Per coloro che se ne intendono

 

FOTOGRAFIA. Una giovane di Verona mi ha contattato per avere mie foto su monumenti siciliani. Ho risposto che sono perfettamente incapace di scattare immagini degne d’attenzione al contrario del mio amico Sebastiano Occhino, che ama chiamarsi fotografo prima che architetto. Non vede l’ora di uscire con scarpe da trekking, F90x, 20mm e un paio di HP5, magari da “tirare” a 1600 ISO. L’altro giorno ha asserito che, fuori dai tecnicismi, «la fotografia dovrebbe nascere dentro di noi ed usare la realtà che ci circonda per esprimere le nostre visioni». Non so a voi, ma a me ha ricordato Charles Baudelaire nella recensione del Salon parigino del 1859, apparsa col titolo «Le public moderne et la photographie». Molti critici, dalla superficialità abissale, lamentano in Baudelaire l’avversità verso questa spettacolare invenzione per rappresentare la realtà. Dimenticano che era amico di Nadar, fra i più grandi fotografi del XIX secolo: l’uomo che fotografava Parigi da un pallone aerostatico. Ciò che semmai Baudelaire deplorava era l’uso fatto dalle masse popolari e borghesi, nonché la particolare idea di “progresso” incarnato. Credendo che l’arte non potesse che raffigurare l’esatta riproduzione della natura, «una follia, uno straordinario fanatismo s’impadronì di tutti questi nuovi adoratori del sole». In verità, «poiché l’industria fotografica era il rifugio di tutti i pittori mancati, scarsamente dotati o troppo pigri per compiere i loro studi, questa frenesia universale aveva il carattere dell’accecamento e dell’imbecillità». Com’è evidente, in Sebastiano come già in Baudelaire, c’è la preoccupazione che un progresso soltanto materiale porti al dissolvimento della visione artistica, già tanto rara.

(Nell’immagine: “Nadar mentre eleva la fotografia all’altezza dell’Arte”. Caricatura di Honoré Daumier)

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