Tanti mestieri che nessuno vuol fare

 

L’artigianato va scomparendo. Lo gridava ai quattro venti già William Morris, che nel tardo Ottocento diede vita alle Arts and Crafts per fronteggiare i metodi di produzione industriale. Oggi i lavori più ambiti sono: consulenti per la gestione aziendale, progettisti per l’automazione industriale, analisti di procedure informatiche, sviluppatori di software. Per contro nessuno rifiuta le “tipicità”, in dissenso col predominare della omologazione. Nondimeno cosa rispondereste se vostro figlio confessasse, a voi impiegati o professionisti, di voler fare il produttore di sedie, anzi l’impagliatore di divani e poltrone, il riparatore di lustrini di mobili, il corniciaio? Eppure scemano a vista d’occhio le professioni di tradizionale memoria: quelle artigianali o creative, con guadagni limitati, difficili da intraprendere e imporre al mercato consumista. È retorico voler salvare le tradizioni a spese dei singoli mentre le Istituzioni rimangono immobili, se non per poche eccezioni. Ad esempio, si sta riprendendo l’antichissima arte di pizzi, trine e macramè. Questo in seguito al progetto di candidatura del merletto italiano a Patrimonio immateriale dell’Umanità dell’Unesco. Nel Biellese, per coltivare gli antichi mestieri del tessile, sono state create scuole superiori, corsi universitari e master. Esistono settori rilevanti, come l’alta moda o il restauro, che fanno capo a filiere che nella tradizione trovano il loro sostegno. Sono alternative parallele ai grandi competitor industriali, volendo sanare una ferita culturale sempre più ampia e fugando persino i timori di Morris: «Fintantoché il sistema della competizione nella produzione e negli scambi continua, continuerà la degradazione delle arti».

 

Home