, con un solo biglietto da 50 dollari in tasca, parte per gli Stati Uniti. Il primo maggio si è, infatti, inaugurata l’Esposizione Universale di Chicago per celebrare il quattrocentesimo anniversario della scoperta dell’America. Qui prende atto, con grande meraviglia, di una città in fermento dopo distruzione quasi completa per il Grande incendio dell’8 ottobre del 1871. Le fiamme avevano ridotto in cenere le numerose case del centro che erano ancora in legno. Con la ricostruzione viene elevato il primo grattacielo della storia, l’Home Insurance Building e gli edifici che seguono danno origine alla decantata architettura della Scuola di Chicago. l’Home Insurance Building, progettato nel 1885 da William Le Baron Jenney aveva dieci piani d’altezza tirati su interamente con telaio metallico, sistema costruttivo brevettato da altri nel 1888. Dieci piani sono il doppio di quelli che Loos aveva potuto vedere fino ad allora. Ma ciò che più meraviglia è che, mentre in Europa ci si perde dietro un decorativismo inutile, a Chicago la sfida in altezza non si ferma. Nel 1889 John Wellborn Root fa svettare i diciassette piani del Monadnock Building, che detiene ancora oggi l’imbattuto record del più alto edificio con struttura portante in mattoni rafforzata da un telaio in ferro. Le nuove linee architettoniche e le tecnologie adottate, convincono il giovane Loos che occorre trovare forme espressive al passo con i tempi, superando l’Art Nouveau, «l’opera – come sosteneva Henry van de Velde – messa assieme, giudicata e studiata attraverso la sola qualità ovviamente comune a tutti: la novità». Ma per Loos l’Art Nouveau non era più una novità.

Adolf Loos, Parole nel vuoto (Ins Leere gesprochen), 1900 

A New York Loos vive in ristrettezze economiche e si mantiene con umili lavori occasionali, come garzone di un parrucchiere, lavapiatti, disegnatore e posatore di tarsie, infine dal 1894 è assunto come disegnatore in uno studio di architettura. Collabora anche con riviste in lingua tedesca. Di questa esperienza americana scrive: «L’uomo che possiede la cultura occidentale sa adattarsi immediatamente a quella cultura che corrisponde a un certo terreno, a una certa attività e a un certo clima. Ogni viennese può indossare scarpe chiodate, lederhosen corti al ginocchio e giacca in loden, quando va in montagna. Ma l’uomo di montagna non può indossare una redingote e un cappello a cilindro quando va in città». Loos vive a New York e in altre città degli Stati Uniti fino al 1896, poi rientra a Vienna, passando per Londra e Parigi. Ha guadagnato bene e può potersi di pagare il viaggio di ritorno.

Die Fackel, rivista in lingua tedesca pubblicata da Karl Kraus a Vienna tra il 1899 e il 1936

Dopo il rinnovato servizio militare, Loos entra nella società di costruzioni dell’architetto Carl Mayreder, da tre anni anche docente alla Technische Hochschule. Nel contempo scrive, acquisendo una certa notorietà attraverso i suoi articoli pubblicati su giornali e riviste in cui sostiene con tenacia e argomentazioni la riforma della professione. Trascorre le sue serate frequentando caffè e teatri, alla ricerca di una vita mondana che gli permetta di inserirsi nel cuore della società viennese fin de siècle. Al Cafè Griensteidl e al Cafè Central, stringe amicizia con due intellettuali di spicco, quali Peter Allenberg (pseudonimo di Richard Englander), eccentrico letterato più grande di una decina d’anni, e il coetaneo Karl Kraus, appartenente a una facoltosa famiglia ebrea di industriali della carta, che dal 1899 darà alle stampe la rivista Die Fackel (La fiaccola), attraverso la quale diffonderà critiche graffianti sulla società del tempo. Il lavoro professionale di Loos nei primi anni a Vienna riguarda solo la progettazione d’interni. Si occupa della ristrutturazione e dell’allestimento di banche, negozi e appartamenti, per i quali disegna anche gli arredi. Nel 1899 progetta il Café Museum all’angolo tra la Opemgasse e la Friedrichstrasse di Vienna, ancora oggi in funzione. Invece di realizzarne gli interni in tessuto felpato rosso – secondo l’arredamento consueto per i locali in voga – Loos decide di lasciare le pareti nude e di utilizzare dei mobili, da lui stesso disegnati, talmente essenziali che questo “disadorno” locale è subito soprannominato Café Nihilismus, in riferimento al rigetto di qualsiasi ornamento. ​

Adolf Loos, Café Museum, 1898-1899

«Adolf Loos si dimostra un sincero non-secessionista col suo caffè Museum; non nemico della Secessione viennese, ma qualcosa di diverso. Può essere in un certo modo nichilista, anzi molto nichilista, ma è attraente, logico, pratico, insolito» (Lajos Hevesi, Kunst auf der Strasse, Fremben Blatt, Vienna 30 maggio 1899).

Adolf Loos, American Bar Kärntner Durchgang Nr. 10, 1907

Subito dopo il Café Museum, Loos si occupa degli interni della casa del dottor Hugo Haberfeld in Alserstrasse. L’anno successivo esegue l’ammodernamento di una casa a Brunn e la sistemazione del Wiener Frauen-Club a Vienna. Sono lavori che lo pongono all’attenzione di una cerchia di persone benestanti, che conosce tramite l’amicizia di Karl Kraus e della sua cerchia, con cui condivide gli ideali di modernità. Realizza gli arredi dell’appartamento Turnowsky in Wohllebengasse e dell’appartamento Steiner in Gumpendorferstrasse. Sempre tramite Kraus progetta le abitazioni di Otto Stössl, due case per Chlotilde Brill Schweiger ed Elisabeth Reitler e poi gli appartamenti per i fratelli Alfred e Rudolf Kraus.

Villa Karma a Montreux, sulle rive del lago di Ginevra in Svizzera, 1904-1906

La prima grande opera di architettura di Loos è, tuttavia, la ristrutturazione e l’arredamento della Villa Karma a Clarens (Montreux) sul Lago di Ginevra dal 1903 al 1906 (completata dall’architetto croato Hugo Ehrlich dopo il 1908). A gennaio del 1903 il fisiologo viennese Theodor Beer, anche lui collaboratore come Loos della rivista Neue Freie Presse, lo aveva invitato a Clarens, per completare i lavori della sfarzosa villa. In questo progetto, Loos manifesta i suoi tratti caratteristici, come i corpi stereometrici – cubo e parte cilindrica – quali forme costruenti la geometria dello spazio edificato. L’interno è un susseguirsi di ambienti di diverse altezze e dai particolari tagli della luce. L’effetto decorativo è affidato ai materiali pregiati: marmo, legno, metallo. Utilizza vetri e specchi per conseguire illusioni spaziali.

Adolf Loos, Villa Steiner, nel 13° distretto di Vienna a St.-Veit-Gasse n. 10, 1910

Quando nel 1903 inizia Villa Karma, la rivista Kunst di Peter Altenberg il primo di ottobre esce con un supplemento interamente redatto da Loos e intitolato Das Andere. Ein Blatt zur Einfuhrung abendländischer Kultur in Osterreich (L’Altro. Foglio per la diffusione della cultura occidentale in Austria). Si prospettano vari allegati alla rivista, ma Das Andere si conclude già con il secondo numero del 15 ottobre, nel quale è inserito un polemico editoriale contro la Wiener Sezession.

L’Altro. Foglio per la diffusione della cultura occidentale in Austria

L’articolo è intitolato “Cosa ci vendono”. «In questa sezione – scrive Loos – voglio provare a educare il mio pubblico a conoscere. I fabbricanti di beni buoni benediranno il mio inizio, i fabbricanti di beni scadenti mi malediranno […] C’erano già approcci felici. Ricordo solo l’industria viennese della pelle, l’arte viennese dell’oreficeria. Era comprensibile quando qualcuno pagava per il suo desiderio di un buon materiale e di un lavoro corretto. Nessuno è mai stato considerato un idiota perché alla Würzl pagava quattro volte il prezzo di ciò che comprava in un negozio scadente per pochi soldi. Poi venne la Secessione e gettò fuori bordo tutte le buone idee. Tuttavia, alcuni mestieri furono risparmiati dalla Secessione. Lo dobbiamo a una fortunata circostanza se il Ministero della Pubblica Istruzione tuttora non ha nominato alla Scuola di Arti Applicate un artista “moderno” per la costruzione di carri, abbigliamento maschile e calzature. Per questo sono ancora all’apice».

Manifesto di Adolf Loos per la conferenza Ornament and Crime

La chiave per comprendere l’essenza della poetica di Loos è linguistica, afferma Luigi Prestinenza Puglisi, filtrata attraverso la riflessione di Karl Kraus, geniale indagatore dell’espressione verbale, direttore della rivista Die Fakel: «Un linguaggio scorretto – ecco la tesi di Kraus che sarà fatta propria da Loos, ma anche dal filosofo Wittgenstein e dal compositore Schönberg, tutti affezionati lettori della rivista – mischia fatti e valori. In architettura ciò avviene quando si vuole a tutti i costi rendere artistico il quotidiano, dando all’oggetto d’uso un’inusitata importanza. Quando si confonde l’urna con il pitale. È l’evoluzione culturale che porta a eliminare dal quotidiano la decorazione, togliendole la sua commistione con l’artistico. Se invece si vuole saltare il problema della civiltà, proponendo la scorciatoia dell’invenzione formale, non si possono che produrre disastri, rendendo retorico, cioè inautentico – e quindi brutto e farsesco – il mondo». Su questo, però, ci soffermeremo più attentamene, prendendo in considerazione Ornamento e delitto, il saggio più importante. Un saggio al quale Adolf Loos ha lavorato a lungo, limandolo e correggendolo, fino a modificarne l’anno originale in cui l’aveva composto per la prima volta, retrodatandolo al 1908 per assumere il primato nel confronto con i Secessionisti.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

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