Il timballo delle feste 1/3

 

Timballo, pasticcio, sformato, sartù, nomi dagli etimi diversi, pietanze dalle impercettibili varianti, ma sempre ricche e sontuose. Il timballo, piatto in grado di sedurre i palati più esigenti, è caratterizzato da una sfoglia di pasta che lo avvolge ed è farcito da cibi già cotti (pasta, riso, carni, verdure) e passato in forno nell’apposito recipiente.

Il suo nome sta ad indicare un antico strumento a percussione, il tamburo o timpano, su cui è tesa una membrana e per analogia uno stampo di forma cilindrica. Il termine deriva dal francese timbale a sua volta dallo spagnolo atabal di origine araba. In Sicilia, del resto l’impronta araba pervade tutta la cucina e l’utilizzo di pasticci imbottiti di carne era già noto ai tempi degli conquistatori islamici.

Imperioso nell’aspetto, opulento per la quantità e la ricercatezza degli ingredienti, rigoroso per la forma che ricalca geometrie e decori di stampi appositamente creati per la sua realizzazione, è comune tanto alla cucina baronale quanto a quella popolare. La gente umile vuole infatti emulare le tavole dei nobili, in occasione di ricorrenze, eventi speciali o festività religiose come il Natale.

L’involucro esterno di questo contenitore commestibile, può essere dolce o salato, di pasta frolla, di pasta brisée, aromatizzato spesso con cannella, scorza di limone o con altre essenze. Tale involucro può essere sostituito da altri alimenti che svolgono il ruolo di “fasciare”, come fette di melanzane fritte e verdure affini, crespelle o del semplice pangrattato che, aderendo perfettamente alle pareti unte della teglia, crea un consistente strato esterno.

La visione del timballo, il cui decorativismo attinge alla pasticceria, intesa nel senso più ampio del termine come arte del plasmare, induce la mente e il palato del commensale a esperienze gustative uniche, in grado di stimolare ed attivare tutti i sensi.

 

Home

 

 

About the author: Rosa Manuli