Henri Matisse a Collioure: un’estate fauves di linee e colori

di Sergio Bertolami

41 – Henri Matisse e André Derain fra gli artisti del Roussillon

Il fauvismo – occorre evidenziarlo subito – è una fase effimera nella lunga e sfaccettata storia dell’arte del Novecento. Matisse ne parlerà come di una “prova del fuoco” dalla quale uscirà temprato. Bene aveva intuito il critico Louis Vauxcelles che, su Gil Blas, riportava la sua visita al Salon d’Automne del 1905: Matisse avrebbe potuto ottenere facili riconoscimenti, ma preferiva vagare in una ricerca appassionata, chiedere al puntinismo qualcosa di più, come vibrazioni o luminosità. Quella ricerca appassionata si era fatta strada durante l’estate del 1905, a Collioure, con la stimolante compagnia del giovane Derain. Non a caso, quando Vauxcelles, più tardi, si riferirà all’istituita congrega dei fauves, dove secondo il critico officiavano come in una confraternita due preti superbi, farà proprio il nome di Derain e Matisse. Solo che lo scrive nel 1907, allorché il gruppo sta per separarsi, con l’idea d’inseguire principalmente il Cubismo, iniziato da Picasso e, soprattutto, da quel Braque che era stato accolto come fauve. L’effetto più vantaggioso, però, era che al Salon d’Automne gli esponenti di quella congrega erano emersi all’attenzione, una volta per tutte, e all’improvviso Matisse aveva acquisito la celebrità del capofila. Con la mostra interessò collezionisti d’avanguardia, come gli americani della famiglia Stein, Leo Stein col fratello Michael e la sorella Gertrude, e più avanti i russi Stschoukine e Morosov, tutti collezionisti che da quel momento acquistarono da lui regolarmente, fino allo scoppio della guerra, con lungimiranza e ammirazione degne di nota.

Di Henri Matisse, Vista di Collioure, 1905

Collioure, nel Sud estremo della Francia al confine con la Spagna, è stato il catalizzatore che ha contribuito alla nascita del fouvisme. Nulla l’avrebbe fatto presagire, perché il piccolo paese di pescatori, all’inizio del Novecento, era conosciuto per le sue acciughe: pescate, lavorate in modesti laboratori di salagione e conservate in botti di legno. Per il resto, un bellissimo paesaggio mediterraneo di aranci e limoni, di sole e cielo terso, erano gli effetti speciali che potevano coinvolgere lo spirito di poeti e pittori. Paul Signac ci aveva soggiornato diciott’anni prima, nel 1887. Per un po’ aveva affittato una stanza sopra un droghiere, poi aveva preferito partire per Saint-Tropez. Gli straordinari paesaggi offerti dal Var e dalla Costa Azzurra erano fra i preferiti dei pittori. Nell’estate del 1905, Marquet e Manguin svolgevano a Saint-Tropez le loro ricerche, favoriti da Signac loro nume tutelare. Anche Camoin li raggiunse un paio di mesi dopo, proveniente da Aix e da Cassis dove aveva seguito le orme dell’anziano Cézanne. Ai tempi, però, la situazione economica di Matisse era delicata e Saint-Tropez troppo costosa. Nella mostra collettiva di aprile la gallerista Berthe Weill annotava sul suo registro: «Camoin è in testa alle vendite; segue, al secondo posto, Marquet». Matisse, che aveva presentato sei dipinti, languiva. Al Salon des Indépendants, gli Stein avevano giudicato le opere puntiniste di Matisse come «insoddisfacenti» e avevano comprato un Nudo di Manguin. L’anno precedente Matisse aveva seguito la scelta d’obbligo, fermandosi a Saint-Tropez, e qui aveva conosciuto Signac e Cross. Ma la pittura puntinista, che prima lo aveva esaltato, ormai tendeva a deluderlo. Dopo Luxe, calme et volupté (Lusso, calma e voluttà), aveva scritto: «Tutte le tele di questa scuola producono lo stesso effetto: un po’ rosa, un po’ azzurro, un po’ verde, una tavolozza molto limitata con la quale non mi sento a mio agio». Ricercava paesaggi che potessero ispirarlo. Li aveva cercati ad Agay, Cannes, Nizza, Monaco, Mentone. Infine, era stato proprio Signac a consigliargli di andare a Collioure: cittadina francese sulla costa catalana, ricca di spunti artistici e certamente più economica di Saint-Tropez.

Henri Matisse, Luxe, Calme et Volupté, 1904

Il 16 maggio 1905 Henri Matisse giunge a Collioure da Perpignan dove si trovava con la famiglia, in visita a sua cognata Berthe. Lo raggiungeranno pochi giorni dopo la moglie Amélie – prediletta modella di quegli anni – e i figli. Fu così che Collioure poté contare il suo secondo pittore “straniero” dopo Signac. All’epoca i forestieri erano davvero pochi, per lo più viaggiatori di commercio o impiegati delle ferrovie. La famiglia Matisse trovò alloggio all’Hôtel de la Gare, unica locanda del paese, a 200 metri dalla stazione. La proprietaria, la vedova Paré, chiamata Rosette, che come tutti i locali parlava soltanto catalano e non aveva nessuna fiducia nei forestieri, si lasciò sedurre dall’aria rispettabile di Monsieur Henri. Con la barba e gli occhiali da insegnante, il suo vestito pulito ed ordinato, che non lo facevano assomigliare per niente ad un artista. Rosette si fece perfino effigiare da Matisse in un ritratto scolpito su di un pezzo di legno. Con i suoi modi affabili, Matisse riusciva a stringere amicizia e a integrarsi. Quando a luglio, su insistenza di Matisse, lo raggiungerà pure Derain, anche lui decorerà una porta dell’albergo con le figure di Don Chisciotte e Sancho Panza. Prima del suo arrivo, Matisse ha già stretto legami un po’ ovunque. Con Paul Soulier, viticoltore e appassionato fotografo amatoriale che lo aiuta a reperire una piccola stanza affacciata sulla spiaggia del Faubourg, un quartiere di pescatori, che il pittore usa come atelier e, da luglio, una villa bifamiliare con terrazzo con vista sulla spiaggia di Voramar vicino alla chiesa. Il 20 maggio Matisse scrive a Manguin: «Abbiamo trovato un albergo economico (150 franchi al mese per noi quattro) […] e ho affittato sulla banchina chiamata Faubourg una stanza con vista mare dove lavoro con tutto il mio agio. Ho come frequentazione abituale quella di un pittore degli Indépendants, amico di Luce, che si chiama Terrus e che è una piacevole compagnia».

LE ROUSSILLON A L’ORIGINE DE L’ART MODERNE 1894-1908. Esposizione presentata alla Salle Maillol del Palais des Congrès di Perpignan, dal 4 luglio al 27 settembre 1998

Ètienne Terrus è un pittore locale, anarcoide, amico di Maximilien Luce, puntinista, che s’era installato nell’atelier del quai Saint-Michel, lasciato sfitto a Parigi da Matisse. Terrus faceva parte di piccolo gruppo di artisti follemente innamorati di Gauguin. Un gruppo che oggi sta cominciando ad essere conosciuto e a riscuotere il merito che gli spetta. Stralcio dal catalogo della mostra presentata alla Salle Maillol, Palais des Congrès, Perpignan, dal 4 luglio al 27 settembre 1998, col titolo 1894-1908. Le Roussillon à l’origine de l’art moderne: «Fu durante l’estate del 1905, a Collioure, che Matisse venne a conoscenza dell’onnipotente aiuto che Gauguin, morto alle Isole Marchesi due anni prima, poteva portargli. “Incontro” capitale – Gauguin non mise mai piede nel Roussillon – perché quell’estate nacque il Fauvismo. Un “legame”, quindi, unisce questi due maestri, che si potrebbe dire “mancante”, tanto poco è stato individuato nella storia dell’arte. Lontano da Parigi e dalle mode, si compongono artisti locali, alcuni famosi, altri meno: Aristide Maillol, lo scultore di Banyuls; il suo amico pittore di Elne, Etienne Terrus; Il confidente di Gauguin, Georges-Daniel de Monfreid, che si stabilì a Corneilla-de-Conflent». Proprio quest’ultimo, Georges-Daniel de Monfreid, pittore, scultore, ceramista e maestro vetraio, era un amico di Gauguin. Lo aveva conosciuto a Parigi prima che partisse per Tahiti e rimarrà in contatto epistolare, divenendone l’esecutore testamentario alla sua morte, nel 1903. A Matisse, de Monfreid mostra la sua collezione di opere di Gauguin, che comprende ceramiche, sculture in legno e il famoso manoscritto-testamento Noa Noa. Secondo M. C. Valaison, non c’è dubbio che sia stato de Monfreid, che conosceva Matisse dal 1896, a svolgere un ruolo fondamentale nell’accoglierlo a Collioure e introdurlo nella ristretta cerchia degli artisti del Roussillon. Alcuni sono poco più che dei dilettanti della domenica, ma in questa piccola cerchia troviamo anche nomi di pittori interessanti. È il caso proprio di Étienne Terrus, che vive a Elne e che ha appena esposto, come Matisse, diversi dipinti all’ultimo Salon des Indépendants, nel marzo-aprile 1905. In uno di questi, Le Racou, una spiaggia di Argelès-sur-Mer, non esita a giustapporre il rosso violento del tetto di una capanna con l’azzurro intenso del mare. Sembra un Fauve prima dei Fauves.

Étienne Terrus, Le Racou

Attraverso Terrus, Matisse conosce lo scultore Aristide Maillol nella sua fattoria a Banyuls-sur-Mer e lo aiuta a modellare in gesso La Méditerranée. Al di là delle biografie idilliache, il rapporto fra i due artisti presenta i suoi contrasti, se Matisse scrive: «Noi non eravamo fatti per capirci. Lui lavorava partendo dalla massa, come gli Antichi, mentre io partivo dall’arabesco, come i Rinascimentali. Maillol non amava il rischio, mentre io ne subivo il fascino». Ma è con l’arrivo di André Derain che è possibile seguire quello che negli anni a venire Matisse chiamerà “un nuovo metodo di pittura”. Entusiasta di questo inaspettato luogo, che non si limita al sole e al mare, ma gli permette di essere coinvolto calorosamente fra la gente del Roussillon, Matisse scriveva, il 25 giugno 1905, all’amico Derain: «Non posso essere troppo insistente per convincerti che un soggiorno qui è assolutamente necessario per il tuo lavoro – saresti nelle condizioni più vantaggiose e trarresti benefici pecuniari dal lavoro svolto. Sono certo che se mi ascolterai ti troverai bene. Perciò, te lo ripeto, vieni».

Aristide Maillol, La Méditerranée, 1905

Matisse, quando arriva Derain, lavora ancora per pochi giorni sulla terrazza vista mare della camera lungo la banchina del Faubourg, sopra il Café Olo dove vanno a bere i pescatori. Poi si trasferirà vicino alla chiesa di Voramar. Insieme dipingono vedute di Collioure. Derain è preso dalla frenesia: produce una trentina di dipinti a olio, il doppio di Matisse. Derain scrive a de Vlaminck: «Qui le luci sono molto forti, le ombre molto chiare. L’ombra è tutto un mondo di chiarezza e luminosità che si oppone alla luce del sole: quelli che vengono chiamati riflessi». A Collioure hanno trovato finalmente materia per risolvere i dubbi e ubriacarsi di colore. Matisse dipinge di rosso la spiaggia di Collioure e confessa all’amico: «Senza dubbio sarai sorpreso di vedere una spiaggia di questo colore. In effetti, era di sabbia gialla. Mi sono reso conto di averla dipinta di rosso […] Il giorno dopo, ho provato con il giallo. Non andava per niente bene, per questo ho rimesso il rosso…». Chi pensa che le soluzioni nascano per caso e senza travaglio, si sbaglia. Lo testimoniano la quantità di lettere scambiate fra i protagonisti. Derain a de Vlaminck: «Lavorando accanto a Matisse, imparo a estirpare tutto ciò che caratterizza la divisione del tono. Lui continua su questa strada, io invece sono rinsavito e non la uso quasi più. Ha senso in un arazzo o in un pannello luminoso e armonioso. Ma nuoce a tutto ciò che trae vigore dalle disarmonie intenzionali. Insomma, è un universo che si distrugge da solo quando lo si dipinge all’eccesso». Quelle disarmonie intenzionali sono per Derain il modo per slacciarsi dalle metodiche categoriche di Signac e del suo gruppo ristretto, in barba al loro principio sulla complementarità dei colori.

André Derain, Barche a Collioure, 1905

Non è così per Matisse, che lavora sulle molteplici varianti del punto di colore. Lo testimonia l’antologia delle variazioni sul tema del punto declinato in tratto, virgola, tassello, macchia, che ritroviamo in un dipinto come I tetti di Collioure. In realtà il divorzio di Matisse dal Pointillisme è una macerazione tutta interna al suo spirito. Il porto d’Abail può essere un esempio. Un dipinto senza dubbio puntinista. Matisse l’inizia a Collioure, lo lascia incompleto, poi lo termina a Parigi. Il 19 agosto aveva scritto a Manguin che l’opera era «abortita». Henri Edmond Cross aveva risposto il 18 luglio con alcune osservazioni sul lavoro: «il bozzetto del vostro Port de Collioure [d’Abail] mi sembra presentarsi bene; l’equilibrio compositivo è perfetto; qualità che dovete cercare di conservare aggiungendo colori e studiando gamme tonali. Credo che, all’inizio di un lavoro, sia bene guardarsi dal fare troppo affidamento sul tracciato lineare della composizione. Bisognerebbe, invece, avere ben chiaro in mente l’effetto da raggiungere, che nel nostro caso è il colore. Per me un dipinto è un’armonia di tinte e toni; tale armonia deriva da uno o più nuclei legati tra loro da armoniosi contrasti». Anche Signac, interpellato, fornisce i suoi consigli. Lo fa con una citazione da Cézanne, spedendogli una cartolina: «Disegno e colore non sono due cose distinte. Man mano che dipingiamo, disegniamo: più il colore è armonico, più il disegno si chiarisce. Quando il colore è usato in tutta la sua ricchezza, la pienezza della forma e completa». Il vecchio maestro è la stella polare di Matisse per trovare il suo porto. Non all’interno del Pointillisme, come avrebbe voluto Signac, ma contraddicendolo in tutto e per tutto.

Matisse, Le Port d’Abail, 1905

Questa ricerca sulla linea-colore che Matisse discute con slancio, crea qualche dissapore con Derain, che in una lettera a de Vlaminck scrive: «al momento, attraversa una crisi creativa. Ma resta comunque una persona straordinaria, più di quanto pensassi, dal punto di vista logico e delle speculazioni psicologiche». Alla fine di agosto, con l’idea dei prossimi impegni, Derain rientra a Parigi: «Se non fosse stato per questo sacro Salon d’Automne, non sarei tornato affatto». Parte da Collioure per Marsiglia con un battello proveniente da Algeri. Matisse torna a Parigi, con la famiglia, all’inizio di settembre, via Avignone. A fine mese scrive a Signac: «È la prima volta nella vita che sono contento di esporre le mie cose, forse non importantissime, ma che hanno il merito di esprimere in maniera purissima le mie sensazioni, cioè quello che sto cercando di ottenere da quando dipingo».

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

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