Primi passi per l’economia culturale

 

IO SONO CULTURA. Quest’anno la faccina demodé in copertina al rapporto annuale di Fondazione Symbola e Unioncamere, alla 6ª edizione, zittisce le malelingue. Cultura e creatività, nello scenario internazionale, sono considerati uno dei motori primari delle economie avanzate. “Cultura e istruzione” sono l’undicesima priorità del programma Juncker e Silvia Costa che presiede la Commissione Cultura del parlamento Europeo afferma che «è arrivato il momento per rimettere al centro i valori della cultura, della creatività, dell’educazione e del dialogo interculturale». I pilastri fondanti sono presto detti: il patrimonio culturale, le imprese creative e culturali, il Digital Single Market e il capitale umano. Quando si affrontano simili argomenti la mente dei più corre alla cultura scolastica, ma il perimetro di attività è ben più complesso. Il Rapporto 2016 prende in considerazione due dimensioni. Il “core cultura”, cioè il nucleo di elaborazione vera e propria, e l’area circostante di attività “creative driven”, l’unica in crescita, ossia il manifatturiero “evoluto” e l’artigianato artistico. Ora bisogna sviluppare il cuore centrale del sistema, composto da quattro macro-domini: industrie creative (architettura; comunicazione e branding; design) industrie culturali (film, video, radio-tv; videogiochi e software; musica; libri, stampa ed editoria) patrimonio storico-artistico, performing arts e arti visive. Si aprono spazi enormi di elaborazione e d’impegno; ma necessita una considerazione. Se l’economia culturale e creativa può mobilitare i giovani, occorre evitare formule di lavoro tanto flessibili da trasformarsi in precariato ad oltranza. Il capitale umano è la più grande risorsa che abbiamo.

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Lungo i binari della cultura

 

FERROVIE DELLO STATO. Se dovete oltrepassare lo Stretto non ci contate, prendete un Pullman. Ma se volete vedere i luoghi della cultura siciliana affidatevi alla Fondazione FS, che in collaborazione con Trenitalia e Regione Siciliana, vara il progetto “I binari della Cultura. Sicilia Estate 2016, itinerari turistici in treno storico”. Treno storico significa: come riciclare quanto giaceva in magazzino. Diciotto treni d’epoca consentiranno di visitare i fiori all’occhiello della Sicilia Orientale. Con la “Centoporte”, carrozze degli anni ‘30, trainate da una locomotiva diesel d’epoca D445 si scoprirà il Val di Noto, culla del Patrimonio Unesco. Con le vecchie automotrici ALn 668.1600 raggiungerete la Valle dei Templi, il Giardino della Kolymbethra, Porto Empedocle. Con le carrozze tipo 1959 trainate dalla locomotiva storica E646, costeggiando lo Jonio tra mare ed Etna sarete a Taormina. Viaggi volutamente lenti, per apprezzare incantevoli paesaggi che i secoli hanno lasciato. Ecco come organizzare un’estate solamente riciclando. “Absit iniuria verbo”, sia detto cioè senza offesa, se uso il termine riciclare. Perché oltre ai treni si potrebbero riciclare anche le idee. In questi stessi mesi, dalla stazione parigina di Saint-Lazare potete prendere il “Treno degli impressionisti”. La sede di partenza ricorda i dipinti di Monet e da qui si può raggiungere Giverny-Vernon, oppure Rouen o Le Havre. All’interno delle carrozze sono collocati pannelli descrittivi, viaggiando verso la Normandia di Pissarro, Degas, Renoir. Se avete tablet o smartphone, grazie a hotspot Wi-Fi e codici QR, accedete ai siti web, per arricchire le conoscenze prima di visitare i luoghi dal vivo. «Nous sommes ici. Bon voyage».

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Eravamo a cavallo… ora siamo a mare

 

L’ARCHEOLOGIA NAVALE fa “nuove scoperte” e mette a tacere persino Virgilio, il quale, nel II libro dell’Eneide, narra dell’esule Enea, che descrive alla regina Didone lo stratagemma messo in atto dagli Achei per concludere i dieci anni di guerra con Troia. Fingendo di tornare in patria, lasciano sulla spiaggia, quale dono agli dei, un colossale cavallo di legno costruito da Epeo con l’aiuto di Atena, e si nascondono nella vicina isola di Tenedo. È pura leggenda, legata a un mito tramandato attraverso resoconti orali. Ma una disputa di lunga durata asserisce che tale versione dei fatti, nata intorno al VII secolo a.C., sarebbe errata. L’ultimo a intervenire, in ordine di tempo, è l’archeologo Francesco Tiboni, ricercatore dell’Università di Aix-en-Provence e Marsiglia. Sostiene che sarebbe frutto della traduzione inesatta del termine “hippos” con “equus” (cavallo). In realtà, l’epica macchina, adoperata dai greci per espugnare Troia, era una particolare nave di origine fenicia con la polena a testa di cavallo e per questo denominata “hippos”. «Che quello realizzato da Epeo fosse un marchingegno per abbattere le mura e non un cavallo, lo sa bene chiunque non voglia attribuire ai Frigi un’assoluta dabbenaggine. Tuttavia, la leggenda ci dice che è un cavallo» (Pausania). Ce lo siamo domandati un po’ tutti come mai questi troiani si siano portati dentro casa il nemico. Ora il dubbio si accresce. Perché Tiboni dovrebbe spiegare, per quale ragione una nave dovesse essere trascinata a braccia oltre la cinta muraria, anziché i cittadini riversarsi a mare per festeggiare il dono rinvenuto. L’archeologia navale non dovrebbe esibire reperti ripescati, anziché ripescare libere interpretazioni lessicali?

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Christo cammina sulle acque

 

LA PASSERELLA di tessuto giallo sul lago d’Iseo, serve alla “full immersion” degli iniziati, coinvolti emotivamente nell’installazione temporanea di Land Art ideata da Christo. Ma non solo. “The floating piers”, cioè i pontili galleggianti, servono anche come “passerella” alle rockstar della critica d’arte nostrana, perché basta dire il contrario per tenere viva l’attenzione anche su di loro. Philippe D’Averio paragona l’opera all’attrazione della donna cannone, dal momento che in questa sagra di paese «avranno successo solo gli ambulanti di bibite e panini». Vittorio Sgargi, “vox clamantis in deserto”, la definisce come «il desiderio solipsistico di un artista, una passerella verso il nulla». Al contrario, avrebbe potuto stabilire un collegamento con i centri vicini, che preservano monumenti, chiese, siti archeologici, mete di un percorso delle meraviglie, del tutto immersi nel disinteresse e nell’oblio. Christo, isolato dal rumore molesto, risponde con distacco: «Non faccio questi interventi site-specific per essere popolare. Questa è arte non necessaria, che spesso importuna gli amanti dell’arte che preferiscono luoghi asettici o protettivi come le gallerie o i musei. Prendo in prestito uno spazio, creando un “disturbo gentile” e intrecciando la vita delle persone all’opera d’arte». Le rockstar non hanno compreso che gestire la promozione dei luoghi spetta agli organizzatori. Non all’artista. Lui, invece, stimola il desiderio di camminare – quasi involontariamente, meglio se a piedi scalzi – per abbandonarsi al sole, all’umidità del lago, alla pioggia o al vento. «Qui non si è persi dentro una realtà virtuale, non c’è la riproduzione di un’immagine appiattita». Silenzio, “please”.

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Di capre ce ne sono tante

 

LA COSTITUZIONE E LA BELLEZZA. Non è solo il titolo di un libro, ma l’intrinseco programma della nostra Carta Costituzionale. I due autori, Michele Ainis e Vittorio Sgarbi, hanno il merito di averlo messo in evidenza in sedici capitoli: dodici per quanti sono i princìpi fondamentali e quattro correlati ai titoli in cui si articola la prima parte della Costituzione. «La Carta italiana è una sorgente di bellezza, oltre che la prima fonte del diritto», dichiara Ainis. «L’Italia è il paese più bello del mondo. Non può non avere la bellezza come elemento costituzionale», fa eco Sgarbi. Occorrerebbe chiedersi quanto gli italiani siano consapevoli della bellezza di un paesaggio antropizzato da secoli di cultura. Non il FAI o la Lega Ambiente, perché è scontata una risposta positiva. Mi piacerebbe credere che le folle alle presentazioni del libro ne siano consapevoli, ma la foto postata dallo stesso Sgarbi su Facebook, del “Grande Cretto” di Burri a Gibellina sormontato da pale eoliche, pone il dubbio. I libri servono, però, a chiarire ciò che prima non aveva neppure sfiorato l’intelletto di qualche amministratore sprovveduto. Non credo ai libri edificanti e questo non lo è senz’altro, perché permetterà a molti di rapportare articoli costituzionali e riferimenti d’Arte. Come l’art. 1, «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro», associato al Quarto Stato di Pelizza da Volpedo, espressione di un popolo che, tramite il lavoro, «acquisisce cittadinanza e diventa portatore di democrazia». Ha ragione Ainis: occorre far capire quanto il nostro destino futuro sia legato a quel passato che ci ha resi ricchi di genialità, arte e gusto estetico. Ma di “capre” ce ne sono tante, potrebbe dire Sgarbi.

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Per coloro che se ne intendono

 

FOTOGRAFIA. Una giovane di Verona mi ha contattato per avere mie foto su monumenti siciliani. Ho risposto che sono perfettamente incapace di scattare immagini degne d’attenzione al contrario del mio amico Sebastiano Occhino, che ama chiamarsi fotografo prima che architetto. Non vede l’ora di uscire con scarpe da trekking, F90x, 20mm e un paio di HP5, magari da “tirare” a 1600 ISO. L’altro giorno ha asserito che, fuori dai tecnicismi, «la fotografia dovrebbe nascere dentro di noi ed usare la realtà che ci circonda per esprimere le nostre visioni». Non so a voi, ma a me ha ricordato Charles Baudelaire nella recensione del Salon parigino del 1859, apparsa col titolo «Le public moderne et la photographie». Molti critici, dalla superficialità abissale, lamentano in Baudelaire l’avversità verso questa spettacolare invenzione per rappresentare la realtà. Dimenticano che era amico di Nadar, fra i più grandi fotografi del XIX secolo: l’uomo che fotografava Parigi da un pallone aerostatico. Ciò che semmai Baudelaire deplorava era l’uso fatto dalle masse popolari e borghesi, nonché la particolare idea di “progresso” incarnato. Credendo che l’arte non potesse che raffigurare l’esatta riproduzione della natura, «una follia, uno straordinario fanatismo s’impadronì di tutti questi nuovi adoratori del sole». In verità, «poiché l’industria fotografica era il rifugio di tutti i pittori mancati, scarsamente dotati o troppo pigri per compiere i loro studi, questa frenesia universale aveva il carattere dell’accecamento e dell’imbecillità». Com’è evidente, in Sebastiano come già in Baudelaire, c’è la preoccupazione che un progresso soltanto materiale porti al dissolvimento della visione artistica, già tanto rara.

(Nell’immagine: “Nadar mentre eleva la fotografia all’altezza dell’Arte”. Caricatura di Honoré Daumier)

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