Cartoline d’altri tempi per scambiarci gli Auguri Natale

Heppy Christmas da parte nostra e da parte della New York Public Library. Perché è qui che siamo andati a rovistare, per cercare fra le cartoline postali conservate nella Digital collections. Eravamo curiosi di vedere quali immagini le persone sceglievano per scambiarsi gli auguri di Buon Natale all’inizio del secolo scorso. 

1910 – 1919
1906
1910
1900 – 1909
1900 – 1909
1900 – 1909
1909
1910
1910
1910

IMMAGINE DI APERTURA  – Elaborazione grafica di una delle cartoline della New York Public Library sullo sfondo di Oleg Gamulinskiy da Pixabay 

Stephen Arthur Frears – Lady Henderson presenta, 2005

In questi tempi di Covid-19, ricordiamo un’altra tragedia. Lo facciamo con soavità, attraverso un’aggraziata commedia sugli impresari che lanciarono il nudo a teatro nell’Inghilterra bombardata dai nazisti. Protagonista Judi Dench, nella parte della signora Laura Henderson, rimasta vedova ma con il lascito di una grande fortuna. Dedicarsi alle opere pie? Macché, lady Henderson acquista l’obsoleto teatro Windmill e ingaggia un direttore artistico che ha dinamismo da vendere, il signor Van Damm. Tuttavia, il varietà musicale, pur di successo, non è un’idea innovativa. È lo spettacolo che portano in scena tutti i teatri concorrenti. Occorre quindi un pizzico di pepe. L’idea è spogliare le ballerine, ma col permesso della censura. Dopotutto, non siamo al Moulin Rouge. Allora? Ecco il compromesso. Per la verità, un compromesso che ha attraversato l’intera storia dell’arte. Le ballerine potranno mettere in mostra le proprie grazie, ma dovranno rimanere immobili come delle statue. Londra è sotto le bombe, la popolazione civile spala macerie e i giovani attraversano la Manica per affrontare il nemico. Ma il teatro di lady Henderson è sicuramente un luogo dove è possibile ritrovare qualche ora di spensieratezza.

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IMMAGINE DI APERTURA  – Elaborazione grafica della locandina del film su CHILI

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Se al nostro ministro Franceschini piace Chili per lanciare la Netflix italiana, noi di Experiences contribuiamo a dargli una mano per fare apprezzare una piattaforma che senza abbonamenti, facendoti pagare esclusivamente il film prescelto, permette di godere il meglio del cinema internazionale. Nel nostro caso, il film è addirittura gratis. Avete capito: gratis. Per quale motivo? È una offerta di Chili per allargare il proprio pubblico, è evidente. Per questo motivo al catalogo è stata aggiunta una sezione di film gratuiti, con annunci pubblicitari. Annunci per niente invasivi, aggiungiamo noi. Quindi, quale miglior regalo per passare questi particolari giorni festivi di Natale e Fine anno 2020! Aspettando un 2021 un tantino migliore! Il Mibact farà la sua parte. Come infatti leggiamo nel comunicato stampa – che riportiamo integralmente – la piattaforma prevista dal Decreto-legge Rilancio sarà operativa dai primi mesi del 2021 con l’obiettivo di sostenere il settore della cultura particolarmente colpito nel corso di quest’anno dalla pandemia da Covid-19. «Attraverso la piattaforma si potrà accedere a un’offerta ampia, diversificata e molto concorrenziale per la visione live e on-demand di concerti e opere teatrali, si potranno effettuare tour virtuali dei principali musei italiani e delle maggiori mostre di interesse pubblico, visitare festival e fiere e scegliere fra un ampio catalogo di film e altri contenuti tematici». Cominciamo, dunque, dai film, quelli che già troviamo su Chili gratuitamente. Usare la piattaforma è estremamente semplice e divertente. Il futuro è già oggi.

Dario Franceschini
Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo

Al via il progetto per la piattaforma digitale della cultura:
teatro, musica, arte, live e on-demand

  • L’iniziativa promossa da MIBACT insieme a CDP per il supporto al patrimonio artistico-culturale italiano
  • Via libera alla costituzione di una nuova società partecipata al 51% da CDP 
  • Selezionato partner industriale attraverso una procedura competitiva aperta a tutto il mercato
  • La nuova piattaforma sarà operativa nei primi mesi del 2021 e porterà benefici economici diretti alle attività culturali

Prende il via il progetto per la realizzazione della prima piattaforma digitale italiana della cultura, su iniziativa del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo (MIBACT) insieme a Cassa Depositi e Prestiti. 

La piattaforma – prevista dal Dl Rilancio – sarà operativa dai primi mesi del 2021 e ha l’obiettivo di sostenere il settore delle performing arts, particolarmente colpito nel corso di quest’anno dalla pandemia da Covid-19. 

Per la realizzazione e la gestione della piattaforma il MIBACT e CDP hanno avviato un’interlocuzione con la Rai ed i principali operatori presenti nel mercato italiano, all’esito della quale è stata indetta una procedura competitiva aperta per l’individuazione del partner industriale. 

È stata così selezionata CHILI Spa – società attiva dal 2012 nel settore dei servizi di TV on demand e che conta oltre 4 milioni di utenti iscritti – per la sua esperienza internazionale nel settore, l’innovativa infrastruttura tecnologica utilizzata e il know-how strategico-commerciale utile all’espansione della piattaforma. Per la gestione della piattaforma è stata costituita una nuova società controllata al 51% da CDP e al 49% da CHILI Spa.

Attraverso la piattaforma si potrà accedere a un’offerta ampia, diversificata e molto concorrenziale per la visione live e on-demand di concerti e opere teatrali, si potranno effettuare tour virtuali dei principali musei italiani e delle maggiori mostre di interesse pubblico, visitare festival e fiere e scegliere fra un ampio catalogo di film e altri contenuti tematici. Nella piattaforma sarà anche possibile acquistare biglietti e merchandising garantendo uno strumento semplice e funzionale per chi vorrà tornare a visitare di persona il patrimonio artistico-culturale italiano quando sarà nuovamente possibile farlo.

Il nuovo progetto si distingue rispetto alle principali piattaforme generaliste che distribuiscono serie tv e contenuti cinematografici per la diffusione di contenuti live e il focus sul settore culturale. Inoltre, con la nuova piattaforma potranno essere venduti i contenuti distribuiti online generando un beneficio economico diretto per le attività culturali.

Il progetto è aperto alla futura collaborazione della Rai e di altre istituzioni e soggetti del settore culturale, pubblici o privati. 

Gli introiti derivanti dall’utilizzo della piattaforma, infatti, serviranno anche a supportare gli operatori del settore contribuendo, inoltre, alla diffusione della cultura italiana nel mondo grazie a una distribuzione internazionale. La piattaforma coprirà tutti i principali canali distributivi – smart tv, smartphone, tablet, pc – e sarà compatibile con il maggior numero di devices e sistemi operativi sul mercato.
Sin da subito verranno avviate le attività operative utili alla definizione degli accordi con operatori e altre istituzioni culturali per il reperimento dei contenuti da distribuire attraverso la piattaforma.

L’operazione risponde alle sfide del Piano Industriale di CDP in ambito culturale, in ottica di innovazione e digitalizzazione e persegue gli Obiettivi 8 e 9 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. L’iniziativa si inquadra, inoltre, nel settore delle infrastrutture digitali e sociali, promuovendo l’incontro tra innovazione digitale e cultura.
Il mercato delle performing arts digitali si è sviluppato principalmente all’estero (Francia, UK e USA) grazie ad alcuni esempi di ventures e presenta ad oggi un grande potenziale di crescita anche in Italia.

IMMAGINE DI APERTURA  – Foto di Clker-Free-Vector-Images da Pixabay 

William Hogarth – Il poeta in miseria

di Sergio Bertolami

L’opera di William Hogarth che presentiamo è una satira rivolta ai cosiddetti autori di Grub-street. Vivevano in questa strada popolare, nei pressi dell’infimo quartiere di Moorfields, dove si potevano trovare spacci e bordelli, caffetterie per bere e mangiare a prezzo stracciato, soprattutto alloggi a basso costo che offrivano servizi minimi in soffitte malsane. Un ambiente marginale, frequentato e abitato da scrittori di storie di scarso valore letterario, aspiranti poeti, estensori di voci per dizionari popolari, editori e librai di fascia bassa. Una congerie di bohémien, che cercavano di guadagnarsi da vivere senza possedere né talento, né patrocini giusti.

Questa acquaforte è stata pubblicata da Hogarth in due differenti versioni, rese evidenti dal particolare della riproduzione affissa sul muro alle spalle del poeta intento a scrivere versi. Possiamo infatti notare nell’incisione del 1729 una scritta satirica contro Papa Alessandro, “Sua Santità con la sua prima miniera”. Quattro anni dopo questa dicitura venne sostituita con una mappa geografica dal titolo “Veduta delle miniere d’oro del Perù”. Probabilmente alludeva alla bolla dei mari del Sud o ad altre proposte per investimenti finanziari rivelatisi chimerici. Hogarth, dopo aver apportato questa modifica, ripropose l’incisione col titolo “Il poeta distratto” in coppia con una seconda incisione, intitolata “Il musicista infuriato”. L’opera pittorica del 1736, oggi conservata al Birmingham Museum & Art Gallery, fu donata dal pittore alla levatrice della regina Carolina. L’acquaforte, come già spiegato in altre pagine, inverte graficamente il soggetto del dipinto.

Il poeta in miseria

(S.B.) L’ambientazione ritrae una squallida stanza dai muri scrostati, divisa dal resto di un più esteso sottotetto per mezzo di un tramezzo in tavole di legno. Sullo sfondo campeggia un vecchio camino, costruito secondo un modello all’epoca già in disuso, a causa della bocca troppo grande per assicurare il giusto calore. Normalmente è acceso per riscaldare l’ambiente umido e asciugare gli indumenti intimi appesi ad una corda, come mutande e polsini di pizzo. Ora però il braciere è spento: gli attrezzi sono appoggiati al suo interno, il soffietto è lasciato in terra, nella bocca da fuoco sono posti in disparte uno sgabello e alcuni oggetti. La stanza è arredata solo con i pezzi essenziali di un rustico mobilio: qualche sedia, un tavolo, un letto ad alcova ricavato sotto lo spiovente del tetto a mansarda, riparato da una cortina. Ci dorme l’intera famiglia: padre, madre e un pargoletto che ora piange perché ha fame, ma le condizioni di miseria non consentono di provvedere. La scena rappresenta, infatti, la visita di una lattaia che – provenendo ogni giorno dal contado – fornisce ai suoi clienti latte fresco appena munto. Ora però, presenta un lungo conto rimasto ancora in sospeso e reclama con veemenza di essere saldata. Sul lato opposto, il capofamiglia è del tutto disinteressato e non dà ascolto alle proteste; sicché l’unica a dovere affrontare la creditrice furente è la moglie, al centro della stanza, che non sa cosa rispondere. Suo malgrado, le tocca assumersi ogni responsabilità della famiglia. Sta a lei resistere a questa comune sventura, arrivata fra capo e collo quando, per amore, ha dato ascolto a quel giovanotto spavaldo e ricco che l’ha corteggiata e messa incinta. Illudendola con le sue fantasticherie, l’ha persino convinta a fuggire con lui.

È passato un anno, il bimbo è venuto alla luce, ma le condizioni economiche della coppia sono andate sempre più peggiorando. Adesso è lì a rammendare, alla bene in meglio, la patta del pantalone del marito. Lui non ha più il becco di un quattrino. Il sacchetto del denaro è caduto dalle tasche dei calzoni, irrimediabilmente vuoto. La costringe a vivere in quella stamberga senza mobili. Non sa neppure dove appoggiare la giacca di quell’unico abito, ormai sdrucito, che deve rabberciargli. Sta ai piedi della sedia, dove una gatta sorniona e il suo micino ne hanno approfittato per farne un momentaneo giaciglio. Mantello e cappello sono appesi a parete, in attesa di essere indossati, prima di uscire per cercare occupazione. Con tutto ciò, l’uomo è preso soltanto delle sue narrazioni eroiche, tant’è che la sua spada giace a terra di fronte a lui, per cogliere l’ispirazione d’impavidi duelli. Una ispirazione che nondimeno tarda a venire, così come tarda a venire anche la pubblicazione di un libro che possa aprire la fulgida carriera letteraria di questo sognatore. Il poeta, in verità, indossa una vestaglia lacera e si gratta la testa per la frustrazione creativa. Ironia della sorte, l’opera che sta componendo è intitolata “Ricchezze, un poema”. Le pagine appena scartate si trovano sotto il tavolo; quelle dei giorni precedenti ha provveduto la moglie, a colpi di scopa, ad appallottolarle in un secchio. Fra le carte sparse si scorge una copia del “Grub-Street Journal”, il periodico letterario che attraverso la sua satira metteva in ridicolo proprio la scrittura da due soldi prodotta in quel quartiere. Il sognatore cerca illuminazione sfogliando le pagine di un libro. Si addormenta a tarda notte: gli è rimasto sul tavolo un solo morso di candela. Alle spalle c’è una piccola mensola con altri due volumi rilegati: unici beni di una ricchezza perduta. I tre libri probabilmente fanno riferimento alla prima versione di “The Dunciad”, pubblicata in forma anonima nel 1728 dal poeta satirico Alexander Pope. A fianco della mensola, la mappa con il titolo “Una vista delle miniere d’oro del Perù”. L’uomo passa tutto il tempo scrivendo e tirando qualche boccata di fumo. La pipa e la scatola del tabacco sono accanto, sul davanzale della finestra. Il boccale di birra lo ha già scolato. È posato, dietro di lui, sulla sedia su cui è solito bere mentre si riscalda al fuoco del camino, che ora, comunque, è spento e non ha l’aria che presto possa essere riacceso. Insomma, nonostante la sua estrema povertà, sembra che il sognatore non sia capace di rinunciare ai suoi piccoli piaceri personali.

L’unico ad avvantaggiarsi di questa situazione disperata è un cane, che approfittando della porta aperta ruba una costoletta di montone, momentaneamente appoggiata sulla seggiola, in mancanza di un tavolo da cucina, in attesa che si possa riattizzare il fuoco per cuocerla. Era l’ultima derrata alimentare, perché lo stipo che pende sulla sedia è ormai del tutto vuoto. Proponendo l’incisione, con molta probabilità, Hogarth ha voluto ironizzare su di un episodio, più o meno rimaneggiato, della propria infanzia. Suo padre, un intellettuale ridottosi in ristrettezze economiche, nonostante alcune proprietà terriere, in gioventù aveva provato a scrivere versi. In una lettera conservata al British Museum, accenna proprio alla sottrazione di una bistecca, subita durante il periodo di indigenza che fece seguito ai suoi sogni poetici.

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica dell’incisione di William Hogarth dal dipinto conservato al Birmingham Museum & Art Gallery

William Hogarth: Marriage à-la-mode / Il suicidio della contessa

di Sergio Bertolami

I dipinti delle sei scene che abbiamo presentato in queste pagine, acquistati dal signor John Lane per £ 126, sono oggi conservati alla National Gallery di Londra. È utile, quindi, sintetizzare la scheda che compare a corredo del ciclo pittorico. Leggiamo che per secoli gli inglesi sono stati affascinati dalle problematiche sessuali e dalla squallida avidità dell’aristocrazia. Ecco perché il soggetto, rappresentato da Hogarth in Marriage à-la-mode è sempre stato uno dei massimi successi della pittura britannica, dal momento che illustra le disastrose conseguenze di un matrimonio fatto per soldi piuttosto che per amore. Di questa serie Hogarth ha inventato i personaggi, la trama e il titolo di ogni scena. Tuttavia, ciò che appare di grande interesse è che le scene erano dipinte espressamente per essere incise. In seguito, le stampe erano messe in vendita ad un prezzo accessibile e i dipinti originali concessi “al migliore offerente”, solo dopo che le incisioni erano state completate. Hogarth probabilmente lavorò ai dipinti di Marriage à-la-mode per tutto il 1743, e forse nella prima parte del 1744. Per questa serie decise di impiegare tre incisori francesi, che vivevano e lavoravano a Londra, ognuno dei quali si impegnò su due tavole. Le stampe, pubblicate nel 1745, sono versioni rovesciate dei dipinti poiché per essere incise occorreva copiarle allo specchio. Naturalmente erano realizzate in bianco e nero, ma l’acquirente successivamente avrebbe potuto farle colorare ad acquarello. Nelle sue “Note autobiografiche”, compilate nel 1763, Hogarth ricorda che dopo “alcuni anni” di ritratti e conversazioni, si rese conto che il modo corrente di dipingere non era sufficientemente ben pagato “per fare tutto ciò che la famiglia richiedeva”. Decise, quindi, di provare un nuovo approccio alla pittura e all’incisione realizzando “soggetti morali moderni” che descriveva come una novità assoluta tanto da poter essere considerato un “campo inesplorato in qualsiasi Paese o in qualsiasi età”. La sua attenzione si concentrò sulla moralità, che bene si attagliava al suo modo di intendere la vita, attraverso un approccio satirico del vizio e della follia. Hogarth intendeva dimostrare, in altri termini, che una varietà infinita di personaggi poteva essere presentata senza ricorrere necessariamente alla caricatura, come allora si faceva. Queste sue pitture o incisioni, naturalmente, all’epoca, non potevano competere con la grande pittura storica, che era il più prestigioso fra i generi artistici, raffigurando scene eroiche del passato o scene mitologiche intese a ispirare ed educare lo spettatore. Pur tuttavia, i personaggi dei “soggetti morali moderni” di Hogarth, tutt’altro che eroici, hanno sempre avuto lo stesso scopo di istruire. E noi oggigiorno possiamo ben capirlo ed apprezzarlo.

Scena sesta – Il suicidio della contessa

(S.B.) La sesta è l’ultima scena della tragicommedia di Marriage à-la-mode. Il titolo che compare sulla cornice è The Lady’s Death, ovvero La morte della signora. La sua non è, però, una morte naturale. Sembra piuttosto un suicidio. La contessa si è infatti avvelenata (forse volutamente, forse incidentalmente), dopo avere appreso che il suo amante è stato giustiziato per aver ucciso in duello suo marito. Giace riversa su di una poltrona. Ai suoi piedi una bottiglietta di Laudanum, narcotico con effetti antidolorifici e antispastici, ma velenoso se preso in dosi eccessive. Accanto alla bottiglietta un foglio a stampa che porta scritto: “Ultimo discorso del consigliere Silvertongue condannato a morte”, con le parole da lui pronunciate prima dell’impiccagione. La forca è stata issata a Tyburn, dove scorre un affluente del Tamigi, luogo da secoli utilizzato per l’esecuzione dei condannati. Dopo la notte tragica nell’albergo Testa del Moro, la giovane donna ha deciso di rifugiarsi nella casa paterna per riflettere su quel crimine, ultimo fra i tanti errori del suo rapporto coniugale. Errori che hanno distrutto ogni speranza in un futuro migliore e in una reputazione che, nonostante ogni incoscienza, aveva raggiunto il massimo splendore di prosperità. Da allora la contessa ha consumato i giorni con i fantasmi del suo passato disastroso, che hanno preso avvio col matrimonio combinato frutto dei piani ambiziosi del padre. Un genitore avido, che certamente neppure davanti alla tragica morte del genero ha pensato a consolare la figlia per attenuarne la sofferenza e proteggerla dalle sue fragilità. Al contrario non ha fatto altro che avventarsi su di lei, sovrastandola di terribili rimproveri. Finché, nella solitudine, abbandonata da tutti gli amici che ipocritamente l’attorniavano, la vita è diventata insuperabile, tanto da pensare che solo la morte potesse offrirle l’unico sollievo.

La scena che Hogarth prospetta è, dunque, una strana commistione di pathos e di indifferenza. La contessa si è assicurata il veleno grazie al quale ha compiuto il suo cieco proposito. L’infelice è rappresentata in agonia. Il volto teso, sbiancato, fa da pendant, in simmetrica corrispondenza, a quello del marito morente nella scena precedente. La ricordiamo illuminata dalle frivolezze, interessata unicamente ai piaceri, incurante di quanto la circondasse. Ora, per aumentare nel contrasto la forza d’attrazione delle linee mute di questa immagine, l’artista introduce per la prima volta la bambina, figlia più che trascurata dai genitori. L’anziana nutrice la porge alla madre morente per l’ultimo abbraccio. La sua tenera età fornisce l’idea del breve tempo trascorso. È il commento amaro dell’autore rispetto ad un senso di colpa che non è mai emerso in nessuna delle precedenti scene. La piccola creatura è contaminata dalla sifilide: la macchia è evidente sulla guancia e almeno per una delle sue gambette è obbligata a portare un tutore di ferro. La malattia le è stata trasmessa da suo padre. La scelleratezza del conte è punita con l’estinzione della sua stessa stirpe. Ma è anche punita l’ambizione egoista del nonno della piccina, che ha preteso di innestare la propria famiglia sul fiero ceppo di una nobiltà decaduta economicamente e moralmente, attraverso il matrimonio di una figlia con un giovane conte debosciato. L’unico utile che il vecchio può ora cogliere è l’anello prezioso che sfila con freddezza dal dito della moribonda, prima che intervenga il rigor mortis. Non il decesso prematuro di sua figlia causato da un atto inconsulto come il suicidio, né la condizione indifesa della sua nipotina rimasta orfana di ambedue i genitori, possono prevalere contro la sua istintiva avarizia. L’espressione distaccata rende la sua azione ancora più ripugnante. Solo la balia e la bambina esprimono un senso di pietà per la contessa morente. Per lei non c’è più nulla da fare. Lo stesso medico chiamato per salvarla sta uscendo dalla porta: la sua presenza è ormai superflua. Dall’altro lato della stanza il farmacista, inutilmente accorso con un clistere e una bottiglia di giulebbe in tasca, strapazza il cameriere, un babbeo con la livrea troppo grande, di sicuro appartenente a un precedente servitore (particolare che denota l’avarizia del suo signore). Lo sprovveduto cameriere ha obbedito agli ordini della contessa, quando lo ha spedito in farmacia per acquistare il Laudanum, ignaro delle sue intenzioni suicide.

La residenza, che costituisce l’ambiente scenico, è vicino al vecchio London Bridge, che dalla finestra aperta si può intravedere, gremito di case, come appariva in origine, prima che nel 1758 fosse demolito. In alto, tra l’infisso e l’imbotto, si distingue una ragnatela. Lo stemma della città spicca intagliato nei vetri, di cui qualcuno è mancante. Rappresenta il potere di pubblico amministratore raggiunto dal facoltoso padre della giovane contessa, che (a ben osservarlo) non dimentica mai di indossare la catena d’oro di assessore. Sul davanzale, la sua lunga pipa e una scatola di tabacco, che fuma affacciato alla finestra sognando la scalata al successo, con gli occhi e magari anche le mani sulla città. Nonostante tutto, la sua casa è quella di un piccolo borghese (ben lontana dal lussuoso palazzo del conte) arredata in un modesto stile fiammingo. Un tendaggio dimesso, a mezza altezza, quanto basta per oscurare la stanza. Alle pareti, oltre ad un Almanack, pochi quadri di gusto conservatore attraverso i quali Hogarth si fa gioco dei soggetti banali della pittura fiamminga: due ubriachi, alla Brouwer, che bevono e fumano la pipa in una taverna, con il primo che cerca di accendere la pipa dal naso del compare, rosso come una brace ardente; un uomo che orina contro un muro, alla Teniers; una natura morta sottosopra che contrasta con il cibo disposto ordinatamente sulla tavola. Il pranzo per una persona è, infatti, apparecchiato in modo quasi impeccabile, con piatti di peltro. È stato servito alla vista del Tamigi. Il pasto frugale si è interrotto col tragico malore della contessa, che non lo ha neppure iniziato: per primo un uovo sodo ritto su di un piatto di riso in bianco, per secondo una testa di maiale, che un cane smilzo sta addentando con voracità (pari a quella del suo padrone), qualche fetta di pane, un secchiello in argento per il vino la cui bottiglia non è stata neppure portata in tavola, pochi accessori: le due posate, un vassoio per gli scarti, uno spiedo da carne, una presa di sale. Quando la contessa, da sola, si è seduta a tavola stava già male, perché la brocca a terra le è servita per affrontare i conati di vomito. Poi improvvisamente è peggiorata. Si è alzata di scatto, rovesciando a terra la sedia di legno. È stata fatta accomodare sulla confortevole poltrona del padre, dove usa spulciare i suoi libri contabili. Li tiene proprio in quell’angolo, riposti in un armadietto a muro, col dorso voltato perché non si sciupino. Sono identificabili, perché riportano scritto “Libro giornaliero, Libro mastro, Libro degli affitti, Interesse composto”. Nell’armadietto conserva anche un sacchetto di tabacco, una scelta di pipe e un fiasco di corroborante acquavite. L’orologio a pendolo affisso a muro segna le undici e dieci. Quando il padre è stato avvertito non era in casa: lui esce di buon mattino per sviluppare affari. Indossa ancora cappotto e parrucca. Non era comunque ad una riunione della giunta comunale, perché la sua toga da assessore e il suo cappello di rito sono in bella mostra sull’appendiabiti.

Che contrasto tra la prima scena e l’ultima! Tra questo ambiente modesto e l’avito palazzo nobiliare in cui l’indifferente ragazza civettuola e il giovane visconte narciso si sono incontrati.  Erano ambedue oggetto di contrattazione fra due padri egoisti in eguale misura. Un assessore londinese, impenitente nella propria scalata, ha desiderato un giorno per sua figlia di stringere alleanza con un gran signore; il quale, da parte sua, vi ha acconsentito a condizione di accrescere le ricchezze di suo figlio, dopo la congerie di affari andati a male. Tutto questo perché, nella natura umana, c’è sempre qualcosa che rende infelici: i blasonati non sono mai sufficientemente ricchi per soddisfare il desiderio di vivere continuamente negli agi, e gli arricchiti non sono mai abbastanza distinti per primeggiare su tutti.

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica dell’incisione di William Hogarth dal dipinto conservato alla National Gallery di Londra

William Hogarth: Marriage à-la-mode / L’uccisione del conte

di Sergio Bertolami

Seguendo le scene rappresentate da Hogarth ci rendiamo subito conto di trovarci nella satira e nella commedia. I ritratti grotteschi appesi ai muri nella prima scena, l’atteggiamento sguaiato degli sposi nella seconda, l’infinità di oggetti incongrui nello studio del ciarlatano, i personaggi stravaganti nella camera da letto di Lady Squanderfield. Lei, nata piccola borghese, imita la levée delle alte corti europee, ora che finalmente si può fregiare del titolo di contessa. Tuttavia, della nobiltà la giovane donna ha preso esclusivamente i vizi, ma non le virtù. Questo continuo contrasto stridente è messo bene in evidenza da Hogarth. L’obiettivo principale era incentrato sulle incisioni, dal momento che servivano ad essere largamente diffuse, accrescendo gli introiti dell’artista. Le comuni opere d’arte pittorica erano di piccolo formato, rispetto a quelle che si trovavano nelle chiese e nei grandi palazzi nobiliari. Lo stesso valeva per le stampe. Tuttavia, l’idea di modificare le dimensioni e puntare sulla serialità rappresentò una delle ragioni del successo di Hogarth. Le sue incisioni sono, infatti, riproduzioni dei quadri pensati, non come opere uniche, ma soggetti creati appositamente per essere trasposti su lastra di rame. Tecnicamente, sarà la maestria dei francesi G. Scotin, B. Baron, S. F. Ravenet, a realizzare il lavoro vero e proprio, ad eccezione dei volti, che Hogarth afferma di aver eseguito lui stesso.

È il caso di questa quinta scena dove lo sfondo, lavorato con delicatezza non comune (circostanza che sarà rimarcata da pochi critici, ma evidenziata dagli artisti) era il lavoro della figlia maggiore del signor Ravenet, che occasionalmente lo aiutava nell’incisione delle sue tavole e che si maritò con Picot, un allievo di suo padre. Quando le due tavole di Ravenet (la scena quarta e quinta) furono finite, Hogarth insistette per ritoccare i volti dei personaggi. Su questa pretesa si incentrarono molte controversie tra l’autore e l’incisore. Pur tuttavia, tale meticolosità ha permesso all’artista di rappresentare con chiarezza e precisione persino le manifestazioni intime più coinvolgenti dei propri protagonisti, basti pensare al volto del nobile morente. In verità, le incisioni di Hogarth contengono una moltitudine di dettagli che devono essere assolutamente compresi, per cogliere il preciso significato dell’opera. Sono chiavi di lettura con cui familiarizzare. Come in letteratura si fa riferimento all’uso di alcune espressioni per qualificare personaggi e relazioni, nelle storie di Hogarth è possibile fare riferimento ai minuscoli dettagli. Una continua sorpresa.

Scena quinta – L’uccisione del conte

(S.B.) La quinta scena di Marriage à-la-mode ha un titolo particolare che va spiegato: Il Bagnio (il nome non è più in francese, ma in italiano). Nella città di Londra, come in altre città europee dell’epoca, esistevano caffè e locande che offrivano un servizio alla moda per i propri clienti: immergersi in un bagno caldo. Poiché la fantasia correva ai bagni turchi, l’insegna esterna avvisava, ad esempio, Turk’s Head Bagnio, come scopriamo dal conto gettato a terra in un angolo dell’appartamento in cui si svolge l’intreccio di questa quinta scena. In altre parole, era possibile affittare una camera ad ore, giusto il tempo per immergersi in un bagno rigeneratore. Venivano portati in camera una vasca in lamiera zincata, brocche di acqua calda, sapone e asciugamani. A conclusione il tutto era poi ritirato e, all’occorrenza, l’ospite poteva trascorre nella stanza anche l’intera notte. Un servizio molto pratico per i viaggiatori, ma che si rivelò ben presto altrettanto favorevole per gli incontri clandestini. L’ambiente era arredato in modo confortevole: un letto a baldacchino e un caminetto col fuoco acceso, come soleva trovarsi nelle stanze da letto dei ricchi. In questa rappresentazione Hogarth, del caminetto, mostra soltanto i bagliori in un gioco di luci e di ombre, perché un fuoco sta bruciando in un angolo. Sull’impiantito si proietta, infatti, l’ombra lunga delle pinze a molla utili per spostare le braci ardenti. Particolari che fanno comprendere che la stagione è l’inverno, quando le mascherate erano comuni.

La scena è anche comunemente chiamata L’uccisione del conte, perché è a questo punto che si compie il dramma scenico. I protagonisti della storia sono stati fino ad ora intenti a seguire ciascuno il proprio piacere, eccedendo la giusta misura. In verità, si sono mostrati incuranti di una nemesi (ossia di una giustizia divina) sempre pronta a intervenire per riportare l’ordine dell’universo. Con questa sottintesa morale Hogarth rappresenta l’azione tragica conseguente ad un duello. Il conte, sempre disattento dal proteggere sua moglie dagli attacchi insidiosi di qualche possibile seduttore, improvvisamente è stato colto dal sospetto che l’onore della sua nobile famiglia sia in pericolo. Messo in guardia dalle infedeltà notturne della moglie – quando lui similmente è stato sempre affaccendato negli stravizi – approfittando di un travestimento, segue la contessa e il suo amante alla mascherata, di cui si parlava nella scena precedente. A una certa ora i due hanno lasciato il salone delle feste per raggiungere furtivamente il “Bagno Testa del Turco“. Informato dal portiere dell’albergo che gli amanti si sono ritirati in una camera da letto, Squanderfield si fa consegnare il passe-partout e irrompe nella stanza al momento cruciale. Irruentemente scosta le cortine del letto a baldacchino e tira via le coperte. Il comodino posto a fianco si rovescia a terra, spargendo ovunque le maschere, le cerbottane di carta per lanciarsi palline l’un l’altro, vari dolci, premi e cotillon. Il conte sorprende sua moglie e l’avvocato Silvertongue nella piena evidenza di un rapporto sessuale. Vestono ambedue la camicia da notte, mentre scarpe e mascheramenti, indossati fino a poche ore prima, sono gettati alla rinfusa su di una sedia e a terra.

Nel corso delle sue movimentate serate goderecce, il conte è uso a sfidare gli avversari a duello, ma questa volta non è per gioco. Sfodera la spada per difendere il proprio onore offeso. È troppo violento per essere cauto! Il suo unico scopo è la vendetta. Il rivale si trova faccia a faccia con il marito indignato ed è costretto a difendersi. Nel combattimento, il nobile, vinto per l’eccitazione, perde la guardia. Forse è abbagliato dal fuoco del caminetto che ha davanti. È in questo momento che riceve la stoccata mortale. La spada gli cade di mano e s’impunta sul tavolato. L’azione convulsa s’interrompe. Alle sue spalle la maschera del traditore giace a terra, con un sorriso beffardo, mentre vicino si ravvisa il fodero vuoto della spada. L’arma sguainata giace, invece, insanguinata ai piedi del conte. È un attimo. Dalla porta irrompe il portiere, che ha chiamato aiuto per sedare quel putiferio in piena notte. Dietro di lui un corpulento poliziotto, armato di bastone. Lo segue qualcun altro, di cui oltre al bastone si scorge bene la lanterna, che solleva sopra le teste, per fare luce. È il guardiano dello stabile, la cui umiltà gli ha insegnato ad essere sempre l’ultimo di un gruppo, ben sapendo che, sebbene la prima linea sia per molti il posto d’onore, è anche quello maggiormente esposto al pericolo. I volti dei tre uomini manifestano sorpresa: si attendevano una scazzottata, non certo un duello mortale all’arma bianca.

La giovane contessa, a piedi scalzi e la cuffietta da notte in testa, totalmente sconvolta, si getta in ginocchio davanti al marito che sta per accasciarsi morente. La moglie sembra chiedere pietosamente perdono. Le sue lacrime, però, non sono affatto conseguenza di un pentimento, quanto di un rimpianto. È ormai troppo viziosa per nutrire una vergogna cosciente e, forse, ingenua. Squanderfield davanti a lei – ma che non si è battuto per lei, bensì per il proprio orgoglio di maschio oltraggiato – agonizzante sta per esalare l’ultimo respiro: colpito al cuore, la camicia sporca di sangue, occhi e bocca contratti dal dolore. Silvertongue, da quel vigliacco che è, del tutto privo di coraggio e onore, si dilegua dalla finestra in camicia da notte, senza neppure recuperare i suoi abiti. È certo che sarà arrestato e accusato di omicidio. Tutto questo, per Hogarth, è un campionario ineffabile di caratteri deviati dai sentieri della vera virtù. Una virtù riprodotta nei soggetti a parete. Sopra la porta è posto un quadro con San Luca, patrono dei pittori, che per trarne uno schizzo sembra osservare la scena drammatica passata sotto i suoi occhi. Sull’arazzo di sfondo è raffigurato il Giudizio di Salomone, pacifico re di Israele, idealizzato per saggezza e sapienza. Si racconta che due donne sostenevano entrambe di essere la madre di uno stesso bambino. Salomone, per metterle alla prova, ordinò di tagliare in due parti il piccolo e darne ad ognuna una metà. La madre vera, conscia delle orribili conseguenze, rinunciò al figlio, supplicando il re di lasciarlo vivo alla rivale. Salomone consegnò il piccolo proprio a lei e cacciò l’altra. È chiara l’allusione a una madre, che anziché preoccuparsi della propria bambina (e quindi della propria famiglia), è interessata solamente al sesso. Non a caso l’arazzo è in parte coperto da uno specchio (che simbolicamente invita a riflettere sulla propria cattiva coscienza) e dal ritratto di una donna procace, che mettendo in mostra un’ampia scollatura tiene in una mano uno scoiattolo, mentre una colomba è imbrigliata sul suo capo. Il dipinto allude probabilmente alla prostituta Moll Flanders dal romanzo di Daniel Defoe, pubblicato nel 1722. Il libro, di grande successo, aveva un lungo ed ironico titolo: “Le fortune e sfortune della famosa Moll Flanders, che nacque a Newgate, e durante una vita di continui cambiamenti per una sessantina d’anni dopo l’infanzia, fu per dodici anni prostituta, cinque volte moglie (compresa una volta con suo fratello), dodici anni ladra, otto anni delinquente deportata in Virginia; alla fine divenne ricca, visse onestamente e morì pentita. Trascritto dalle sue memorie”. Hogarth, dal canto suo, non si esime dal sarcasmo, conferendo al ritratto della donna un significato osceno. Mostra la “famigerata femmina” col manico di un ombrello che tiene in mano, esattamente fra le gambe muscolose di un soldato nella scena dell’arazzo sottostante.

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica dell’incisione di William Hogarth dal dipinto conservato alla National Gallery di Londra

William Hogarth: Marriage à-la-mode / La toletta della signora

di Sergio Bertolami

In questa scena salta all’occhio la provenienza dei personaggi. Lady Squanderfield, come l’avvocato Silvertongue, fanno parte di una borghesia rampante che tende a scalzare, pur imitandola, una nobiltà che mostra lampanti i segni della decadenza. Mr. Fox Lane e signora si atteggiano ad intenditori del bel canto, ma non si sono ancora scrollati di dosso la loro provenienza paesana. Aleggia nella scena l’aria di un preziosismo francese ormai demodé, perché a Parigi non si pratica più dalla fine del secolo precedente, vale a dire da almeno una cinquantina d’anni. Nondimeno, incontriamo in queste immagini tanti riferimenti francesi. La seconda scena si intitolava Tête à Tête, questa Toilette. È indubbio che Hogarth l’abbia preso in prestito persino il titolo del Ciclo pittorico da Marriage à la Mode, commedia di John Dryden rappresentata per la prima volta a Londra nel 1673. In quest’opera il drammaturgo dà vita al personaggio di una donna pretenziosa di nome Melantha, che intercala nel suo discorso espressioni affettate come “mon cher, voyage, bete, honnête, homme, bien tourné, obligeant, charmant, ravissant”, cioè “mio caro, viaggio, stupido, onesto, uomo, ben tornato, cortese, affascinante, adorabile”. In breve, Melantha preferisce prestiti francesi a parole inglesi assolutamente esistenti. Gli scrittori satirici come Dryden dicevano che queste donne dell’aristocrazia inglese parlavano “à la Mode de Paris“. Al di là di questi prestiti lessicali, Hogarth deride soprattutto l’infatuazione, da parte di una cerchia elegante inglese, per tutto ciò che proviene dal continente. In primo luogo, dalla Francia, come quel dottore ciarlatano che abbiamo incontrato nella scena precedente, ma anche dall’Italia rappresentata da tutta quella profusione di copie dai dipinti rinascimentali o da tutti quei cantanti lirici applauditi nei teatri.

Scena quarta – La toletta della signora

(S.B.) La precedente scena descriveva le conseguenze della vita dissoluta del marito, la quarta scena, che s’intitola The Toilette (il nome appare sulla cornice), riguarda invece la condotta della moglie, attorniata dagli amici fin dal momento del risveglio, la levée, per usare un termine di moda alla francese. Nonostante l’affollamento di estimatori nella stanza, manca la figura del marito, costantemente assente. Solo un particolare lo richiama all’attenzione: il visconte ora ha assunto, finalmente, il titolo nobiliare di conte. Lo possiamo constatare dalla corona comitale che campeggia sulla cornice del baldacchino e sulla specchiera della toletta adorna di un drappo. Questo significa che il conte padre è passato a miglior vita, raggiungendo nell’aldilà i suoi diletti antenati. L’eroina di questa scena è, dunque, la signora che, avendo raggiunto il titolo di contessa, a tutti gli effetti può assaporare il frutto maturo della propria ambizione. La sua stravaganza spensierata fornisce precisa indicazione, da parte di Hogarth, che la rovina si avvicina con rapidità. La contessa è presentata qui subito dopo essersi alzata. Che sia una signora alla moda è percepibile dal suo letto ad alcova, ovvero incassato nel muro, del quale distinguiamo le cortine pendenti dal celino. È una trasformazione che ha apportato alla stanza dopo che il conte è deceduto e lei è divenuta a pieno titolo la padrona del palazzo. Lo testimoniano il grande arco che sormonta il letto, appartenente a un precedente accesso a una camera attigua, e le cornici a stucco delle pareti sulle quali sono stati affissi dei nuovi quadri fuori misura. Ancora una volta vediamo la giovane in deshabillé, mentre un parrucchiere procede a curarne l’acconciatura. Con nonchalance siede con le spalle agli ospiti, del tutto disinteressata a loro, e appoggia un braccio sullo schienale da cui ciondola un corallo da dentizione o un sonaglio per bambini, giacché oltre che contessa è diventata anche madre.

La sua piccola corte è costituita quasi esclusivamente da stranieri, nel mero rispetto della moda del tempo. In primo piano un cantante paffuto, vestito in modo splendido e pomposo, esageratamente ingioiellato. Con apprezzato timbro femminile, esegue qualche romanza nel ruolo di contralto, proprio dei cantanti lirici castrati. È forse Francesco Bernardi, noto col soprannome di Senesino, poiché proveniente da Siena, presente a Londra dal 1735. In alternativa, altri studiosi indicano Giovanni Carestini, in Inghilterra dal 1733. Ambedue, a lungo, hanno interpretato opere del compositore Georg Friedrich Hendel. Accompagna il melodico controtenore il tedesco Weidemann, con il suo flauto traverso. Accanto ai due, nell’atto di sorbire una tazza di cioccolata calda (bevanda anche questa alla moda), con i capelli stranamente arricciati, è il diplomatico prussiano Michel, infatuato della “poesia anacreontica”, genere letterario che caratterizzò il XVIII secolo europeo. Vicino siede un intenditore in estasi: con una faccia sciocca e rapita, tiene una tazza in una mano e nell’altra un ventaglio gli pende dal polso. Alle spalle il panciuto Mr. Fox Lane, vecchio gentiluomo di campagna, amico di famiglia, con aria trasognata (se non addirittura addormentata), agita di tanto in tanto il frustino da caccia che tiene in mano, come farebbe un maestro di musica con la sua bacchetta. Al centro della scena, con un cappello a larghe tese, la moglie di Fox Lane, futura Lady Bingley, sedotta dai gorgheggi del cantante italiano. Invano il domestico nero porge anche a lei una tazza di cioccolata.

La contessa, le cui naturali frivolezze e distrazioni la portano ad interessarsi di ben altro, è invece attratta dall’argomentare del seduttivo avvocato Silvertongue, sdraiato su di un divano. L’avvocato non è certo presente nella stanza da letto della signora appena alzata per ragioni professionali. A riprova (caso mai non l’avessimo ancora capito) spunta sulla poltrona una copia di “Sopha”, racconto licenzioso di Jolyot de Crébillon, pubblicato in inglese nel 1742. Vi sono descritte fantasie e sfrenatezze di una corte indiana, attraverso la quale riconoscere la nobiltà rappresentata da Hogarth. Si svela così l’esistenza di una relazione intima fra i due, intuibile già dalla prima scena. Con fare mellifluo Silvertongue porge alla sua adorata il biglietto d’invito per una festa in costume e indica la mascherata dipinta sul paravento: per l’esattezza, gli abiti burleschi da frate e da monaca dei personaggi. Altri biglietti d’invito a serate danzanti e feste trasgressive sono sparsi per terra, ai piedi degli ospiti. Offrono un’idea del contenuto di queste serate: “Il conte Basset non vuole sapere se Lady Squanderfield abbia dormito la scorsa notte”. “La compagnia di Lord Squanderfield è richiesta da Lady Townly, il prossimo lunedì”. “La compagnia di Lady Squanderfield è desiderata da Miss Hairbrain”. “La compagnia di Lady Squanderfield è ambita di Lady Heathon, domenica prossima”.

Che la “Lingua d’argento” dell’avvocato sia più che apprezzata dalla giovane contessa è evidenziata da un piccolo domestico africano che mostra le corna di un Atteone in porcellana, il mitologico cacciatore trasformato da Diana in cervo, dopo averla sorpresa nuda con le sue ninfe al bagno. Chiaro segno d’infedeltà nei confronti di Lord Squanderfield. Il valletto (dal copricapo orientale) sta osservando una serie di chincaglierie appena acquistate. Fuori della cesta in vimini è, infatti, aperto il “Catalogo dell’intera collezione del defunto Dott. Timothy Babyhouse in vendita all’asta”. Fatto salvo un piatto decorato con “Leda e il cigno” che porta la firma “Julio Romano”, sono tutti oggetti scadenti come vasi, piattini, statuette, del tutto simili a quelli che avevamo osservato sulla mensola del caminetto nel salone della seconda scena. I quadri stessi che ornano le pareti della stanza sono adatti più alla camera da letto di una donna licenziosa che a quella di una dama perbene. Giove, che seduce Io figlia del re di Argo ad imitazione di Correggio. Loth con le sue figlie, che ubriacano il padre in modo da compiere atti incestuosi, copia dell’opera all’epoca attribuita a Caravaggio. Sotto le sembianze di un’aquila osserviamo Zeus che rapisce Ganimede per farne il suo amante, opera che vorrebbe rievocare la pittura di Michelangelo. Al contrario di tutti questi dipinti, quello posto più in alto raffigura un compassato uomo di legge che guarda esterrefatto i decadenti costumi dall’epoca.

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica dell’incisione di William Hogarth dal dipinto conservato alla National Gallery di Londra

William Hogarth: Marriage à-la-mode / Dal Ciarlatano

di Sergio Bertolami

Nella terza scena di Marriage à-la-mode, denominata The Inspection (il nome è riportato sulla cornice), ma generalmente ricordata come The visit to the quack doctor (La visita al dottore ciarlatano), William Hogarth tocca il tema della sifilide, la terribile malattia venerea, che fra Sette e Ottocento sarà al centro di molte narrazioni. In verità, si era già diffusa in Europa, probabilmente a partire dalla scoperta dell’America. All’epoca, un autore riportava nel suo trattato scientifico: «Al momento in cui pubblico la mia opera, tramite contatto venereo è giunta a noi dall’Occidente una malattia nuova, o quantomeno sconosciuta ai medici che ci hanno preceduto, il mal francese. Tutto il corpo acquista un aspetto così ripugnante, e le sofferenze sono così atroci, soprattutto la notte, che questa malattia sorpassa in orrore la lebbra, generalmente incurabile, o l’elefantiasi, e la vita è in pericolo» (Alexandri Benedicti Veronensis, Physici Historiae Corporis Humani, 1497). La sifilide si trasmette soprattutto durante il contatto sessuale, ma è possibile che interessi anche la gravidanza, passando dalla madre al feto. I gravosi effetti sociali potevano essere limitati da accorgimenti come l’uso di preservativi durante il rapporto sessuale, che comunque non garantivano la piena efficacia. In casi particolari anche un bacio profondo o una stimolazione orale potevano creare rischi d’infezione.

Non era la prima volta che Hogarth toccava l’argomento, basti pensare alla serie di dipinti ed incisioni riguardanti la Carriera di una prostituta del 1732.  Tuttavia, nella scena con il ciarlatano, la sifilide è la protagonista assoluta. Sul tavolo del finto medico campeggiano un teschio, intaccato dagli effetti della malattia e un trattato di medicina. Il problema, come ben si comprende, non era essenzialmente, medico, ma sociale perché legato alla trasmissione del contagio. Le autorità sanitarie chiaramente ponevano il massimo di attenzione alle case di piacere e alle prostitute considerate le maggiori responsabili della diffusione. Nella scena Hogarth capovolge il pensare comune, dal momento che è il giovane visconte ad avere infettato “troppo presto” la ragazzina offerta dalla maîtresse, che ora è adirata per aver perso una buona occasione di guadagno. Quale sia il destino ineludibile della sventurata Hogarth lo aveva già narrato nel 1732. Ma tornerà sulla malattia nell’ultima scena di questo stesso ciclo pittorico, e stavolta l’infezione avrà colpito una bambina del tutto innocente.

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Scena terza – Dal Ciarlatano

(S.B.) Nelle due stampe precedenti, gli sposi promessi hanno stretto il loro contratto matrimoniale e sono convolati a nozze, pur continuando a mostrare insensibilità l’uno verso l’altro. Questo non avveniva comunemente in tutti i matrimoni combinati dell’epoca, dal momento che spesso si instaurava fra coniugi un minimo rispetto. Nella terza scena, per esemplificare la probabile conseguenza dell’amore licenzioso, lo sguardo di Hogarth si sposta ora nello studio di un ciarlatano, richiamandosi ad un tal dottor Misaubin, personaggio di dubbia fama nella Londra del tempo, spacciatore di farmaci antivenerei e di pillole miracolose, che gli valsero il soprannome di Mr. Pilule. Qui il medico è rappresentato come un losco figuro, piccolo e tozzo, all’interno di un ambiente che raccoglie svariati oggetti che dovrebbero essere inerenti alla sua professione. Sebbene sia solo un cerusico ed eserciti operazioni di bassa chirurgia (come salassi e interventi di scarso impegno) tiene a presentarsi al pubblico come uno specialista, un farmacista, un naturalista, un chimico. Per accrescere il ridicolo, la sua parrucca e il vestire ci dicono che è un francese, perché è un male francese che è chiamato a curare e del quale dovrebbe essere specialista. Sul suo tavolo, infatti, c’è un teschio, aggredito dalla malattia.

Hogarth, per rifinire il suo personaggio, lo presenta anche come inventore di macchine estremamente complicate per svolgere le operazioni più semplici. Su di un marchingegno è esposto un libro in cui è scritto: “Spiegazioni su due macchine superbe, l’una per rimettere in sesto un arto lussato, e l’altra per servire come cavatappi, inventate da Monsieur de la Pillule, viste e approvate dall’Accademia Reale delle Scienze di Parigi”. L’intera stanza risulta stracolma di allusioni: un armadio, con piccoli cassetti di cui i cartigli riportano il contenuto, è sormontato da scaffali con vasi da farmacista, culminanti con una testa imbalsamata di un canide mostruoso. Accanto, due sarcofagi egizi e, a parete, le raffigurazioni di rarissime malformazioni congenite: un essere con le braccia congiunte al capo e un uomo con due teste. Sulla parete di fondo, un grande armadio semi aperto conserva uno scheletro nell’atto di baciare una figura anatomica, forse per ammonire i viventi della realtà della morte (quindi, un messaggio di Hogarth a non fidarsi mai di un ciarlatano). Nell’armadio c’è anche una testa imbalsamata con una parrucca francese. Appesi al soffitto, un coccodrillo impagliato, animale esotico, e un uovo di struzzo, simbolo della superiorità della Fede rispetto alla Ragione. Una fede evidentemente mal riposta. Infissi a muro una congerie di strani reperti. Un corno di narvalo, montato a pennone come una insegna di barbiere. Probabilmente sta a ricordare che il celebrato e prospero professionista in passato svolgeva il mestiere di cerusico. Sembrerebbe, infatti, che proprio quel mestiere di cava sangue gli abbia permesso di raggiungere gli onori in piena regola di cui sta ora sta godendo.

Gli esemplari di storia naturale appesi ostentano espressamente la sua pretesa di essere considerato un naturalista. Come se fossero le pregresse esperienze del suo esercizio, esibite alle menti fiduciose dei suoi ingenui pazienti. Osserviamo un alambicco, un femore enorme forse appartenente a un gigante la cui testa fa mostra di sé, un tripode, un cappello a campana da medico virtuoso e delle vecchie scarpe. Ma anche speroni da cavaliere, una lancia e uno scudo, allusivi probabilmente alle imprese letterarie di Hudibras, colonnello dell’esercito di Cromwell, e del suo scudiero Ralpho, protagonisti di svariate disavventure comiche in conseguenza della loro stupidità e disonestà. Attraverso una porta scorgiamo una stanza ingombra di storte e alambicchi.

La descrizione minuziosa mette in risalto il contrasto con la realtà espressa dai personaggi al centro della scena. Chiedono conto e ragione al ciarlatano sul perché ora si trovino in una condizione del tutto indesiderata, nonostante la sua millantata competenza medica. Il visconte, levando minaccioso la canna, mostra la scatola delle pillole salvifiche, che non lo hanno preservato affatto dalla malattia. Quella malattia che avevamo osservato denunciata, nelle due stampe precedenti, attraverso quella strana macchia nera sul collo. Le pillole di mercurio che il ciarlatano gli aveva prescritto non hanno curato la sifilide del giovane visconte, e neppure gli hanno evitato di trasmettere quel conosciuto e temuto “mal francese” alla minorenne (quasi una bambina) che sta al suo fianco. Con aria timida e frastornata esibisce anche lei la scatola delle pillole e nasconde in parte il viso con il fazzoletto. Porta in capo una cuffietta, che ricorda quella che, adornata di un nastro, pendeva dalla tasca del nobiluomo quando era rientrato a casa dopo avere passato una notte in allegra compagnia. La ragazza è in pratica una giovanissima prostituta che probabilmente è stata concessa per la prima volta al visconte, frequentatore della casa di tolleranza condotta dalla tenutaria, che alle spalle del nobile signore agita un coltello. Il nobile adirato (ma neanche troppo) chiede spiegazioni. Forse per quietare l’ira della maîtresse, che ascolta le parole del gentiluomo, mentre minaccia di farsi giustizia da sola. È malata anche lei di sifilide come vediamo dalle macchie sul volto. La ragazzina si asciuga la ferita, comparsa su di un angolo delle labbra. È il primo sintomo della terribile malattia venerea. Il ciarlatano non può che rispondere col suo ghigno impudente, espressione che bene si addice alla sua vile occupazione.

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica dell’incisione di William Hogarth dal dipinto conservato alla National Gallery di Londra

William Hogarth: Marriage à-la-mode / Poco tempo dopo il matrimonio

di Sergio Bertolami

Come sappiamo, i dipinti originali furono acquistati da John Lane, di Hillingdon, il quale in una lettera al signor Nichols, ha descritto i particolari di quella singolare transazione. Nell’anno 1750, William Hogarth pubblicizzò la vendita degli originali, dando luogo a una sorta di asta. Ogni potenziale acquirente avrebbe dovuto fare pervenire la propria offerta personale mediante un biglietto scritto su carta intestata e controfirmato, dove era riportato il prezzo disponibile a pagare. Queste offerte avrebbero dovuto pervenire ad Hogarth entro un mese dall’avvio della gara. Alle dodici dell’ultimo giorno del mese i quadri sarebbero andati al migliore offerente. Nessun altro, tranne coloro che avevano presentato per iscritto le offerte, sarebbe stato ammesso all’acquisto il giorno in cui il pittore avrebbe determinato la cessione dei sei dipinti. Questo strano metodo di vendita, del tutto nuovo per quanti apprezzavano le opere di Hogarth, portò uno sconvolgimento tale da sembrare esserci un atteggiamento concordato fra quanti erano contrari all’illustre pittore. Insomma, parve che l’approvazione straordinaria verso le sue opere, fosse all’improvviso venuta meno. Se questo fosse davvero il caso – scriveva John Lane nella sua lettera – i detrattori realizzarono pienamente la propria intenzione.

Nel giorno stabilito di giugno 1750, verso le undici, il fortunato acquirente, Mr. Lane, arrivò al Golden Head. Grande fu la sua sorpresa. Si aspettava di trovare il salone dei dipinti pieno di nobili e illustri personaggi. Questo era accaduto in altre situazioni di cui era stato testimone, ad esempio nel 1745, quando Hogarth mise in vendita molti dei suoi quadri. Quel giorno, al contrario, trovò solo il pittore e il suo ingegnoso amico Dr. Parsons, segretario della Royal Society. Questi signori sedevano nella sala dei dipinti, parlottando fra loro mentre aspettavano almeno un certo numero di spettatori, se non proprio di offerenti. Quando si aprì la busta, Hogarth dovette constatare che quell’unica offerta pervenuta era da considerarsi l’offerta più alta, fatta per iscritto da un gentiluomo secondo le regole prefissate. L’offerta ammontava a £ 126. Nessun altro entrò una decina di minuti prima di mezzogiorno, ora segnata dall’orologio posto nella stanza. Il signor Lane precisò anche a voce quanto aveva scritto nella sua lettera d’offerta. L’orologio batté le dodici e Hogarth augurò gioia al signor Lane per il suo acquisto, con la speranza che il fortunato acquirente fosse soddisfatto. Il signor Lane, sorpreso dell’inaspettato favore della sorte, rispose: «È precisamente così».

La transazione doveva a quel punto considerarsi conclusa, quando inaspettatamente seguì un inconveniente, suscitato dall’amico di Hogarth, il Dottore. In verità, ciò che seguì disturbò, più che il signor Lane, lo stesso Hogarth, che parve manifestare in volto una grande e ragionevole delusione. Il Dottore disse a Hogarth che aveva fatto un errore grave, perché aveva deciso di fissare la vendita a un’ora poco conveniente; cioè proprio quando le persone importanti in quella parte di città si erano da poco alzate dal letto. Hogarth perplesso rispose: «Forse può essere così». Il signor Lane, dopo qualche istante di sorpresa concordò col Dottore, aggiungendo di essere anche lui dell’opinione che quelle pregevoli opere di pittura fossero davvero mal pagate; pertanto, se Hogarth pensava che più tempo gli sarebbe stato di qualche utilità, gli avrebbe concesso fino alle tre, per trovare un acquirente migliore di sé stesso. Hogarth accettò calorosamente l’offerta ed espresse i suoi riconoscimenti per la generosità manifestata dal signor Lane. Ricevette grandi encomi anche dal Dottore, che si offrì di rendere pubblica quella proposta disinteressata ed altruistica. Il signor Lane preferì, invece, che il fatto rimanesse riservato.

Circa una o due ore prima di quanto gli aveva concesso il signor Lane, Hogarth intervenne asserendo che non avrebbe più abusato della sua generosa disponibilità e che, se il signor Lane era soddisfatto del proprio acquisto, lo stesso Hogarth era ampiamente soddisfatto della propria vendita. Desiderava soltanto che il signor Lane gli promettesse che non si sarebbe mai liberato dei dipinti senza prima informarlo della sua intenzione. Il signor Lane tenne i sei quadri finché visse, nonostante varie offerte d’acquisto. Parlò anche più volte con Hogarth di questa sua determinazione a non cedere i quadri a nessuno. Un eminente pittore un giorno disse al signor Lane: «Questi dipinti sono certamente l’opera più faticosa e finita del grande Maestro; con essi è come possedere l’anima di Hogarth». Soltanto dopo la morte del signor Lane, questi sei quadri incomparabili furono messi all’asta da Mr. Christie’s, il 10 marzo 1792.

Scena seconda – Poco tempo dopo il matrimonio

(S.B.) La seconda scena del racconto di Hogarth è intitolata The Tête à Tête (il nome è segnato sulla sua cornice) e vi compaiono le prime avvisaglie di un matrimonio che non lascia presagire niente di buono. La coppia è infatti più “scoppiata” che mai. Nel lussuoso salone della loro nuova residenza i giovani sposi siedono ai lati di un tavolino dove è stata predisposta la prima colazione. Facendo però attenzione, l’orologio a parete segna venti minuti dopo mezzogiorno. Anche questa seconda scena, come la prima, si presenta incredibilmente piena di contrasti. La signora si è alzata da poco; intorno la confusione regna sovrana. Le candele, ridotte a mozziconi ancora fumanti, spuntano dal grande lampadario a bracci e dai candelabri. Un cameriere ha preso a riordinare le sedie intorno ai tavoli, sbadigliando in modo svogliato, dopo l’intera notte che lo ha impegnato al servizio degli ospiti. È del tutto indifferente al fatto che una candela minaccia di riprendere fuoco a poca distanza da lui. Almeno in parte, i divertimenti dell’allegra compagnia sono suggeriti dai tavoli verdi e dalle carte da gioco sparse sul pavimento. Una poltroncina in primo piano è rovesciata; a fianco sono abbandonati a terra i violini con le custodie e la raccolta di partiture eseguite nottetempo dai musici. Tanti dettagli che indicano come il decoro rigido dell’alta nobiltà del passato non sia stato minimamente rispettato da parte dei presenti, né richiesto della padrona di casa. Da un lato del caminetto, la bella e vanitosa padrona di casa siede al tavolino dove le è stato preparato un vassoio d’argento con teiera, una singola tazza e un piattino dal quale non ha rimosso neppure il tovagliolo. A malapena, con sonnolenza tenta di riprendersi dalle fatiche del festino. Con uno specchietto in mano, si sta stiracchiando, mentre guarda in tralice il consorte. Ai suoi piedi è caduto un libro con la scritta “Hoyle on Whist”, ovvero i consigli di Hoyle riguardo al Whist. È il breve manuale, pubblicato nel 1742 da Edmond Hoyle, noto per avere teorizzato per primo pratiche e tecniche del Whist, un gioco di carte molto in voga, semplice in quanto a regole, ma difficile ad essere giocato con abilità. La signora in déshabillé appare disfatta, sia negli atteggiamenti che nell’aspetto. Per Hogarth (come ebbe a sottolineare) «una ciocca di capelli che cade scomposta lungo le tempie ha un effetto troppo provocante per essere rigorosamente decente». È intorno a lei e alla sua lussuriosa mondanità che si è riunita l’allegra brigata, dal momento che il visconte suo marito ha passato le stesse ore fuori di casa, a gozzovigliare chissà dove.

Il giovane aristocratico è da poco tornato dalle sue avventure notturne. Dall’atteggiamento prostrato, dallo sguardo vacuo, si può chiaramente intuire come il suo stato fisico e mentale siano diretta conseguenza della dissoluzione. È rientrato da lunghe ore di baldoria. Il soprabito riccamente adornato lascia intravvedere il gilet sbottonato, la camicia disordinatamente fuori dalle brache, le calze di seta abbassate. Anche i suoi capelli sono sciolti, e, nonostante sia alla presenza di una signora, non si è neppure tolto il suo fregiato copricapo. Malconcio, è accasciato dall’altro lato del caminetto, come a prendere le distanze da sua moglie. Ambedue le mani conficcate nelle sue tasche. Fantastica ancora sulle grazie dell’amante appena lasciata. Da una tasca gli pende un suo capo d’abbigliamento intimo, sembra una cuffietta da notte (che si è portato via come prova di conquista), mentre un cagnolino ne sta annusando il profumo. Ai piedi del giovane è gettato il cinturone e lo spadino spezzato, segno inequivocabile che ha ingaggiato un duello, chissà, forse per difendere l’onore della donna: a causa di una parola licenziosa di un altro pretendente o per la facezia di un compagno di stravizi. Ma ripensa anche ai giri sfortunati di carte, che ancora una volta gli hanno fatto sborsare qualche bella somma. Lo esprime bene il volto agitato dell’anziano maggiordomo, che svolge anche il compito di amministratore dei conti di casa. Porta sottobraccio il Libro mastro e in tasca una copia di Regeneration, noto sermone metodista. Esprime mirabilmente la sua piena convinzione che la rovina finanziaria, dopo aver colpito il conte padre, interesserà inevitabilmente anche il visconte figlio e la sua esaltata consorte. Il maggiordomo stringe fra le mani un gran numero di cambiali da pagare, perché solo una fra queste è stata onorata: la ricevuta porta la data del 4 gennaio 1744. L’apparente intrusione di questo personaggio indica, da parte di Hogarth, come in quel tempo certi contabili solerti fossero generalmente considerati volgari, perché troppo impertinenti e molesti per una élite alla moda, in tutt’altre faccende affaccendata. Non sono di questo avviso, al contrario, le figure che compaiono alle pareti. I loro sguardi di disapprovazione verso i padroni casa sono espliciti.

Sul caminetto la coppia ha esposto nuovi acquisti di scarso pregio artistico: una sfilza di chincaglierie in vetro, onice, marmo, ad indicare un lusso senza eleganza né gusto. Spicca però, al centro della mensola, un pezzo d’antiquariato, sembra una Faustina romana col naso rabberciato, segno di poca o nessuna cura nel trattare reperti antichi e preziosi. Sul retro un dipinto è incastonato in una cornice marmorea poderosa, culminante con un frontone che onora il gusto classicheggiante del proprietario. Il dipinto rappresenta un Cupido che suona il flauto, non a caso assiso su delle rovine. Oltre l’arco, sorretto da una coppia di colonne con capitelli corinzi, compare un quadro di cui si scorge semplicemente un piede. Probabilmente una Danae, della quale è coperta ogni sensuale nudità. Nel salone, arredato nel corso del festino con tavolini da gioco rimovibili, fanno mostra alle pareti I quattro evangelisti ad evidenziare ogni contrasto morale. Sotto i dipinti, infatti, una fila di specchi riflette l’effettiva smoderatezza dei frequentatori di quell’ambiente. Nelle sue caratteristiche decorative il salone, raffigurato da Hogarth, si ispira satiricamente agli interni decorati da William Kent, all’epoca talmente in voga che nessuna villa o palazzo avrebbero potuto essere costruiti o arredati senza ricorrere al suo geniale gusto artistico.

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica dell’incisione di William Hogarth dal dipinto conservato alla National Gallery di Londra

William Hogarth: Marriage à-la-mode / Il contratto di matrimonio

di Sergio Bertolami

William Hogarth (1697 – 1764) è stato un pittore inglese, che si è distinto soprattutto come incisore e autore di stampe di genere satirico. Le sue opere assomigliano a vere e proprie opere teatrali, dove i personaggi portano in scena i costumi dell’epoca. Lo seguiremo nel corso delle settimane, soffermandoci sui particolari e sui risvolti a prima vista stravaganti. Cominciamo con Marriage à-la-mode una delle sue storie più famose. Nel ciclo di sei dipinti e delle sei relative incisioni che seguiranno, Hogarth rappresenta le sfortunate vicende conseguenti ad uno dei tipici matrimoni del tempo, basato su di un contratto d’interesse. Il 2 aprile 1743 il pittore mise un annuncio sul London Daily Post per pubblicizzare l’uscita del suo nuovo lavoro: «Mr Hogarth ha intenzione di pubblicare per sottoscrizione sei stampe in rame, incise a opera dei migliori maestri di Parigi da quadri propri raffiguranti una variazione su una vicenda moderna nell’alta società e intitolati Matrimonio alla moda. Si baderà in modo specifico che la decenza e la proprietà di tutta la serie non abbiano a sollevare la minima obiezione, e che le relative figure non contengano riferimenti personali». È probabile che i dipinti del 1743 non vennero completati e che le tele siano state scartate dallo stesso autore, dopo avere compiuto un viaggio a Parigi. Il lavoro fu comunque riproposto, dal momento che sul Daily Advertiser del 19 febbraio 1745 il pittore annunciava che alla fine del mese, in un’asta tenuta nella propria casa, sarebbero stati esposti i dipinti del Matrimonio alla moda. Appena le relative incisioni fossero state pronte tali dipinti sarebbero stati acquistabili. Evidentemente la vendita non ebbe luogo, perché i dipinti furono venduti in un’altra asta, organizzata dallo stesso pittore il 6 giugno 1750. Il fortunato acquirente fu un certo Lane di Hillingdon (Uxbridge) che si accaparrò l’intero ciclo per la modesta somma complessiva di 126 sterline, inferiore di gran lunga a quella che Hogarth avrebbe sperato. Solo nel 1824 i sei dipinti entrarono nella collezione della National Gallery di Londra.

Scena prima – Il contratto di matrimonio

(S.B.) In un salone in stile Kent si stanno svolgendo gli accordi che porteranno al matrimonio tra il figlio del fallito conte Earl Squanderfield (letteralmente: “Sperpera terreni”) e la figlia di un ricco e avaro mercante della città. Il nobile, affetto dalla gotta, con tutta la prosopopea del suo alto lignaggio, ha appena terminato di mostrare al suo interlocutore il proprio albero genealogico, la cui radice è rappresentata da un guerriero che indossa un’armatura. Si tratta nientedimeno che di Guglielmo Duca di Normandia, il Conquistatore d’Inghilterra. Pensando al grande valore del suo progenitore, e a tutti i meriti dei rami collaterali che nobilitano la sua stirpe (unificati nella sua stessa persona) il conte Squanderfield considera queste nozze col proprio figliolo, che rappresentano un’alleanza tra le due famiglie, il vertice dell’esaltazione. Il nobile è circondato ovunque dai simboli del suo rango: lo sgabello che sostiene il suo piede gonfio e fasciato è adornato con la corona comitale; persino le sue stampelle, richiamo alla sua infermità, portano lo stesso segno distintivo che compare su ogni mobile presente nella stanza: lo sgabello, le poltrone, il sontuoso baldacchino, la cornice del tondo o dello specchio. Nonostante ciò, per via dei debiti, il conte è costretto a unirsi al borghese arricchito che gli siede di fronte. Sul tavolino gli ha versato l’esatto ammontare della dote, in banconote da mille sterline e monete d’argento. Parte della somma è servita al conte per pagare l’ipoteca che un usuraio, di nome Peter Walter, in piedi al suo fianco, ha subito riscosso. Ora è pronto a restituire le carte che liberano finalmente i lavori di costruzione della nuova villa in stile palladiano, visibile attraverso la finestra. I lavori si sono interrotti per mancanza di fondi, dopo il tracollo finanziario causato delle pessime speculazioni nei terreni di proprietà di lord Squanderfield. Di spalle è l’architetto che ha progettato la costruzione, il quale osserva la villa circondata dalle sue impalcature di legno. Getta di tanto in tanto un occhio sul raffinato piano della nuova costruzione che tiene nelle mani, pronto a riprendere al più presto l’opera. Una schiera di pigri operai, che in cantiere siedono sui conci da montare, completa la raffigurazione del rovinoso splendore di questa nobiltà ormai decaduta.

Al tavolo, dinanzi al conte, siede anche il padre della sposa, un facoltoso borghese, che porta sul panciotto una catena d’oro che lo rende riconoscibile quale assessore del comune di Londra. Suo malgrado, è stato costretto a privarsi di una grossa somma di denaro, pur d’introdurre la figlia in una nobile e altolocata famiglia. Chiaramente, inforcando i suoi occhiali, ha prima passato meticolosamente al setaccio i documenti della transazione matrimoniale, ai quali ha dedicato fino a questo momento tutta la sua attenzione. Ora il suo sguardo si perde sulla somma appena sborsata, che si è involata dalle proprie tasche, lasciando nella sua borsa caduta in terra soltanto uno scellino.

L’altra metà della scena è rappresentata dalla coppia di sposi promessi. Nulla hanno in comune per far dire che presto convoleranno a nozze. Il giovane visconte è troppo innamorato di sé stesso per essere affascinato da qualsiasi altra persona, persino al cospetto della sua sposa designata. Contempla allo specchio il suo bel viso incipriato, con soddisfazione e gioia – dopotutto quell’accordo lucroso risolleverà le sorti di famiglia – e intanto prende dalla preziosa tabacchiera, indispensabile accessorio di moda, un pizzico di trinciato da sniffare. La ragazza imbronciata, assolutamente propensa a vendicarsi, ripaga l’indifferenza del fidanzato con scontrosità e disprezzo. Offesa dal giovane, che non le mostra alcun riguardo, si rassegna a compiacersi delle attenzioni svenevoli di un altro gentiluomo, mentre lucida con un fazzoletto la propria fede nuziale. L’asseconda il counsellor Silvertongue (letteralmente: lingua d’argento) l’avvocato i cui indirizzi fanno sembrare il peggio come la causa migliore. Tempera una penna d’oca con la quale ha finito di vergare il contratto appena sottoscritto, mentre senza ritegno, apertamente, fa la corte alla giovane donna. Ai piedi dei prossimi sposi, un’altra coppia, ma di cani, anch’essi frustrati e indifferenti, quasi a riecheggiare la situazione imbarazzante.

Alle pareti i personaggi rappresentati sembrano manifestare ogni perplessità su di un futuro familiare che si prospetta alquanto sventurato. Da un lato del muro spiccano copie di dipinti di autori famosi, come Il martirio di Sant’Agnese del Domenichino, sormontato dal Supplizio di San Lorenzo, un tondo con la Medusa di Caravaggio, il Prometeo di Tiziano e sopra Caino e Abele dello stesso autore. Fanno pendant sull’altra parete altri dipinti che si rifanno a Tiziano: David e Golia e, sotto di questo, il Martirio di San Sebastiano nel quale il santo assume la stessa posa dell’avvocato; affianco Giuditta con la testa di Oloferne. Infine, un pomposo ed enorme dipinto, alla maniera di Hyacinthe Rigaud, che raffigura (quasi a riecheggiare il suo celebre Ritratto di Luigi XIV con gli abiti dell’incoronazione) un antenato del conte con dei fulmini in mano e una cometa sopra la testa, svolazzi di nastri, decorazioni, e una bombarda che scaglia una palla. Sull’angolo del soffitto, un affresco del Faraone che passa il Mar Rosso. Hogarth, in ogni minimo particolare, sottolinea la situazione precaria, come i tre spilli (ben visibili nel dipinto) impuntati sul braccio dell’usuraio, a testimonianza dell’avarizia dei tre personaggi intorno al tavolo, interessati a trarre profitto dal contratto di matrimonio. Oppure come quella piccola macchia nera che appare sul collo del giovane sposo, indice di una salute malsana che si rivelerà nelle prossime scene.

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica dell’incisione di William Hogarth dal dipinto conservato alla National Gallery di Londra