Asti, Palazzo Mazzetti: Boldini coglieva al volo l’attimo fuggente quando un’occhiata rivelava lo stato d’animo

LA MOSTRA

Giovanni Boldini e il mito della Belle Époque

Asti, Palazzo Mazzetti
Fino al 10 aprile 2023

Allestimento della mostra “Boldini e il mito della Belle Époque”

Boldini lo stregone, Boldini il fauno, Boldini il pittore!
Questo e molto altro era quell’omino insolente dall’accento italiano che passeggiando per Parigi, da sotto la bombetta, guardava chiunque dall’alto in basso, ricambiando un saluto con una smorfia di distaccato disappunto. Lui, figlio del modesto pittore-restauratore Antonio, sapeva cosa fosse il disagio, avendo provato sulla sua pelle l’umiliazione della miseria, di quel corpicino striminzito compreso in un solo metro e cinquantaquattro di altezza. Lui che da giovane non era stato considerato un buon partito per il suo unico grande amore, Giulia Passega, andata in sposa a un giovanotto di buona famiglia, impiegato alla prefettura.
Ecco chi era, davvero, Boldini: un ragazzo della provincia padana venuto dal basso, finito nei salotti dell’alta società, nel cuore pulsante della civiltà e di un’epoca che lo avrebbe consacrato quale uno dei suoi più iconici protagonisti.

La mostra Giovanni Boldini e il mito della Belle Époque pone l’accento sulla capacità dell’artista di psicoanalizzare i suoi soggetti, le sue “divine”, facendole posare per ore, per giorni, sedute di fronte al suo cavalletto, parlando con loro senza stancarsi di porle le domande più sconvenienti, fino a comprenderle profondamente e così coglierne lo spirito, scrutandone l’anima.

Farsi ritrarre da Boldini significava svestire i panni dell’aristocratica superbia di cui era munificamente dotata ogni gran dama degna del proprio blasone. Occorreva stare al gioco e accettarne le provocazioni, rispondendo a tono alle premeditate insolenze ma, infine, concedersi, anche solo mentalmente, facendo cadere il muro ideologico dell’alterigia, oltre il quale si celavano profonde fragilità.

Dopo giorni di pose immobili, conversando e confessandosi, durante i quali il “fauno” poteva anche permettersi il lusso di perdere intenzionalmente tempo tracciando svogliatamente qualche segno sulle pagine di un taccuino per osservarle e comprenderle o abbozzare uno studio su una tavoletta, quando la confidenza era divenuta tale da addolcire gli sguardi e talvolta esplodere perfino nel pianto liberatorio e più spesso in atteggiamenti nevrotici o eccitati fino alla follia, ecco che solo allora scattava la scintilla predatoria dell’artista.

Egli coglieva al volo l’attimo fuggente, quel momento unico in cui un’occhiata più sincera rivelava lo stato d’animo e la mimica del corpo si faceva più espressiva, l’istante in divenire fra un’azione e l’altra, quando la forza motoria di un gesto si esauriva, rigenerandosi prontamente in quello successivo.
Negli anni della maturità e poi della senilità, le lunghe e vorticose pennellate, impresse come energiche sciabolate di colore, rimodellavano in senso dinamico i corpi delle sue “divine” creature e il suo stile, a un tempo classico e moderno, costituiva la miglior risposta alle vocazioni estetiste e progressiste manifestate dagli alti ceti sociali.

Attraverso 80 opere, la mostra si articola in sei sezioni tematiche Il viaggio da Ferrara a Firenze, verso Parigi; La Maison Goupil; La fine del rapporto con Berthe, Gabrielle e i caffè chantant; Il “soffio vitale” nel ritratto ambientato; Il gusto fin de siècle; Le nouveau siècle – che seguono gli anni di attività di Boldini e ne narrano la completa parabola espressiva.

Allestimento della mostra “Boldini e il mito della Belle Époque”

Prima sezione – Il viaggio da Ferrara a Firenze, verso Parigi
Nel 1863 ottenne 29.260 lire quale parte dell’eredità lasciata anni prima dal prozio paterno, somma che nel volgere di qualche mese (1864), gli consentì di lasciare per sempre Ferrara e raggiungere il principale centro culturale e artistico dell’epoca, Firenze, entrando in stretto contatto con i Macchiaioli e stringendo amicizie fondamentali come quella con Telemaco Signorini.

Nell’indagare con attenzione le fasi iniziali dell’attività artistica del precocissimo Giovanni Boldini, ossia il periodo ferrarese compreso tra il 1857 e il 1864, si evidenzia anzitutto il controverso quanto pregnante rapporto che egli ebbe con il padre pittore Antonio.
Il ventenne pittore ha modo di apprezzare il mutato clima politico e sociale, iniziato con l’annessione di Ferrara al nuovo stato sabaudo grazie ai risultati del Plebiscito del 1860. Gli esiti positivi si avvertono subito, grazie al nuovo fervore culturale e ad un rinnovato edonismo, nato in contrapposizione al mesto e stagnante clima penitenziale della dominazione papalina. Giovanni assorbe come una spugna tutto ciò, anche se questa aria di fermento lo investe soprattutto nel versante ludico e amoroso, vista la giovane età. Egli intreccia relazioni con alcune ragazze ferraresi, che talora ritrae (come nel romantico “La pensée”), frequenta feste e ritrovi, veste gli abiti del sarto Delfino Santi, il più ricercato della città, e si stacca sempre più dall’influsso del padre.

Nel 1866 Boldini partecipò alla sua prima mostra collettiva, organizzata dalla “Società di incoraggiamento in Firenze”, con due quadri. Scrisse allora acutamente Telemaco Signorini che aveva evitato la convenzione di far risaltare su un fondo uniforme il volto dell’effigiato (come faceva a Ferrara Giovanni Pagliarini, il miglior ritrattista locale).

Seconda sezione – La Maison Goupil
Nell’ottobre del 1871, quando risiedeva a Firenze e terminati i viaggi che si alternarono fra Ferrara, la Francia e l’Inghilterra, Boldini si trasferì definitivamente a Parigi, abitando inizialmente nell’Avenue Frochot e poi a Place Pigalle con la modella e compagna Berthe e iniziando una stretta collaborazione con il potente mercante Goupil, conclusasi nel 1878.

Subì il fascino abbagliante di Marià Fortuny i Marsal – prima di lui capofila dei pittori della Maison Goupil – e dei suoi orditi grafici traboccanti di luccichii. Vi vedeva definitivamente imboccata la strada di quel progresso tanto atteso e la provvidenziale opposizione al concetto di separazione fra l’opera e l’autore, chiamato dal verismo di Capuana a scomparire ed eclissarsi nel testo, tacendo le sue opinioni, affinché gli eventi si producessero in perfetta autonomia, trascritti quale fedele specchio moralistico della realtà.

Il folklorismo spagnoleggiante di Fortuny aveva del resto influenzato anche quella stagione della pittura del Mezzogiorno d’Italia e così Michetti, nel Corpus Domini, spiegava senza incertezze le sue eloquenti iperboli cromatiche, traslate, anche nei timbri retorici, nel successivo gergo dannunziano. Boldini, dal canto suo, aveva invece in parte disattivato il prototipo fortunyano, mutuandone le accezioni peculiari, specialmente quelle ornative, trascrivendole però in un contesto lessicologico estremamente complesso e vario. Se ne svincolò più facilmente nei ritratti e questo fu possibile soprattutto grazie alla sua strabiliante padronanza tecnica, capace di ridurre nell’ombra perfino il geniale caposcuola catalano, con il quale, nei primissimi anni Settanta, si avvicendò quale pittore capofila della Maison Goupil.

Gli echi del fortunysmo non risuonarono tuttavia a lungo nel modellato dell’artista e sullo scorcio degli anni Settanta quegli schemi descrittivi, fin lì di grande successo, furono completamente scompaginati dal definitivo crescendo della sua sensibilità dinamica.
I luccicanti saloni dei fastosi palazzi patrizi entro i quali avevano conversato deliziosamente damine e marchesini svanirono per sempre dall’immaginario pittorico boldiniano, e con essi il gusto Impero e le certezze sociali nelle quali si era riconosciuta fino ad allora l’alta borghesia francese.

Terza sezione – La fine del rapporto con Berthe, Gabrielle e i cafè chantant
Sulla rive droite della Senna, nella zona tra la collina di Montmartre e Place Pigalle – dove il peintre italien visse, al numero 11, fino al 1886 – si trovavano vere e proprie “case d’artista”. Sullo stile di vita bohémien e sul clima decadente delle piccole strade che correvano sconnesse fra gli slarghi e le vigne della vecchia provincia agricola, la sera si apriva lo scandaloso sipario del demi-monde, inondato dall’alcol e gremito di prostitute i cui clienti abituali erano gli stessi mariti ed “irreprensibili” capifamiglia della borghesia
francese, che le disprezzavano di giorno.

Gli ultimi ritratti di Berthe risalgono al 1878-80, anche se l’unione della modella con Boldini dovette durare, come testimoniano gli appunti di viaggio di Signorini, almeno fino al luglio 1881: «...alla locanda per aspettare Tivoli ed andare in campagna da Boldini. Arrivo a Chatou presso Bougival, visto Boldini e Berta…».

Più o meno in questo periodo, evidentemente ma misteriosamente, si chiuse uno dei capitoli più felici della vita dell’artista.
Così quella incantevole figura di ragazza, seducente e naturalmente aristocratica, la sua prima vera divina, dopo un intero decennio lasciava definitivamente il posto a Gabrielle, la sua rivale in amore, che già dal 1875 si incontrava in segreto con il celebre artista in una garconiere presa in affitto in rue Demours.

Durante gli incontri segreti con la nobildonna, moglie del conte Costantin de Rasty, il pittore la ritrasse rappresentando una bellezza sensuale e misteriosa nella quale prevalgono l’ebbrezza della passionalità e una costante tensione psicologica, vissuta fra consapevolezza del pericolo e sopraffazione dei sensi: “È bella, è bruna, e ardente. Altolocata e ammogliata anche. Un’amica ricevuta nei migliori salotti, che sapeva tutto di tutti, adorabile pettegola, divertentemente sagace, di fronte alla quale la femminile esperienza e la sottile astuzia della povera Berthe erano divenute puerili attitudini quanto mai sprovvedute”.

Trasportato dalle vertigini della passione, l’artista si era trovato quasi occasionalmente a spingere con foga, per la prima volta senza censure, su un pedale narrativo sfrenato, a lui sconosciuto, mediato soltanto dall’eleganza del filtro stilistico, quasi come se i propositi creativi e culturali posti in opera a termine degli appuntamenti clandestini potessero riscattare o restituire dignità a quella relazione fosca, fondata sul tradimento della compagna e del marito.

Nella cosmopolita Ville Lumière dei café-chantant e degli Impressionisti fiorirono le aspirazioni di un’intera generazione di donne che incarnavano lo spirito stesso della modernità. Artiste, come le pittrici Berthe Morisot e Mary Cassatt o la scultrice Camille Claudel, ma anche scrittrici, attrici e cantanti o più semplicemente eccentriche protagoniste del loro tempo, vivevano con rinnovato senso d’indipendenza la propria condizione femminile.

Quarta sezione – Il “soffio vitale” nel ritratto ambientato
L’inedito riversarsi a Parigi di centinaia di pittori, ognuno tormentato dalla permanente ossessiva necessità di individuare scorci, figure e soggetti originali, dette luogo a una sorta di “studio di massa” senza precedenti – al limite della psicoanalisi – dei luoghi, degli ambienti e delle attitudini di quell’umanità così eterogenea.

Da esperto casanova, Boldini intratteneva in studio le sue modelle tentando di rompere l’etichetta attraverso pungenti boutades, apparentemente fuori luogo e, contando sull’effetto sorpresa, orchestrava conversazioni inaspettatamente confidenziali e provocatorie, sostanziate in frizzanti scambi di battute.

Con estrema sfacciataggine, sollecitava facili risate, allentando così i freni inibitori e vincendo l’imbarazzo delle sue muse ispiratrici, psicologicamente turbate e obbligate a rispondergli a tono. In un susseguirsi di parafrasi e giochi di parole, confessava la sua ammirazione per loro. Se da un lato le attaccava dubitandone sfacciatamente l’integrità morale, proferendo domande e velate proposte normalmente irricevibili da una gran dama di nobili costumi, dall’altro, altrettanto maliziosamente, invocava la loro compassione lamentando la poca considerazione che avevano dell’artista e soprattutto dell’uomo.

Di domanda in risposta le anime più fragili vacillavano, fornendo talvolta torrenziali confessioni sul loro stato di donne e mogli incomprese e insoddisfatte. Così “l’amico sensibile”, l’amateur di lungo corso, il grand maître peintre, lo stregone custode degli arcani segreti della bellezza e dello charme femminili, sussurrava loro qualche utile suggerimento per riaccendere il fuoco della perduta passione.

Quinta sezione – Il gusto fin de siècle
Possedeva un’allure particolare, avvolta da un’aura di mistero, e le sue reparties alimentavano il mito della donna irraggiungibile, caratterizzato dall’esprit des Guermantes. Le sue plateali sfuriate costituivano un monito di alterigia per il prossimo, la stessa che vive negli occhi e attraverso le posture perfettamente equilibrate e gli abiti di alta moda delle femmes divines di Boldini.

La contessa Greffulhe, figlia di Joseph de Riquet de Caraman, principe di Chimay, e moglie del visconte Henry Greffulhe, erede di un impero finanziario e immobiliare, pianificava le proprie apparizioni con oculatezza, presentandosi in pubblico con elegantissimi e talvolta eccentrici abiti di tulle, garza, mussola e piume o con originalissimi kimono, con soprabiti di velluto a motivi orientaleggianti, firmati da Worth, Fortuny, Lanvin e Babani.

Manifestazioni di estremizzato egocentrismo come quelle della contessa Greffulhe, pur fra molte critiche, godevano, tuttavia, di un plauso diffuso e costituivano la prolessi dell’emancipazione femminile in progressivo e incalzante divenire.
Nel 1901 Boldini dipinse uno dei ritratti più iconici della sua carriera di artista, quello di Cléo de Mérode, la ballerina dell’Opéra di Parigi, famosa per la sua bellezza eterea.

Figlia della baronessa Vincentia de Mérode e di un gentiluomo austriaco dell’alta società che non la riconobbe, Cléo era timida e introversa, estremamente differente dalla maggior parte delle sue compagne di fila, per natura della loro stessa professione, chiassose ed eccentriche.
Era composta ed elegantissima, vestita negli abiti di Jacques Doucet. A volte, nei momenti di pausa dal ballo, se ne stava da sola a leggere un libro. Non amava il demi-monde, sebbene la sua popolarità infastidisse alcune grandi cortigiane come Liane de Pougy che, nel 1904, in un roman à clef intitolato Les Sensations de Mlle de La Bringue la ritrasse quale “Méo de la Clef: … Cette demoiselle de La Clef personnifiait l’amour sans le faire…”.

L’eccezionale fotogenia della piccola Cléo e le sue forme sensuali ma al contempo aggraziate fecero di lei un modello di bellezza estremamente emancipato, dal quale rimasero affascinati artisti del calibro di Gustav Klimt, Henri de Touloue-Lautrec, Edgar Degas e, naturalmente, Boldini, che ne restituì un’immagine di universale modernità ed eleganza.

Sesta sezione – Le nouveau siècle
L’artista ritraeva le sue donne un attimo prima che, sopraggiungendo l’autunno della vita, la loro bellezza appassisse per sempre, che le loro foglie di rose profumate cominciassero a cadere. A volte, come uno stregone, raccoglieva i fragili petali e con un gesto d’amore ricomponeva quei fiori appassiti restituendogli un attimo di eterna primavera. Ritraendo le sue donne, Boldini rappresentava un’epoca, la bella epoca, prima quella della sua giovinezza, quando Parigi felice e opulenta viveva l’ebbrezza del benessere economico e del progresso sociale e, poi, quella della senilità e della decadenza, quando il primo conflitto mondiale inibì la pubblicazione delle riviste di moda e il maestro si scoprì inesorabilmente vecchio.

…Milli subì il fascino misterioso di quel piccolo uomo dallo sguardo ipnotico che tante cose aveva da raccontare, di quell’anziano signore dai finissimi capelli biondi, dalla bocca fresca e dai grandi, vivaci occhi azzurri, lo ascoltava parlare per ore seduta sulle bergères sulle quali avevano posato, prima di lei, le divine muse del diabolico ritrattista, ora con la vista compromessa, riparato alla luce tiepida di quelle pareti, dalle quali come fantasmi, come stelle di un firmamento tramontato per sempre, spuntavano i volti traslucidi delle sue femmine e guardandoli si udivano le «…voci, voci di donne morte od invecchiate, voci di ammiratrici, di amiche, di amanti… Vous rappelez-vous, Boldini? Grida dal quadro da cui protende il busto opulento la bella madame J. de C. che sentimmo vecchia ripetere con desolata monotonia la domanda angosciosa che fa pensare al grido dei dannati ricordanti la vita… Vous rappelez-vous, Boldini?»”.

Con avidità mefistofelica Boldini, per oltre sessant’anni, aveva fatto sfilare sulle sue sedute Impero le donne più avvenenti dell’alta società francese, immobili e intimidite sotto lo sguardo rapace e diretto del genio che – parafrasando artisticamente i loro dialoghi, riferendo di loro ciò che esse volevano più di ogni altra cosa tacere – le adulava e le invitava a esprimersi senza indecisioni, perché a un artista, come a un medico, si doveva confidare proprio tutto. Si inebriava con la fragranza del loro profumo ogni volta diverso e metabolizzava l’essenza delle loro personalità controverse per poi sferrare impietosamente il suo fendente con il pennello, riducendo a niente quel presupposto perbenismo che avevano voluto manifestare entrando per la prima volta nel suo studio.


SEDE
Palazzo Mazzetti
Corso Vittorio Alfieri, 357
Asti

INFORMAZIONI
T. +39 0141 530 403
M. +39 388 164 09 15
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ORARI
Martedì – domenica 10.00/19.00
(la biglietteria chiude un’ora prima)
Lunedì chiuso

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