Milano, BKV Fine Art : ULTIMI GIORNI per “Perdere la testa”

Prosegue fino al 17 gennaio 2025 la mostra Perdere la testa, organizzata da BKV Fine Art di Milano e incentrata su uno dei motivi più inquietanti e attraenti della storiografia artistica: la testa mozza. Un’accurata selezione dell’iconografia dall’antichità ai giorni nostri, che mette in luce alcune delle teste più famose della storia, come quelle di San Giovanni Battista, Golia e Oloferne. Accanto ad essi, compaiono anche i rispettivi carnefici: Salomè, Davide e Giuditta.

Milano
BKV Fine Art
(via Fontana 16)
 
ULTIMI GIORNI DI MOSTRA
 
PERDERE LA TESTA
 
Fino al 17 gennaio 2025

Il percorso espositivo, che presenta 64 opere – dai pittori lombardi seguaci di Andrea Solario a Bertozzi&Casoni, da Giuseppe Vermiglio a Julian Schnabel, da Vik Muniz a Mario Balassi, da Arturo Martini a Claude Vignon – intende riflettere sul cambiamento del nostro modo di percepire la violenza nel mondo contemporaneo, a partire da uno sguardo sull’antico.

Così, ad aprire l’esposizione è l’imponente tela barocca di Giovanni Battista Maino, raffigurante Salomè con la testa del Battista, la quale ritorna, attraverso una ripetizione ossessiva, in un fitto nucleo di opere che occupano due intere pareti della galleria, divise in due aree cronologiche diverse. Una prima legata al XVI secolo e all’area lombarda, e una seconda dedicata alla pittura barocca, in cui il tema della decapitazione trova fortuna a partire dalle invenzioni caravaggesche per essere enfatizzata successivamente in declinazioni che arrivano al tenebroso e al macabro, come nelle tele che derivano dall’Erodiade di Francesco Cairo, di cui sono in mostra tre esemplari derivanti dall’originale del pittore lombardo conservato ai Musei Civici di Vicenza.

Sempre legate al tema dell’ossessione e della ripetizione, troviamo alcune sculture in legno e marmo del cinque e seicento raffiguranti teste mozzate, come la testa di giovane martire attribuita a Domenico Poggini, o la reinterpretazione in chiave moderna di Bertozzi&Casoni, dove la figura del Battista è sostituita da quella di un gorilla.

La modernità dell’arte antica emerge attraverso il dialogo con l’arte contemporanea di Giovanni Testori, in prestito dall’Associazione Giovanni Testori, Renato Guttuso Andrea Salvatori, o i corpi decapitati stampati su lastre di acciaio specchiante dell’artista iraniano Arash Nazari. Parte della selezione di opere in mostra, ora nella Collezione Koelliker, proveniva originariamente dalla collezione di Giovanni Testori, scrittore, giornalista e artista, anche egli ossessionato da questa tipologia di opere. Nella mostra vengono esposti due suoi acquerelli del 1968, proprio mentre scriveva il monologo teatrale “Erodiade“.

Accostate ad una terracotta di Arturo Martini dei primi anni ’30, sono esposte una serie di Giuditte di pittori seicenteschi, tra cui una tela di Giuseppe Vermiglio, esponente di spicco del caravaggismo lombardo. Si giunge poi al pieno contemporaneo con Julian Schnabel e il suo Number 3 (Self-Portrait of Caravaggio as Goliath, Michelangelo Merisi) del 2020 e con Vik Muniz e la sua Medusa, after Caravaggio (Picture of Junk) del 2009, realizzata con lattine, metalli arrugginiti, vecchi pneumatici e altri materiali di scarto.

La mostra è accompagnata da un catalogo che riproduce le opere esposte e il loro allestimento negli spazi della galleria, con un testo di Leyre Bozal, storica dell’arte e curatrice spagnola, e un racconto di Gianni Biondillo.


Che poi il mio onomastico è proprio il ventiquattro giugno. San Giovanni Battista, il decollato. L’immaginario cattolico è così cruento che fa apparire i romanzi di Stephen King delle fiabe per educande: santi usati come tiro a segno, arrostiti sulla graticola, con gli occhi cavati, scuoiati, sbudellati, e chi più ne ha più ne metta. E, ovviamente, con la testa mozzata. Il Battista, su tutti. Per non parlare dell’antico testamento (Giuditta che decapita Oloferne, Davide che esibisce la testa di un Golia sconfitto), o della cultura classica (Perseo con la testa della Medusa).

E io, bambino, che mi bevo tutte queste storie. Altro che televisione, altro che internet o TikTok. I miei traumi infantili vengono da molto più lontano. Così, quando per farmi un complimento la maestra diceva a mia madre: “è una bella testa”, e lei orgogliosa rispondeva: “è un bambino con la testa sulle spalle”, be’, insomma, io un po’ timoroso mi toccavo il collo. Ma perché, dove dovrebbe stare la testa se non sulle spalle? C’è qualcosa che non so? Se mi comporto male che succede? Me la tagliate? I miei compagnetti di cortile la sapevano lunga (chissà perché gli altri bambini sembra sempre che ne sappiano più di te). “Mio padre mi ha fatto una lavata di testa” (anche mia madre mi lavava, ma mica andavo in giro a vantarmene). “Mio fratello è fuori di testa” (ma che vuol dire?) “Mia sorella ha messo la testa a posto” (perché, prima dov’era?).

Certe volte non sapevo dove sbattere la testa (anche perché se l’avessi sbattuta mi sarei fatto male). Crescendo ho iniziato a tener testa alle avversità. A testa alta. Lottando corpo a corpo, spesso in un testa a testa con certe teste di rapa che si credevano teste d’uovo (e invece erano teste di cazzo, diciamocelo). Ma di perdere la testa non se ne parlava proprio. Il mio santo è il decollato. Ha fatto una brutta fine, meglio andarci cauti. Lo so, sono un tipo con la testa dura, non capisco chi ha sempre la testa fra le nuvole. Come fanno? Se la testa è lassù, i piedi dove stanno? Poi le cose capitano, agiscono
di testa propria. Incontri una ragazza che ti fa girare la testa e tu non capisci più nulla. Altro che tenere la testa a posto. La verità è che mi ero fasciato la testa prima di rompermela. M’ero montato la testa, insomma.

In quel tempo iniziò a frullarmi un pensiero in testa. “Tagliamo la testa al toro, voglio vivere con te” le confessai. Lei mi guardò, dalla testa ai piedi. Avevo paura mi rifiutasse. Non andò così. Furono anni bellissimi: una casa, una figlia (l’abbiamo chiamata Salomè), una famiglia. Avevamo messo entrambi la testa a partito. Poi accadde. Era proprio il ventiquattro giugno. Non so cosa avessi in testa quel giorno, ma mi ritrovai quasi per caso a leggere un articolo sulle decollazioni. Mi balenò in testa un pensiero: di tutti i modi di martirizzare qualcuno, la decollazione sembrava il più umano. Immaginate di essere arsi vivi, buttati in un dirupo con la testa in un sacco, o in un fiume con un masso appeso al collo. Mi ci gioco la testa che preferireste la testa mozzata. La ghigliottina, un taglio netto e via, verso miglior vita…
un bel modo di perdere la vita (e la testa). Solo che, leggendo, scoprii un curioso inconveniente. Che dopo il taglio, per qualche secondo, la testa resta ancora cosciente. Si vede staccata dal corpo, consapevole. Quanto può essere orribile tutto ciò?

“Ma si può sapere cosa leggi?” Quel giorno mia moglie mi fece una testa così. “Poi le racconti alla bambina che si spaventa. Hai proprio la testa di legno!”
Mi infuriai. Mi sentì salire il sangue alla testa. Era finita con lei, lo decisi lì, al momento. Ne avevo fin sopra la testa dei suoi atteggiamenti da testa coronata. Altro che testa sulle spalle, altro che bella testa, la verità è che sono sempre stato una testa calda. D’impulso mi giocai a testa o croce l’appartamento dove vivevamo. Persi, come è ovvio. Brutta cosa agire di testa propria, ci si ritrova su una strada, con la testa
vuota, senza farci entrare in testa di essere in errore, in colpa. Meno male che c’era il lavoro sul quale metterci la testa. Sono passati anni, molte teste sono cadute, io sono ancora lì, una testa di ponte fra i nuovi arrivati e quelli che stanno andando in pensione. Mi sono tolto dalla testa l’idea di tornare con mia
moglie. Ma con Salomè il rapporto è bellissimo. Abbiamo la stessa testa. Ora lei sta partendo per una vacanza a Malta. Le ho consigliato di andare a La Valletta, a vedere il San Giovanni del Caravaggio. Roba da perderci la testa.


Perdere la testa
Milano, BKV Fine Art
Fino al 17 gennaio 2025
 
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Orari
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Sabato su appuntamento
 
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