Il Cinema racconta… nel Museo del Novecento

 

Messina è una città malata? Geri Villaroel usa una metafora calzante. Se sei un giovane e t’infortuni ad una gamba presto camminerai di nuovo, ma se sei un vecchio sarà problematico riprendersi. Evidenzia l’On. Giovanni Ardizzone: terremoto e guerra erano cause esterne, per questo la città ha riconquistato l’impulso vitale, oggi invece la sua crisi è interna alle coscienze. L’orgoglio civico che spingeva a rimboccarsi le maniche lo avverti nella quotidianità di quegli anni. Negli spezzoni di pellicola che Egidio Bernava ha rimontato vedi sul viale S. Martino, fra due quinte di casette in legno, carrozze e persone a passeggio, donne in lutto e famigliole eleganti. La pescheria, l’approdo dei traghetti, le navi agli ormeggi, tutto parla della vita che ricomincia. Anche gli spettacoli. Egidio propone un album di sale cinematografiche: dal Peloro in Piazza Don Fano, col prospetto ligneo di gusto liberty, fino all’Olimpia fondato dal padre Salvatore nel 1955. Lo fa con un piacere affabulatorio suggestivo: il giovane al mio fianco è calamitato dalle sue parole. Pensare alla nostalgia non coglierebbe lo spirito autentico di questa serata introduttiva della rassegna “Il Cinema racconta il Novecento”. La Messina del Teatro dei Dodicimila in piazza Municipio o della Rassegna cinematografica all’Irrera a mare – città moderna, colta, artefice d’iniziative culturali ed economiche – era guarita dai suoi trascorsi. Oggi al Museo del Novecento, sorto non a caso nell’ex rifugio aereo Cappellini, non c’è rimpianto. Bensì perseveranza fattiva. Qui si rievocano immagini e storie del secolo scorso: decisi a recuperare le radici del passato, per fare mettere frutti all’albero di un rinnovato buonsenso condiviso.

Pubblicato su Centonove-Press n. 39 – 20 ottobre 2016 2016

Fonte fotografia: Wikimedia. Lo scomparso cinema Trinacria a Messina

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T’innamorerai, con un colpo di fulmine

 

Sabirfest è un evento ispirato allo spirito di conoscenza e ospitalità della lingua sabir. «Cos’è la lingua sabir?» domanderete voi. E Molière mi avvertirebbe: «Se ti sabir, ti respondir. Se non sabir, tazir, tazir», come dire: «Se tu sai, rispondi. Se non sai, taci». Mi sono documentato e perciò chiarisco: è la più longeva lingua pidgin di cui si abbia notizia. Una lingua franca barbaresca – dove franchi erano i cristiani europei e barbareschi i musulmani – nata dal miscuglio di lingue parlate fra le popolazioni del Mediterraneo per capirsi sulle necessità della vita quotidiana. È durata almeno tre secoli e l’avremmo dimenticata senza questa manifestazione intrapresa nel 2014 a Messina, che «propone occasioni per vivere la nostra città e il Mediterraneo come spazio aperto di crescita culturale e partecipazione sociale, di creatività e di svago». Quest’anno ha raddoppiato attività: quattro giorni a Messina e altrettanti a Catania (fino al 16 ottobre). Con SabirFestival puoi appassionarti a letture, seminari, laboratori, cinema, teatro, fumetti. A SabirMaydan, la “piazza nella piazza”, puoi ascoltare e dibattere sul Mediterraneo come spazio di lotta e di progresso. A SabirLibri scoprire storie, idee, opere e autori, perché cinquantacinque sono le case editrici che presentano novità ai lettori. Tutto ciò per un pubblico differenziato in quanto ad interessi ed età: per giovani o meno, per studenti degli Istituti coinvolti direttamente e per i più piccoli con laboratori di animazione. Insomma, un programma fitto di appuntamenti per evitare a Messina i “Vuoti di memoria” e a Catania per tracciare rotte tra le realtà complesse dei quartieri del centro storico che restituiscono una “Città arcipelago”.

 

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Tanti mestieri che nessuno vuol fare

 

L’artigianato va scomparendo. Lo gridava ai quattro venti già William Morris, che nel tardo Ottocento diede vita alle Arts and Crafts per fronteggiare i metodi di produzione industriale. Oggi i lavori più ambiti sono: consulenti per la gestione aziendale, progettisti per l’automazione industriale, analisti di procedure informatiche, sviluppatori di software. Per contro nessuno rifiuta le “tipicità”, in dissenso col predominare della omologazione. Nondimeno cosa rispondereste se vostro figlio confessasse, a voi impiegati o professionisti, di voler fare il produttore di sedie, anzi l’impagliatore di divani e poltrone, il riparatore di lustrini di mobili, il corniciaio? Eppure scemano a vista d’occhio le professioni di tradizionale memoria: quelle artigianali o creative, con guadagni limitati, difficili da intraprendere e imporre al mercato consumista. È retorico voler salvare le tradizioni a spese dei singoli mentre le Istituzioni rimangono immobili, se non per poche eccezioni. Ad esempio, si sta riprendendo l’antichissima arte di pizzi, trine e macramè. Questo in seguito al progetto di candidatura del merletto italiano a Patrimonio immateriale dell’Umanità dell’Unesco. Nel Biellese, per coltivare gli antichi mestieri del tessile, sono state create scuole superiori, corsi universitari e master. Esistono settori rilevanti, come l’alta moda o il restauro, che fanno capo a filiere che nella tradizione trovano il loro sostegno. Sono alternative parallele ai grandi competitor industriali, volendo sanare una ferita culturale sempre più ampia e fugando persino i timori di Morris: «Fintantoché il sistema della competizione nella produzione e negli scambi continua, continuerà la degradazione delle arti».

 

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Il tango argentino? Lo ballano a Messina

 

Alla Biblioteca Regionale “Giacomo Longo”, in un piacevole pomeriggio autunnale, ha proprio ragione la direttrice Maria Teresa Rodriquez ad esordire: «Divertirsi non è difficile quando si ha la tessera di una biblioteca». Soprattutto se il clima generoso permette di fruire del chiostro dell’Arcivescovado – lindo e pinto, eccezione non comune nella città accorintiana – e l’evento sembra materializzarsi come le figure tridimensionali dei colorati libri per bambini. A “Tiempo de tango” è stato composto il palinsesto di un incontro fra letteratura, poesia, cinema, e, chiaramente, musica e danza. Perché, fuor di dubbio, i sensuali tanghi e milonghe, dell’affiatata coppia di ballerini argentini Luìs Delgado e Malena Veltri, come l’ondeggiante fisarmonica di Salvatore Galletta, hanno calamitato l’attenzione. Così il pubblico dei presenti s’è ritrovato a fine Ottocento, nelle case da ballo d’oltreoceano, frequentate da povera gente. Quando per stringere una donna s’impiegava un ballabile. Ricordi di cadenze ancestrali, sulle quali intrecciare discorsi ammagliati da Patrizia Danzè, per ascoltare Lilita Pizzi sulla ritmica ispanica dell’Associazione Puerto de Buenos Aires, le pagine di Anna Mallamo, le terapie di coppia di Maria Gabriella Scuderi, le valenze della sceneggiatura filmica di Salvatore Arimatea e Tosi Siragusa per “Ballando il silenzio”. In chiusura, Borges e l’evocazione poetica del tango delle origini. Nato nei vicoli e nei lupanari dei quartieri malfamati, era davvero così poco sensuale e niente affatto sentimentale. I versi di Borges parlano di ammazzati a colpi di coltello e teppisti di periferia. Dopotutto i libri sono qui in biblioteca per questo: per attestare le realtà in evoluzione.

 

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Abbiate due idee, per favore!

 

LA SICILIA che piace è quella dei musei e dei siti culturali. Titola così il quotidiano di Catania, informando sugli ultimi dati rilasciati dalla Regione siciliana, nei quali si registra – rispetto allo stesso periodo dello scorso anno – un 10% in più di visitatori, con incassi che arrivano quasi a 10 milioni di euro. Un articolo alquanto ingenuo nel comparare tale crescita modesta ad un’onda lunga virtuosa: «Una vocazione di valorizzazione ormai adulta dei beni culturali delle aree periferiche emerge dalla lettura degli ultimi dati sulla fruizione dei siti e dei musei regionali». Ciò che in realtà emerge, alla lettura delle tabelle Excel sul primo semestre 2016, è che il cammino risulta ancora lento e faticoso. Nonostante un patrimonio eccellente! E la buona volontà di quanti sono impegnati nelle Istituzioni a conseguire gli obiettivi fissati dalla programmazione europea per la valorizzazione degli asset attrattori di rilevanza strategica. Ora mi pare che, con il cartoccio in mano alla festa del santo patrono, non possiamo dire che la calia non sia buona, ma certo occorre procacciare qualcosa di più. Gli sportivi mi daranno ragione se faccio un paragone col solo Giro d’Italia che oggi fattura 25 milioni. Ed è un business non sfruttato a confronto del Tour de France, che di milioni ne fattura 110. L’obiettivo deve, perciò, liberare concretamente le enormi potenzialità che fino ad ora nessuno ha saputo far valere. Come? Stringendo relazioni per moltiplicare le idee. «Se tu hai una mela – diceva George Bernard Shaw – e io ho una mela e ce le scambiamo, allora tu ed io avremo ancora una mela ciascuno. Ma se tu hai un’idea e io ho un’idea, e ce le scambiamo, allora ognuno di noi avrà due idee».

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La Sicilia e le sue culture

 

MANDANICI. Conoscere-pensare-agire, sono le parole chiave di questa sesta edizione della “tre giorni” che coinvolge esperti in differenti discipline per un confronto culturale tra aree cognitive apparentemente distanti fra loro: neuroscienze e psicoanalisi, architettura e design, musica, archeologia, economia, diritto, filosofia, geografia, antropologia, storia. «Questo evento è dedicato a uomini e donne dallo spirito libero che sentono di poter dare un personale e collettivo apporto – commenta Pino Mento, che anima “Archetipi e territorio” nell’organizzare la manifestazione – È un tentativo di “rivisitazione critica” dei concetti di spazio, luogo, ambiente, territorio e paesaggio attraverso una prospettiva antropologica e storica della percezione dei “comportamenti umani” e dei “fenomeni” che in essi avvengono». Quest’anno il tema è “La Sicilia e le sue culture”, centro del Mediterraneo ed incrocio di civiltà. Ciò per diffonderne l’identità, legata ad una insularità vista come una “possibilità sempre aperta”, una singolarità in forma di plurale, con l’intenzione di ricordare memorie segnate nella pietra e nel vento, come le canterebbe il poeta Adonis. Ecco perché le riflessioni sono molteplici quante le facce di un poliedro stellato. Così da domandarsi se esiste una cultura siciliana, se gli eventi sono la sua storia, dove finisca il mito, come si stratifichino i culti, in cosa trovare le tracce della realtà. Quella segnata nelle pagine di storia, nella letteratura dei viaggiatori, nelle mappe dei cartografi. Ecco che, muovendo dall’immaginario, il quadro diventa via via più chiaro quando si mettono a fuoco uomini e luoghi. Che occorre appunto conoscere. Pensare o magari ripensare. Per agire.

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“Cultura Crea” per le imprese del Sud

 

INVITALIA, l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa – facente capo al Ministero dell’Economia – col proposito di “dare valore all’Italia” promuove il rilancio delle aree di crisi, soprattutto nel Mezzogiorno, e gestisce incentivi sostenendo imprese e startup innovative. A settembre, in accordo col Mibact, lancia una nuova iniziativa a favore della filiera culturale e creativa delle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e – buon per noi – Sicilia. “Cultura Crea” è il programma varato per realizzare e sviluppare iniziative imprenditoriali nel settore dell’industria culturale-turistica e per sostenere le imprese no profit che puntano alla valorizzazione delle risorse culturali presenti sul territorio. L’iter sembra spedito, perché in quattro mesi dalla presentazione della domanda l’impresa sarà in grado di operare sulla base di un contratto di finanziamento appositamente stipulato. Le risorse complessive, relative al finanziamento agevolato a tasso zero e al contributo a fondo perduto, possono arrivare a coprire il 90% delle spese ammesse. Le agevolazioni, concesse fino ad esaurimento delle risorse, ammontano a 107 milioni di euro: 42 per la nascita di nuove imprese, 38 per il sostegno alle imprese già attive, 27 per il terzo settore. A conti fatti non meno di 200 progetti saranno sviluppati per dare vita a servizi per la fruizione turistica e culturale, iniziative di promozione e valorizzazione, recupero di produzioni tipiche locali. Agli stalli di partenza: dal 15 settembre, su www.culturacreativa.beniculturali.it si potranno presentare le domande e informarsi sui roadshow e i vari webinar. Che dire? Il futuro appartiene a coloro che ci credono.

 

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Macerie, una volta di più

 

TERREMOTI. Prevederli non significa indicare in anticipo zona, giorno, ora, intensità. Ma avere l’idea che, prima o poi, l’evento si verificherà. Fronteggiare il problema non è mai una questione tecnica, ma politica ed economica; perché sono politica ed economia ad indirizzare i programmi. La tecnica individua solo come realizzarli. La carta della classificazione sismica non è, perciò, una figurina per illustrare i tragici resoconti di cronaca. Il livello massimo di pericolosità si estende lungo la dorsale appenninica, senza discontinuità, dall’Italia centrale fino ad attraversare lo Stretto. Studiosi e tecnici lo spiegano a chiare lettere: siamo letteralmente seduti su di una polveriera con una sigaretta accesa fra le dita. I dati sono resi più drammatici dal fatto che circa il 70% del patrimonio storico ed artistico dei nostri bellissimi centri è fatiscente. Le sopraelevazioni e persino certe sostituzioni dei vecchi impalcati in legno, con nuovi solai cementizi, premono – verticalmente od orizzontalmente – su murature in pietrame che utilizzano leganti aerei di antichissima data. Neppure gli stabili dei primi anni del Novecento, costruiti con telai in calcestruzzo armato, sono sempre del tutto sicuri, poiché le competenze dell’epoca erano empiriche e le normative ancora deficitarie. Recuperare pertanto i centri storici, per adeguare alle attuali prescrizioni antisismiche un tessuto edilizio fragile e vulnerabile, dovrebbe costituire l’obiettivo fondamentale del nostro Paese. Urge un programma di prevenzione, risanamento e restauro, che prenda in considerazione l’intero territorio italiano a rischio. Perché, una volta di più, non basterà ricostruire le aree colpite dal sisma del 24 agosto.

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Come Orione, costruire la città della città

 

L’AREA FALCATA rappresenta uno degli ambiti più critici di Messina. Vi si concentrano tutte le incoerenze che nel tempo hanno caratterizzato questo sito di fondamentale importanza. Le strutture, tra mito e storia, hanno sempre svolto funzioni integrative di quelle urbane. Funzioni particolari: religiose, cimiteriali, sanitarie, difensive, militari, produttive, economiche, portuali e ovviamente di collegamento fra le due sponde dello Stretto. Gli ultimi interventi industriali dismessi hanno provocato fenomeni di marginalizzazione tangibile. Per fronteggiare tale situazione nel recente passato la Soprintendenza ha incaricato il prof. Massimo Lo Curzio di redigere un progetto per la realizzazione del Centro di Documentazione Arti Contemporanee (CDAC), con l’idea di recuperare e valorizzare ciò che rimane della Real Cittadella. È noto che il finanziamento regionale, accordato per un importo di oltre 11 milioni di euro, è andato perduto. Qualcuno nel backstage ha macchinato contro ma è possibile recuperare e rilanciare il progetto, ha evidenziato il presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone alla conferenza promossa dal Kiwanis Club di Messina, presieduto dal prof. Cosimo Inferrera. La realizzazione di un Master Plan propositivo sulla Zona Falcata, sarà l’impegno che il Club ha preso per l’autunno e ha affidato il coordinamento del tavolo tecnico all’arch. Vittorio Potestà. Restauro, conservazione, servizi attinenti alle attività pubbliche e culturali, punteranno a considerare la massima fruizione della Falce, dando vita ad una «città… della città». Sarebbe un modo per riscattare – partendo come Orione dal suo luogo identitario – anche una Messina senza più un’anima, che questo luogo ha sempre negato.

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La lingua sciatta della consuetudine

 

SULL’ORATORE. Quanti approdano a Messina, ricevono la benedizione della Madonnina del porto: «Vos et ipsam civitatem benedicimus». Ma pochi di loro sanno che la Vergine parla la lingua della Chiesa e non quella di Cicerone. Lo studente del Classico sa, invece, che il verbo “benedire” regge il dativo e che la sua professoressa correggerebbe “vos” con “vobis”. Lo stesso studente ha imparato che quello insegnato nei licei è il “latino letterario”, che persino Dante usava maldestramente se Petrarca lo bacchettava a dovere. Adoperava il latino della “consuetudo”, che burocrazia, giurisprudenza, scienza, continueranno ad utilizzare. Cioè il latino della “rusticitas”, la rozzezza del campagnolo; mentre Cicerone promuoveva la lingua della città che nella sua “urbanitas” addensava le regole della Roma repubblicana. «Caratteristiche precipue di questo “latino nuovo” sono la regolarità, l’uniformità ortografica, la chiarezza semantica e la complessità sintattica, la cosiddetta ipotassi, in cui il congiuntivo la fa da principe e gli utilizzi di questo sono dettati da criteri convenuti». Chi parla è Nicola Gardini, docente di Letteratura comparata a Oxford. Con “Viva il latino”, spiega come tale lingua, non più parlata, sia testimoniata da una miriade di manoscritti quanto di testi a stampa. Permane nella forma scritta, quella più elaborata e monumentale, «più durevole del bronzo» (Orazio). Per cui, Dante non avrebbe concepito “La Commedia” senza Virgilio e Machiavelli i “Discorsi” senza Livio. Nel “De Oratore” Cicerone affermava: «La lingua deve portare luce alle cose». Scopriremmo quanto è scritto sulla vanità. Impareremmo a misurare le parole e non ci sogneremmo di blaterare a sproposito. Vero Di Maio?

 

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