Chiasso (Svizzera), m.a.x. museo: in mostra la grafica artistica della Ditta dolciaria Baj

Confetteria Baj

m.a.x. museo | CHIASSO (SVIZZERA)

DAL 15 DICEMBRE 2023 ALL’8 GENNAIO 2024

L’esposizione presenta alcune grafiche originali vintage e il packaging storico dell’impresa dolciaria e di panettoni.

Dal 15 dicembre 2023 all’8 gennaio 2024, il m.a.x. museo di Chiasso (Svizzera) ospita una mostra dossier che documenta la grafica artistica della Ditta Baj, una impresa dolciaria e di panettoni, largamente conosciuta sia in Italia, sia in Svizzera.
L’esposizione, allestita nell’atrio dell’edificio raccoglie una serie di grafiche originali vintage di etichette, vetrofanie, il packaging storico delle scatole di latta e di cartone, oltre a esempi della réclame artistica della Ditta Baj.

“Nei primi decenni del Novecento – afferma Cesare Baj, pronipote del fondatore, nonché divulgatore scientifico e aviatore – connotati dal grande progresso della scienza e della tecnica, dal forte spirito cosmopolita e dal prorompere delle prime avanguardie letterarie e artistiche è affascinante mettere in evidenza il sottile legame del panettone Baj con l’aeropoeta Filippo Tommaso Marinetti, al quale mi sento legato anche come aviatore, e con il Futurismo in particolare. Da ricordare che proprio nei primi anni del Novecento i cieli “si popolarono di macchine volanti”, che sono presenti anche nelle grafiche d’epoca dei panettoni Baj”.

Confetteria Baj

Questa connessione specifica di innovazione della grafica è maggiormente evidente alla luce della mostra in corso, fino al 7 aprile 2024 al m.a.x. museo Fortunato Depero e Gilbert Clavel. Futurismo = SperimentazionE. ARTOPOLI. Nella prima sala del museo sono infatti esposte anche opere di Marinetti.

L’impresa fu fondata nella seconda metà dell’Ottocento da Giuseppe Baj (nato nel 1839), che lavorò fin da giovanissimo nella pasticceria di famiglia, dove si produceva panettone da tempo immemorabile; documenti risalenti alla fine dell’Ottocento attestano l’inizio dell’attività al 1768. Giuseppe Baj partecipò ventenne, come volontario garibaldino, nei Cacciatori delle Alpi, alle gloriose campagne per l’Unità d’Italia del 1859 e 1860.

Nel 1872 la Confetteria Baj si spostò in Piazza del Duomo, avviando contestualmente un’intensa attività di produzione e commercio di panettoni, cioccolato e altri prodotti dolciari, in uno “stabilimento a forza idraulica ed a vapore”. Giuseppe Baj fu premiato nel 1887 come il migliore produttore di panettoni di Milano e fu uno dei primissimi a elevare il panettone dal livello di produzione artigianale e diffusione locale alla realizzazione di elevati quantitativi, con una consistente diffusione nazionale e internazionale e un’estesa pubblicizzazione del prodotto “panettone” in generale. Il tutto mantenendo un altissimo livello di qualità. Così facendo Giuseppe Baj, con gli altri produttori milanesi di alto livello dell’epoca, pose le basi per lo sviluppo che avrà l’intero comparto nella seconda metà del Novecento.

Poster Panettone Baj

La notorietà dell’attività di Giuseppe Baj si deduce anche dallo slogan che risuonava nella testa di tutti i milanesi tra Ottocento e Novecento: “Quando a Milano non vi era ancora il tramvaj già si gustava il Panettone Baj”.

Il Panettone Baj continuò a essere protagonista anche negli anni Trenta da alcuni dei figli di Giuseppe, tra cui Alfredo, nonno di Cesare Baj, ma a un livello ben lontano dai fasti del passato, fino a estinguersi verso la fine del decennio, allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Dal dopoguerra il dolce milanese poté tornare a offrire momenti di felicità gustativa nelle case di tutto il mondo, ma per rivedere il Panettone Baj si è dovuti giungere al 2023.


La casa madre fu a Milano in Via Santa Radegonda con sedi a Chiasso e Genova (fino alla Prima guerra mondiale).
La Confetteria Baj era frequentata da artisti, musicisti e letterati, che la citarono o descrissero in molte delle loro opere.  Aveva per esempio come cliente fisso il fondatore del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti, che a Natale spediva ad amici e collaboratori un Panettone Baj con copie della sua rivista Poesia, ai giorni nostri oggetti di culto quasi introvabili. Marinetti, nelle sue memorie, parla della volontà di costruire un “panettone gigante della bontà e della veloce digestione, destinato a fugare la preistorica pastasciutta, di sei metri di diametro e due di altezza”. I pomeriggi in Confetteria Baj erano allietati dalle musiche suonate al pianoforte da Teresa, moglie di Giuseppe. La Confetteria Baj, con pochi edifici circostanti, tra cui anche il Caffè Cova, ebbe un curioso primato: l’illuminazione elettrica. Infatti, nel 1883, proprio in Via Santa Radegonda, entrò in funzione la prima centrale elettrotermica in Europa, la seconda nel mondo dopo quella di Chicago, costruita dall’ingegner Colombo su progetto Edison. Fu così che da allora la clientela di Giuseppe Baj venne accolta alla luce delle lampadine elettriche. Per la cronaca, sempre nel 1883, il 26 dicembre, a pochi passi dalla Confetteria Baj, si svolse l’inaugurazione della stagione lirica della Scala, con La Gioconda di Amilcare Ponchielli, fra lo stupore e la meraviglia del pubblico presente. Fu infatti il primo teatro del continente illuminato grazie all’elettricità, per la precisione da 2880 lampade a incandescenza. A oltre un secolo dall’epoca di massimo fulgore del Panettone Baj e dopo svariati decenni di oblio, due diretti pronipoti di Giuseppe Baj, Cesare, con un passato di editore, progettista di giocattoli scientifici e aviatore, e Tomaso, suo figlio, designer della comunicazione, hanno sentito un’ancestrale, irresistibile attrazione. Riguardando i cimeli della produzione dolciaria del loro antenato, le belle réclames risalenti a quasi un secolo e mezzo prima, le robuste confezioni per la spedizione postale dell’epoca, le idilliache fotografie che mostrano i figli di Giuseppe e Teresa in mezzo ai panettoni, in pose destinate a reclamizzare i prodotti di famiglia, i due pronipoti hanno sentito una sorta di “richiamo” verso questo settore dell’imprenditoria tradizionale. È così nata l’idea di riavviare una produzione del Panettone Baj in versione “XXI secolo”, che unisse i pregi di una ricetta vecchia di due secoli e mezzo alle più moderne tecniche di produzione. Per curare tutti gli aspetti produttivi sono stati coinvolti alcuni dei massimi esperti del settore dolciario, persone con decenni di attività alle spalle proprio nel settore del prodotto da forno, in grado di gestire ai massimi livelli la scelta degli ingredienti e il controllo di qualità, ovviamente nel rispetto della ricetta originale.  


La grafica artistica della Ditta Baj
Chiasso (Svizzera), m.a.x. museo (Via Dante Alighieri 6)
17 dicembre – 8 gennaio 2024
 
Orari
martedì – domenica, ore 10.00 – 12.00 e 14.00 – 18.00
 
Ingresso libero
 
Informazioni:
Tel. 0041 58 122.42.52
info@maxmuseo.ch
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Roma, finissage della mostra “ALLA RICERCA DEL BELLO: trent’anni di Martenot a Roma”

ALLA RICERCA DEL BELLO

con il concerto a quattro mani dei pianisti Alessandro Drago e Nicoletta Basta

22 dicembre 2023 ore 17

Museo dell’Arte Classica, Polo Museale Sapienza – Sapienza Università di Roma

Piazzale Aldo Moro 5, Roma

Per celebrare il successo della mostra “ALLA RICERCA DEL BELLO: trent’anni di Martenot a Roma“, ospitata presso il Museo dell’Arte Classica Facoltà di Lettere e FilosofiaPolo Museale Sapienza, di Romavenerdì 22 dicembre 2023 alle ore 17 si svolgerà il finissage dell’esposizione con un evento d’eccezione: un sofisticato concerto a quattro mani eseguito dal Duo Zefiro, composto dai due talentuosi pianisti, Alessandro Drago e Nicoletta Basta, che porteranno la loro maestria e passione per la musica in una location suggestiva.

Alessandro Drago, docente di pianoforte presso il Conservatorio di Foggia, condividerà il palco con Nicoletta Basta, concertista, solista e studentessa di Direzione d’Orchestra, per offrire al pubblico un’esperienza unica e coinvolgente, in grado di intrecciare le note musicali con la profondità e la bellezza dell’arte esposta nella mostra.

Il programma previsto è di alto profilo e comprende un totale di ventisei brani. Si inizierà con diciotto Valzer di Schubert, seguiti dalla Grande Sonata DV 617 in tre movimenti. Si proseguirà poi con sei brani di uno Schumann maturo per concludere con La Valse di Ravel.

Il finissage rappresenta l’ultima occasione per visitare la mostra che ha messo in dialogo le più affascinanti sculture greche e romane, riprodotte in gesso presso il Museo dell’Arte Classica della Sapienza di Roma, con le opere di pittura e grafica realizzate dagli allievi dell’Ecole d’arte Martenot, diretta da Loris Liberatori.  Il grande successo che la mostra ha riscosso, sia presso il pubblico che presso la stampa, è dovuto, da un lato, alla sorprendente varietà di opere esposte che ha catturato l’attenzione dei visitatori, creando un dialogo affascinante e multisensoriale tra epoche e stili artistici differenti. Dall’altro lato, l’esposizione ha offerto al pubblico l’opportunità straordinaria di esplorare il Museo dell’Arte Classica, un autentico gioiello, ancora poco conosciuto, all’interno del Polo Museale della Sapienza, diretto dalla dott.ssa Claudia Carlucci. Il museo ha rivelato il suo fascino intramontabile: l’ambiente denso di storia e la ricchezza delle collezioni presenti hanno contribuito a rendere ogni visita un viaggio affascinante nel mondo dell’arte classica.


Come spiega la dott.ssa Claudia Carlucci, si tratta di “un luogo dedicato alla didattica, alla ricerca, alla cultura e all’arte. Insieme al maestro Liberatori lo abbiamo ritenuto adatto ad accogliere la sua idea di mostra, dedicata al metodo didattico Martenot…. La cosa straordinaria è la contaminazione che le opere degli allievi dell’atelier hanno agito sul nostro Museo, creando così un connubio tra arte, cultura e desiderio del bello“. 

Il Metodo Martenot è stato introdotto a Roma trent’anni fa da Loris Liberatori, il quale ha recuperato la didattica dell’arte elaborata negli anni ’30 dalla visionaria musicista e pedagoga francese Ginette Martenot (1902-1996). Basato sul principio della “liberazione del gesto“, il Metodo Martenot non ricerca solo il risultato artistico immediato, ma guida l’individuo attraverso un profondo percorso di crescita verso l’arte, partendo dal concetto che tutti possediamo delle capacità artistiche, le quali purtroppo, il più delle volte, giacciono nascoste e assopite dentro di noi.

L’idea di celebrare questo trentesimo anniversario attraverso una mostra presso il Museo dell’Arte Classica della Sapienza di Roma è un omaggio alla visione comune che unisce il metodo Martenot alla missione del Museo, focalizzato sulla ricerca della perfezione estetica e la valorizzazione della bellezza.


INFORMAZIONI UTILI
TITOLO: ALLA RICERCA DEL BELLO: Trent’anni di Martenot a Roma
DOVE: Museo dell’Arte Classica, Facoltà di Lettere e Filosofia, Polo Museale Sapienza – Sapienza Università di Roma – Facoltà di Lettere e Filosofia, Piazzale Aldo Moro 5, Roma
QUANDO: Dal 9 novembre al 22 dicembre (?)
A CURA DI: Loris Liberatori
OPENING: Giovedì 9 novembre 2023 ore 17.00
INGRESSO GRATUITO
ORARI: Il museo è aperto dal lunedì al venerdì dalle 08.00 alle 20.00
Con il Patrocinio di Roma Capitale

CONTATTI
Ècole d’art Martenot di Loris Liberatori
SITO: https://www.martenot.it/roma.htmlhttps://www.martenot-arts-plastiques.com
FACEBOOK: https://www.facebook.com/ecoledartmartenotdilorisliberatori/
 
Museo dell’Arte Classica, Facoltà di Lettere e Filosofia, Polo Museale Sapienza – Sapienza Università di Roma
SITO: https://web.uniroma1.it/polomuseale/museo-arte-classica
 
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Gallarate (VA), Museo MA*GA: MICHELE CIACCIOFERA. Condensare l’infinito

Studio Michele Ciacciofera, courtesy L’Artista

GALLARATE (VA) – MUSEO MA*GA
17 DICEMBRE 2023 – 7 APRILE 2024

a cura di Alessandro Castiglioni

Dal 17 dicembre 2023 al 7 aprile 2024, il MA*GA di Gallarate (VA) ospita Condensare l’infinito, la personale di Michele Ciacciofera (Nuoro, 1969).

L’esposizione, curata da Alessandro Castiglioni, realizzata col supporto di BUILDING, presenta un progetto che evoca i viaggi dell’artista che, dalla Sardegna, percorrendo l’arco alpino, giungono in Bretagna e infine in Scozia, alla ricerca di quelle forme archetipiche che sono alla base di culti e identità di popoli che tramite pratiche scultoree arcaiche aspiravano a creare un dialogo tra la terra ed il cielo, tra l’umano finito e l’assoluto infinito. L’esperienza diretta dei luoghi e soprattutto la loro interiorizzazione da parte di Ciacciofera sono fattori fondanti per la creazione dell’opera d’arte.

Dopo la tappa al MA*GA, la rassegna verrà accolta, nella seconda metà del 2024, dal Centre d’Art Contemporain Passerelle a Brest, in Bretagna.

Condensare l’infinito rivela la fascinazione dell’artista per le forme megalitiche o monolitiche, come Menhir e stele, capaci di conferire sacralità e riconoscibilità a determinati territori, nonché simboli immortali di una importante rivoluzione tecnologica, sociale, culturale ed economica quale quella che contraddistinse il periodo neolitico, o ancora civiltà come quella Etrusca, Fenicia o Egiziana.

La storia di questi archetipi sembra voler ricollegare la biografia, il microcosmo di Ciacciofera con il macrocosmo delle narrazioni universali: simbolo sono proprio le grandi pietre che seguendo una immaginaria linea geografica attraversano il Mediterraneo, l’Europa continentale e l’Europa del Nord: dalla Sicilia, luogo in cui l’artista è cresciuto, alla Sardegna, sua terra natale, passando lungo l’arco alpino e prealpino attorno al MA*GA, per ripresentarsi nei territori celtici della Bretagna in Francia e nelle isole dell’oltre Manica come la Scozia.

La mostra prenderà così la forma di una installazione ambientale, suddivisa in tre partizioni, ricreando nello spazio espositivo del MA*GA degli allineamenti scultorei, come nelle regioni dove insistono i menhir.  

In un dialogo poetico si confronteranno forme verticali tridimensionali con installazioni orizzontali o ancora con opere pittoriche o sonore, capaci nell’insieme di rievocare tanto il culto delle acque caro al Mediterraneo quanto quello sacrale delle pietre, in un grande inno alla natura a cui complessivamente il lavoro di Ciacciofera è rivolto.

Il visitatore viene subito accolto da una serie di sculture in vetro, realizzate presso il CIRVA-Centre International de Recherche sur le Verre et les Arts Plastiques di Marsiglia, che rielaborano la dimensione non solo fisica del Menhir, coesistendo con delle forme sferiche riferite al mito dell’acqua.

Nel secondo ambiente, delle piccole scatole dal sapore votivo dialogano con nove coloratissime stele, simili a teatrini dall’architettura complessa prodotti dall’artista attraverso il riuso di carte, cartoni e materiali di scarto con un processo creativo simbolicamente e volutamente ecosostenibile. Un’opera sonora appositamente creata per l’occasione accompagna queste stele, creando un ambiente sinestetico e immersivo che vuole invitare lo spettatore a smarrirsi in un luogo tanto naturale quanto immaginario. Questi suoni registrati in presa diretta nella natura e rielaborati ritmicamente attraverso l’uso di pattern elettronici, proseguono il lavoro sonoro già presentato dall’artista per Documenta 14 ad Atene e Kassel con The Density of the Transparent Wind.

Il percorso espositivo al MA*GA si conclude con una installazione site-specific in ceramica e muschio naturale in dialogo con una opera pittorica, sotto forma di trittico, che rimanda alla mostra ospitata da BUILDING TERZO PIANO a Milano e curata da Angelo Crespi, in programma dal 16 gennaio al 17 febbraio 2024. Qui Ciacciofera esporrà una serie di sculture in vetro policromo di Murano già presentate al Petit Palais di Parigi (FIAC 2019) e un dipinto di grande formato.

La mostra è realizzata con il contributo di Regione Lombardia nell’ambito del progetto Italia 2050. Centro di Ricerca per l’arte italiana 1950-2050. Come parte dell’attività istituzionale del MA*GA, la mostra è sostenuta in qualità di main partner da Ricola, SEA Aeroporti di Milano, Missoni, Saporiti Italia; special partner: Banca Generali Private; partner: Lamberti; supporter: Camal – le vie del cotone, Engel & Völkers.

Il percorso espositivo si completa con la sezione allestita all’interno delle Vip Lounge del Terminal 1 dell’aeroporto di Milano Malpensa, dove si potranno ammirare delle sculture murali Janas Code emblematiche della produzione di Ciacciofera. Ritmate da linee perpendicolari che evocano gli assi dello spazio e del tempo che, intersecandosi, ne formano il reticolo, queste opere sono create a partire da un materiale di costruzione, a cui viene attribuita una nuova significazione, ma la cui funzione originaria di supporto è preservata.

La mostra sarà accompagnata da una monografia – Johan & Levi editore – che conterrà materiale inedito e documentazione fotografica relativa alle varie vasi del progetto. Il volume si articolerà come uno studio e un approfondimento del percorso di ricerca di Michele Ciacciofera, in dialogo con le istituzioni che collaborano allo sviluppo di tale progetto. Diversa da un catalogo tradizionale la pubblicazione prenderà la forma di un atlante geografico, in cui approfondimenti teorici e visivi tracciano le storie della nascita del rapporto tra uomo e spazio in modo inedito e sperimentale.

Michele Ciacciofera. (Nuoro, 1969; vive e lavora a Parigi).

Il lavoro di Michele Ciacciofera è caratterizzato dall’uso di svariati medium, dalla pittura alla scultura, con uso di ceramica, vetro, bronzo, pietra ed assemblaggi di materiali, passando dal disegno e dal suono.

Tramite un approccio antropologico, l’artista esplora diverse tematiche legate alle isole di cui è originario, la Sardegna e la Sicilia, attraverso il prisma del Mediterraneo. Memoria collettiva, miti rivisitati e realtà politica contemporanea si mescolano in opere caratterizzate da una sensibilità per la materia e da un’acuta consapevolezza delle problematiche attuali legate alla riconfigurazione degli equilibri socio-economici e ambientali.

Spinto da una costante riflessione e ricerca basata su numerose fonti, Ciacciofera si interessa innanzitutto al soggetto e alla sua narrazione, nonché alle sensazioni che intende trasmettere attraverso la scelta dei materiali utilizzati. Attinge costantemente alla sua formazione in scienze politiche, al suo interesse per l’antropologia, l’archeologia, le questioni ambientali e alla sua ossessione per la memoria individuale e collettiva, per materializzare esperienze poetiche dalla forte capacità comunicativa.

Le sue opere sono state esposte alla 57^ Biennale Internazionale d’arte di Venezia, a Documenta 14 di Kassel e Atene, al Museo MAN di Nuoro, al CAFA Museum di Pechino, al Museo d’Arte Contemporanea di Rochechouart (Francia), al Museo di Rennes, a Summerhall Edimburgo, al IMMA Museum di Dublino e in numerose altre istituzioni museali internazionali.

Ha ricevuto la Civitella Ranieri NYC Foundation Visual Arts Fellowship pour 2015-16. Sono in preparazione due mostre personali in Francia e una in Scozia, due importanti opere pubbliche in Francia e in Italia e un’opera site-specific con cui parteciperà alla VI biennale d’arte contemporanea di Mardin in Turchia (maggio 2024).


MICHELE CIACCIOFERA. CONDENSARE L’INFINITO
Gallarate (VA), Museo MA*GA (vie E. De Magri 1)
17 dicembre 2023 – 7 aprile 2024
 
Con il supporto di BUILDING
 
Inaugurazione: sabato 16 dicembre 2023, dalle 18.00 alle 21.00 (ingresso gratuito)
 
Orari:
martedì, mercoledì, giovedì e venerdì: ore 10.00 – 18.00
sabato e domenica: 11.00 – 19.00
 
Ingresso:
Intero: €7,00; ridotto: €5,00
 
Museo MA*GA
T +39 0331 706011; info@museomaga.it; www.museomaga.it
 
Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
Anna Defrancesco | T +39 02 36755700 | anna.defrancesco@clp1968.it

Trieste, Museo Sartorio: ETERNO FEMMININO, Arte tra fascino e discrezione

Gino Parin: Vanità, 1927 ca, olio su tela, 167 x 190 cm, collezione privata

Trieste, Museo Sartorio
21 dicembre 2023 – 1 aprile 2024

Mostra a cura di Federica Luser, Michela Messina e Alessandra Tiddia

Vernice per la Stampa: giovedì 21 dicembre, ore 10

Inaugurazione: giovedì 21 dicembre, ore 11

Più che un melting pot Trieste è una costellazione, più che un crogiolo ove tutto si mescola e amalgama, è una partitura a più voci. «Gente con premesse diverse che deve tentare di conciliare gli inconciliabili, che naturalmente non ci riesce e saltan fuori tipi strani, avventurieri della cultura e della vita […]» (Bobi Bazlen).
Dal prossimo 21 dicembre al primo aprile del 2024, a Trieste, il Museo Sartorio propone un fascinoso viaggio nell’Eterno femminino. Arte a Trieste tra fascino e discrezione 1900 – 1940. La mostra, promossa dall’Assessorato alle Politiche della Cultura e del Turismo-Servizio Promozione Turistica, Musei, Eventi culturali e sportivi-P.O. Musei Storici e Artistici del Comune di Trieste, e realizzata da Trart-Società cooperativa di servizi culturali, a cura di Federica Luser, Michela Messina e Alessandra Tiddia, riunisce in quel luogo fascinoso e a suo modo intimo che è il Museo Sartorio, una trentina di ritratti di donne triestine dei primi decenni del ‘900. I dipinti provengono dalle collezioni del Museo Sartorio, dal Museo Revoltella, dalla Collezione d’Arte della Fondazione CRTrieste e da collezioni private, e vogliono offrire uno sguardo particolare su Trieste, attraverso alcune opere dei suoi migliori artisti del secolo.

Una galleria di ritratti femminili propone una Trieste osservata nelle sue pieghe più intime, nei volti e nei corpi di donne di quella borghesia cosmopolita e pluriconfessionale che ha contribuito alla crescita economica e culturale della città nel diciannovesimo secolo e nel primo ‘900. 

Il soggetto della mostra è il mondo femminile, l’eterno femminino. Il focus è su quelle donne triestine i cui sguardi, pose, movenze riflettono la caratteristica principale per cui sono conosciute: quel fascino discreto ma volitivo legato al loro essere indipendenti e sicure di sé. Una sorta di proiezione della coscienza segreta delle donne, ritratte nella loro diversità: muse, amiche, mogli, amanti, donne bellissime e sfrontate, provocanti e soddisfatte, timide e riservate, specchio della Trieste di allora. Un fascino discreto, enigmatico e ambiguo a volte, colto nella mondanità e nel segreto delle stanze.

Antonio Camaur: Ritratto della moglie sul divano blu, 1915 ca.
olio su tela, 97 x 75 cm. Trieste, Museo Sartorio

Franco Asco, Antonio Camaur, Glauco Cambon, Bruno Croatto, Cesare Cuccoli, Oscar Hermann Lamb, Mario Lannes, Pietro Lucano, Giannino Marchig, Piero Marussig, Giovanni Mayer, Argio Orell, Gino Parin, Nino Poliaghi, Arturo Rietti, Ruggero Rovan, Edgardo Sambo, Carlo Sbisà, Cesare Sofianopulo, Vito Timmel, Carlo Wostry sono gli autori delle opere scelte per questa esposizione.

L’arco temporale in cui sono state realizzate le opere si concentra sui primi quattro decenni del XX secolo, anni particolari e di grandi cambiamenti, sospesi tra euforia e dramma a causa delle trasformazioni epocali di una città che, dopo la Prima Guerra Mondiale, vede il proprio mondo sgretolarsi e poi ricostruirsi in forme e modi diversi. Diverse ed eterogenee sono le sensibilità artistiche e i linguaggi espressivi che, pur strettamente determinati da un’esigenza di realtà – una costante dell’arte a Trieste per tutto il ‘900 – oscillano tra i riferimenti simbolisti e postimpressionisti e le atmosfere legate al mondo del Déco come a quelle del Realismo Magico.

Ma ciò che raccorda queste raffigurazioni del femminile, il comune denominatore delle opere selezionate, sta in quell’equazione sottile, talvolta celata, altre volte più manifesta fra queste figure e Trieste, quel fascino discreto e perturbante, quella “scontrosa grazia” che affiora nelle pose, nelle espressioni dei volti, ma anche in uno sguardo, nel rapporto fra l’effigiata e il contesto, spesso espresso da un dettaglio o raccontato nello spazio della tela e che riflette l’immagine di un’essenza sottile, quella di una città controversa: Trieste, appunto.

Scultura e pittura si intrecciano nelle splendide sale del Museo Sartorio, luogo ideale per l’esposizione di questi capolavori della scuola triestina che negli interni di una dimora storica vengono idealmente restituiti all’atmosfera per i quali erano stati concepiti.


Informazioni:
 
Museo Sartorio
Largo Papa Giovanni XXIII, 1 – Trieste
+39 040 675 9321
museosartorio@comune.trieste.it
 
Apertura:
21 dicembre 2023 – 1 aprile 2024
da giovedì a domenica, dalle 10.00 alle 17.00
Chiuso nelle giornate festive del 25 dicembre e 1 gennaio.
Aperto il 26 dicembre.
 
Ingresso libero
 
Ufficio Stampa:
Studio ESSECI – Sergio Campagnolo, Padova
Tel. 049663499
Ref. Roberta Barbaro, roberta@studioesseci.net

Portogruaro (VE), Palazzo Vescovile: La Dogaressa tra storia e mito

Manifattura lucchese o veneziana, Diaspro XIV sec.,
Venezia, Palazzo Mocenigo

16 dicembre 2023 – 19 maggio 2024

Portogruaro (VE), Palazzo Vescovile
Via del Seminario, 19

Dopo il successo dell’esposizione “L’Italia di Magnum. Da Robert Capa a Paolo Pellegrin”, che si è chiusa lo scorso febbraio, Palazzo Vescovile di Portogruaro ospita una nuova ed importante mostra: “La dogaressa tra storia e mito. Venezianità al femminile dal Medioevo al Novecento”, che resterà aperta al pubblico dal 16 dicembre 2023 al 19 maggio 2024.

Il Distretto Turistico Venezia Orientale è il soggetto proponente e organizzatore nell’ambito dell’importante Protocollo Operativo siglato nel giugno del 2021 tra la Fondazione Musei Civici Venezia – MUVE, il Comune di Portogruaro e lo stesso Distretto, al fine di realizzare progetti culturali di respiro e di comprovata qualità scientifica in grado di valorizzare il legame storico e culturale tra la grande Venezia e la piccola Venezia affacciata sulle sponde del fiume Lemene. L’esposizione gode inoltre del sostegno della Regione del Veneto ai sensi della legge sulla valorizzazione dell’identità veneta.

La mostra, coordinata da Chiara Squarcina Dirigente Attività Museali della Fondazione MUVE coadiuvata da Pietroluigi Genovesi, è curata, per MUVE, da Daniele D’Anza e Luigi Zanini e per il Distretto Turistico Venezia Orientale da Pierpaola Mayer responsabile anche della direzione tecnica.

Ken Scott, Abito e soprabito in organza di seta appartenuti a Peggy Guggenheim, 1966, Venezia, Palazzo Mocenigo

L’esposizione è resa possibile grazie alla partecipazione attiva del Comune di Portogruaro, di Banca Prealpi SanBiagio e di molte e importanti aziende del territorio, alcune di queste in continuità altre per la prima volta, che da tempo sostengono e credono in questo progetto culturale, a cui si aggiunge l’importante partenariato tecnico con Italo S.p.A.

La dogaressa tra storia e mito. Venezianità al femminile dal Medioevo al Novecento propone un percorso espositivo unico ed originale che per la prima volta richiama l’attenzione e fa luce sulla figura della dogaressa, la consorte del doge veneziano, evidenziandone il ruolo e l’importanza ai tempi della Serenissima, e che oggi possiamo considerare al pari di una First Lady ante litteram.

La mostra consente di esplorare la venezianità al femminile attraverso un’antologia di significativi episodi estrapolati dalla vita di alcune tra le più celebri dogaresse, spesso importatrici di mode forestiere, resesi promotrici di progettualità imprenditoriali e di molte altre iniziative innovative e visionarie giunte fino a noi.


La prima “Opulenza bizantina e morigeratezza veneziana” narra come sulla scia dell’ultima dogaressa straniera, la greca Teodora moglie del doge Domenico Selvo (1071–1084), venga introdotta a Venezia la raffinata arte profumiera, che ebbe poi nei secoli successivi un impulso senza eguali, raggiungendo nel Rinascimento l’apice che la portò ad essere riconosciuta come capitale del profumo. Saranno esposti porta profumo veneziani in vetro di Murano del XVII e XVIII sec e una selezione di materie prime impiegate nell’arte profumatoria che consentirà l’interazione con il pubblico attraverso un’interessante esperienza sensoriale olfattiva e tattile.

In questa prima sala si passano inoltre in rassegna gli abiti indossati negli anni dalle dogaresse, le loro trasformazioni, partendo da quello morigerato presentato dalla dogaressa Felicita Malipiero nel dipinto di Bellini, proseguendo con quelli evidenziati nelle riproduzioni incise in alcuni importanti volumi a stampa.

La seconda sezione “Patrocini virtuosi e nobile erudizione” consolida l’autorevole, virtuoso e positivo ruolo ricoperto dalle dogaresse nel concorrere, con i loro patrocini, a difendere ed incrementare la locale produzione artigianale. La dogaressa Giovanna Dandolo, moglie di Pasquale Malipiero (1457-1462) e discendente da una delle famiglie più illustri della Repubblica, è passata alla storia come patronessa della stampa e dei merletti. Si deve infatti a lei se Burano divenne allora il primo centro al mondo del merletto. Fu lei a riunire presso di sé un gran numero di giovani donne del popolo e ad avviarle al delicato lavoro dell’intreccio, che dava lustro alla città per la squisitezza del prodotto e mezzi di sostentamento a molta gente del popolo, in particolare alle donne di Burano, dove sorse una vera e propria scuola d’arte.

Nella terza sezione “La cerimonia d’incoronazione della dogaressa” vengono esposti quadri e stampe a testimonianza di questa originalissima pratica. Marchesina, moglie di Lorenzo Tiepolo (1268-1275) passò alla storia per essere stata la prima dogaressa a fare l’ingresso solenne in Palazzo Ducale, insieme al doge, in una processione capeggiata dalle corporazioni delle arti e dei mestieri. A quarant’anni dal trionfo di Zilia Dandolo Priuli, ebbe luogo a Venezia un’altra famosissima e ancor più pomposa incoronazione, quella di Morosina Morosini, moglie del doge Marino Grimani (1595- 1606). La Rosa d’oro che le fu donata nell’occasione venne alla sua morte assegnata al Tesoro della Basilica di San Marco.

Francesco Hayez, I due Foscari, olio su tela, 1840-1850 ca., Firenze, Galleria degli Uffizi

La quarta sezione “Miti e revival del mondo dogale” vede protagonista il quadro di Francesco Hayez I due Foscari, in prestito dalla Galleria degli Uffizi, che ben illustra lo strazio vissuto da Marina Nani, seconda moglie del doge Francesco Foscari (1423-1457), quando il figlio Jacopo venne incarcerato, per aver accettato doni e denari da gentiluomini e persino dal duca di Milano. Essendo egli figlio del doge, tale operazione gli era preclusa: si configurò pertanto il reato di peculato. A nulla valsero le suppliche della donna. La ragion di stato prevaleva su tutto. A questa vicenda Lord Byron dedicò il dramma I due Foscari, rappresentato poi a teatro da Giuseppe Verdi nel 1944.

Lino Selvatico, La contessa Anna Morosini, 1908, olio su tela, Venezia, Ca’ Pesaro (foto Cameraphoto 2002)

La quinta sezione “Le dogaresse del XX secolo”, infine, è riservata all’Ultima Dogaressa, appellativo che venne riservato a quelle donne che si distinsero per il patrocinio riservato alle arti, e che diedero lustro a Venezia in un’epoca in cui la Serenissima Repubblica era già decaduta. Titolo assegnato a Peggy Guggenheim, e prima di lei alla contessa Anna Morosini (di cui è esposto il ritratto di Lino Selvatico, conservato al Museo Fortuny di Venezia), amica di Rilke, di d’Annunzio, di Maeterlinck e di Shaw, del Principe von Bulow e dello Scià di Persia, nonché di sovrani di tutta Europa: donna dotata di una personalità affascinante e complessa. Si affiancano inoltre alcuni Focus del Territorio dedicati ad altre donne, da Isabella da Passano signora della Frattina (1542-1601) a Lucia Memmo (1770-1854) a Marta Marzotto (1931-2016).

L’allestimento pensato in forma dinamica e interattiva oltre ad importanti opere pittoriche di scuola veneta, tra le quali si annovera il ritratto del Doge Alvise I Mocenigo di Jacopo Tintoretto delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, da spazio a disegni, incisioni, vetri, stoffe, merletti ed altri manufatti della cultura materiale veneta, provenienti dalle collezioni civiche veneziane.

“La dogaressa tra storia e mito” offre dunque ai visitatori la possibilità di cogliere quel particolare modo di sentire e di esprimersi che solo una città come Venezia ha consentito nei secoli alle donne, fornendo loro la possibilità di testimoniare la propria intelligenza, lungimiranza e generosità.


Orari                                     
dal martedì al giovedì dalle ore 14:30 alle ore 18:30          
venerdì dalle ore 14:30 alle ore 19:30
sabato, domenica e festivi dalle 10:00 alle 19:00
lunedì chiuso
Su prenotazione sono possibili aperture straordinarie anche al mattino, in altri  
orari e nella giornata di chiusura del lunedì
 
Biglietto d’ingresso             
intero   € 10,00 adulti
ridotto € 8,00 studenti universitari fino a 26 anni, over 65, cittadini residenti nel Comune di Portogruaro, soci FAI, clienti Italo presentando biglietto del treno per raggiungere Portogruaro
studenti e scolaresche € 5,00
omaggio minori fino a 5 anni,disabili + n.1 accompagnatore, minori con handicap L.104/92
           
Visite guidate                       
Scolaresche: € 8,00 per alunno comprensivi di biglietto d’ingresso
Gruppi: € 60,00 minimo 10 pax+n.1 accompagnatore
 
Info e prenotazioni              
tel. 0421 564136 | info@palazzovescovile.it
 
Contatti                                
Distretto Turistico Venezia Orientale | dr.ssa Pierpaola Mayer
tel. 342 8084363 direttore@veneziaorientaledistrettoturistico.it
 
Ufficio Stampa MUVE       
press@fmcvenezia.it | www.visitmuve.it/it/ufficio-stampa
 
Ufficio stampa mostra        
StudioBegnini
Roberto Begnini con Federica Artusi
studiobegnini.it
info@studiobegnini.it

Bologna, Collezioni Comunali d’Arte: IMMANENTE. L’arte di Faenza riplasmata dall’acqua

IMMANENTE. L’arte di Faenza riplasmata dall’acqua
Veduta di allestimento
Bologna, Collezioni Comunali d’Arte, 2023
Foto Giorgio Bianchi – Comune di Bologna

A cura di Matteo Zauli e Eva Degl’Innocenti

15 dicembre 2023 – 4 febbraio 2024
Collezioni Comunali d’Arte | Sala Urbana
Palazzo d’Accursio | Piazza Maggiore 6, Bologna

www.museibologna.it/arteantica

Mostra promossa da Comune di Bologna, Settore Musei Civici Bologna | Musei Civici d’Arte Antica, Comune di Faenza, Settore Cultura, Turismo, Sport e Politiche Internazionali Unione della Romagna Faentina, Museo Carlo Zauli
In collaborazione con Scuola Comunale di Musica “Giuseppe Sarti” e Scuola di Disegno, Arti e Mestieri “Tommaso Minardi”

All’interno delle manifestazioni legate al Capodanno, il Comune di Bologna ha voluto segnare una attenzione particolare al tema dell’alluvione che nei mesi scorsi ha colpito il nostro territorio.

Spiegano il sindaco Matteo Lepore e la delegata alla Cultura Elena Di Gioia“Abbiamo voluto comporre, anche all’interno del palinsesto di iniziative culturali di fine anno, un gesto di responsabilità di come, anche attraverso la cultura, si possa fare sia memoria sia condivisione e comunità. Alla perdita insostituibile e dolorosa di persone con le loro vite e affetti, l’alluvione ha travolto anche luoghi privati, pubblici, di vita, lavoro e anche cultura. Ecco che l’invito che abbiamo rivolto alla città di Faenza, attraverso i suoi importanti musei e luoghi culturali, compone un tragitto di opere ferite che contengono la traccia istantanea di ciò che è successo e contemporaneamente contengono una spinta alla rinascita”.

Nella notte del 16 maggio 2023, lo straripamento del fiume Lamone ha travolto e coperto di fango buona parte della città di Faenza, travolgendo l’esistenza di luoghi, cose e persone. Molte istituzioni culturali ne sono state gravemente toccate, tra le quali la Biblioteca Comunale Manfrediana, musei privati, le scuole comunali di musica e di disegno.

L’installazione IMMANENTE. L’arte di Faenza riplasmata dall’acqua -promossa da Comune di BolognaSettore Musei Civici Bologna | Musei Civici d’Arte AnticaComune di FaenzaSettore Cultura, Turismo, Sport e Politiche Internazionali dell’Unione Romagna Faentina in collaborazione con Scuola Comunale di Musica “Giuseppe Sarti” di Faenza e Scuola di Disegno, Arti e Mestieri “Tommaso Minardi” di Faenza e curata da Matteo Zauli (direttore del Museo Zauli) e Eva Degl’Innocenti (direttrice del Settore Musei Civici Bologna) – vuole essere un’istantanea, un fermo immagine oggettuale di un evento che, a oltre sei mesi di distanza, stenta a lasciarsi considerare memoria, condizionando ancora profondamente il presente di quel territorio.
Gli oggetti esposti testimoniano la creazione e la rinascita dopo l’alluvione: dalla distruzione alla rinascita, attraverso la forza della cultura, dell’arte e della creatività. Una memoria che non è testimonianza soltanto di una calamità, di un evento drammatico, ma anche di una straordinaria energia positiva, quella della solidarietà che da allora ha invaso beneficamente i territori colpiti, e che delinea un segno di speranza e di rinascita sull’orizzonte futuro.

Un pianoforte, una cassa per il trasporto di opere d’arte, due sculture in ceramica, sei fotografie, dodici vasi in terracotta e alcune decine di cataloghi d’arte – ogni pezzo scelto per se stesso ma anche per la provenienza che evoca e i simboli che racchiude – sono le presenze fortemente evocative che abitano la Sala Urbana delle Collezioni Comunali d’Artedal 15 dicembre 2023 al 4 febbraio, rappresentando le ferite del patrimonio artistico e culturale devastato in una visione di resilienza e capacità di ricostruzione.

“L’emergenza alluvionale – commenta il sindaco di Faenza, Massimo Isola – se da un lato ha segnato profondamente i nostri territori, allo stesso tempo ha aperto per Faenza tanti ponti e collaborazioni con molti soggetti pubblici e privati del terzo settore. Ciascun soggetto ha trovato in Faenza alcuni elementi distintivi originali ma anche di comunanza rispetto alla propria identità. Con Bologna abbiamo aperto un confronto e in brevissimo tempo ci si è resi conto che sul tema della città d’arte poteva esserci uno spazio di collaborazione importante. Faenza e Bologna hanno entrambe una vivacissima rete museale, un numero importantissimo di artisti e designer. In questa direzione abbiamo pensato di proporre questo progetto che valorizza le nostre reciproche identità che leggono l’evento alluvionale da un’altra prospettiva, con uno sguardo artistico e creativo. La mostra deve essere vista non come un evento conclusivo di un percorso ma come l’inizio di un confronto e di apertura di una fase nella quale due città sulla via Emilia, con diverse dimensioni ma con una profonda comune matrice creativa, possano collaborare. Siamo molto grati e onorati di aver potuto collaborare con il Comune di Bologna alla sua realizzazione”

Il pianoforte
Donato alcuni anni fa alla Scuola di Musica “Giuseppe Sarti” di Faenza, questo pianoforte di marca Heitzmann & Sohn prodotto alla fine dell’Ottocento, apparteneva a Don Vincenzo Cimatti, missionario salesiano in Giappone e musicista autore di 950 composizioni musicali, nato a Faenza nel 1879 e morto a Tokyo nel 1965. Nel secondo dopoguerra lo strumento venne acquistato da Muky, artista, poetessa protagonista della vita culturale della città romagnola che poi lo donò al Comune di Faenza, in dotazione alla Scuola Comunale di Musica Sarti.
Dopo l’alluvione del maggio 2023, lo strumento è musicalmente inservibile, ma resta una testimonianza unica del disastro e ha ripreso vita nella sua trasformazione in installazione di questa esposizione.

IMMANENTE. L’arte di Faenza riplasmata dall’acqua
Veduta di allestimento
Bologna, Collezioni Comunali d’Arte, 2023
Foto Giorgio Bianchi – Comune di Bologna

Vasi in terracotta
Questi sedici vasi, riemersi dal fango e rinvenuti nei corridoi comuni alle scuole comunali faentine di Musica “Giuseppe Sarti” e di Disegno, Arti e Mestieri “Tommaso Minardi” costituiscono una vera e propria memoria storica della scuola di disegno, opera del grande Torniante faentino Gino Geminiani, storico docente della scuola fondata nel 1796 su intuizione ed impulso di Felice Giani.

Carlo Zauli / Zolla
All’interno del percorso espositivo del Museo Carlo Zauli, nella storica cantina delle argilletrovava spazio questa scultura appartenente alla tipologia delle Zolle, un grande esempio delle sculture che l’artista faentino Carlo Zauli (1926-2002) realizzò tra la metà degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta con un grès nero tedesco, simbolicamente dedicato al campo arato, perfetta sintesi di armonia tra uomo e natura.
L’opera era stata esposta nel 2015 al Museo Civico Medievale di Bologna nella mostra Le Zolle, dedicata a Zauli nell’ambito di ART CITY Bologna e in occasione di Arte Fiera. Nel progetto espositivo le collezioni del Museo Civico Medievale, capolavori archetipici della nostra tradizione artistica e culturale, erano entrate in dialogo con un nucleo rappresentativo di una delle tematiche fondanti della ricerca artistica dello scultore romagnolo: la Terra. Zauli ha indagato, attraverso un linguaggio espressivo e una cifra stilistica a lui propria, il rapporto tra l’individuo e la Terra, nella sua forma più naturale: l’elemento primigenio e costituente della “zolla d’argilla”. La Zolla torna a dialogare con i Musei Civici di Bologna: in origine forma geometrica primigenia, monolitica, di colore nero, si presenta oggi ai nostri occhi divisa un due parti, di colore rosso. Ha mutato forma e colore.
L’opera, travolta dal fango e dagli oggetti che esso ha portato con sé, è caduta spaccandosi e ricoprendosi di quella fanghiglia rossastra dovuta alla fuoriuscita dai sacchi di tonnellate di ossido di ferro conservato in quel luogo diventando così un simbolo fortemente carico di significati e memoria. Duramente colpita dall’alluvione del maggio 2023, tuttavia non distrutta, ma trasformata.

Wei Bao / Trail of flow
Dopo aver vinto il primo premio under 35 al sessantaduesimo Premio Faenza ed essere stato invitato in residenza per due mesi, Wei Bao, giovane talento ceramico attivo a Jingdezhen, in Cina, si è trovato a confrontarsi non soltanto con gli usi e le tradizioni ceramiche del luogo ma anche con la drammatica situazione della città sconvolta dall’alluvione del maggio scorso.
Ne sono nati lavori nei quali l’artista applica alla propria tipica estetica dominata dalla circolarità – simbolo dell’ancestrale lavoro ceramico legato al tornire vasi, ma anche del concetto di tempo della cultura cinese, scandito da eventi che si susseguono ciclicamente – elementi testimoni della catastrofe, in particolare ossidi e argille create nelle cantine del museo Zauli, nel quale gli storici grès usati si sono mescolati a ossidi e al fango dell’alluvione.
Inoltre, il concetto di circolarità della tradizione culturale cinese diventa un messaggio di speranza e rinascita che vede nel ripetersi degli eventi in continuo cambiamento la capacità di mantenere l’armonia nella società. Il fango della distruzione ha dato vita, con le sue argille alluvionali, alla creazione di una nuova opera: Trail of Flow.

Cassa di legno

Una piccola cassa di legno quasi totalmente ricoperta di fango è testimone non soltanto dell’alluvione ma anche del passaggio di un artista in residenza al Museo Carlo Zauli. Si tratta di David Casini, artista toscano invitato nel 2005 e fermatosi poi a Faenza per tre anni. Un artista che oggi vive e lavora a Bologna. La tipica scritta “Fragile” ancora leggibile pare alludere non soltanto alla natura dell’opera che in passato trovò sede nella piccola cassa ma alla condizione degli oggetti di fronte all’imprevedibile scatenarsi degli eventi naturali.

Libri di archivio del Museo Carlo Zauli
Tra le più importanti perdite culturali dovute all’alluvione ci sono certamente i libri. Dalle biblioteche pubbliche a quelle private, dai musei ai negozi essi rappresentano la perdita di memoria e di patrimonio culturale forse più profonda. In questo caso questi libri, irrecuperabili, erano parte dell’archivio storico del Museo Carlo Zauli, ad oggi quasi totalmente sprovvisto di alcuni titoli fondamentali, legati ad episodi fondamentali della vicenda artistica dell’artista romagnolo o dei primi vent’anni di attività museale.

Fotografie di Cristina Bagnara

Subito dopo l’alluvione, il Museo Carlo Zauli si è trasformato in un vero e proprio cantiere, nel quale l’intero staff, gli amici e moltissimi volontari si sono alternati in un duro lavoro di salvataggio e conservazione di elementi di archivio. Stampi in gesso, modelli, opere incompiute, arredi sono stati estratti dal fango, lavati, a volte restaurati. In quelle prime settimane Cristina Bagnara, fotografa cervese che già in passato aveva realizzato un prezioso reportage sul museo, ha documentato lo stato di fatto e le prime attività di recupero dalle quali traspare la vivacità e lo slancio che ha caratterizzato quelle giornate.

Durante il periodo di apertura, sono previste quattro visite guidate condotte da Matteo Zauli:
domenica 17 dicembre 2023 ore 17.00
sabato 30 dicembre 2023 ore 17.00
domenica 14 gennaio 2024 ore 11.00
domenica 28 gennaio 2024 ore 11.00.
Per la partecipazione non è richiesta la prenotazione, ingresso con biglietto museo.

Nata da una collaborazione fortemente voluta dal Settore Musei Civici Bologna con il Museo Carlo Zauli di Faenza, l’esposizione viene presentata alle Collezioni Comunali d’Arte per una doppia valenza simbolica: non solo in quanto il museo situato nel cuore di Palazzo d’Accursio espone le opere che ornavano gli uffici delle magistrature cittadine, oltre a molti altri oggetti d’arte raccolti dal Comune di Bologna grazie ad acquisti e donazioni avvenute nel corso dell’Ottocento e del primo Novecento, ma anche in quanto la Sala d’Ercole dello stesso Palazzo Comunale ha accolto, nel 1998, la personale Carlo Zauli: trent’anni di scultura,a cura di Andrea Emiliani e Claudio Spadoni. Il legame di Zauli con Bologna è stato particolarmente significativo, come testimoniano le opere realizzate su commissione istituzionale Stele Grande Rilievo per la Facoltà di Lettere e Filosofia e Altorilievo per la sede della Regione Emilia-Romagna.

IMMANENTE. L’arte di Faenza riplasmata dall’acqua è la prima espressione progettuale di una convenzione sottoscritta tra Settore Musei Civici Bologna e Museo Carlo Zauli per la realizzazione di attività di ricerca, artistiche, culturali, didattiche, divulgative, partecipative che possano contribuire alla ricerca, valorizzazione, divulgazione e innovazione della cultura della ceramica e delle arti.

La mostra IMMANENTE. L’arte di Faenza riplasmata dall’acqua è parte di Festivamente, il cartellone curato dal Settore Cultura e Creatività del Comune di Bologna per le festività 2023-2024 che invita a vivere insieme il periodo delle feste in città, all’insegna della cultura, dell’arte e della socialità.


Il Museo Carlo Zauli è tra le istituzioni culturali più colpite dall’alluvione avvenuta il 16 maggio 2023. Fondato nel 2002 da Matteo, Monica e Laura, il museo è dedicato al loro padre Carlo Zauli, scultore ceramista noto in tutto il mondo e scomparso in quello stesso anno. Nei suoi 21 anni di attività, il museo è sempre stato un luogo amatissimo da tutta la comunità faentina e dagli amanti di ceramica e di arte contemporanea, oltre ad essere casa per artisti e studenti in residenza. Molte sculture di Carlo Zauli, di grande importanza storica, e diverse opere della collezione degli artisti contemporanei sono state gravemente danneggiate e, per tutte loro, occorreranno importanti e costosi lavori di restauro. Per ricostruire gran parte degli spazi espositivi e dei laboratori e rifornire le attrezzature perdute e gli impianti devastati, il museo ha attivato una campagna di raccolta fondi sulla piattaforma GoFundMe dove è possibile donare un importo di entità libera.


Mostra
IMMANENTE. L’arte di Faenza riplasmata dall’acqua

A cura di
Matteo Zauli e Eva Degl’Innocenti

Promossa da
Comune di Bologna
Settore Musei Civici Bologna | Musei Civici d’Arte Antica
Comune di Faenza
Settore Cultura, Turismo, Sport e Politiche Internazionali Unione della Romagna Faentina
Museo Carlo Zauli

Periodo
15 dicembre 2023 – 4 febbraio 2024

Inaugurazione
Giovedì 14 dicembre 2023 ore 15.00

Sede
Collezioni Comunali d’Arte
Palazzo d’Accursio | Piazza Maggiore 6, Bologna

Orari di apertura
Martedì, giovedì 14.00-19.00
Mercoledì, venerdì 10.00-19.00
Sabato, domenica e festivi 10.00-18.30
Domenica 24 dicembre 10.00-14.00
Santo Stefano (martedì 26 dicembre) 10.00-18.30
Domenica 31 dicembre ore 10.00-14.00
Capodanno (lunedì 1° gennaio) 11.00-19.00
Epifania (sabato 6 gennaio) 10.00-18.30
Chiuso Natale (lunedì 25 dicembre)

Ingresso

Intero € 6 | ridotto € 4 | ridotto speciale 19-25 anni € 2 | gratuito possessori Card Cultura
Biglietto integrato Collezioni Comunali d’Arte e Torre dell’Orologio: intero € 8 | ridotto € 5

Informazioni
Collezioni Comunali d’Arte
Palazzo d’Accursio | Piazza Maggiore 6 | 40121 Bologna
Tel. +39 051 2193998
museiarteantica@comune.bologna.it
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Settore Musei Civici Bologna
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Ufficio Stampa Settore Musei Civici Bologna
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Palermo, Museo Riso-Cappella dell’Incoronata: La gravità delle forze nascoste di Sasha Vinci

Sasha Vinci, La gravità delle forze nascoste, 2023
Crediti fotografici Sasha Vinci, Luigi Nifosì, Gianni Mania

A cura di Serena Ribaudo

Opening: 20 dicembre 2023 ore 18

Fino al 20 gennaio 2024

Cappella dell’Incoronata
Via Incoronazione, 11 – Palermo

Alla Cappella dell’Incoronata, una delle sedi del Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo, dal 20 dicembre 2023 al 20 gennaio 2024 l’artista siciliano Sasha Vinci presenta per la prima volta “La gravità delle forze nascoste“, un progetto inedito a cura di Serena Ribaudo dedicato interamente a Palermo, al suo tessuto urbano e sociale. Vinci, noto per le sue audaci sperimentazioni sulla contemporaneità, crea opere che parlano con profondità alla realtà odierna, affrontando le distanze, le paure e le contraddizioni che caratterizzano il presente. Attraverso uno sguardo trasversale, l’artista indaga sulle fratture di questo momento storico, riconsiderando i rapporti tra la natura, l’essere umano contemporaneo e il suo ambiente sociale, con l’obiettivo di acquisire una nuova coscienza etica, estetica e politica, aprendo le porte a nuove prospettive di comprensione e di interazione con il mondo che ci circonda.

Ciò che distingue la ricerca artistica di Sasha Vinci è la continua sperimentazione di diversi linguaggi artistici, utilizzando media come il disegno, la scultura, l’installazione, la performance, la fotografia e il suono. In questo progetto dedicato a Palermo, questi mezzi espressivi convergono per creare un’opera d’arte totale e unica nel suo genere, che coinvolgerà gli spettatori in una straordinaria esperienza multisensoriale.

Come scrive la curatrice Serena Ribaudo: “Il lavoro di Vinci indaga con originalità, pregnanza e sentimento poetico il tessuto urbano, animico ed eterico della città di Palermo. La gravità delle forze nascoste è un omaggio al capoluogo siciliano, ai suoi profili, ai suoi cieli. Una dichiarazione d’amore ad una città, il cui ductus ardente viene simbolicamente auscultato, e decifrato, nelle sue armonie e dissonanze per essere restituito ai cittadini in una nuova forma espressiva come dono straordinario“.

L’artista afferra la gravità, già presente nel titolo stesso della mostra, come una delle forze fondamentali che condiziona corpi, animali e oggetti inanimati. Vinci esplora questa forza onnipresente che regola i moti celesti, unificando l’umanità in una condizione di inevitabile adesione. Anche l’essere umano, pur con la sua presunzione di dominio sulle altre specie, deve piegarsi a questa forza, incapace di controllarla o imprigionarla. Vinci reintroduce diverse simbologie legate alla cosmologia, alla visione platonica del mondo e alla simbologia musicale, impiegando elementi tipici della tradizione siciliana e conferendo loro nuovi significati, sia politici che sociali, risonanti nel tempo presente. La gravità diventa così una metafora potente che permea non solo l’opera di Vinci ma anche le vite di tutti noi.

Sasha Vinci, La gravità delle forze nascoste, 2023
Crediti fotografici Sasha Vinci, Luigi Nifosì, Gianni Mania

Ad arricchire la mostra sarà l’opera site-specific “NON SI DISEGNA IL CIELO / Il Canto di Palermo“. Quest’opera è parte della serie in continua evoluzione “NON SI DISEGNA IL CIELO“, avviata dall’artista nel 2015 a Volterra in Toscana. Attraverso questo progetto, Vinci crea opere sinestetiche e multisensoriali, traducendo lo skyline e le costellazioni di un luogo in armonie musicali, dando voce alla natura e al paesaggio.

Attraverso un intreccio sapiente di opere, Vinci crea una continuità tra passato e presentetra racconto sacro, mitologico e azione civile, conferendo un significato e un’importanza straordinaria per l’essere umano e il cittadino contemporaneo. L’obiettivo della ricerca artistica di Sasha Vinci è quello di creare una visione che va al di là dell’effimero e abbraccia l’essenza stessa dell’esistenza.

La Gravità delle Forze Nascoste” rivela così nuove interazioni tra i corpi, nuovi rapporti che sorgono da noi stessi e che illuminano la vita nelle sue incognite più profonde, lasciando spazio a molteplici possibilità. La gravità è un assioma inconfutabile, a cui nessuno può sottrarsi. Tuttavia, come immersi in un vortice cieco, risorgiamo per manifestarci con una nuova forma, una forma multinaturale. Questa mostra ci invita a guardare oltre la superficie delle cose, a scavare più a fondo nelle fratture del presente.

Il fondamento della ricerca di Sasha Vinci si basa sulla continua sperimentazione di differenti linguaggi artistici. Performance, scultura, disegno, pittura, scrittura, musica sono espressioni che l’artista utilizza per creare opere da cui emerge un pensiero libero che si interroga sulle problematiche dell’esistente, per giungere ad una visione ampia e plurale.  Dal 2012 al 2018 Vinci ha collaborato attivamente con l’artista Maria Grazia Galesi con la quale ha creato il duo Vinci/Galesi, dando vita alla Trilogia del possibile: un progetto di arte pubblica e sociale che coinvolgeva attivamente i cittadini e le comunità. Nel 2008 è stato l’ideatore e il fondatore di SITE SPECIFIC, una realtà indipendente gestita dall’Associazione Culturale non-profit PASS/O. Un progetto ambizioso e di ampio respiro che trasforma la città di Scicli in un Teatro Vivo, un luogo in cui la creatività contemporanea può abitare ed esistere. Nel gennaio del 2013, in collaborazione con altri professionisti, fonda S.E.M. (Spazi Espressivi Monumentali): un modello di sviluppo sostenibile che a Scicli ridisegna la gestione integrata dei monumenti, unendo contenuti culturali dell’arte e delle tradizioni a strategie economiche. Per S.E.M. Sasha Vinci ricopre il ruolo di Direttore Artistico. Da dicembre 2012 a settembre 2013 è stato Direttore Artistico del progetto CLANG. Le opere di Sasha Vinci sono state pubblicate in differenti giornali e riviste nazionali ed internazionali come Hi-Fructose Magazine, Flash Art, Artribune, Arte e Critica, Wall Street International, Exibart ed Exibart on paper, Abitare Magazine, Espoarte, Rivista Segno, Gestalt Gtk, El Pais, Diari De Girona (Dominical), Il Sole 24 ore, Panorama, L’Espresso, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano, Kairós Magazine, Famiglia Cristiana, La Sicilia, Il Giornale di Sicilia, Il Giornale di Scicli. Dal 2017 collabora attivamente con la galleria d’arte aA29 Project Room.

Serena Ribaudo si è laureata in Storia dell’arte presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo. Vive tra Palermo e Firenze. È saggista, storico dell’arte, critico d’arte. Si occupa dell’organizzazione e del coordinamento curatoriale, scientifico e tecnico di mostre d’arte contemporanea presso organismi pubblici e privati in Italia e all’estero. Ha dedicato la sua attività in particolar modo alla curatela di mostre ed eventi artistici all’interno di sedi storiche al fine di una maggiore valorizzazione del dialogo tra arte contemporanea e patrimonio artistico-architettonico del passato. Ha collaborato con numerose riviste d’ arte contemporanea tra cui Rivista Segno e Segnonline, Espoarte, Artslife, Grandi Mostre, Arte In.


INFO
TITOLO: La gravità delle forze nascoste
DI: Sasha Vinci
A CURA DI: Serena Ribaudo
QUANDO: Dal 20 dicembre 2023 al 20 gennaio 2024
OPENING: 20 dicembre 2023 ore 18
DOVE: Cappella dell’Incoronata, Via Incoronazione, 11 – Palermo
ORARI: Dal lunedì al venerdì, ore 9.00-13.00
https://www.museoartecontemporanea.it

CONTATTI
SITO: https://sashavinci.com/
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UFFICIO STAMPA
CULTURALIA DI NORMA WALTMANN

Culturalia

051 6569105 – 392 2527126
info@culturaliart.com
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Bellini, Veronese e Vicenza. I Gioielli del Rinascimento

Paolo Veronese: La Cena di San Gregorio Magno, Vicenza, Santuario di Monte Berico.
Post restauro @DeFina, Musei Civici di Vicenza.

BELLINI, VERONESE, VICENZA
I Gioielli del Rinascimento

Due capolavori assoluti della storia dell’arte universale – entrambi oggetto di recente restauro – e una Città che offre a essi il più raffinato dei contesti.

Un itinerario di bellezza.

http://www.vicenzae.org/it

Bellini, Veronese e Vicenza è un itinerario di emozioni a Vicenza, città gioiello del Rinascimento. La proposta che Comune di Vicenza – Assessorato  alla cultura, al turismo e all’attrattività e il Consorzio Turistico Vicenza è hanno messo in campo offre una esperienza che immerge, chi la vive, nell’emozione di entrare “dentro” due straordinari dipinti e godere una città che sa interpretare il Rinascimento in modo originale e altissimo.

Il “Battesimo di Cristo” di Giovanni Bellini in Santa Corona e la “La Cena di San Gregorio Magno” di Paolo Veronese, nel Santuario di Monte Berico sono le gemme da scoprire. E tra esse, e intorno a esse, una città che nelle architetture di Palladio e Scamozzi declina in modo sublime il Rinascimento.

Di emozioni i due capolavori di questo speciale itinerario ne offrono davvero molte. Per la loro assoluta qualità artistica, innanzitutto, ma anche perché ciascuno di essi stimola curiosità, interrogativi, dubbi. Oltre alla pura ammirazione estetica.

Opere incredibilmente belle, uniche, dense di significati, in parte evidenti, altri del tutto nascosti. Il Rinascimento, si sa, è stato un tempo di misteri, di messaggi chiari solo a chi aveva chiavi e conoscenze per poterli decrittare. E questo itinerario offre la meraviglia di scoprire anche cosa c’è al di là di quanto appare.

Il “Battesimo di Cristo“, grandiosa pala lignea che Vittorio Sgarbi ha definito “una delle opere d’arte più belle al mondo”, venne dipinta da Giovanni Bellini nei primissimi anni del ‘500 su incarico di un ricco mercante di tessuti che così adempieva al voto fatto prima di intraprendere un pericoloso viaggio in Terrasanta. Una sorta di sontuoso ex-voto ancora oggi ammirato, dopo oltre 500 anni, dai più fini studiosi d’arte e dai colti viaggiatori che giunti a Vicenza non possono non entrare in questo meraviglioso Tempio.

Il fulcro dell’opera è nella figura di Gesù, qui in atteggiamento sottomesso al padre. Giovanni, il Battista, fa scendere l’acqua del Giordano da una posizione che rappresenta il punto centrale tra la colomba dello Spirito Santo e il capo del Figlio. Assistono la Fede, la Speranza, la Carità in veste di bellissimi angeli, forse ritratti delle figlie del committente. I colori delle loro vesti si specchiano sull’acqua del Giordano e si riverberano sul candido perizoma del biondissimo Gesù.

Le acque, le rocce, il bruno paesaggio montuoso, popolato di cittadelle fortificate, continua nell’azzurro della cerchia di monti, sovrastata da una bruma dorata, mentre l’azzurro del cielo è dominato dal Padre e dalla colomba, centrati sul capo del Cristo. Il paesaggio, con la grotta anticipatrice del sepolcro di colui che è battezzato, unisce ricordi di Palestina alla vicinanza dei colli veneti.

Ad assistere all’evento c’è un pappagallo rosso. A dipingerlo non fu Bellini ma quell’uccello, all’epoca varietà ancora sconosciuta, venne aggiunto più tardi. Per scherzo o per trasmetterci un preciso messaggio? È uno dei tanti misteri di questa meraviglia della pittura.

La pala si inserisce mirabilmente in un altare di grande eleganza, degno del capolavoro che racchiude.

Il tutto nel contesto di una delle chiese più belle e antiche di Vicenza, la domenicana Santa Corona. Il nome deriva dalla reliquia della Sacra Spina donata da Luigi IX Re di Francia al Vescovo di Vicenza nel 1261. 

L’interno gotico, con presbiterio realizzato da Lorenzo da Bologna nella seconda metà del XV secolo, ospita, oltre al “Battesimo” di Giovanni Bellini, “l’Adorazione dei Magi” di Paolo Veronese, la “Madonna delle stelle” di Lorenzo Veneziano e Marcello Fogolino, la grande pala della “Maddalena e Santi” di Bartolomeo Montagna, la “Madonna con Bambino e Santi” di Giambattista Pittoni. Nell’abside della chiesa, il notevole coro ligneo, intagliato e intarsiato, opera di Pier Antonio dell’Abate. Poi gli affreschi quattrocenteschi di Michelino da Besozzo della Cappella Thiene. Da non mancare una vista alla cappella della famiglia Valmarana, opera di Palladio che la tradizione vuole sia stato sepolto proprio in questa chiesa, prima che i suoi resti fossero trasportati nella monumentale tomba nel cimitero cittadino. Da notare prima di uscire anche lo scenografico Altare Maggiore e all’imponente Cappella del Rosario.

Sorge sulla collina di “Monte Berico”, alta poco più di 140 metri, la grandiosa Basilica che ricorda il luogo dell’apparizione della Vergine a Vincenza Pasini, una donna che portava cibo al marito che lavorava sul colle. La Madonna prometteva la fine della peste e chiedeva che in quel luogo le fosse dedicata una chiesa. Già nel 1428, in pochi mesi, sorse la prima chiesetta tardogotica e un piccolo cenobio per ospitare una comunità religiosa dedita all’accoglienza dei pellegrini. Da allora il Santuario, unito alla città da una scalinata coperta, si è andato ingrandendo e rinnovando, per opera di diverse generazioni di architetti, tra i quali lo stesso Palladio.  In quello che è stato il grande refettorio dei monaci, nel 1572 Paolo Veronese lasciò un’opera grandiosa per dimensioni e per livello artistico: la  “Cena di San Gregorio Magno“, l’unica delle tre Cene del grande maestro a essere visibile nel luogo per la quale era stata concepita. Le altre due sono oggi musealizzate al Louvre e a Brera, a seguito delle spoliazioni napoleoniche.

Il dipinto, di dimensioni monumentali (cm 4,45 x 8,78 per un totale di circa 39 mq), è considerato uno dei capolavori della maturità del Veronese. Una elegante quinta accoglie i 12 pellegrini ospiti d’onore della cena di San Gregorio.  Un atto di carità che coinvolge anche Gesù che appare al fianco del Pontefice. La tradizione vuole che il pittore si sia ritratto nella figura vestita di giallo, rappresentata di spalle, mentre il committente dell’opera, frate Domenico Grana, zio dell’artista, comparirebbe in abito talare alla sinistra della scena principale.

L’opera non ha avuto vita facile. Nel 1811 venne trafugata dai soldati napoleonici per essere inviata alla Pinacoteca di Brera, dove restò per 6 anni prima di essere restituita a Vicenza. Il 10 giugno 1848, durante la prima guerra d’Indipendenza, le truppe austro-ungariche usarono le loro baionette per tagliare la tela in 32 pezzi. Fu lo stesso imperatore a finanziarne il restauro e a restituirla al refettorio di Monte Berico. Da qui, nel 1916, partì per Firenze per allontanarla dal vicino fronte di guerra.     

Si è da pochissimo concluso un ulteriore intervento sull’opera, affidato a Valentina Piovan, che ha ridato vita a questo capolavoro, oggi meglio godibile anche grazie al nuovo sistema di illuminazione messo in atto. La Cena veronesiana non è l’unico capolavoro d’arte custodito nel Santuario retto dai Servi di Maria e meta continua di pellegrinaggi. Di interesse anche artistico è innanzitutto l’effige della Vergine, notevoli anche le tele cinquecentesche del Maganza e quella del Carpioni. Inoltre merita un approfondimento il nuovo percorso museale inaugurato lo scorso anno https://www.monteberico.it/museo-darte-sacra/ .

Da non mancare, una volta quassù, uno sguardo verso la pianura, con una visione imperdibile della celebre Rotonda palladiana.

Dal piazzale del Santuario, il più bel belvedere su Vicenza dominata dall’altra Basilica, quella laica, meravigliosa creazione di Andrea Palladio. Che, inventando un meraviglioso involucro, condusse al più bel rinascimento un imponente edificio gotico. Ed è nella Vicenza del Palladio e dello Scamozzi che prende forma l’itinerario della città rinascimentale. Con un punto di avvio davvero magico, il Teatro Olimpico, dove i due grandi architetti, insieme, hanno saputo creare qualcosa di unico al mondo.


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In mostra a Trieste oltre 200 reperti archeologici per far conoscere il popolo degli Istri

Histri in Istra – Conferenza stampa – ph Matteo Prodan

In mostra a Trieste e per la prima volta in Italia, oltre 200 reperti archeologici per far conoscere il popolo degli Istri

Oltre 200 reperti archeologici per scoprire il popolo che ha dato il nome alla penisola istriana e che ne ha abitato le terre fino alla caduta del centro fortificato di Nesazio nel 177 a.C.: si possono ammirare da venerdì 15 dicembre 2023 al Museo di Antichità “J.J. Winckelmann” di Trieste, esposti per la prima volta in Italia per la mostra “Histri in Istria”, realizzata dalla Comunità Croata di Trieste/Hrvatska Zajednica u Trstu insieme al Museo Archeologico dell’Istria/Arheološki Muzej Istre u Puli, in coorganizzazione con il Comune di Trieste.

Curata da Martina Blečić Kavur, Univerza na Primorskem/Università del Litorale Koper/Capodistria, la mostra è allestita nel Museo di piazza della Cattedrale 1, nelle sale al secondo piano, ed è volta a diffondere la conoscenza dell’antico popolo di origini indoeuropee che ha abitato la penisola istriana durante l’età del bronzo. “HISTRI IN ISTRIA” resterà aperta al pubblico fino al 1 aprile 2024, da martedì a domenica, dalle h. 10.00 alle h.17.00.

L’inaugurazione ufficiale, nel pomeriggio, vede la presenza del Sindaco di Trieste Roberto Dipiazza insieme all’Assessore alle politiche della Cultura e del Turismo Giorgio Rossi, del Vice Sindaco di Pola Bruno Cergnul, del Presidente della Comunità Croata di Trieste Damir Murkovic, della referente per il Museo Archeologico dell’Istria Maja čuka, del Responsabile dei Musei Storici e Artistici del Comune di Trieste Stefano Bianchi e della Conservatrice del Museo d’Antichità “J.J. Winckelmann Marzia Vidulli Torlo.  

Histri in Istra – Allestimento – ph Matteo Prodan

“Prosegue il dialogo virtuoso tra le contermini regione istriana e il Friuli Venezia Giulia su iniziativa della Comunità Croata di Trieste e in sinergia con il Comune di Trieste” – afferma l’Assessore alle politiche della Cultura e del Turismo, Giorgio Rossi. “Un percorso favorito dalla Comunità Croata di Trieste e condiviso con importanti realtà museali della Croazia” – conclude Rossi – “a garanzia della qualità dei progetti culturali transfrontalieri che l’Amministrazione comunale di Trieste coorganizza con entusiasmo e attenzione”.

“Attraverso la realizzazione di questo progetto” – afferma Damir Murkovic, presidente della Comunità Croata di Trieste/Hrvatska Zajednica u Trstu – “abbiamo voluto fornire un importante contributo conoscitivo e culturale a un pubblico eterogeneo: agli appassionati di preistoria e archeologia e, più in generale a tutti coloro che amano l’arte; ci rivolgiamo soprattutto ai ragazzi e agli studenti, che potranno cogliere in questi reperti elementi di riflessione per la loro crescita culturale e umana. Si tratta del secondo dei tre eventi espositivi che la Comunità Croata di Trieste/Hrvatska Zajednica u Trstu sta realizzando in coorganizzazione con il Comune di Trieste e, in quest’occasione, con il Museo Archeologico dell’Istria (AMI) di Pola/Arheološki Muzej Istre u Pulicon il sostegno della Regione Friuli-Venezia Giulia. La prima mostra – ricorda Murkovic – allestita da novembre 2018 a febbraio 2019, era dedicata al popolo degli Iapodes o Giapidi – “Iapodes. Il misterioso popolo degli altipiani dell’Europa centrale” – e ha fatto registrare oltre 8000 visitatori. L’appuntamento conclusivo sarà quello con i Liburni, ai quali verrà dedicata una mostra prevista nel 2024/2025″.

“Desidero dedicare questa mostra alla nostra ex-curatrice Kristina Mihovilić” – sottolinea Darko Komšo, direttore del Museo Archeologico dell’Istria/Arheološki Muzej Istre u Puli – “che l’anno scorso ci ha lasciato. L’idea di organizzare una grande mostra sugli Istri è stata sua e l’abbiamo realizzata nel 2013 a Pola e successivamente a Medolino. Oggi la inauguriamo a Trieste, prima città al di fuori della Croazia a ospitare una mostra sulla civiltà degli Istri. Gli Istri hanno segnato la storia dell’Adriatico settentrionale nell’età del ferro, non solo dell’Istria ma di un territorio molto più vasto, che comprendeva luoghi dell’attuale Friuli-Venezia Giulia”.

“La cultura dell’età del ferro degli Istri” – illustra la curatrice della mostra, Martina Blečić Kavur – si può correttamente definire come una civiltà. Si tratta di un popolo che ha ottenuto il suo giusto posto sulla scena storica, ma anche di un popolo che ha avuto un ruolo importante nelle correnti culturali non solo del nord Adriatico e del suo entroterra, ma anche di tutto il bacino adriatico. Il loro patrimonio archeologico è davvero impressionante, ricco e splendido. Attesta sia lo status della popolazione stessa, sia i contatti culturali con i popoli del mondo antico, specialmente con gli Italici e i Greci. L’abbondanza di oggetti di cultura materiale ci introdurranno nel magico mondo degli Histri in Istria. La mostra comprende dunque ciò che al momento sappiamo degli Istri, della loro cultura del vivere, resa attraverso i riti e le regole di sepoltura, e rispecchiata specularmente da oggetti rappresentativi della loro ricca cultura materiale.”

“Il Museo d’Antichità J.J. Winckelmann ospita con grande piacere la mostra sugli Istri” – afferma Marzia Vidulli Torlo, Conservatore del Museo d’Antichità “J.J. Winckelmann” – “seconda tappa della trilogia dedicata ai popoli protostorici della Croazia, dopo quella sugli Iapodes proveniente dal Museo di Zagabria. In questa occasione i materiali della mostra arricchiscono il museo appartenendo alla stessa koinè culturale e si inseriscono, non solo fisicamente, tra le sale trovando corrispondenza in quelli del percorso espositivo, riflettendo forme e decorazioni. Infatti, per ragioni storiche, le prime ricerche e i primi scavi in Istria sono stati condotti dai curatori e direttori dei musei triestini, fin dal 1904 quando, in località Pizzughi/Picugi, Carlo Marchesetti indagò le necropoli di tre castellieri posti in vista del mare presso Parenzo/Poreč e questi reperti sono esposti permanentemente in una sala del primo piano”.

Histri in Istria – ph. Matteo Prodan

La mostra sugli Istri, realizzata in collaborazione con il Museo Archeologico dell’Istria di Pola/Arheološki Muzej Istre u Puli e in coorganizzazione con il Comune di Trieste, è al suo primo allestimento in Italia. È incentrata su storia, usi e costumi degli Istri, il popolo che ha dominato la vicina penisola istriana dal XII secolo a.C. fino alla definitiva conquista romana avvenuta nel 177 a.C. Attraverso un percorso visuale ed espositivo, allestito nelle sale al secondo piano del Museo di Antichità “J.J. Winckelmann” di Trieste, i visitatori possono ammirare oltre 200 reperti, tra i più significativi del patrimonio artistico e culturale istriano, che sono stati oggetto di allestimento nel 2013 nello spazio espositivo “Sacri Cuori” a Pola.

I reperti presentati sono il risultato di lunghe attività di ricerca e di attenti scavi archeologici nelle ricche necropoli e tombe degli Istri: provengono da tutta l’Istria, ma soprattutto dalla capitale del regno degli Istri, Nesazio, e poi da Pizzughi e dal Castelliere di Leme. Sono oggetti che ci parlano degli usi e costumi di questo popolo e della sua cultura dell’aldilà. Fulcro della mostra è la tomba esplorata nelle fondamenta del tempio romano B, nel 1981 a Nesazio, ricca di materiale archeologico. Tra i reperti certamente oggetto di interesse per i visitatori si segnalano le situle e un esemplare di imbarcazione che si fa risalire al 1200 a.C.

L’arte della situla: le situle sono vasi di bronzo con decorazioni floreali o raffiguranti momenti di vita quotidiana, come la caccia o le battaglie navali. Un’arte di cui si trovano testimonianze non solo in Istria ma anche in Slovenia e nel nord Italia, tra i Veneti e le popolazioni alpine, e in Europa centrale.

La nave degli Istri: rinvenuta 10 anni fa a due metri di profondità nel mare di Zambrattia, un villaggio del comune di Umago nell’Istria del nord, rappresenta uno dei più antichi esemplari di imbarcazione del Mediterraneo. Lunga circa 10 metri, è fatta risalire al 1200 a.C., è uno dei pochi esempi rappresentativi di una tecnica di costruzione utilizzata in un’epoca così antica: l’imbarcazione è costruita senza chiodi e le sue tavole di legno sono assemblate soltanto con cordame.

Curatrice della mostra è Martina Blečić Kavur, Univerza na Primorskem/Università del Litorale Koper/Capodistria.
Conservatore del Museo d’Antichità J.J. Winckelmann: Marzia Vidulli Torlo.
Identità visiva e allestimento di Vjeran Juhas.

Accompagneranno la mostra una serie di eventi collaterali che si svolgeranno presso la Sala Bobi Bazlen di Palazzo Gopcevich da metà gennaio a fine marzo.


Le prime ricerche e i primi scavi in Istria sono stati condotti dai curatori e direttori dei musei triestini; così nel 1904 in località Pizzughi/Picugi, Carlo Marchesetti indagò le necropoli di tre castellieri posti in vista del mare presso Parenzo/Poreč e questi reperti sono esposti permanentemente in una sala del primo piano.

Sono stati poi Alberto Puschi e Piero Sticotti, ambedue direttori del Museo d’Antichità di Trieste, a compiere nei primi decenni del Novecento le prime indagini archeologiche nel sito di Visazze/Vizače, ritrovando la prova che lì era lo storico oppido di Nesazio, quello ricordato da Tito Livio quando narrava la seconda Guerra Istrica, che portò alla conquista romana di tutta l’Istria (testimoniato dal ritrovamento dell’iscrizione dedicata a Gordiano III da parte della Res Publica Nesactiensium). Una selezione dei materiali allora ritrovati e che subito tratti dallo scavo costituirono il nascente museo di Pola, accanto ad altri di scavi più recenti, compongono le sezioni della mostra ospitate al secondo piano.

I materiali della mostra trovano inoltre ancora un’altra corrispondenza con quelli esposti dal museo e nello specifico con la sezione dei vasi Magnogreci: questi ultimi provengono dal collezionismo triestino ottocentesco, in un naturale rapporto di contatti marittimi mercantili. La mostra degli Istri documenta come la relazione tra la Puglia e l’alto Adriatico trovi eco però già nel primo millennio avanti Cristo testimoniata dai vasi di produzione apula rinvenuti in tombe di Nesazio del V-IV secolo a.C., ma già anche nei quattro secoli precedenti.


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Messina, Art Project – “Urban Siciliology: un primo sguardo urbano a ciò che sarà”

Prenderà il via il prossimo 15 dicembre, alle ore 17.30, la mostra dedicata all’Urban Art presso la Galleria “Zancle Art Project” di via Legnano 32 a Messina, dove verranno esposte alcune opere di muralisti siciliani. “Urban Siciliology: un primo sguardo urbano a ciò che sarà”, visitabile fino al 20 gennaio, è un’importante anteprima, realizzata dalla Galleria Zancle Art Project con la collaborazione di Alessia Tommasini. Il nuovo linguaggio artistico contemporaneo, legato alla street art, è un mondo che Zancle Art Project vuole esplorare, organizzando una serie di iniziative nella città di Messina e non solo, a partire dal 2024. “Con entusiasmo condividiamo il nostro viaggio con Zancle Art Project, – ha dichiarato Giovanni Cardillo, Direttore Artistico della Galleria – un audace tentativo di illuminare il tessuto culturale di Messina, una città dalla storia millenaria che, secondo noi, è in attesa di riscattarsi, soprattutto puntando sull’arte contemporanea e, in questo caso, sulla street art. In questa impresa avvincente, affrontiamo la sfida di plasmare Messina in un centro culturale, una città che, sebbene non abituata a essere una tela per l’arte, custodisce un potenziale straordinario. Il nostro impegno nella trasformazione sociale attraverso l’arte è come una fiamma ardente, alimentata dalla volontà di catalizzare l’energia creativa della comunità e unirla in una nuova esperienza culturale. Ci impegneremo a superare le sfide e a trasformare gli ostacoli in trampolini di lancio verso la contemporaneità, la creatività e l’ispirazione”. La mostra è patrocinata dall’Ordine degli Architetti della Provincia di Messina e la Fondazione Architetti nel Mediterraneo di Messina. Gli artisti presenti con le loro opere sono: Giuliorosk, Kuma, NessunoNettuno, Domenico Pellegrino, Igor Scalisi Palminteri.


Da Mariateresa Zagone mtzagone@gmail.com