Mario Grimaldi introduce la mostra “I Pittori di Pompei” da Settembre al Museo Civico Archeologico di Bologna

Si aprirà il 23 settembre 2022 al Museo Civico Archeologico di Bologna I Pittori di Pompei, una delle mostre più attese della stagione espositiva autunnale in Italia che resterà visibile fino al 19 marzo 2023.

Bologna
Museo Civico Archeologico 23.09.2022 – 19.03.2023

Mostra a cura di Mario Grimaldi
Promossa da Comune di Bologna con Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Prodotta da MondoMostre

Ercole e Onfale
Pompei, IX, 3, 5, Casa di Marco Lucrezio, triclinio 16, parete est, sezione centrale, dipinto
Fresco,  cm 195 x 155
MANN, inv. 8992
I secolo d.C. – IV stile

Pictores: ruolo sociale, organizzazione e tecniche di artisti anonimi

Introduzione di Mario Grimaldi

“Ma agli occhi dei Greci non era tra i marmi, i bronzi e gli ori la suprema bellezza: dei grandi eventi dell’arte fu la pittura l’inganno splendido, l’artificio per la perfetta realizzazione dell’immaginario, dove il tangibile e l’irreale si confondevano, e la memoria e i sensi erano condotti a esaltanti visioni”.[1] Con queste parole Paolo Moreno introduceva una delle sue principali opere sullo studio e la conoscenza della pittura che definiva “inganno splendido” cogliendo così il reale senso che tale manifestazione d’arte ebbe soprattutto per le società antiche. Il concetto se da un lato accomunava il senso intrinseco di questo linguaggio, dall’altro dava vita a differenti concezioni del valore dell’artista a seconda delle società di riferimento. Per confrontare il diverso utilizzo e concetto di arte tra il suo passato (inteso come origine e storia della pittura in Grecia) e il suo presente (inteso come l’utilizzo che se ne fece in età romana, periodo al quale ci riferiamo per gli oggetti qui esposti) possiamo riprendere le parole di un contemporaneo quale Plinio il Vecchio: “In verità però non c’è gloria se non per coloro che dipinsero quadri; e a questo proposito tanto più ammirevole appare la saggezza degli antichi. Essi infatti non abbellivano le pareti soltanto per i signori e i padroni, né decoravano case che sarebbero rimaste sempre in quel luogo e sottoposte quindi alla distruzione per gli incendi … Non ancora era di moda dipinger tutta la superficie delle pareti; l’attività artistica di quei pittori era rivolta verso gli edifici cittadini e il pittore era considerato proprietà dell’universo (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXV, 118). Per Plinio la differenza non risiede tanto nel concetto che è alla base dell’arte di dipingere, la ricerca di quell’inganno splendido che crea un rapporto tra l’opera e l’osservatore, ma nel diverso concetto di artista, tra quello che dipinge quadri e decora lo spazio pubblico (uomo o donna che fosse) considerato e da considerare proprietà dell’Universo, e quello ad egli contemporaneo, che semplicemente abbelliva le pareti delle case creando un’arte senza maestri conosciuti.

               Nella società romana dunque, che comunque riconosceva nelle sue origini l’arte del dipingere “Anche presso i Romani la pittura ebbe onore assai presto, dal momento che una celebre gens dei Fabi derivò da quest’arte il cognome di Pittori; e il primo che portò questo cognome dipinse di propria mano il Tempio della Salute …” (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXV, 19), tale originario rapporto tra pittura e alta società patrizia andò poi deteriorandosi, riportando la manifestazione d’arte della pittura ai margini più bassi della comunità, relegandola come opera propria di liberti, schiavi, donne e persone inabili alla vita politica e militare, legata più al mondo del teatro.

               Il caso delle città seppellite dall’eruzione vesuviana del 79 d.C. – Ercolano, Pompei e Stabia – appare uno dei più completi per l’eccezionale contestualizzazione degli apparati decorativi che, conservati perfettamente in situ, permettono così di ricomporre quei rapporti spazio-funzionali del
contesto decorativo dandoci la possibilità di tener fede metodologicamente al concetto di rapporto tra spazio e decorazione e soprattutto di contesto. Infatti sempre più si è integrato all’analisi tipologica degli “stili” l’interesse verso i rapporti esistenti tra la decorazione degli ambienti e la loro funzione. In questo contesto la figura del pictor appare essere fondamentale per tradurre in immagini il rapporto esistente e necessario per il committente tra spazio, la sua casa, e decorazione.

               L’esperienza che si propone con questa mostra è dunque quella di rileggere, all’interno di questa
prospettiva metodologica, alcuni grandi esempi decorativi facenti parte della Collezione degli Affreschi del Museo Archeologico Nazionale di Napoli provenienti da quelle città che, seppellite dalla grande eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., ci offrono ancora oggi la possibilità di indagare e far parte di quell’inganno splendido attraverso la personalità dei pictores che operarono in modo anonimo in quelle case.


[1]                Moreno P., Pittura greca. Da Polignoto ad Apelle,  Milano 1987


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