Paolo Belardi – Il rilievo insolito. Irrilevabile, irrilevante, irrilevato

Dalla prefazione di Roberto de Rubertis: «Si sa che il tradizionale strumento per la conoscenza dell’ambiente costruito è il rilievo, ma si sa anche che gli interessi finora manifestatisi in questo campo hanno riguardato in prevalenza gli episodi eccellenti dell’architettura; questo in conformità con gli indirizzi di una tradizione culturale ben attenta a registrare le emergenze qualitative, ma incerta nel cogliere le influenze che la preesistenza esercita globalmente sull’attività umana; disorientata quindi nel formulare le diagnosi e le previsioni necessarie a guidare correttamente l’attività progettuale in un mondo il cui equilibrio dipende da un numero sempre più vasto di fattori. Che il rilievo vada quindi reimpostato, non solo nelle procedure e nella metodologia, ma nei suoi stessi obiettivi, è argomento che va ormai affacciandosi di prepotenza sulla scena delle discipline del disegno; va infatti crescendo l’interesse per una sua estensione a un arco di conoscenze più vasto, in grado di coinvolgere la storia, ma anche l’ecologia, la progettazione, ma anche l’informatica, la geometria, ma anche il genius loci. Ne consegue un “nuovo rilievo” il cui compito è la descrizione critica della complessità dei fattori che condizionano la realtà urbana, l’ambiente naturale e l’intero spazio antropico nel quale devono programmarsi gli interventi di trasformazione e di adeguamento richiesti dalle necessità di sopravvivenza e di benessere dell’uomo».

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IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica tratta dalla copertina del volume

Luciano Crespi – Da spazio nasce spazio

Esistono molti libri sulla storia degli stili di arredamento, per esempio la famosa Filosofia dello Stile (1881) di Herbert Spencer e numerosissimi manuali sull’edilizia residenziale; ma non esiste (e forse non esisterà mai) una “Storia dell’Interior Design” intendendo con questo termine una realtà che si colloca in maniera del tutto autonoma tra la storia dell’Architettura e il Product Design. Questo libro parte proprio da questa constatazione di fatto: l’interior design non è stato ancora indagato come un corpus disciplinare autonomo, dotato di una propria capacità di incidere sulle qualità urbane generali.

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IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica tratta dalla copertina del volume

Imma Forino – L’interno nell’interno: Una fenomenologia dell’arredamento

(From the cover) “Se oggi la maggiore occasione professionale per gli architetti, specie se giovani, è quella di «ristrutturare» case ed uffici, ossia progettare arredamenti, il libro della Forino ne propone una chiave di lettura del tutto originale nell’ambito della letteratura architettonica. Non si tratta beninteso di un manuale, perché l’autrice traccia un sottile excursus storico-critico di un fenomeno particolare dell’arredamento, che supera l’ormai tradizionale modo di fare degli architetti-arredatori. Questi si limitano per lo più a modellare pareti, scegliere materiali e colori, aggiungere alcuni mobili e altro, mentre gli interventi più ambiziosi mirano ad articolare lo spazio interno su più livelli, con un esito chiaramente scenografico nel migliore dei casi. Viceversa, quanto si espone in questo libro consiste nel privilegiare la spazialità propria dell’architettura, quella che si lega al binomio invaso-involucro, proponendola anche nella elaborazione di un ambiente interno. Ecco allora come uno spazio arredato perde ogni aspetto rappresentativo, ogni forma di scenografia, ogni sorta di decorazione e di trompe l’oeil, per tradursi in una composizione conformativa, in qualcosa cioè che «conforma» l’invaso spaziale, obiettivo che si raggiunge attraverso la categoria – che è anche un modo di formare – di un «interno nell’interno». Il saggio, oltre ad interessare operativamente gli addetti ai lavori, risulta di notevole utilità anche per gli storici della disciplina. Lo schema suddetto non è infatti rapportato esclusivamente alle tipologie del domestico, ma anche ad altre relative agli ambienti del passato; il tutto seguendo una rigorosa cronologia, della quale notoriamente si sostanzia la storia”.

CONTINUA A LEGGERE SU ACADEMIA.EDU (OPPURE SCARICA IL SAGGIO): I. Forino, L’interno nell’interno: Una fenomenologia dell’arredamento. Firenze: Alinea, 2001, pp. 180. (pre-print version)

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica tratta dalla copertina del volume

Giovanni Vultaggio – PALINSESTO: Progettisti di emozioni

La pubblicazione illustra i risultati del progetto PALINSESTO, uno degli ultimi, se non forse l’ultimo, dei progetti rivolti e promosso per giovani locali dalla Provincia Regionale di Trapani. Nel progetto l’illustrazione della metodologia di classificazione delle risorse turistiche sviluppata, esempi della mappatura turistico culturale compiuta nei 24 comuni della provincia e la presentazione degli oltre 27 progetti giovanili promossi con il progetto.

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IMMAGINE DI APERTURA – Immagine tratta dalla copertina del volume

Viviana Saitto – Stanze per fare l’amore. Illusione e seduzione in quattro interni

Viviana Saitto è Architetto, PhD e Assegnista di Ricerca in Architettura di Interni e Exhibition Design presso il Dipartimento di Architettura (DiARC), Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Con questo saggio ci propone quattro noti interni del Novecento che dimostrano come la seduzione sia lo spazio del gioco, dell’illusione e della sfida. La camera per fare l’amore di Ettore Sottsass e gli spazi dedicati al riposo di Casa Devalle di Carlo Mollino a Torino, di Casa Ottolonghi di Carlo Scarpa a Bardolino e di Villa Savoye di Le Corbusier a Poissy, sono progettati per se-ducere, condurre in disparte, sono lo specchio dell’inconscio e del desiderio.

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Viviana Saitto, “Stanze per fare l’amore. Illusione e seduzione in quattro interni del Novecento”, in Firenze Architettura, n. 1, 2019

IMMAGINE DI APERTURA – Immagine tratta dalla copertina della rivista

Massimiliano Savorra – Storiografia del design come “opera aperta”

Autunno 1963-Inverno 1964: dall’analisi di questo arco di tempo dovrebbe partire una riflessione sulla genesi di una rinnovata storiografia del design. Durante l’allestimento della XIII Triennale di Milano, dedicata al tema del Tempo Libero, è nata l’esigenza di affrontare sistematicamente lo studio del Design, identificandolo – come scrive Vittorio Gregotti – in una metodologia progettuale unitaria, non solo in ambito esclusivo delle arti decorative e industriali. Ma soprattutto si sentiva l’esigenza di “aggredire i problemi” della giovane disciplina del Design, lontano da un “assestamento definitivo” come afferma Gregotti, che fu tra i protagonisti, con Umberto Eco, dello spettacolare estate 1964. Nasce così in questo periodo l’idea di un numero monografico della rivista “Edilizia Moderna”, esclusivamente dedicato alle tematiche del Design. In questo periodo si cerca di costruire una “alternativa” alla narrazione storica del prodotto industriale. Questo articolo esplora l’influenza dello “sperimentalismo” del Gruppo 63 nella costruzione storiografica del Design.

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Milano 1964 – Vittorio Gregotti, Umberto Eco e la storiografia del design come “opera aperta” (2019)

IMMAGINE DI APERTURA – Immagine della copertina della rivista

Gaia Lavoratti – Il disegno comunica, ma come si comunica un disegno?

Gaia Lavoratti è Dottore di ricerca in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente” (sede di Firenze) afferente alla Scuola Nazionale di Dottorato in “Scienze della Rappresentazione e del Rilievo” (SSD ICAR/17), è assegnista di ricerca presso il DIDA/Dipartimento di Architettura di Firenze. In questo interessante saggio si sofferma sul tema della comunicazione applicato al disegno di architettura. «Il disegno è una delle forme espressive più antiche dell’uomo. Strumento descrittivo, mistico, di analisi, di progetto o forma d’arte, ha percorso millenni di storia evolvendo e modificandosi in relazione alle differenti culture e alle diverse competenze tecniche, fino a diventare esso stesso documento, testimonianza, traccia di un percorso intellettuale. Nati come ‘opere uniche’ fruibili da pochi, gran parte dei disegni antichi di cui siamo potuti venire a conoscenza si è conservata e diffusa grazie alla produzione di copie. Tale pratica, se in alcune circostanze ha portato a una eccessiva interpretazione del segno grafico nel passaggio di mano in mano fino alla perdita di parte del significato iniziale, dall’altra ha reso esplicita la necessità del disegno di essere trasmesso per potersi conservare. Con il perfezionamento dei processi tipografici si è assistito alla riproduzione in serie di simboli e tracciati e alla loro divulgazione ad un ampio pubblico. La stampa di disegni e opere d’arte ha quindi seguito un percorso evolutivo che, grazie alla sperimentazione di tecniche differenti, ha consentito la replicazione anche dei dettagli più minuti. Il passaggio dalla stampa su foglio singolo di un’immagine al suo inserimento all’interno di un volume ha reso però necessaria una riflessione tecnica e metodologica relativa alla funzione e alle potenzialità comunicative del segno grafico. Non più opera avulsa dal contesto, ma parte integrante della struttura della pagina, il disegno, al pari di ogni altro elemento del foglio, deve rispettarne le regole compositive ed editoriali, conservando al contempo la leggibilità delle informazioni da trasmettere».

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Disegno dell’architettura e grafica editoriale. Il disegno comunica, ma come si comunica un disegno?

IMMAGINE DI APERTURA – Immagine di copertina del libro “Contenuto e Forma. Lo sviluppo della comunicazione visiva nella relazione tra ricerca e pratica progettuale” a cura di Susanna Cerri.

Chiara Baglione – Casabella 1928-2008, una rivista, molte storie

Pubblichiamo questo lungo percorso della memoria legato ad una rivista di architettura, da quando si chiamava «La Casa bella» e vedeva la luce nel gennaio 1928 diretta da Guido Marangoni, fino ai giorni nostri o quasi. La racconta Chiara Baglione e queste sono le sue parole, le sue “storie” introduttive: «Settecentosettantadue numeri, che corrispondono a una quota poco inferiore di fascicoli, e – per quanto il calcolo non possa che essere fatto con larga approssimazione – a una quantità di pagine redazionali nell’ordine delle cinquantamila. Cifre scarne che sintetizzano ottant’anni di vita, non pochi per una rivista di architettura. Possiamo immaginare questa massa di carta come una miniera, un deposito di parole e immagini al quale attingere selettivamente, una fonte di dati e materiali da interrogare con obiettivi e in modi diversi: alla ricerca di informazioni sulle opere realizzate in una determinata area geografica, o progettate in un arco di tempo definito; oppure per ricostruire la produzione di un architetto, ma anche i dibattiti e le polemiche che hanno di volta in volta animato la scena italiana e internazionale, in alcuni casi, entrando nella storia, in altri, rimanendo confinate nella cronaca o, come direbbe qualcuno, nella “geografia” culturale. Ripercorse nel loro stratificarsi durante gli ottant’anni di vita della rivista, quelle pagine possono aiutarci a delineare spaccati interessanti su questioni specifiche: pensiamo, per fare solo alcuni esempi, all’evoluzione della professione dell’architetto nel nostro Paese; alla storia delle facoltà di Architettura e delle crisi che ciclicamente ne hanno segnato l’evoluzione; oppure a quella della Triennale di Milano, sia in relazione a temi e allestimenti, sia per i dibattiti nati in merito alla sua gestione, ai suoi compiti e al suo ruolo. Ma una rivista può essere anche in sé oggetto di studio, analizzata, dunque, per ricostruirne l’evoluzione, le trasformazioni nei contenuti e nelle finalità, il mutare dei modi di concepirla e confezionarla, oltre che degli strumenti critici e descrittivi adottati per leggere e presentare progetti e realizzazioni. In un’analisi di questo tipo la storia dell’architettura si intreccia con quelle della professione, dell’editoria e della grafica, ma anche con la storia politica e sociale, dato che il modo di interpretare il ruolo culturale di una rivista di settore è influenzato dalle condizioni economiche e politiche in cui viene prodotta, dal panorama editoriale in cui si inserisce, dalle modalità di circolazione delle informazioni, dalle caratteristiche del mondo professionale a cui si rivolge e che si rispecchia sulle sue pagine».

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C. Baglione, Casabella 1928-2008, Electa, Milano 2008

IMMAGINE DI APERTURA – Immagine di copertina del libro

I Giganti di Mont’e Prama riscrivono la storia del Mediterraneo

I Giganti di Mont’e Prama sono sculture nuragiche a tutto tondo. Sono state trovate casualmente in un campo nel marzo del 1974 in località Mont’e Prama nel Sinis di Cabras, nella Sardegna centro-occidentale; le statue sono scolpite in arenaria gessosa del luogo e la loro altezza varia tra i 2 e i 2,5 metri; rappresentano arcieri, spadaccini e lottatori. Tale luogo, oltre ad essere circondato da numerose rovine nuragiche (villaggi e Nuraghi), potrebbe risultare essere ciò che affiora di un più grande villaggio; le indagini geofisiche permesse dall’utilizzo di un georadar di avanzata tecnologia hanno consentito di trovare numerose tombe, forse altri depositi di statue, nonché altre strutture probabilmente legate ai templi: ad oggi queste nuove realtà non sono state ancora studiate.

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Giganti di Mont’e Prama

OPPURE APPROFONDISCI SU ACADEMIA.EDU: A.Bedini-C.Tronchetti , L’heroon di monte prama in Giganti di pietra. L’Heroon che cambia la storia della sardegna e del mediterraneo.

IMMAGINE DI APERTURA – Immagine di copertina dell’edizione del 1908

Pasquale Marzano – Maupassant e un nome misterioso: Horla

Il saggio prende in esame quattro novelle di G. de Maupassant, analizzandone il contenuto e lo stile, con particolare attenzione agli aspetti onomastico-letterari delle opere e alle capacità onomaturgiche dell’autore, ipotizzando, tra l’altro, la presenza del fratello dello scrittore, Hervé, fra le fonti alle quali attinse per “Le Horla”. Particolare attenzione è dedicata a tale nome e alla traduzione in italiano del racconto eponimo, trasformato però in “Gorla” nell’edizione a cura di A. Savinio, che giustifica tale scelta con una lunga nota a piè di pagina: si tratta però di una soluzione in contrasto con non trascurabili strategie della traduzione letteraria, anche perché non tiene conto, in fondo, del possibile valore semantico di cui non sembrano privi il nome e il titolo in francese.

CONTINUA A LEGGERE SU ACADEMIA.EDU (OPPURE SCARICA IL QUADERNO): Maupassant e «l’altro». Tre soprannomi e un nome misterioso: Horla o Gorla.

IMMAGINE DI APERTURA – Immagine di copertina dell’edizione del 1908