Alberto Asor Rosa – Democrazia alla deriva e popolo uscito di scena

 

Nel popolo c’è nato, dice Alberto Asor Rosa: «Tutta la mia prima, fondamentale educazione è stata un’educazione popolare». Questo vale per la maggior parte di noi che scriviamo e di quanti ci leggono. I più giovani forse non hanno ben chiara la figura di questo professore “scomodo” che a torto o a ragione ha sempre detto e scritto quello che pensa. Nel 1965, appena trentaduenne, col vigoroso saggio Scrittori e popolo, lanciò la sua possente bordata alla letteratura italiana contemporanea, esprimendo, a chiare lettere, l’intento di smascherare il populismo. Si sollevò un coro di disapprovazione, sia da destra che da sinistra. Era inaccettabile mettere in discussione uno dei dogmi condivisi persino dalla classe media borghese e benpensante, vale a dire che con i buoni sentimenti si fa buona letteratura, quanto buona politica. Molti libri di autorevoli scrittori caddero sotto la critica del giovane professore: da Giovanni Pascoli a Carlo Levi. Disapprovò, persino, Ragazzi di vita, il romanzo di Pier Paolo Pasolini, altro intellettuale “scomodo” di quegli anni. «Asor Rosa è l’uomo che mi ha fatto più male in vita mia», commentò Pasolini. Scrittori e popolo è considerata tra le opere che hanno anticipato e creato il terreno fertile per il Sessantotto, di cui quest’anno ricorre il cinquantenario. Oggi l’intervista rilasciata a Nicola Mirenzi per HUFFPOST ha creato meno scompiglio. Forse la maturità del contesto è cresciuta. Forse è vero il contrario: lo scombussolamento è talmente grande che le affermazioni di un intellettuale di peso, come Asor Rosa, sono una goccia nel mare. FLIP riprende l’intervista e la ripropone in quanto è basilare riflettere sul «perché la sinistra, in tutte le sue forme, non abbia impedito la retrocessione e l’inabissamento del “popolo” nella “massa”, anzi abbia favorito il formarsi e l’emergere della “massa” come elemento costitutivo fondamentale del nostro modo di pensare, progettare e fare politica, operando così il suo suicidio». Per facilitare i più volenterosi dei lettori, oltre alla scheda di Wikipedia su Alberto Asor Rosa, rimandiamo alle voci tratte dalle opere del nostro prestigioso Istituto Treccani.

LEGGI ANCHE:

Voce Massa dal Dizionario di Storia (2010)

Voce Popolo dal Dizionario di Storia (2011)

Voce Populismo dalla Lingua italiana (2013)

 

ALBERTO ASOR ROSA (Roma, 23 settembre 1933) è un critico letterario, scrittore, politico e docente universitario italiano. Di formazione marxista, vicino alle posizioni operaiste di Mario Tronti, ha collaborato alle riviste Quaderni rossi, Classe operaia, Laboratorio politico e Mondo Nuovo. È stato direttore della rivista Contropiano (1968) e, dal 1990, del settimanale del PCI Rinascita. Ha progettato e diretto la collana Letteratura Italiana Einaudi. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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HUFFPOST

Alberto Asor Rosa: “La sinistra non ha impedito l’inabissamento del ‘popolo’ nella ‘massa’ e ha operato così il suo suicidio”

 

Giulia Agrippina Augusta – Sorella, moglie, madre di imperatori

 

I libri si rifanno ai libri. E dei nuovi libri si parla nei Saloni ad essi dedicati. Lo storico Salone del Libro del libro italiano è quello di Torino che sta per aprire i battenti (10 – 14 maggio 2018). Per cui cominciano le grandi manovre. Noi con FLIP abbiamo scelto il saggio di Andrea Carandini Io, Agrippina (Laterza, pagine 312, euro 20), arricchito con illustrazioni e tavole a cura di Maria Cristina Capanna e Francesco De Stefano. Il saggio, da giovedì 3 maggio in libreria, descrive le molteplici vicende della dinastia Giulio-Claudia, ove spicca una figura femminile ben lontana da ogni scrupolo, Agrippina, madre di Nerone. Paolo Mieli analizza il personaggio e il contesto storico da par suo e commenta il lavoro di Carandini, fra i più grandi archeologi che l’Italia possa vantare: «Il modello è, fin dal titolo, Io, Claudio di Robert Graves pubblicato nel 1934 e tradotto in Italia, in tempi recenti, per le edizioni Corbaccio. Ma il racconto di Carandini si differenzia in più parti da quello ben più romanzato di Graves. Ovviamente un altro punto di riferimento sono le Memorie di Agrippina di Pierre Grimal, un testo però meno ricco e affascinante di quello di Carandini. Fonte di ispirazione, più alla lontana, sono anche le Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar». Si possono aggiungere, oltre alla biografia Nerone di Edward Champlin (Laterza, 2005), tanti altri libri ancora, divenuti dei classici come quelli citati, ed altri se ne scriveranno, perché di libri non ci stancheremo mai. Sul tema del suo lavoro l’illustre archeologo terrà una lectio magistralis, introdotta da Alessandro Laterza, al Salone del libro di Torino venerdì 11 maggio (ore 12, Sala Rossa). Nell’attesa godiamo delle parole di Paolo Mieli.

VEDI ANCHE:

Il 31° Salone Internazionale del Libro di Torino: Da giovedì 10 a lunedì 14 maggio 2018 al Lingotto Fiere – Torino.

 

GIULIA AGRIPPINA AUGUSTA (in latino: Iulia Agrippina Augusta; Ara Ubiorum 6 novembre 15 – Baia, marzo 59), nata semplicemente Giulia Agrippina e meglio conosciuta come Agrippina minore (Agrippina minor, per distinguerla dalla madre Agrippina maggiore), è stata una nobildonna e imperatrice romana, appartenente alla dinastia giulio-claudia. Sposò l’imperatore romano Claudio, suo zio, il quale adottò il figlio da lei avuto dal precedente matrimonio con Gneo Domizio Enobarbo, Nerone, che sarebbe poi diventato a sua volta imperatore. Insignita del titolo di Augusta dell’Impero romano nel 50, Agrippina ebbe il ruolo di reggente durante l’assenza del marito Claudio e fu la prima donna a governare di fatto l’impero durante i primi anni di regno del figlio. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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CORRIERE DELLA SERA

La feroce lotta per il potere
nella Roma dei veleni

Étienne Terrus – Assurto a fama per la scoperta di una truffa

 

Il grande pubblico internazionale non sapeva neppure della sua esistenza, né tantomeno di quella di un museo francese a lui dedicato. Il pittore si chiamava Étienne Terrus, nato nel 1857 e morto nel 1922 a Elne, e qui nel Roussillon trascorse la maggior parte della sua esistenza. Il museo si trova appunto a Elne, nel sud della Francia. Qui si è scoperto che più della metà della collezione in mostra è da considerarsi falsa, nel senso reale del termine, perché 82 opere attribuite all’artista non sono state affatto dipinte da lui. La collezione di acquerelli, oli, disegni, messa insieme per vent’anni era fatta di “croste”, opera di uno o più falsari che si sono approfittati dell’ingenuità dei poveri concittadini di Terrus che per celebrare il pittore avevano acquistato di tutto. Finché un giorno uno storico dell’arte, Eric Forcada, in visita al museo, ha espresso le proprie perplessità ai colleghi del museo della vicina città di Perpignan. Per mesi un comitato di esperti del mondo culturale si è alternato nelle sale, ispezionando attentamente i lavori, fino ad esprimersi sulla non originalità di buona metà delle opere esposte. Il museo di Elne ha chiuso i battenti “per ristrutturazione” e solo venerdì alla sua riapertura, dinanzi ad un museo dimezzato, la notizia è stata annunciata pubblicamente. Nelle interviste, Yves Barniol, sindaco della città dei Pirenei, ha affermato che la situazione è “un disastro” e si è scusato con tutti coloro che in questi anni, ammirando l’esposizione, hanno creduto veri degli autentici falsi. «Mi sono messo al posto di tutte le persone che sono venute a visitare il museo, che hanno visto opere false, che hanno acquistato un biglietto d’ingresso, qualunque sia stato il suo prezzo. È inaccettabile». Così ha commentato al microfono di France Bleu Roussillon, il sindaco e ha annunciato di avere presentato una denuncia contro coloro che hanno ordinato, dipinto o venduto le opere contraffatte. Le indagini si stanno concentrando su alcuni artisti regionali e naturalmente sui commercianti d’arte dei Pirenei orientali che tra il 1990 e il 2010 hanno venduto le opere. La cosa strana, in queste circostanze, è che il nome di un’artista poco conosciuto come Terrus oggi è emerso all’attenzione del mondo. Aveva iniziato nell’atelier dell’accademico Alexandre Cabanel, ma si era infine orientato verso il gruppo degli impressionisti, seguendo il solco lasciato da Paul Cézanne, meridionale come lo stesso Terrus. Ha seguito poi la nascente corrente dei Nabis ed infine, in quanto amico del pittore Henri Matisse, la corrente dei Fauves.

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Il Museo Terrus ad Elne: Site officiel de la commune

ÉTIENNE TERRUS (Elne, settembre 1857 – Elne, giugno 1922) è stato un pittore francese. Si dedicò quasi esclusivamente alla rappresentazione dei paesaggi della sua terra. Nato in una cittadina del Roussillon, dipartimento dei Pirenei Occidentali, Terrus mostrò un particolare talento nel disegno già dall’infanzia. Sostenuto dai genitori, all’età di 17 anni si recò a Parigi per studiare pittura nel celebre atelier di Alexandre Cabanel. Ma Terrus era un giovane di provincia, troppo legato ai cieli e alla vita della sua terra, e non si lasciò affascinare dai ritmi della vita parigina, anche se, sotto il profilo artistico, non rimase affatto ancorato alla tradizione, ma assimilò molto bene sia le lezioni di Cabanel che i principi e le tecniche dell’impressionismo, avendo come riferimento le opere di Corot e di Cézanne. Si spinse anche oltre, seguendo per un certo periodo la corrente Nabis e superandola anche, tanto da essere considerato uno dei primi artisti della corrente dei Fauves. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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CORRIERE DELLA SERA

Il museo francese che ha scoperto che metà dei suoi quadri sono falsi

Marco Emilio Lepido e la Via Emilia, la più diritta d’Italia

 

FLIP mette in risalto la figura di Marco Emilio Lepido, console romano il cui nome è legato alla Via Emilia, che ha dato origine ad una fiorente regione, nata in «Emilia prima dell’Emilia». Basti ricordare che la città di Reggio Emilia si chiamava in età romana Regium Lepidi proprio in suo onore. Il FLIP di oggi è, dunque, un modo per rendere sempre attuale una parte della nostra storia più antica, ricchissima, per fare uscire dai libri di scuola un tratto del territorio che attorno a questa strada ha sviluppato una cultura latina che si è riverberata progressivamente in mezza Europa. La “Via Aemilia” è una delle più antiche strade d’Italia: da Rimini raggiunge Piacenza. La costruzione della Via Emilia segnò, infatti, l’inizio della colonizzazione romana della Pianura Padana e dell’Italia a Nord di Roma. Lungo questo itinerario da allora hanno viaggiato merci e persone e si continua ancora ai nostri giorni. Ciascuno trasferisce il proprio background: esperienze, idee, sensibilità, lingue e dogmi religiosi. Le guide scrivono che grazie a questo asse viario «si è formata una cultura aperta verso il viaggiatore che affonda le proprie radici in una società che fa dell’accoglienza una delle sue maggiori risorse». Luigi Mascheroni per “Il Giornale” ne percorre l’itinerario e lo racconta ai lettori interessati. Su Wikipedia possiamo informarci sul console che ideò questo primario percorso.

MARCO EMILIO LEPIDO (in latino: Marcus Aemilius Lepidus; … – 152 a.C.) è stato un esponente dei Lepidi, un ramo della gens Aemilia, e un politico e un comandante militare della Repubblica romana. Fu edile nel 193 a.C. insieme a L. Emilio Paolo, promuovendo la costruzione del nuovo porto fluviale a sud del colle Aventino. Questa nuova costruzione, chiamata Emporium, prevedeva una banchina di circa 500 m e un grosso edificio di 50 vani, i Navalia. Lo spazio retrostante i Navalia era occupato da diversi horrea, magazzini per lo stoccaggio delle merci, di cui i più noti sono gli horrea Galbana. M. Emilio Lepido fu eletto console romano nel 187 e nel 175 a.C. e ricoprì le cariche di pontefice massimo e di censore nel 179 a.C.. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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IL GIORNALE

Via Emilia, ventidue secoli “on the road” con la Storia

Simenon – In una decina di giorni il romanzo è pronto

 

Ben 164 libri in catalogo – cui fanno pendant 161 eBook – compaiono nel catalogo dell’editore italiano di Georges Simenon, che è Adelphi. Scriveva sull’impareggiabile scrittore belga, all’inizio dello scorso anno, Enrico Arosio: «Trentun anni fa Georges Simenon firmava il primo contratto con Adelphi, dopo una lunga ma frustrante fedeltà a Mondadori. L’anno 1985, quando la casa editrice di Roberto Calasso e Luciano Foà pubblicò Lettera a mia madre, libro intimo e doloroso cui l’autore teneva molto ma che a Segrate avevano sempre ignorato, segna la riscoperta italiana del prolifico autore belga; anzi: la sua ridefinizione come scrittore notevole del Novecento. In Italia, infatti, la sua presenza si era ridotta ai soli gialli di Maigret (“in edizione da chiosco di stazione”, gli aveva ricordato, con astuzia, Calasso in un primo incontro a Losanna). E nessuno dei suoi romanzi-romanzi, i cosiddetti non-Maigret, era più in libreria». Georges Simenon, quasi ottantenne, attendeva a casa per una conversazione il poco più che quarantenne Roberto Calasso. Bene! Ascoltiamo quanto ricorda l’anima di Adelphi nell’intervista rilasciata ad Attilio Giordano per il “Venerdì di Repubblica”. E naturalmente clicchiamo il FLIP dedicato al “Libraio” che ogni mese con puntualità informa sulle novità editoriali.

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Pagina99Il direttore di Adelphi: «Vi racconto il sistema di Georges Simenon»

 

Il Venerdì di Repubblica: Roberto Calasso svela come conquistò Georges Simenon

 

GEORGES JOSEPH CHRISTIAN SIMENON (Liegi, 13 febbraio 1903 – Losanna, 4 settembre 1989) è stato uno scrittore belga di lingua francese, autore di numerosi romanzi, noto al grande pubblico soprattutto per avere inventato il personaggio di Jules Maigret, commissario di polizia francese. Tra i più prolifici scrittori del XX secolo, Simenon era in grado di produrre fino a ottanta pagine al giorno. A lui si devono centinaia di romanzi e racconti, molti dei quali pubblicati sotto diversi pseudonimi. La tiratura complessiva delle sue opere, tradotte in oltre cinquanta lingue e pubblicate in più di quaranta Paesi, supera i settecento milioni di copie. Secondo l’Index Translationum, un database dell’UNESCO che raccoglie tutti i titoli tradotti nei Paesi membri, Georges Simenon è il diciassettesimo autore più tradotto di sempre e il terzo di lingua francese dopo Jules Verne e Alexandre Dumas (padre). Nonostante la sua opera abbia intrecciato diversi generi e sottogeneri letterari, dal romanzo popolare, al romanzo d’appendice, passando dal noir e dal romanzo psicologico, Simenon è noto soprattutto per essere l’ideatore del commissario Maigret, protagonista di racconti e romanzi polizieschi.  (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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IL LIBRAIO

Georges Simenon: Maigret e la commedia umana

Abbas – Il fotografo iraniano che scriveva con la luce

 

Si è spento a Parigi Abbas Attar, il grande fotografo che si firmava col solo cognome. Ha lavorato per l’Agenzia Magnum Photos dal 1981. La stessa agenzia ha diffuso la notizia della sua scomparsa. Celebre per i suoi reportage, ha fotografato guerre e rivoluzioni, fame e carestie, dall’Irlanda del Nord al Vietnam, da Cuba al Sud Africa. A partire dagli anni Novanta del Novecento anticipa le tensioni esplose nel mondo musulmano e l’interesse per l’Islam lo porta a sviluppare i temi più attuali legati al rapporto tra le religioni attraverso coinvolgenti libri fotografici: cristianesimo, buddhismo, induismo. FLIP rinvia ad un ricordo curato da Michele Smargiassi su “Repubblica.it” e i link seguenti rimandano alla miriade di scatti, presenti nei suoi libri più famosi e che vediamo in un website incentrato sulla figura di Abbas o sulle pagine del suo Portfolio curato dall’Agenzia Magnum. Qui troviamo anche un resoconto tracciato dallo stesso autore sull’attività degli ultimi anni, che ha consolidato la sua fama. Sommariamente traduciamo: «Dal 1978 al 1980 ho coperto la rivoluzione iraniana, poi per sette anni, dal 1987 al 1993, ho viaggiato nella terra dei musulmani. Dal Sinkiang al Marocco, da Londra a Timbuktu, visitando New York e la Mecca, ho fotografato le vite quotidiane dei musulmani, i rituali della loro fede, la loro spiritualità e l’emergere dell’islamismo, del suo fanatismo e della sua violenza. Spinto dal desiderio di comprendere le tensioni all’interno delle società musulmane, ho esposto il conflitto tra un’ideologia politica emergente – che cerca ispirazione in un passato mitico – e il desiderio universale di modernità e democrazia. Questo lavoro è durato sei anni, dal 1995 al 2000. Ho anche fotografato le comunità cristiane di tutto il mondo con lo stesso occhio critico. Annunciando l’alba del “terzo millennio”, l’anno 2000 si impose come calendario universale e quindi simbolo della civiltà occidentale: gli ebrei celebravano l’anno 5760 e i musulmani l’anno 1420. Durante questi viaggi, ho fotografato pure gli ebrei, figli di Abramo, il profeta rivendicato come antenato comune anche dai cristiani e dai musulmani. Infine, ho raccolto le tre religioni monoteiste in un’unica mostra con estratti dai miei diari di viaggio».

Abbas.site: L’opera fotografica di Abbas attraverso le sue stesse immagini

Agenzia Magnum Photos: Portfolio, Abbas Iranian/French, b. 1944, d. 2018 (Estate)

 

ABBAS ATTAR (Iran, 1944 – Parigi, 25 aprile 2018) è stato un fotografo iraniano noto per i suoi reportage in Biafra, Vietnam e Sudafrica negli anni settanta, e per i suoi ampi saggi sulle religioni negli anni successivi. È stato dal 1971 al 1973 membro dell’agenzia Sipa, membro dell’agenzia Gamma dal 1974 al 1980 e di Magnum Photos dal 1981. Abbas Attar, iraniano trapiantato a Parigi, ha dedicato i suoi reportage più importanti agli eventi politici e sociali dei paesi in via di sviluppo. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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REPUBBLICA.IT

Addio Abbas, patriarca con metodo

Barbin – una strana storia del “vero sesso” finita male

 

Nel FLIP di oggi ricordiamo un personaggio pressoché sconosciuto, salvo agli specialisti della letteratura medica e ad alcuni studiosi di storia. Si tratta delle tristi vicissitudini riguardanti l’ermafrodita Herculine Barbin, che le cronache dell’epoca segnalarono al pubblico per la particolarità del suo sesso. L’Écho rochelais del 18 luglio 1860 scriveva di una ragazzina di ventun anni: «Un’insegnante straordinaria sia per gli alti sentimenti del suo cuore come per la sana istruzione, era vissuta, pietosamente e modestamente, fino ad oggi, nell’ignoranza di se stessa, vale a dire, credendo di essere ciò che appariva nell’opinione di tutti, sebbene ci fossero, per persone esperte, particolarità organiche che avrebbero dovuto generare stupore, poi il dubbio e, con il dubbio, la luce; ma l’educazione cristiana della ragazza era l’innocente benda che velava la verità. Finalmente, abbastanza recentemente, una circostanza fortuita è arrivata a gettare qualche dubbio nella sua mente; la chiamata è stata fatta alla scienza, e un errore sessuale è stato riconosciuto… La ragazza era un giovane uomo». In seguito ad esami medici si venne alla determinazione di riconoscere ufficialmente la Barbin di sesso maschile. Fu così che Alexina cambiò il nome in Abel e il caso balzò sulle pagine dalla stampa. Abel si trasferì a Parigi. Qui visse in povertà e scrisse la propria biografia, dalla quale apprendiamo quasi tutto ciò che oggi conosciamo. A febbraio del 1868, il portinaio del palazzo di rue de l’École-de-Médecine, trovò il giovane esanime nel suo appartamento. Barbin si era suicidato col gas di una stufa. Le sue memorie furono rinvenute accanto al letto. Questo manoscritto è stato trascritto quasi interamente dal dottor Ambroise Tardieu nel suo libro “Questione medico-legale di identità in relazione ai difetti di conformazione degli organi sessuali” (Parigi, 1874). Nella presentazione, Tardieu ricorda le circostanze della scoperta del cadavere e del manoscritto: «In una delle più povere mansarde del Quartiere Latino, a Parigi, all’inizio dell’anno 1868, un giovane si è dato la morte (…) il Dr. Regnier, medico dello stato civile, e il commissario di polizia del quartiere si sono recati a casa del poveretto. Dopo aver constatato il decesso e le anomalie fisiche che presentavano certe parti del corpo, hanno rinvenuto su di un tavolo una lettera autografa indirizzata alla madre in cui il suicida chiedeva perdono (…) Oltre a questa lettera, il giovane ha lasciato un manoscritto in cui racconta la sua triste esistenza. Le pagine che seguiranno sono estratte testualmente … Riporterò qui il manoscritto quasi nella sua interezza e come mi è stato trasmesso. Escluderò solo passaggi che allungano la storia senza aggiungere interesse, ma ovunque rispetterò la forma che ha un particolare timbro di sincerità e di impressionanti emozioni». La triste vicenda ha ispirato molti saggi ed opere letterarie. Se ne è occupato, fra l’altro, anche Michel Foucault, del quale riportiamo di seguito la traduzione italiana della prefazione all’edizione americana del libro “Herculine Barbin, dite Alexina B” edito da Gallimard. Nel 1985 un film è stato presentato al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard ed oggi, come troviamo nell’articolo de LA STAMPA va in scena fino al 27 aprile lo spettacolo teatrale scritto da Olivia Manescalchi: «Una strana confessione. Memorie di un ermafrodito». Una storia angosciante che rispecchia il clima di un’epoca, ma che ancora oggi fa riflettere su come occorra rendere onore a qualunque diversità.

LEGGI ANCHE I SEGUENTI TESTI:

 

HERCULINE BARBIN (Saint-Jean-d’Angély, 8 novembre 1838 – Parigi, 13 marzo 1868) è stato uno pseudo-ermafrodito francese, a cui era stato attribuito alla nascita il sesso femminile a causa di una variazione dei genitali, ma al quale fu imposto per sentenza di tribunale di assumere sesso e nome maschile dopo la pubertà. Al momento di suicidarsi lasciò un celebre memoriale, tradotto in molte lingue. Il suo caso è stato studiato in anni recenti, a partire da Michel Foucault, per la luce che getta sulla questione della formazione dell’identità di genere e della sua importanza nell’equilibrio psichico dell’individuo. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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LA STAMPA

Per il lieto fine il coraggio non basta: a teatro il dramma dell’ermafrodita Herculine

Newton – L’allievo che Barrow promosse professore

 

Il termine “gregario” è usato soprattutto nel ciclismo. In questo ambiente sportivo i gregari li chiamano “portatori d’acqua”. Si sacrificano per il campione spesso nel più completo anonimato. Il regista lituano Arunas Matelis ha raccontato, in un documentario in concorso al Trento Film festival, di quel piccolo gruppo di gregari del ciclismo professionistico, che ha seguito durante il Giro d’Italia, e dei quali nessuno parla mai. Il documentario si intitola: «Wonderful Losers. A Different World». Esistono anche tanti altri gregari. Nelle pagine della “Lettura” leggiamo di Gordon Lish, grande editor di molti scrittori americani degli ultimi cinquant’anni. Dalla narrativa saltiamo al mondo dell’arte, e ricordiamo Antonio D’Este, che ha curato le “Memorie di Antonio Canova”. Del grande scultore D’Este eternò virtù, temperamento e sensibilità. Assistette il suo amico nell’esecuzione delle opere e lo accompagnò nei viaggi. In questo spazio di FLIP parliamo, invece, di un altro gregario come fu Newton. Lo facciamo riprendendo con un link l’articolo pubblicato dalla “Lettura” e approfondendo la figura del grande scienziato su Wikipedia.

ISAAC NEWTON (Woolsthorpe-by-Colsterworth, 25 dicembre 1642 – Londra, 20 marzo 1727) è stato un matematico, fisico, filosofo naturale, astronomo, teologo e alchimista inglese; citato anche come Isacco Newton, è considerato uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi e fu Presidente della Royal Society. Noto soprattutto per il suo contributo alla meccanica classica, Isaac Newton contribuì in maniera fondamentale a più di una branca del sapere, occupando una posizione di grande rilievo nella storia della scienza e della cultura in generale. Il suo nome è associato a una grande quantità di leggi e teorie ancora oggi insegnate: si parla così di dinamica newtoniana, di leggi newtoniane del moto, di legge di gravitazione universale. Più in generale ci si riferisce al newtonianesimo come a una concezione del mondo che ha influenzato la cultura europea per tutto il Seicento. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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LA LETTURA (CORRIERE DELLA SERA)

Isaac Newton, il «gregario» 
diventato genio

Huysmans – Repulsione per la volgarità e l’orrore della banalità

 

FLIP, come scrivevamo ieri, è un angolo di Experiences dove mettere in risalto alcune buone letture. Oggi questo spazio è dedicato a Joris-Karl Huysmans, autore fra l’altro del famosissimo “À rebours” (Controcorrente), che Guy de Maupassant definì come la «storia di una nevrosi», vissuta nella Parigi fin de siècle dall’unico personaggio del romanzo, Jean Floressas Des Esseintes , ma in realtà specchio dello stato d’animo dell’autore, tanto controverso quanto critico quanto mai nei confronti della società e dei suoi movimenti artistici più retrivi. Nel 1880 pubblicherà nella raccolta collettiva di novelle “Les soirées de Médan” di Émile Zola un proprio racconto, “Sac au dos”, che sarà considerato manifesto del movimento naturalista. Richiamiamo con un link la pagina online de Il Sole 24 ore e su Wikipedia approfondiamo vita ed opere di questo scrittore coinvolgente.

JORIS-KARL HUYSMANS, nato Charles-Marie-Georges Huysmans (Parigi, 5 febbraio 1848 – Parigi, 12 maggio 1907), è stato uno scrittore francese che influenzò notevolmente lo sviluppo del romanzo decadente. Huysmans era figlio di madre francese e di un miniaturista olandese, Victor Godfried-Jan, ed è proprio per omaggiare le proprie origini olandesi che cambia il suo nome in Joris-Karl. Alla morte del padre, avvenuta nel 1856, Joris-Karl viene trasferito in un collegio; la madre si risposa un anno dopo. Nel 1862 Huysmans si trasferisce a Parigi per studiare al Lycée Saint-Louis, dove si diploma nel 1866. Ottiene un lavoro presso il Ministero degli Interni (da lui sempre definito il «maledetto ufficio»), dove lavorerà tutta la vita. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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IL SOLE 24 ORE

Il coraggio di essere dandy

Cattelan – L’arte è un territorio che tutti possono esplorare

 

FLIP è un angolo di Experiences dove mettere in risalto alcune buone letture, come l’intervista a Maurizio Cattelan, provocatore per eccellenza, che della sua “arte principale” dice: «La provocazione? È un cavallo di Troia per mettere sulla bocca di tutti argomenti che si vogliono tacere». Richiamiamo con un link la pagina online del Corriere della Sera e su Wikipedia approfondiamo vita ed opere di questo personaggio particolare.

MAURIZIO CATTELAN (Padova, 21 settembre 1960) è un artista italiano. Inizia la sua carriera a Forlì, negli anni Ottanta, collaborando con alcuni artisti del luogo. Il debutto espositivo è nel 1991, alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, dove presenta Stadium, un lunghissimo tavolo da calcetto con ai due lati due schiere di giocatori, in cui i bianchi erano le riserve del Cesena e i neri degli operai senegalesi che lavoravano in Veneto. Le sue opere combinano la scultura con la performance, ma spesso includono eventi di tipo “happening”, azioni provocatorie, pezzi teatrali, testi-commento sui pannelli che accompagnano opere d’arte sue e non, articoli per testate. Vive e lavora tra Milano e New York. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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CORRIERE DELLA SERA

Maurizio Cattelan: «Da infermiere a creativo. E ora vendo la mia fronte 
per finanziare buone azioni»