VINCENZO CASTELLA. Il libro di Padova in mostra all’Orto botanico

Padova Orto Botanico, Quarto dell’Albizia

VINCENZO CASTELLA.
Il libro di Padova

La mostra
Padova, Orto botanico

11 novembre 2022 – 8 gennaio 2023

Mostra a cura di Salvatore Lacagnina

con il sostegno di Hermès
con la collaborazione di Silvana Editoriale e di Studio la Città

È una sperimentazione quella che l’Orto botanico di Padova propone nella sua sede, dall’11 novembre all’8 gennaio: trasferire una sequenza di immagini fotografiche dal formato libro a quello espositivo. Operazione solo apparentemente ovvia. Le immagini sono quelle che Vincenzo Castella ha realizzato tra il 2020 e il 2021, raccolte ne Il libro di Padova, volume edito da Silvana Editoriale su commissione di Hermès Italie, nell’ambito della collana di libri fotografici nati come omaggio alle città italiane dove la maison è presente.  

“Per rendere omaggio a Padova -spiega Francesca di Carrobio, amministratore delegato di Hermès Italie- “abbiamo invitato l’artista Vincenzo Castella, a mostrare la città attraverso immagini di grande forza espressiva”.

Lontano da ogni forma di evoluzione dello stile, il lavoro di Castella è legato alla riduzione sistematica del repertorio e della sintesi del linguaggio.

La mostra all’Orto botanico propone una selezione di quaranta immagini. Nulla a che vedere con un itinerario nella città, né con la presunzione di un’indagine sociale e territoriale.

Nel volume (e, in modo originale) nell’esposizione, Padova è mostrata attraverso quattro temi: l’«Orto botanico», o più in generale il mondo vegetale; la «pittura», principalmente gli affreschi, conservati nelle chiese, nelle cappelle, negli oratori, nei battisteri, nei palazzi, ma anche cori, altari, fregi, sculture; l’«architettura», che l’artista non descrive, non legge, ma che lascia emergere come spazio interno (tranne poche eccezioni), come possibilità del movimento, definizione di un ambiente e di un luogo; l’«Università», con la sua storia che è un nodo cruciale della cultura europea.

Non si tratta di sezioni isolate ma, al contrario, di una trama, visiva e concettuale, con andate e ritorni, salti improvvisi e spostamenti quasi impercettibili, che nasce dalla ripetizione e dall’accostamento di realtà separate, secondo il principio che solo le cose incomparabili sono davvero comparabili.

Le immagini si presentano in due soli formati: uno panoramico (aspect ratio 3:1), stretto e lungo, usato in orizzontale e in verticale, con scatti ravvicinati e accostati tra loro; uno quasi quadrato (aspect ratio 4:3), che appare in pochi momenti precisi, necessari, come un’apertura improvvisa dello sguardo.

«I travelings e le panoramiche visibili non seguono i movimenti dell’occhio. Vuol dire separare l’occhio dal corpo. (Non servirsi della macchina come di una scopa)», annotava nei suoi taccuini Robert Bresson, il grande maestro del cinema francese. Spiega Castella: «Sistemo il centro e la verticale per una porzione bastevole e poi la estendo, per vedere la presenza dell’estensione, per vedere se succede qualcosa, per includere significati nuovi».

Se nel libro le fotografie si adattano alle dimensioni del formato, nella mostra ridefiniscono lo spazio che le accoglie e soprattutto creano percezioni differenti. Un quadrittico del Martirio e trasporto di San Cristoforo di Mantegna e un trittico degli affreschi del Battistero di Menabuoi, per esempio, sono stampati in carta leggera di grandi dimensioni, appese liberamente alle pareti come fossero striscioni. Altre immagini in medio formato sono invece incorniciate in modo più tradizionale. E ancora i video, che sono dei movimenti all’interno delle immagini, presentano un’ulteriore possibilità della visione.

Ogni opera non è soltanto la restituzione fisica dell’immagine fotografica, ma una macchina che attiva diverse possibilità dello sguardo, e la relazione tra le opere che si crea nello spazio spinge lo spettatore a un’esperienza estetica su molteplici livelli, dal contenuto, allo statuto dell’immagine, alla relazione con le immagini nella società di oggi. «E naturalmente, osservare una città attraverso questi temi – afferma il curatore – obbliga a pensare all’arte come documento storico. Come scriveva Gianni Rodari, “Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie… Altri movimenti invisibili si propagano in profondità… Innumerevoli eventi, o microeventi, si succedono in un tempo brevissimo. Forse nemmeno ad aver tempo e voglia si potrebbero registrare tutti, senza omissioni”. Le immagini di Castella producono dunque un proliferare di storie, solo alcune delle quali raccontate in questo libro e in questa mostra. Ogni visitatore può ricostruire i suoi seguendo il sasso gettato nello stagno nel Libro di Padova».

Castella, che aveva iniziato la sua storia di artista proprio attraverso un’indagine sul campo delle comunità afroamericane del Mississippi e del Tennessee, prosegue con i suoi mezzi e i suoi metodi il suo lavoro sulla rappresentazione, sulla realtà che diventa immagine, attraverso un gesto (quello fotografico) che non è e non può essere mai neutro, bensì consapevole del processo di riduzione che ogni immagine, ogni creazione artistica, produce rispetto al reale: «L’atto di rappresentare (e quindi di ridurre) comporta quasi sempre una violenza verso il soggetto rappresentato. C’è un contrasto reale tra la violenza dell’atto di rappresentare e la calma interiore della rappresentazione stessa, l’immagine del soggetto» (Edward Said). Per molti anni ha lavorato sull’industria e sulla città contemporanea, sul paesaggio e il tessuto urbano, e più di recente si è concentrato sulla pittura e sull’architettura rinascimentale italiana, per poi dedicarsi al mondo naturale ritratto nella cattività degli orti botanici e delle serre. Questo libro e questa mostra su Padova hanno offerto la possibilità di collegare le ricerche in un’immersione nella storia occidentale, nei suoi sviluppi, nel suo declino, nel suo rinnovamento profondo, se si vuole.

La mostra – compresa nel biglietto d’ingresso e visitabile negli orari di apertura dell’Orto botanico – è realizzata con il sostegno di Hermès e con la collaborazione di Silvana Editoriale e Studio la Città, nell’ambito delle celebrazioni per gli 800 anni dell’Università di Padova.

www.ortobotanicopd.it/it/il-libro-di-padova-la-mostra

Vincenzo Castella. Breve bio

Vincenzo Castella è nato a Napoli nel 1952 e vive a Milano. Inizia la sua attività di fotografo nel 1975 producendo, tra il 1975 e il 1983, Geografia privata, una serie di fotografie a colori di interni domestici, lavoro selezionato per la mostra European Iceberg, Ontario Museum, Toronto 1985.

La musica ispira i suoi viaggi negli Stati Uniti nel 1976, 1870 e 1980 e nasce il progetto Hammies Nixon People, biografia semi-immaginaria di bluesmen incontrati durante la sua ricerca nelle comunità di afroamericani nel Mississippi e nel Tennessee. Il lavoro è realizzato con fotografie e pellicola 16mm.

Dal 1998 le fotografie di Castella cominciano a diventare fortemente a-narrative. Focalizzando la sua ricerca sui temi della distanza e della dislocazione, l’artista si dedica alla produzione di immagini catturate dall’alto che delineano profili inconsueti delle città europee. L’artista produce stampe a colori di grandi dimensioni, da pellicole di grande formato. Le immagini sviluppano ipotesi attuali di mescolanza visiva sulla complessità degli intrecci e delle storie della città. Tra queste possiamo citare le immagini di città europee quali Napoli, Milano, Torino, Rouen, Caen, Le Havre, Helsinki e Berlino ma anche di realtà più lontane che includono Ramallah e Gerusalemme.

Dal 2006 Castella inizia a realizzare installazioni da negativi fotografici. È il caso di Cronache da Milano, opera presentata ad Art Unlimited a Basilea nel 2009, in cui i movimenti di una camera virtuale riproducono una lettura articolata della foto stessa e delle relazioni nella vita della città con quello che è visibile e non visibile.

Le opere di Vincenzo Castella sono presentate dal 1980 in Europa e in America. Nel 2015 il Board of Trustees della Tate Modern ha incluso nella sua collezione una selezione di cinque lavori dal suo Progetto Malta.

Lontano da ogni forma di evoluzione dello stile, il lavoro di Castella è legato alla riduzione sistematica del repertorio e della sintesi del linguaggio.


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