Interazione digitale? C’è ancora molto da fare

 

Un po’ di numeri sul patrimonio culturale italiano. Sono dati ISTAT: 4.158 musei, gallerie o collezioni, 282 aree e parchi archeologici, 536 monumenti e complessi monumentali. Una ricchezza straordinaria, ma il 70% degli italiani non sa cosa sia. Oltre metà delle aree archeologiche è al Sud e un terzo si trova in Sicilia e Sardegna. La maggior parte dei musei espone collezioni di etnografia e antropologia, a ruota vengono arte antica, archeologia, storia. Ancora numeri? A differenza di altri Paesi, l’offerta museale italiana è costituita da un considerevole numero di strutture di piccole e piccolissime dimensioni. Tre istituti museali su quattro non registrano più di 10 mila ingressi l’anno e quelli con meno di 1.000 visitatori sono logicamente dotati di modeste risorse finanziarie e organizzative. La visibilità online riguarda il 57,4% delle istituzioni nazionali con un sito web dedicato. Solo il 40,5% ha un account su social media come Facebook, Twitter o Instragram. Eppure sono gratuiti. Gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, in una indagine su 476 musei, dicono che c’è un netto ritardo sui servizi digitali per la fruizione delle opere online come cataloghi e visite virtuali. L’utilizzo onsite di QR-Code e sistemi di prossimità è a terra. La maggior parte di informazioni diffuse è di natura pubblicitaria: riguarda eventi, orari d’apertura e promozioni sugli ingressi. Al contrario ciò che tutti apprezzano sono più notizie sulle opere esposte o i racconti che ruotano intorno ad esse, sugli autori o sulle vicende storiche. Questa è la via più adeguata per riuscire a creare coinvolgimento. Non basta attrarre visitatori, ma occorre trovare la maniera per evidenziare in modo nuovo le opere in possesso. Come? diventando interpreti digitali del nostro patrimonio.

Pubblicato su Centonove-Press n. 20 – 18 maggio 2017

About the author: Sergio Bertolami