Dove anche Antonino Rechiputo è condotto, su mandato del Tribunale, al cospetto degli inquirenti. L’uomo non può fare a meno di confermare la versione dei fatti fornita dall’amico Quienca. Questa lunga giornata d’interrogatori si conclude a sorpresa con il confronto fra i tre, durate il quale Pellegrina “tuta si turbao”.
Eodem proximo die.
Il torrente era davvero in piena e stava straripando. Anche a Rechiputo toccò presentarsi all’illustrissimo e reverendissimo signor vescovo e inquisitore.
Antonino Rechiputo, nativo di Pollina in Calabria. Abitava in Messina alla cantoniera della Dogana nuova. Di 26 anni circa, faceva il canestraio.
La domanda iniziale, se conoscesse qualche persona che faceva magarie o guardava in uno specchio, fu come una scudisciata. Rechiputo comprese subito che il Tribunale era informato di tutto e preferì confessare senza indugio.
Dichiarò che il secondo giorno della Quaresima appena trascorsa, era preso dalla bile più amara, avendo perduto un anello d’oro che montava una pietra turchina. Non riusciva a trovarlo, nonostante l’avesse cercato dappertutto.
Quienca, che per carattere aveva sempre una soluzione a ogni contrarietà, gli propose di andare a S. Ioanne, perché c’era una napoletana di nome Pellegrina che, secondo quanto dicevano, sapeva indovinare queste cose e scoprire chi fosse stato a fregargli l’anello. Quienca andava ripetendo di non credere a ciarlatani come magare e magari, streghe e stregoni, ma che comunque valeva la pena di dare un’occhiata.
Così – proseguì Rechiputo – si recarono a casa di Pellegrina e le esposero l’accaduto. La Napolitana si fece allora consegnare il suo berretto e lo posò su di uno specchio. Mentre lo guardava intensamente, domandò chi fosse presente quando perse l’anello. Indovinò subito che valeva dieci o undici tarì e che la pietra era grossa. Non aggiunse altro, se non di tornare la mattina dopo, perché solo allora gli avrebbe detto ogni cosa.
Rechiputo le pagò due tarì e se ne andarono.
Il giorno seguente si ripresentò per sapere chi avesse preso l’anello; ma non poté parlarle. In seguito, mandò un lavorante di bottega, tale Ferrante Suprano, al quale Pellegrina rispose che il detto anello lo teneva effettivamente mastro Luchiano, il pantalonaio, sotto un involto di panno riposto nel banchittu, la cassetta di lavoro che usava per andare a cucire o rammendare a domicilio.
A conclusione dell’interrogatorio, sua signoria reverendissima non si mosse dall’aula. Al contrario, dispose un confronto. Chiamarono Chimento Quienca e Pellegrina e quando tutti e tre furono al suo cospetto, Don Sebastiàn impose loro di confessare la verità.
Pellegrina, tutta si turbò e in lacrime esclamò che non era niente vero ciò che i due canestrai sostenevano, che potevano dire ciò che volevano, perché l’unica verità era quella che lei, e lei soltanto, aveva confessato.
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