Alla mostra su Milani al Roncale ci sarà anche Chendi, l’enfant prodige della pittura polesana

Edoardo Chendi: Ritratto di Vittorio Milan, 1946

VIRGILIO MILANI
e l’Arte del ‘900 in Polesine

Rovigo, Palazzo Roncale

25 marzo – 25 giugno 2023

Mostra promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, da un’idea di Sergio Campagnolo. A cura di Alessia Vedova.

Vernice per la Stampa: venerdì 24 marzo, ore 11

Alessia Vedova, curatrice della attesa mostra “Virgilio Milani e l’Arte del ‘900 in Polesine”, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, annuncia che nel percorso espositivo sarà presente anche un’opera di Edoardo Chendi (1906 – 1993), l’artista che esattamente cent’anni fa debuttò  alla collettiva d’arte organizzata dall”Accademia dei  Concordi. Aveva solo 14 anni!

Il dipinto di Chendi scelto dalla curatrice per essere esposto nella mostra al Roncale è Il “Ritratto di Vittorio Milan“, opera del 1946. Il ritratto, uno dei tre esistenti eseguiti da Chendi dopo il 1945,   ritrae   il pittore Vittorio Milan alla età di 26 anni.  L’opera è già stata ammirata   nel 1997 nell’antologica del pittore rodigino allestita all’ex Pescheria a Rovigo. “In essa – afferma Alessia Vedova –s piccano le doti di esecuzione rapida e fluida del medium pittorico con toni chiaroscurali caldi assimilabili al colore sangue di bue. Le qualità di ritrattista dell’artista era notevole essendo uno dei più meritevoli allievi di Giorgio Morandi a Bologna”. 

In catalogo a ripercorrere la vicenda di Chendi è Lucio Scardino, autore di un saggio sulla Pittura Polesana dal 1915 al 1945 che sarà nel catalogo della mostra.  

“Chendi, vero e proprio enfant prodige, dopo il folgorante esordio alla mostra, “prese a frequentare l’Accademia di Belle Arti a Bologna, dove fu allievo di Majani e di Morandi, il cui influsso trapela in alcuni paesaggi polesani o emiliani, dall’atmosfericità costruita sapientemente con il  tonalismo e nella resa, quasi impercettibile, della luce e del colore. Altri maestri bolognesi lo influenzarono: dal Romagnoli, in alcuni nudi matericamente sfatti a Drei, per talune sculture.

Sono però i ritratti d’anteguerra a costituire forse le sue opere più significative, specie quelli degli amici artisti: Virgilio Milani, Vittorio Milan, il romagnolo Enzo Morell (frescante nel Cimitero dei Sabbioni), Estevan Fioravanti, giovane fratello di Ervardo  e il senile Pinelli con la sciarpa rossa, compongono una intensa galleria  dove i gesti semplici, i  sentimenti espressi dallo sguardo, gli abiti,  gli oggetti assurgono a una sorta di “metafisica del quotidiano”,  poeticamente trasfigurata.

Oltre all’amore per  pittura, Chendi rivelò sin da giovane un forte impegno politico, che lo portò ad un deciso antifascismo,  tanto che venne condannato all’esilio in Lucania, a Pisticci, dove restò tra il 1937 al 1941, continuando a dipingere con qualità costante  ma – logicamente – non potendo più esporre. Un  significativo epigono locale  di Carlo Levi, insomma…”.


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Roma: Dal 25 marzo al Museo Bilotti (Villa Borghese) Pericle Fazzini, lo scultore del vento”

Ridotto-1947, Artista nello studio con Sibilla, Cavallo e Busto d’uomo, crediti Oscar Savio

“Pericle Fazzini, lo scultore del vento”

Al Museo Carlo Bilotti di Villa Borghese la mostra dopo trent’anni, in occasione del 110° anniversario della sua nascita

Dal 25 marzo un percorso nella poetica dell’artista della Resurrezione vaticana attraverso una selezione di circa 100 opere

A cura di Alessandro Masi con Roberta Serra e Chiara Barbato

Dal 25 marzo al 2 luglio 2023 il Museo Carlo Bilotti, Aranciera di Villa Borghese (Roma) ospita la mostra “Pericle Fazzini, lo scultore del vento”, a cura di Alessandro Masi, con Roberta Serra e Chiara Barbato, e i contributi in catalogo di Bruno Racine, Claudio Strinati e Salvatore Italia.

L’esposizione, promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali; dalla Fondazione e Archivio Storico “Pericle Fazzini”, presenta una selezione di circa 100 opere dell’artista tra sculture, bozzetti, disegni e grafiche. L’ingresso al museo è gratuito, i servizi museali sono di Zètema Progetto Cultura.

Le opere di Pericle Fazzini, “lo scultore del vento“, come lo definì il grande poeta Giuseppe Ungaretti, tornano finalmente in mostra a Roma dopo trent’anni, in occasione del 110° anniversario della sua nascita. La mostra, curata dallo storico dell’arte Alessandro Masi, in collaborazione con Roberta Serra e Chiara Barbato, ripercorre l’intera vita creativa del maestro marchigiano, attraverso sculture di piccola e grande dimensione – fra legni, bronzi e gessi – disegni e opere grafiche: dalle prime prove degli anni Trenta e Quaranta come il “Giovane che declama” (1937-38) e la “Sibilla” (1947) fino ai bozzetti originali della “Resurrezione” della sala Pier Luigi Nervi in Vaticanoultimo cantiere di un artista unico dopo la Cappella Sistina di Michelangelo. Di particolare interesse sono il “Ritratto di Anita” (1933), il “Ritratto di Sibilla Aleramo” (1947), l'”Uomo che urla” (1949-50) e il “Profeta” (1949), quest’ultimo raramente esposto.

Pericle Fazzini, Ritratto di Sibilla Aleramo, 1947, gesso policromo, cm 64x43x51,5, Collezione eredi Fazzini, ph. ©Massimo Napoli

Il percorso dell’artista, autore tra i più apprezzati della “Scuola romana”, nato a Grottammare (AP) il 4 maggio del 1913 e morto a Roma il 4 dicembre del 1987, si inserisce tra le più alte testimonianze dell’arte sacra del XX secolo. Il suo anelito alla bellezza come svelamento del Divino segna una svolta nella ricerca plastica contemporanea traducendo il testo sacro delle Scritture in una forma dialogante tra Fede e Arte.

Figlio di un povero falegname piceno, Pericle Fazzini conobbe la sua fama grazie al poeta Mario Rivosecchi che lo introdusse negli ambienti della Roma dei Mafai, Scipione, Mazzacurati, Ziveri e della gallerista Anna Laetitia Pecci Blunt (Galleria La Cometa), che impressero una svolta all’arte in senso espressionista e antiretorico contro ogni forma d’arte di regime e celebrativa del fascismo.

Pericle Fazzini, Donna nella tempesta, 1932 (1970), bronzo, 155x79x161 cm, Collezione eredi Fazzini

Conservate nei maggiori musei di tutto il mondo, le sculture di Fazzini trovano spazio in importanti collezioni private e pubbliche come il Moma di New York, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, la Guggenheim Collection di Venezia, il Centre Pompidou di Parigi e il Momat di Tokyo.

Un ricco e informato catalogo (De Luca Editore d’Arte) riporta i testi di Alessandro Masi, Bruno Racine, Claudio Strinati, Salvatore Italia, Roberta Serra e Chiara Barbato. Legato all’evento espositivo e di prossima pubblicazione anche un secondo volume, dedicato agli scritti di Fazzini, a cura dello storico della lingua italiana Giulio Ferroni.


INFO
Mostra: Pericle Fazzini, lo scultore del vento
Dove     : Roma, Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese
Quando : 25 marzo – 2 luglio 2023
Inaugurazione: 24 marzo ore 17.00 – 19.30 (ultimo ingresso mezz’ora prima della chiusura)
Promossa da: Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, Fondazione e Archivio Storico “Pericle Fazzini”
Patrocini: Ministero della Cultura, Dicastero della Cultura e l’Educazione del Vaticano. Patrocinio “secondario” Aitart 
 
A cura di Alessandro Masi con Roberta Serra e Chiara Barbato
 
Orari:
dal 25 marzo fino al 31 maggio gli orari sono:
martedì – venerdì ore 10.00 – 16.00
sabato e domenica ore 10.00 – 19.00
 
dal 1 giugno al 2 luglio;
martedì – venerdì ore 13.00 – 19.00 
sabato e domenica ore 10.00 – 19.00Ultimo ingresso mezz’ora prima della chiusura
 
Biglietti: Ingresso gratuito
 
Info 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00); 
www.museocarlobilotti.it;
www.museiincomuneroma.it
www.periclefazzini.it
Instagram: @fondazione_periclefazzini
Facebook: @FondazioneArchivioFazzini
Catalogo: De Luca Editore
Contributi video: Francesco Masi
Comunicazione: Paolo Conti

Ufficio stampa 
Valerio De Luca e Melina Cavallaro

Sponsor GEM elettronica

Messina, Mondadori Bookstore: Si inaugura la mostra “Anatomia dell’anima. Le forme dell’essere” dell’artista Vincenzo Magro a cura di Mariateresa Zagone

VOLTO MASCHILE CUFFIA BLU

Sabato 25 marzo, alle ore 18,30 presso i locali della Mondadori Bookstore di via Consolato del Mare 35 a Messina, si inaugura la mostra Anatomia dell’anima. Le forme dell’essere dell’artista Vincenzo Magro a cura di Mariateresa Zagone.

L’artista palermitano espone per la prima volta a Messina e presenta 14 volti e corpi in cui la materia della grafite vibra sul supporto ma il cui disegno anatomico perfetto non traduce sembianze di persone reali quanto, piuttosto, segue parametri ideali quindi, mentali, costruendo proporzioni classiche astratte in cui la fissità del disegno impeccabile dialoga con le parti non finite creando un cortocircuito stilistico e iconografico.

Vincenzo Magro parte dal disegno e, un po’ per istinto, un po’ perché la ricerca lo guida costantemente, realizza volti e corpi in cui l’anatomia da manuale dialoga, come detto, con parti appena accennate, volti fermati in attimi che però rimangono sospesi in un non tempo, in un non spazio grazie a sfondi colorati che non li contengono e da cui fuoriescono, a ricordarci che la simmetria e la perfezione sono solo il frutto dell’illusione della mente.

La mostra sarà aperta tutti i giorni, dal lunedì al sabato, fino all’8 aprile
dalle ore 9,00 alle 13,00 e dalle ore 16,00 alle 20,00.

Conegliano, Palazzo Sarcinelli: Vivian Maier. Shadows and Mirrors

VIVIAN MAIER.
Shadows and Mirrors

Conegliano, Palazzo Sarcinelli
23 marzo – 11 giugno 2023

Mostra a cura di Anne Morin in collaborazione con Tessa Demichel e Daniel Buso. Organizzata da ARTIKA in sinergia con diChroma Photography e la Città di Conegliano.

Vernice per la Stampa: giovedì 23 marzo, ore 11

La mostra “Vivian Maier. Shadows and Mirrors”, composta da 93 autoritratti, racconta la grande fotografa e la sua ricerca incessante di trovare un senso e una definizione del proprio essere. L’esposizione è in programma presso Palazzo Sarcinelli a Conegliano, dal 23 marzo al 11 giugno 2023. La mostra, a cura di Anne Morin in collaborazione con Tessa Demichel e Daniel Buso, è organizzata da ARTIKA, in sinergia con diChroma Photography e la Città di Conegliano.

“Un ritratto non è fatto nella macchina fotografica. Ma su entrambi i lati di essa”, così il fotografo Edward Steichen riassumeva il principio della fotografia. Un processo creativo che ha origine dalla visione dell’artista e che si concretizza solo in un secondo tempo nello scatto. Nel caso di Vivian Maier: il suo stile, i suoi autoritratti, hanno origine da una visione artistica al di qua dell’obiettivo fotografico. Per lei fotografare non ha mai significato dar vita a immagini stampate e quindi diffuse nel mondo, quanto piuttosto un percorso di definizione della propria identità.

La mostra ripercorre l’opera della famosa tata-fotografa che, attraverso la fotocamera Rolleiflex e poi con la Leica, trasporta idealmente i visitatori per le strade di New York e Chicago, dove i continui giochi di ombre e riflessi mostrano la presenza-assenza dell’artista che, con i suoi autoritratti, cerca di mettersi in relazione con il mondo circostante.

Vivian Maier fotografò per più di quarant’anni, a partire dai primi anni ’50, pur lavorando come bambinaia a New York e a Chicago. Spese la sua intera vita nel più completo anonimato, fino al 2007, quando il suo corpus di fotografie vide la luce. Un enorme e impressionante mole di lavoro, costituita da oltre 120.000 negativi, film in super 8 e 16mm, diverse registrazioni audio, alcune stampe fotografiche e centinaia di rullini e pellicole non sviluppate. Il suo pervasivo hobby finì per renderla una delle più acclamate rappresentanti della street photography. Gli storici della fotografia l’hanno collocata nella hall of fame, accanto a personalità straordinarie come Diane Arbus, Robert Frank, Helen Levitt e Garry Winograd.

L’allestimento di Palazzo Sarcinelli esplora quindi il tema dell’autoritratto di Vivian Maier a partire dai suoi primi lavori degli anni ’50, fino alla fine del Novecento. Un nutrito corpus di opere caratterizzato da grande varietà espressiva e complessità di realizzazione tecnica. Le sue ricerche estetiche si possono ricondurre a tre categorie chiave, che corrispondono alle tre sezioni della mostra. La prima è intitolata SHADOW (l’ombra). Vivian Maier adottò questa tecnica utilizzando la proiezione della propria silhouette. Si tratta probabilmente delle più sintomatica e riconoscibile tra tutte le tipologie di ricerca formale da lei utilizzate. L’ombra è la forma più vicina alla realtà, è una copia simultanea. È il primo livello di una autorappresentazione, dal momento che impone una presenza senza rivelare nulla di ciò che rappresenta. Attraverso il REFLECTION (riflesso), a cui è dedicata la seconda sezione, l’artista riesce ad aggiungere qualcosa di nuovo alla fotografia, attraverso l’idea di auto-rappresentazione. L’autrice impiega diverse ed elaborate modalità per collocare sé stessa al limite tra il visibile e l’invisibile, il riconoscibile e l’irriconoscibile. I suoi lineamenti sono sfocati, qualcosa si interpone davanti al suo volto, si apre su un fuori campo o si trasforma davanti ai nostri occhi. Il suo volto ci sfugge ma non la certezza della sua presenza nel momento in cui l’immagine viene catturata. Ogni fotografia è di per sé un atto di resistenza alla sua invisibilità. Infine, la sezione dedicata al MIRROR (specchio), un oggetto che appare spesso nelle immagini di Vivian Maier. È frammentato o posto di fronte a un altro specchio oppure posizionato in modo tale che il suo viso sia proiettato su altri specchi, in una cascata infinita. È lo strumento attraverso il quale l’artista affronta il proprio sguardo.

“La scoperta tardiva del lavoro di Vivian Maier, che avrebbe potuto facilmente scomparire o addirittura essere distrutto, è stata quasi una contraddizione. Ha comportato un completo capovolgimento del suo destino, perché grazie a quel ritrovamento, una semplice Vivian Maier, la tata, è riuscita a diventare, postuma, Vivian Maier la fotografa”, scrive Anne Morin nella presentazione della mostra. Nelle splendide immagini in mostra al pubblico, dal 23 marzo al 11 giugno 2023, presso Palazzo Sarcinelli a Conegliano, vedremo la seconda metà del Novecento con gli occhi e negli occhi di un’icona della storia della fotografia.


Per informazioni
tel. +39 351 809 9706
mail: mostre@artika.it
 
Sito web
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Ufficio Stampa
Studio Esseci di Sergio Campagnolo
Roberta: roberta@studioesseci.net

Roma: Spazio all’Arte inaugura l’esposizione delle opere di Bruno PELLEGRINO e Nicola RIVELLI

INAUGURAZIONE Giovedì 23 Marzo, dalle 18:00 alle 21:00 – Spazio all’Arte – Via delle Mantellate 14/b.

L’esposizione proseguirà fino al 24 Aprile, aperta al pubblico dal lunedì al venerdì dalle 10,00 alle 19,00.

Per partecipare: roma@capitoliumart.it
Info e Stampa: comunicazione@capitoliumart.it

Spazio all’Arte, sede romana della Casa d’aste Capitolium Art in via delle Mantellate 14/b, presenta, giovedì 23 marzo alle ore 18:00, i due artisti Bruno Pellegrino e Nicola Rivelli.

Bruno Pellegrino
Nicola Rivelli

Bruno Pellegrino, reduce dal successo di una importante mostra al MAXXi di Roma e Nicola Rivelli, attivo tra l’Italia e la Cina, dove ha ottenuto molti riconoscimenti, realizzando tra l’altro la scultura mascotte degli XI Giochi nazionali cinesi, chiamata “Taishan Kid”, per la quale, primo artista italiano contemporaneo, è stato celebrato con una emissione filatelica.

Bruno Pellegrino è stato un esponente politico, ha ricoperto la carica di senatore dopo essere stato segretario del Club Turati a Milano. Scrittore, è autore di diversi saggi. Nicola Rivelli, uomo e artista poliedrico, ha spaziato tra il mondo imprenditoriale e quello politico, ricoprendo per sette anni la carica di deputato in Parlamento. Oltre le similitudini del loro percorso, ciò che più li accomuna è la passione per tutto quello che hanno fatto e fanno.

In mostra sei Maschere di Bruno Pellegrino, volti che sembrano interrogarsi e porre interrogativi a chi li guarda e sette Cosmic Bullets di Nicola Rivelli, a rappresentare quello che non si vede dell’Uomo, la sua essenza.


Capitolium Art Roma – Spazio all’Arte
Via delle Mantellate 14/b-00165 Roma
e-mail: roma@capitoliumart.it
tel. 06.84017189
web: capitoliumart.it

Comunicazione
e-mail: comunicazione@capitoliumart.it

Ufficio Stampa Capitolium Art

Venezia: VITTORE CARPACCIO. Riunite al Ducale le due parti “La caccia in Laguna” e “Le due Dame” di quello che sino al ‘700 era un manufatto unico 

Riunite al Ducale le due parti (“La caccia in Laguna” e “Le due Dame”)
di quello che sino al ‘700 era un manufatto unico.
La riunione è occasione per una campagna di ricerca scientifica
condotta dall’Istituto Italiano di Tecnologia con partner specializzati.

VITTORE CARPACCIO
Dipinti e disegni

Venezia, Palazzo Ducale, Appartamento del Doge

18 marzo – 18 giugno 2023

Mostra promossa dalla Fondazione Musei Civici di Venezia in collaborazione con la National Gallery of Art di Washington
A cura di Peter Humfrey, con Andrea Bellieni e Gretchen Hirschauer

L’attesa monografica “Vittore Carpaccio. Dipinti e disegni”, che sarà al Ducale (nell’Appartamento del Doge) dal 18 marzo al 18 giugno, proporrà un’opportunità davvero unica: ammirare finalmente riunite, le due parti di una scena compiuta ed unitaria, separate in circostanze sconosciute verso la fine del Settecento. Si tratta delle “Due dame” del Museo Correr, possedute a Venezia da Teodoro Correr e de “La caccia in Laguna” oggi patrimonio del Getty Museum di Malibu.

Carpaccio le aveva raffigurate entrambe su quella che, in origine, quasi certamente era un’anta di porta a soffietto posta tra due ambienti di un raffinato, privatissimo interno veneziano.

Si riforma così la conturbante scena con le due elegantissime nobildonne veneziane in annoiata attesa del ritorno dei mariti dalla caccia in laguna con archi e ‘ballotte’; una ‘storia’ psicologica raccontata da Carpaccio con sottile sensibilità e sublime fascino immaginativo (il grande storico inglese John Ruskin alla fine del secolo XIX ne fu letteralmente soggiogato).

La riunione delle due parti della magnifica opera ha anche offerto il destro per un intervento tecnologico di particolare interesse, frutto della collaborazione tra i Civici Musei di Venezia e l’Istituto Italiano di Tecnologia, con l’obiettivo di integrare con sempre maggior efficacia l’innovazione tecnologica nelle pratiche di conservazione e valorizzazione museale.

Il progetto scientifico promosso dal MUVE e dedicato alla tavola quattrocentesca vede operare in sinergia l’Istituto Italiano di Tecnologia e gli Artmen di AerariumChain, affermato gruppo di professionisti specializzati in servizi di scansione 3D e blockchain per le collezioni d’Arte.
I dati della campagna non-invasiva di analisi iperspettrale condotta da IIT verranno a integrarsi con il modello digitale 3D ad altissima risoluzione realizzato da AerariumChain, così da garantire la verifica puntuale, fronte-retro, dello stato di conservazione dell’opera al momento del suo rientro dalla fase espositiva presso la National Gallery of Art di Washington.

L’analisi iperspettrale permetterà di individuare le caratteristiche pittoriche della tavola, i pigmenti usati e la loro distribuzione, rivelando la presenza di ritocchi ed eventuali aree di degrado della superficie con riferimento alle riflettografie infrarosse e ai restauri eseguiti negli anni ’90. Le potenzialità della tecnica iperspettrale sono inoltre tali da ipotizzare la realizzazione da parte di IIT di un vero e proprio restauro pittorico virtuale che possa sfociare nella produzione di una copia fedele in stampa 3D dell’opera del Carpaccio.


Fondazione Musei Civici di Venezia
Piazza San Marco 52
30124 Venezia
+39 041 2405211
www.visitmuve.it
 
 
Contatti per la Stampa
 
Fondazione Musei Civici di Venezia
press@fmcvenezia.it
www.visitmuve.it/it/ufficio-stampa
 
In collaborazione con
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
Referente Roberta Barbaro: roberta@studioesseci.net

Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea: più di 140 opere realizzate da 39 artisti che si trovavano o si trovano in guerra

Artisti in guerra / Artists in a Time of War
Veduta dell’allestimento della mostra al / Installation view of the exhibition
at Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino
Foto / Photo Sebastiano Pellion
Courtesy Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino

Artisti in guerra / Artists in a Time of War

Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea
15 marzo / March 15 – 19 novembre / November 19, 2023

Inaugurazione / Opening: 14 marzo / March 14, 2023

A cura di / Drafted by Carolyn Christov-Bakargiev e / and Marianna Vecellio

Artisti in guerra. Da Francisco Goya a Salvador Dalí, Pablo Picasso, Lee Miller, Zoran Mušič, Alberto Burri, Fabio Mauri, Bracha L. Ettinger, Anri Sala, Michael Rakowitz, Dinh Q. Lê, Vu Giang Huong, Rahraw Omarzad e Nikita Kadan

La nuova attività espositiva 2023 del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea prende avvio al terzo piano della Residenza sabauda con la mostra collettiva a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marianna Vecellio Artisti in guerra. Da Francisco Goya a Salvador Dalí, Pablo Picasso, Lee Miller, Zoran Mušič, Alberto Burri, Iri e Toshi Maruki, Fabio Mauri, Bracha L. Ettinger, Anri Sala, Michael Rakowitz, Dinh Q. Lê (con opere tra l’altro di Le Lam, Phan Oanh, Nguyen Thu, Truong Hieu, Nguyen Toan Thi, Kim Tien, Quach Phong, Huynh Phuong Dong, Minh Phuong), Vu Giang Huong, Rahraw Omarzad e Nikita Kadan.

La mostra presenta più di 140 opere di 39 autori realizzate da artisti che si trovavano o si trovano in guerra. Empatiche, sofferte, esprimono disagio ma anche grande umanità.

La mostra prende spunto dai Desastres de la Guerra (Disastri della guerra), 1810-1815, di Francisco José de Goya y Lucientes e sviluppa il tema della guerra e della soggettività post traumatica attraverso opere storiche e nuovi progetti di importanti artisti contemporanei.
Artisti in guerra include prestiti provenienti da importanti istituzioni pubbliche e private italiane e internazionali oltre a due nuove committenze, opere inedite realizzate per l’occasione dall’artista afgano Rahraw Omarzad (Kabul, 1964), e l’artista ucraino Nikita Kadan (Kiev, 1982). Entrambi gli artisti condividono una pratica connessa a quella di promotori culturali offrendo un messaggio di grande impatto emotivo e umano oltre che sociale e politico. Originate a partire da scenari di conflitto e di profondi cambiamenti geopolitici, le loro prassi invitano a riflettere sull’importanza di trovare nell’espressione creativa narrazioni di cura e di pace.

Sostiene Francesca Lavazza, presidente del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea: “Questa mostra, ultima del percorso espositivo artistico di Espressioni che si è sviluppato negli anni, raccoglie una riflessione profonda sulla contemporaneità, grazie al lavoro degli artisti che attraverso i secoli hanno saputo raccontare le discontinuità del presente e la conflittualità, interpretata attraverso la loro personale sensibilità nel tempo che stavano vivendo. Le opere esposte riescono così a scuotere il pubblico su tematiche controverse e difficili, rappresentando gli orrori della guerra, trasversali a tutti i conflitti. Ringrazio Carolyn Christov-Bakargiev e Marianna Vecellio per questo coraggioso progetto destinato a fare riflettere la coscienza collettiva”.

IL TEMA

“I recenti conflitti internazionali ci hanno portato a creare una nuova mostra che indaga il significato della guerra”, afferma la direttrice Carolyn Christov-Bakargiev, “per chiederci come alcuni esseri umani particolarmente empatici – gli artisti – elaborino la violenza organizzata della guerra con i suoi eserciti e le sue tattiche. Ne evidenziano l’orrore e l’inesplicabilità, sospesa com’è tra calcoli razionali, da un lato, e totale imprevedibilità, dall’altro. Attraverso una serie di opere d’arte del passato e alcune nuove commissioni create da artisti che vivono la guerra oggi, questa mostra vuole aprire una discussione sulla guerra che va oltre la sua spiegazione politica ed economica come lotta di potere, oltre la sua condanna assoluta, oltre la sua giustificazione come un male minore e necessario. Invece, questa mostra cerca di guardare alla guerra da una prospettiva culturale che includa arte e filosofia. Per il filosofo greco presocratico Eraclito, l’essere si rivela nella guerra, Πόλεμος πάντων μὲν πατήρ ἐστι (polemos pantōn men patēr esti – la guerra è padre di tutte le cose). Il filosofo francese Emmanuel Lévinas, dopo la Seconda Guerra Mondiale, trascorsa in parte in un campo di prigionia tedesco, ci ricorda che l’Essere si rivela al pensiero filosofico come guerra: nel contrasto tra la finitezza della morte – più evidente nella guerra perché più frequente – e l’illimitata incommensurabilità dell’esistenza. La vita in tempo di guerra è proprio questo intervallo tra la vita e la morte, infinitamente dilatato. Attraverso l’arte, alcuni artisti in guerra trovano il modo di rimuovere se stessi dal pensiero conflittuale e di espandere all’infinito il tempo e lo spazio, anche nella vita di tutti i giorni”.


Artisti in guerra

IL PERCORSO ESPOSITIVO

Il percorso espositivo inizia nell’atrio del terzo piano, con una selezione di immagini fotografiche d’archivio provenienti dalle Collezioni della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, raffiguranti la città sabauda distrutta dai bombardamenti avvenuti durante la Seconda Guerra Mondiale (1939–1945). Le fotografie sono esposte insieme alla scultura di Ettore Ximenes (Palermo, 1855 – Roma, 1926) Il bacio di Giuda, 1884, gravemente danneggiata nelle incursioni aeree degli eserciti alleati nel 1942 e per questo allestita con la cassa contenente i suoi frammenti. È inoltre presentata in questa area l’opera di Iri e Toshi Maruki (Iri Maruki: Hiroshima, 1901–1995 / Toshiko Amakatsu Maruki: Chippubetsu, Hokkaido, 1912 – Hiroshima, 2000), testimoni diretti degli effetti delle esplosioni nucleari a Hiroshima e Nagasaki.

Nella stessa sala sono inoltre allestiti i reperti fotografici militari tratti da riviste dell’epoca che compongono l’opera concettuale Linguaggio è guerra, 1974, di Fabio Mauri (Roma, 1926–2009). Scioccato dalla scoperta dell’Olocausto, l’artista italiano fu internato in manicomio subito dopo la guerra e fino ai primi anni Cinquanta del secolo scorso in preda a crisi mistiche. A partire dalla fine degli anni Cinquanta, sviluppò un’arte basata sull’indagine tra bellezza, male, ideologia e potere. In Linguaggio è guerra, egli riflette all’inizio degli anni Settanta sul rapporto tra la manipolazione ideologica (il linguaggio) e la guerra in generale.

SALA 34

Nella Sala 34, la Guerra d’Indipendenza spagnola (1808–1814) fa da sfondo ai Desastres de la Guerra (Disastri della guerra), 1810-1815, prima edizione 1863, di Francisco José de Goya y Lucientes (Fuendetodos, 1746 – Bordeaux, 1828), il celebre ciclo di 80 incisioni realizzate nel periodo segnato dal conflitto con gli invasori napoleonici francesi. I primi piani di corpi e volti martoriati dalle sofferenze rappresentati da Goya sono allestiti in dialogo con le opere dell’artista sloveno Anton Zoran Mušič (Boccavizza, 1909 – Venezia, 2005) il quale negli anni Trenta prima della guerra aveva avuto modo di ammirare e studiare le opere di Goya a Madrid. Mušič è uno dei pochi artisti moderni ad aver vissuto in prima persona l’orrore della Seconda Guerra Mondiale. Internato nel campo di Dachau nel novembre 1944 perché aveva rifiutato di arruolarsi nelle SS, di Mušič, oltre a un cospicuo numero di opere della serie Nous ne sommes pas les derniers (Noi non siamo gli ultimi), 1970-1988, saranno presentati anche i primissimi disegni realizzati a Dachau nella primavera del 1945.

SALA 35

La Seconda Guerra Mondiale è indagata anche nella Sala 35 attraverso una selezione di opere poste in dialogo con il dipinto Tête de femme (Testa di donna), 1942, di Pablo Picasso (Malaga, 1881 – Mougins, 1973) realizzato in pieno conflitto e che deriva in parte dal celebre dipinto Guernica, 1937, con cui condivide l’uso di una tavolozza di neri e di grigi. Il viso straziato e diviso in due della figura dell’artista e amica Dora Maar (Parigi, 1907–1997) probabile soggetto del ritratto, assomiglia inoltre a figure femminili raffigurate in Guernica. La grande tela fu realizzata nella primavera 1937 in memoria del tragico bombardamento aereo della cittadina basca, avvenuto a opera dell’aviazione nazi-fascista il 26 aprile 1937. Picasso denunciava gli orrori della Guerra civile spagnola e criticava aspramente la condotta del generale Francisco Franco.

La tela fu esposta in quello stesso anno nel padiglione della Spagna repubblicana presso l’Esposizione Internazionale di Parigi. Divenne presto un simbolo di denuncia contro ogni forma di conflitto e prevaricazione, come dimostra la sua travagliata odissea, che, dalla chiusura dell’Esposizione di Parigi, la vide impegnata in numerose tournée tra Europa, Stati Uniti e Sud America. Dal 1940, a seguito dello scoppio della guerra, Picasso affidò la tela alle cure del Museum of Modern Art di New York per evitare che Franco ne rivendicasse la proprietà. Soltanto nel 1981 l’opera poté finalmente fare rientro in Spagna, al Museo del Prado di Madrid, per poi passare, nel 1992, nell’attuale sede del Museo Reina Sofía.

I libri con rare e uniche legature di Pierre-Lucien Martin della Collezione Cerruti Solidarité. Poème, 1938, e Au rendez-vous allemand, 1944, del poeta surrealista francese Paul Éluard (Saint-Denis, 1895 – Charenton-le-Pont, 1952) sono altresì in mostra. Solidarité è pubblicato nell’aprile 1938 con un corredo di sette acquetinte e acqueforti di artisti antifascisti, tra i quali Pablo Picasso, Joan Miró e Yves Tanguy. Il volume, i cui ricavi delle vendite sono destinati al sostegno dei combattenti repubblicani della Guerra civile spagnola, si apre con la poesia Novembre 1936, ritenuta dalla critica il primo componimento a carattere esplicitamente politico dello scrittore francese. Il poema è composto all’indomani della sanguinosa battaglia di Madrid che ha luogo tra l’8 e il 23 novembre 1936. Au rendez-vous allemand è una raccolta di poesie pubblicata nel dicembre 1944. Ospita, tra gli altri, il poema La Victoire de Guernica, composto da Éluard poche settimane dopo il drammatico bombardamento della cittadina basca. A spingere il poeta alla stesura del testo, concorre la visione dei disegni che Picasso stava realizzando per la grande tela in preparazione per l’Esposizione Internazionale di Parigi. Il volume della Collezione Cerruti si contraddistingue per la presenza di un autografo del poeta: si tratta di Les Vainquers d’hier périront, poesia composta il 14 aprile 1938, i cui versi corroborano l’immagine di una Spagna martirizzata dalla Guerra civile.

Nella medesima Sala 35 si trova anche l’opera di Salvador Dalí (Figueres, 1904–1989), Composition avec tour (anche intitolato Bozzetto per sipario di scena di “Café de Chinitas”), 1943 ca. Tra i più noti artisti surrealisti ad avere dipinto i disastri della guerra civile spagnola e della Spagna autarchica durante la Seconda Guerra Mondiale, Dalí creava opere “critico-paranoiche” sotto forma di paesaggi spagnoli onirici e desolati. Questo dipinto è un bozzetto per uno dei sipari che egli ha realizzato per la coreografia dell’amica nota come La Argentinite, la famosa ballerina e coreografa Encarnación López Júlvez (Buenos Aires, 1898 – New York, 1945), allorché ella presentò nel 1943 al Metropolitan Opera House di New York la prima della sua opera- balletto El Café de Chinitas. Il balletto era basato su canzoni di un altro grande amico e compagno di strada di Dalí, Federico Garcia-Lorca, ispirate a canti popolari spagnoli. La Argentinita, repubblicana, era fuggita negli Stati Uniti nel 1936, e questa sua coreografia, realizzata in piena guerra, doveva essere un inno alla gioia e alla libertà del mondo prima della dittatura di Franco quando, assieme a Dalí, Garcia-Lorca, Picasso e altri artisti ed intellettuali spagnoli, il Café-teatro Chinitas di Malaga in Andalusia, aperto a metà ‘800 come culla del Flamenco, era molto frequentato. Gli elementi del quadro sono carichi di riferimenti alla situazione in Europa nel 1943: attraversato da un muro centrale, il dipinto presenta sulla destra uno scenario in rovina sul cui fondale compare un edificio razionalista di ascendenza metafisica e una stella blu che, oltre a raffigurare il cartello del caffè, potrebbe alludere alla stella ebraica, espressione del tormento che affliggeva l’Europa dominata dalle leggi razziali. Dall’altro lato del dipinto, a sinistra, una bandiera rossa pende, simbolo del socialismo rivoluzionario che in quel periodo era alleato contro i fascismi.

Una parte della Sala 35 è invece dedicata alla vicenda di Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), tra i principali artisti italiani del ventesimo secolo che, con un’inedita indagine dei materiali, ha rivoluzionato il linguaggio artistico nel secondo dopoguerra attraverso un’arte astratta materica di forte impatto. Formatosi come medico, servì nell’Esercito italiano in Nord Africa dove fu fatto prigioniero e trasferito negli Stati Uniti. Durante la prigionia nel campo POW (Prisoners of War) a Hereford, Texas, dal 1943 al 1946, decide di abbandonare la professione medica per dedicarsi esclusivamente all’arte. Nel campo di Hereford vi erano numerosi italiani che erano scrittori, artisti e artigiani, ed è possibile che da loro prese inizio l’idea di dedicarsi all’arte. In mostra è esposto il primo dipinto di Burri, l’olio su tela Texas, 1945, una delle poche opere realizzate durante la permanenza nel campo di prigionia che egli ha voluto riportare in Italia nella sua nativa Città di Castello.

L’opera è fondativa, sebbene non appartenga al periodo maturo dell’artista che egli usava fare risalire al 1948 circa. Il paesaggio rosso e ocra quasi astratto è denso di materia pittorica e vi si scorge, lungo una linea alta d’orizzonte, un treno che passa, mentre in primo piano si trova una corrente d’acqua e al centro pochi elementi tra cui la staccionata del recinto del campo, una baracca come quelle dei prigionieri, un wind-vane sopra un traliccio (tipico del Texas ove le pompe dei pozzi artesiani erano alimentate a vento con mulini capaci anche di prevedere tempeste di vento) e due alberi solitari. La struttura diagonale delle linee dà movimento alla composizione in cui il paesaggio e la natura umana si incontrano in una solitudine profonda ma energica, in un limbo, nell’attesa che la guerra, lontana, finisca – in un modo o nell’altro. Accanto a Texas, sono esposti due Sacchi di Burri dei primi anni cinquanta, Sacco e Rosso, 1954, della Collezione Cerruti, e Sacco, 1954, della Fondazione Magnani Rocca. Si tratta di espressioni della certezza folgorante dell’artista che la materia stessa, la iuta, strappata e ricucita come un corpo dopo un trauma, possa esprimere senza racconto, senza figurazione, la realtà e l’alterità assolute dell’esperienza dell’esserci.

L’allestimento della sala si completa con le fotografie in bianco e nero di Elizabeth (Lee) Miller (Poughkeepsie, 1907 – Chiddingly, 1977), fotografa surrealista allieva di Man Ray che successivamente divenne fotografa di moda oltreché reporter. Durante il secondo conflitto mondiale divenne un’acclamata corrispondente di guerra per Vogue magazine, accompagnando l’esercito americano in Germania e arrivando pertanto a documentare il primo ingresso nei campi di concentramento di Buchenwald e Dachau. In questa mostra, per la prima volta le fotografie di Dachau di Lee Miller possono essere raffrontate con i disegni e le testimonianze di Mušič.

Nella stessa Sala 35 è presentato in anteprima il più recente dipinto dell’artista e psicanalista Bracha L. Ettinger (Tel Aviv, 1948), Medusa – Rachel Pieta (Medusa – Rachel Pietà), 2017-2022, da cui emergono volti allucinati ma anche profonda bellezza. Nata poco dopo la guerra e figlia di ebrei polacchi sopravvissuti all’Olocausto, Ettinger era nel bel mezzo del suo servizio militare obbligatorio in uno squadrone di elicotteri dell’aeronautica quando scoppiò la Guerra dei Sei Giorni nel 1967 tra Israele e i paesi confinanti: Egitto, Siria e Giordania. Tre mesi dopo la fine della Guerra dei 6 giorni, ora con sede a El Arish, in assenza di un alto ufficiale, il soldato Bracha prese da sola l’iniziativa di avviare, organizzare e poi comandare un’importante operazione di salvataggio che salvò dal mare più di 152 giovani soldati della marina in seguito al naufragio dell’INS “Eilat”, e lei stessa rimase ferita durante la notte quando un elicottero prese fuoco e precipitò nella sua direzione. Questa esperienza traumatica ha causato un’amnesia parziale. Pur dipingendo fin dalla tenera età, solo dopo anni di pratica psicoanalitica, prima come paziente, poi come analista, Ettinger ha sviluppato uno stile di pittura intimista sui temi della memoria storica transgenerazionale e dell’affioramento della memoria personale obliterata; quadri enigmatici di fronte all’insondabile mistero della guerra e delle sue tracce. Oggi Ettinger è tra le artiste e teoriche femministe più apprezzate ed è nota anche per le sue attività di collaborazione con i palestinesi a sostegno di una risoluzione giusta e pacifica dei conflitti arabo-israeliani.

SALA 36

La mostra prosegue nella Sala 36 con una sezione dedicata alla raffigurazione artistica della ‘Guerra del Vietnam’ o ‘Seconda guerra di Indocina’ o ‘American War’, come essa viene variamente chiamata a seconda dei contesti (1955–1975). L’installazione Light and Belief. Voices and sketches of life from the Vietnam War (Luce e fede. Voci e schizzi di vita dalla guerra del Vietnam), 2012, dell’artista vietnamita Dinh Q. Lê (Ha-Tien, 1968) che oggi vive e lavora a Ho Chi Minh City (già Saigon), viene presentata per la prima volta in occasione di dOCUMENTA (13) a Kassel. L’artista è fuggito nel 1978 a 10 anni dal Vietnam del Sud dopo la presa di Saigon da parte delle truppe del Nord Vietnam (1975) e l’unificazione del Paese nel luglio 1976 ed è giunto negli Stati Uniti tra i “Boat people” alla fine degli anni Settanta. L’installazione raccoglie circa 70 disegni realizzati in guerra da diversi artisti Viet Cong e nordvietnamiti attorno al 1968-1973.

A corredo dei dipinti dei Viet Cong e di soldati nordvietnamiti che rappresentano perlopiù un mondo pacifico e idilliaco nella giungla, durante gli intervalli tra i combattimenti contro americani e sud vietnamiti (ARVN), fa parte dell’installazione un video di Dinh Q. Lê composto da interviste agli ormai anziani artisti Viet Cong e nordvietnamiti per capire la vita e il lavoro degli artisti-soldati durante la guerra e cosa li motivava a non dipingere scene di battaglia o di violenza. È esposta anche un’opera di Vu Giang Huong (Hanoi, 19302011), importante artista nordvietnamita.

SALA 36 BIS

Nella sala seguente (36 bis) è allestita una testimonianza dedicata alla Guerra in Ucraina, in corso a partire dall’invasione russa del febbraio 2022. La guerra estende il conflitto già in atto dal 2014 quando la Russia ha annesso la Crimea e parti del Donbass, ed è elaborata dalla prospettiva dell’artista ucraino Nikita Kadan nella grande installazione The Shelter II (Il rifugio II), 2023, che si configura come il naturale proseguimento dell’opera omonima The Shelter realizzata dall’artista nel 2015 per la 14° Biennale Istanbul e dedicata al Donbass. La nuova opera al Castello di Rivoli è ispirata da immagini che documentano la guerra in Ucraina reperite dall’artista su Internet. Esprime il dramma e il dolore del conflitto russo-ucraino e assomiglia a un rifugio antiaereo diviso su due piani. Lo spazio superiore è un muro composto da pile di libri stipati contro il vetro di finestre; i libri non sono più simboli di cultura e conoscenza ma servono per proteggere gli abitanti e le loro abitazioni dai frammenti di vetro in caso di esplosioni nelle aree di conflitto, come documentano i tanti reportage di guerra. Il piano inferiore dell’installazione richiama un luogo di morte, una tomba sotterranea. Sulla terra compatta della parete di fondo si scorge una mano in bronzo fuso da un calco della mano dell’artista. L’installazione nel suo complesso si carica della tragicità della storia corrente, trasformandosi in un ambiente di solitudine, silenzio, rifugio, malinconica impotenza, e incapacità di agire.

SALA 37

Nella Sala 37 si trova l’elaborazione artistica della Guerra nei Balcani (1990–2001), con il video dell’artista albanese Anri Sala (Tirana, 1974) Nocturnes (Notturni), 1999, che utilizza tecniche documentarie di associazione tra storie personali e realtà storiche per richiamare l’attenzione sull’esperienza della solitudine e della pressione sociale in tempo di guerra. L’opera intreccia i racconti di due personaggi che per motivi diversi soffrono di insonnia: un solitario collezionista di pesci, Jacques, che vede nella violenza tra pesci una metafora del lato violento e oscuro degli umani, e un altro giovane uomo, Denis, che soffre di insonnia dopo aver vissuto atrocità quando era casco blu delle Nazioni Unite in guerra.

Nella medesima sala i conflitti in Medio Oriente (1948 – in corso) sono raccontati attraverso il film The Ballad of Special Ops Cody (La ballata dell’agente speciale Cody), 2017, dell’artista americano di origine irachena Michael Rakowitz (Long Island, New York, 1973), il cui lavoro indaga le contraddizioni delle guerre in Iraq (2003–2011). Nel film, realizzato con la tecnica dell’animazione stop-motion, il protagonista – un modello giocattolo di soldato americano – si confronta con statue votive mesopotamiche conservate dall’Istituto Orientale dell’Università di Chicago e si scusa con loro addossandosi le responsabilità dei crimini commessi contro la popolazione irachena. Il soldato, a cui il sergente Gin McGill-Prather, ex soccorritore militare dell’Army National Guard (ARNG), presta la voce, si reca al museo e, utilizzando il suo equipaggiamento militare, si arrampica sulle vetrine che custodiscono i preziosi cimeli. Il video lo ritrae mentre chiede scusa alle statue.

SALA 38 SOTTOTETTO

Il percorso espositivo al Terzo piano del Castello si conclude nella Sala 38 e nell’ambiente sottotetto del Museo con gli echi delle più recenti guerre in Afghanistan, iniziate con l’attacco USA e la liberazione del paese dai Taliban nell’autunno 2001 (a seguito dell’attentato di Al Qaida alle Torri gemelle a New York) che si concluse con l’istituzione di un nuovo governo afgano sostenuto da forze USA e NATO fino al 2014; seguì un periodo di maggiore autonomia politica per l’Afghanistan con una ridotta presenza di truppe USA e NATO fino al ritiro definitivo nel 2021 e al ritorno del regime Talebano subito dopo. Questo conflitto con continui rovesciamenti, è evocato nelle opere dell’artista afghano Rahraw Omarzad fondatore del CCAA centro per l’arte contemporanea a Kabul e di una scuola concepita per dare accesso all’educazione artistica alle donne, fuggito nell’autunno 2021 anche grazie all’impegno del Museo e del Governo italiano. L’installazione Every Tiger Needs a Horse (Ogni tigre ha bisogno di un cavallo), 2022-2023, è un ambiente nato a partire dall’esplosione di un cubo contenente dinamite e pittura, esplosione eseguita in maniera controllata all’interno di una base militare in Piemonte grazie alla collaborazione dell’Esercito Italiano. Le sei tele che ne derivano e ne portano le tracce sono allestite per la prima volta in questa mostra. L’opera prende le mosse dalla percezione di crescente violenza e guerra continua nel proprio Paese d’origine. Una ulteriore nuova opera di Omarzad è esposta, il film New Scenario (Nuovo scenario), 2022-2023, girato in video durante i mesi di residenza dell’artista al Castello di Rivoli, all’interno di un rifugio antiaereo di Torino costruito nel 1943 dopo i primi grandi bombardamenti della città. Esso propone invece una riflessione sulla circolarità del destino umano e sulle difficoltà di affrancamento dalle logiche del trauma, della ferita e del conflitto. L ’opera mostra personaggi allegorici simili a fantasmi guidati da una partitura di movimenti e gestualità lenti e ripetitivi, in un’ambientazione teatrale essenziale costituita da oggetti di scena e luci contrastate che trasportano l’osservatore in una dimensione ipnotica e senza risoluzione. I protagonisti dell’allegoria includono, tra gli altri, un talebano, un soldato americano, un uomo d’affari, oltre a figure mitologiche avvolte in drappi. I ruoli dei personaggi si rovesciano più volte, come pupazzi della Storia.

TEATRO (programma video)

Il percorso della mostra è integrato dalla presentazione nel Teatro del Museo di un programma video curato dall’artista ucraino Nikita Kadan con Giulia Colletti intitolato Una lettera dal fronte con opere degli artisti contemporanei ucraini AntiGONNA (Vinnitsa, 1986), Yaroslav Futymsky (Poninka, 1987), Nikolay Karabinovych (Odessa, 1988), Dana Kavelina (Melitopol, 1995), Alina Kleytman (Kharkiv, 1991), Yuri Leiderman (Odessa, 1963), Katya Libkind (Vladivostok, 1991), Yarema Malashchuk & Roman Himey (Yarema Malashchuk: Kolomyia, 1993 / Roman Himey: Kolomyia, 1992), Lada Nakonechna (Dnipropetrovsk, 1981), R.E.P. (2004), Revkovsky / Rachinsky (Daniil Revkovsky: Kharkiv, 1993 / Andriy Rachinsky: Kharkiv, 1990), Oleksiy Sai (Kiev, 1975), Lesia Khomenko (Kiev, 1980), e Mykola Ridnyi (Kharkiv, 1985).



Ufficio Stampa Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea
Manuela Vasco | press@castellodirivoli.org | tel. 011.9565209
Consulenza Stampa – Stilema | anna.gilardi@stilema-to.it | tel. 011.530066

Venezia: La Galleria Alice Schanzer ospiterà L’ABBRACCIO DELLA MATERIA personale dell’artista siciliano Ezio Cicciarella

Venezia si prepara ad accogliere Ezio Cicciarella con la mostra

L’ABBRACCIO DELLA MATERIA

a cura di Silvia Previti

Galleria Alice Schanzer – Opening 18.03 h. 18.00

Dal 18.03 al 15.04.2023 la Galleria Alice Schanzer ospiterà la personale dell’artista siciliano, che si inserisce nel panorama culturale della Città come evento collaterale del Progetto di residenza artistica

 “Vi-Ve: Ezio Cicciarella da Vittoria a Venezia”

 promosso da Fondazione Donà Dalle Rose in collaborazione con Sudestasi Contemporanea per il periodo 10 marzo – 10 giugno 2023

La Galleria Alice Schanzer di Venezia, riconoscendo il valore del progetto VI-Ve eil profilo artistico dello scultore in linea con i propri valori culturali, ospiterà dal 18 marzo fino al 15 aprile la personale di Ezio Cicciarella dal titolo L’abbraccio della materia”, a cura di Silvia Previti.
L’evento si inserisce all’interno del progetto di residenza d’artista “Vi-Ve: Ezio Cicciarella da Vittoria a Venezia”, 10 marzo – 10 giugno 2023, ideato dalla Fondazione Donà dalle Rose in collaborazione con Sudestasi Contemporanea.   

PROGETTO VI-VE

Il progetto VI-Ve non si limiterà a Venezia ma proseguirà a Porto Rotondo e in Senegal, per accompagnare, guidare e documentare tre mesi di vita dell’Artista, già esposto nella BIAS 2018 e oggi selezionato come artista protagonista della BIAS 2023 (Biennale Internazionale di Arte Contemporanea Sacra delle religioni e credenze dell’umanità).

In questa esperienza Ezio Cicciarella si avvarrà di una figura-guida d’eccezione, Chiara Modica Donà dalle Rose, che lo condurrà giorno dopo giorno alla scoperta di una Venezia sommersa, più autentica e ben lontana dai circuiti usualmente battuti, tra ritmi lenti, scorci inediti e luoghi dominati da una natura incredibile quasi selvaggia, per un confronto intimo, inedito e inusuale tra l’artista-uomo e la città lagunare dai mille volti.

Vi-Ve è sia un gioco di parole tra le iniziali di Vittoria, città dove l’artista è nato e opera solitamente e Venezia, città dove il suo viaggio avrà inizio, sia un invito a riscoprire la pietra ed il suo vivere, respirare, modificarsi, plasmarsi nel tempo, in osmosi con la creatività dell’uomo.

L’ABBRACCIO DELLA MATERIA

Le opere esposte in mostra presso la Galleria Schanzer testimoniano la recente evoluzione dell’artista, il quale, dopo aver riscontrato i primi limiti con la lavorazione scultorea per il peso dei materiali e la difficoltà nel trasporto delle opere, intuisce la possibilità di conquistare la superficie delle pareti con la pietra. Cicciarella trasferisce quindi le sue sculture su uno sfondo di acciaio corten, ridimensionandole così, da opere free standing a “quadri” da appendere.

L’esposizione metterà in luce non solo l’evoluzione tecnica e materica dell’artista ma anche quella di ricerca concettuale.

La fascia, elemento cardine della produzione artistica di Cicciarella sia in senso figurativo che metaforico, in questa recente rielaborazione è passata dal trasmettere sensazioni di tensione, elasticità e legatura, a sensazioni di accoglienza e protezione. Le bende che avvolgono gli ovali in sospensione presenti nelle opere esposte infatti, ricordano la tecnica del contenimento per avvolgere i bebè, per trasmettere loro, attraverso l’utilizzo di fasciature in stoffa, un senso di protezione che ricordi quello del ventre materno.

Da armatura tesa a stringere nelle prime realizzazioni di Cicciarella, dove la fascia era inizialmente la volontà pulsante e dirompente di esplodere, di liberarsi e divincolarsi da una vita che lo distoglieva dalle sue più sentite e personali missioni di ricerca, ora lo scultore, finalmente liberato, rotte le cinghie soffocanti, raccoglie i cocci per ricomporsi e per riappropriarsi di sé, assaporando finalmente la vera bellezza dell’atto creativo manuale, senza ordini predefiniti o metodi imposti. Arriva quindi ad avvertire il bisogno umano sincero di un bendaggio avvolgente che comunica conforto, come un istinto necessario ad abbracciarsi.

L’abbraccio di Ezio Cicciarella è dunque un invito non tanto al tenere insieme, quanto al prendersi cura di se stessi, un’esortazione a ricercare, ricercarsi ed evolvere.

Ezio Cicciarella, Untitled, pietra di Palazzolo su acciaio Corten

EZIO CICCIARELLA

Ezio Cicciarella, cresciuto in una famiglia di artigiani, segue le orme paterne e lavora da subito come muratore, ma in modo parallelo, si interessa sempre più di scultura e apprende da autodidatta la tecnica, lavorando principalmente materiali provenienti dalla sua terra come la pietra pece e la pietra Palazzolo.

È il 2000 quando Cicciarella inizia a dare i primi colpi di scalpello ma solo nel 2008 decide definitivamente di cambiare vita e di dedicarsi totalmente alla scultura, mezzo che meglio può esprimere il processo di introspezione che da sempre lo accompagna. Le sue sculture hanno esiti affascinanti, visivamente sconvolgenti, inizia così a frequentare il mondo delle gallerie d’arte e ad esporre sia all’estero sia in Italia, partecipando a numerosi e importanti eventi fra cui il Padiglione Italia Off a Torino Sala Nervi a cura di Vittorio Sgarbi in occasione della Biennale Arte di Venezia 2011, BIAS 2016, Trasformatorio nel 2018, e riscuotendo nel contempo apprezzamenti da critici del calibro di Francesco Boni e Pavel Zoubok.

DICHIARAZIONE

CHIARA MODICA DONA’ DALLE ROSE,
Presidente Fondazione Donà dalle Rose

“Il Maestro Cicciarella è un artista con cui ho condiviso in questi ultimi cinque anni numerose iniziative in Sicilia ed all’estero. Introdurlo a Venezia, nella nostra città, è un’occasione importante di arricchimento personale, umano ed artistico per tutti. Sono certa che il Maestro saprà cogliere ogni sfumatura ed occasione che gli verrà data. Le opere di Cicciarella sono capaci di emozionare e di sprigionare il respiro e la forza della natura che proprio nel marmo e nella pietra testimoniano la sua essenza millenaria. Sono molto curiosa di scoprire come la particolare lirica del Maestro saprà interpretare l’essenza della laguna, fatta di legno, acqua ed argilla. Il significativo connubio che si è creato tra la Fondazione, Sudestasi e la Galleria Alice Schanzer suggella anche un percorso virtuoso di valorizzazione di artisti di spessore. La Galleria Schanzer ha già esposto in passato un’altra artista siciliana di successo, Concetta De Pasquale, ugualmente presente in BIAS 2018 e 2020 oltre che in residenza d’artista alla Fondazione Donà dalle Rose nel 2021”.


SCHEDA INFORMATIVA
 
MOSTRA
L’ABBRACCIO DELLA MATERIA
Di Ezio Cicciarella
18.03 > 15.04.2023
Vernissage 18.03.2023 ore 18.00
 
DOVE
Galleria Alice Schanzer,Campo S. Margherita, Dorsoduro 3061, Venezia
 
ORARI
Orari apertura mostra:10.00-18.00
Per appuntamento:+ 39347 7030568
 
UFFICIO STAMPA GALLERIA ALICE SCHANZER
CRISTINA GATTI
cristina.gatti@fg-comunicazione.it
mob. +39 338 6950929
 
***
 
PROGETTO RESIDENZA D’ARTISTA “VI-VE”
Promotore: Fondazione Donà Dalle Rose
In collaborazione con: Sudestasi Contemporanea
Curatori: Angelo De Grande e Ciro Salinitro, per Vi-Ve a Venezia e Porto Rotondo; Massimo Scaringella per BIAS 2023 in Senegal; Silvia Previti, per Galleria Schanzer
Partner: Pavel Zoubok Fine Art, New York; Galleria Alice Schanzer, Venezia; Nerosicilia Group, Modena
 
DOVE
Atelier residenza d’artista, Palazzo Donà dalle Rose, Fondamente Nove – 5038, 30121 Venezia
 
***
 
UFFICIO STAMPA BIAS/FONDAZIONE DONA’ DALLE ROSE/SUDESTASI
GIORDANA SAPIENZA
giordana.sapienza@gmail.com
mob. +39 342 8538791
 
LINK UTILI
https://www.bias.institute/http://www.eziocicciarella.com/
http://fondazionedonadallerose.org/https://www.sudestasicontemporanea.com/vi-ve/

Lugano, Spazio Espositivo La Cornice: Inaugurazione della mostra “Acqua visioni del cineasta Villi Hermann”

Acqua visioni del cineasta
Villi Hermann

Inaugurazione della mostra mercoledì 22 marzo 2023 ore 18:00
Spazio Espositivo La Cornice, Via A. Giacometti 1, 6800 Lugano

Villi Hermann, artista, fotografo, cineasta, espone allo Spazio Espositivo La Cornice dal 22 marzo al 22 aprile 2023. La mostra di acquarelli e guaches è presentata da Dalmazio Ambrosini e sarà seguita da una degustazione di vini.
Villi Hermann frequenta l’Académie de la Grand Chaumière a Paris, la Werkkunstschule di Krefeld in Germania e la Kunstgewerbeschule di Lucerna. Tiene la prima mostra a Lugano nel 1964 alla Galleria Il Nòcciolo in corso Elvezia, con una presentazione di Giancarlo Zappa di Castelrotto. Alla Galleria Il Nòcciolo esponevano in quel periodo Pietro Salati, Emilio Rissone, Gianni Realini, Jimmy Ortelli, Piergiorgio Piffaretti (Piff), Mucci Staglieno-Patocchi, Fernando Bordoni ed altri.
Nel 2022 una fondazione offre un soggiorno a Villi Hermann come Artist-in-residence a Venezia per 6 mesi, periodo in cui riprende a disegnare e realizzare lavori su carta.
Villi Hermann è noto per i suoi film San Gottardo, Innocenza, Matlosa, Bankomatt e come produttore di Atlas di Niccolò Castelli. Attualmente sta girando un film sull’artista di Biasca Flavio Paolucci.


Acqua visioni del cineasta Villi Hermann

orari apertura galleria:
lu-ve 08.00 – 12.00 / 14.00 – 18.30 sa 09.00 – 12.00
ingresso libero

Ufficio stampa:
Imagofilm Lugano, Viale Cassarate 4, 6900 Lugano
+41 91 922 68 31 – stampa@imagofilm.chwww.imagofilm.ch

Presentazione della monografia sullo splendido piviale di manifattura inglese “opus anglicanum” conservato al Museo Civico Medievale di Bologna

Piviale con fatti della vita di Cristo e della Vergine
Veduta di allestimento nell’ambito della mostra Opus Anglicanum, Masterpieces of English Medieval Embroidery, V&A South Kensington, 2016-2017

The Bologna Cope: Patronage, Iconography, History, and Conservation

A cura di
Micheal A. Micheal
Brepols, 2022

Presentazione della monografia sullo splendido piviale di manifattura inglese “opus anglicanum” conservato al Museo Civico Medievale di Bologna.

Presentazione del volume
Giovedì 16 marzo 2023 ore 17.00

Museo Civico Medievale | Sala del Lapidario
Ingresso da via di Porta Castello 3, Bologna


www.museibologna.it/arteantica

Tra i tesori d’arte più preziosi che il Museo Civico Medievale di Bologna conserva va annoverato lo splendido piviale di manifattura inglese databile a fine XIII sec. – inizi XIV sec., uno dei capolavori assoluti di quello che viene denominato opus anglicanum, ovvero di una particolare, raffinatissima, tecnica applicata a ricchi e complessi ricami che a partire dal XIII secolo conobbe grande fortuna e dall’Inghilterra si diffuse in tutta Europa.

Spesso tale tecnica, denominata “pittura ad ago”, veniva utilizzata per realizzare prodotti tessili di pregio commissionati come doni di carattere diplomatico o importanti vestimenti sacri destinati ad alti prelati e pontefici, come accadde anche per il prezioso piviale di Bologna, in seta policroma su tela di lino. Si tratta infatti di un’ampia sopravveste liturgica proveniente dalla chiesa di San Domenico a Bologna, che veniva indossata durante le messe pontificali ed altre cerimonie solenni, come attesta la pregiata decorazione eseguita con fili di seta colorata e filo ricoperto di sottile lamine in oro e argento.

A ricostruire in modo puntuale la biografia e il contesto culturale in cui venne realizzato questo oggetto di straordinario valore è il volume in lingua inglese The Bologna Cope: Patronage, Iconography, History, and Conservation, curato da Michael A. Michael (responsabile del progetto “Opus Anglicanum” dell’Università di Glasgow) e pubblicato nel 2022 dalla casa editrice belga Brepols come secondo titolo della collana “Studies in English Medieval Embroidery”.

Intervento di restauro conservativo eseguito da Manuela Farinelli

La prestigiosa pubblicazione internazionale, nata da lunghe e meticolose ricerche e dal restauro conservativo del manufatto operato in anni recenti, verrà presentata giovedì 16 marzo 2023 alle ore 17.00 nella Sala del Lapidario del Museo Civico Medievale (ingresso da via di Porta Castello 3, Bologna). Oltre al curatore Michael A. Michael, interverranno Massimo Medica (direttore Musei Civici d’Arte Antica | Settore Musei Civici Bologna), Giancarlo Benevolo (storico medievista, Musei Civici d’Arte Antica | Settore Musei Civici Bologna) e Manuela Farinelli (restauratrice).
L’ingresso è libero, fino a esaurimento posti disponibili.

Lo splendido mantello processionale unisce due momenti dell’evoluzione del ricamo che si fondono pienamente ed elegantemente: antiche geometrie per le incorniciature stellari che circoscrivono le teste dei santi e uno stile più maturo nelle architetture. La ricca decorazione raffigura le Storie di Cristo e della Vergine ed è suddivisa su un doppio ordine, intervallato da due strette corone semicircolari che racchiudono teste di santi. La narrazione si sviluppa all’interno di architetture ogivali, che scandiscono la successione degli episodi, tra i quali spicca, a fianco della Crocifissione, la scena della Resurrezione. Per la straordinaria ricchezza inventiva, le scene hanno offerto non pochi spunti compositivi agli artisti bolognesi del Trecento e del primo Quattrocento.

Il volume curato da Michael presenta la prima indagine dettagliata del ciclo iconografico raffigurato e documenta gli esiti delle più recenti ricerche condotte dallo staff dei Musei Civici d’Arte Antica di Bologna e da importanti studiosi nel campo dei tessuti e della produzione di paramenti liturgici medievali. Nuove prove di datazione attestano che il vestimento appartenne al pontefice Benedetto XI, al secolo Nicolò di Bocassio, domenicano eletto dopo la morte di Bonifacio VIII, che lo offrì ai confratelli della chiesa di Bologna durante il suo breve pontificato (1303-1304). Come risulta per altri piviali inglesi, è probabile che anche questo fosse stato donato al papa dal re di Inghilterra Edoardo I, a titolo di ringraziamento per i servigi che aveva svolto quando questi, prima di essere eletto papa, e prima ancora cardinale, era stato coinvolto in qualità di maestro generale dell’ordine per conto di Bonifacio VIII nell’arbitrato che vedeva contrapposto il sovrano inglese al re di Francia Filippo il Bello.

Un’indagine completa dei materiali d’archivio relativi al piviale e alla sua riscoperta nel XIX secolo è accompagnata da una dettagliata storiografia della letteratura e della storia espositiva del manufatto, e da un resoconto delle sfide affrontate durante un recente intervento di restauro conservativo. Il trattamento, eseguito da Manuela Farinelli, è stato realizzato in occasione della mostra Opus Anglicanum: Masterpieces of English Medieval Embroidery presso il V&A South Kensington (1 ottobre 2016 – 5 febbraio 2017) che, accanto alla collezione permanente del museo londinese, la più ampia al mondo di materiali tessili realizzati con questa tecnica, ha eccezionalmente riunito una selezione di oltre 100 capolavori del ricamo medievale inglese provenienti da tutta Europa.


The Bologna Cope: Patronage, Iconography, History, and Conservation
A cura di: Michael A. Michael
Editore: Brepols
Pagine: 228

Illustrazioni: 160 col.
Dimensioni: 225 x 300 mm
Lingua: inglese
Anno di pubblicazione: 2022
Prezzo: 125 euro
ISBN: 978-1-912554-87-4

Indice:
Massimo Medica – A King’s Gift to a Pope: Benedict XI and the Bologna Cope
Micheal A. Michael – The Cultural Context of the Bologna Cope: The Design and Production of Opus Anglicanum Liturgical Vestments in England
Franco Faranda and Michael A. Michael – The Iconography of the Cope of San Domenico in Bologna
Giancarlo Benevolo – The San Domenico Cope in the Inventories of the Sacristy and Convent of the Friars Preachers, Bologna: 14th–19th centuries
Silvia Battistini – An Historiography of the Bologna Cope
Marta Cuoghi Costantini – Textiles and Embroidery in Italy between 1200 and 1300
Manuela Farinelli – The Conservation of the Bologna Cope
Silvia Battistini – The Bologna Cope (Catalogue description)

Il volume è disponibile per l’acquisto nel bookshop del Museo Civico Medievale di Bologna.

Informazioni:
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