Siamo al paradosso. L’operatrice di un call center mi chiede se sono il signor Walter Tobagi. Rispondo che lo hanno ammazzato le Brigate Rosse. Attonita ribatte: «Mi dispiace, com’è stato»? La poverina non ha idea di chi fosse Tobagi, tantomeno che possa esistere un’associazione a lui intitolata. Il suo stesso Corriere della Sera notifica su iPad «la spiegazione delle elezioni americane scritta da Shakespeare». Posta così, è facile che la telefonista anzidetta si convinca che il Bardo sia un editorialista con un pezzo sulle ultime battute elettorali. La notizia non è però risibile. La riferisce il New York Times nel commentare l’idea del professor Stephen Greenblatt che il miglior manuale per capire come potrebbero finire le elezioni USA 2016 sia il dramma shakespeariano “Riccardo III”, sociopatico duca di York divenuto re. Eppure sono convinto che certi titoli bizzarri siano disorientanti. Erano innovativi quando i quotidiani letti da mio padre annegavano nel grigiore; oggi scoppiano di rutilanti colori, come quegli inserti dove non distingui più la pubblicità dagli articoli. Qualche consulente di marketing forse crede che il “core business” dei giornali sia attrarre l’attenzione di un distratto lettore, anziché fare informazione. Prendi certe rassegne stampa all’insegna del gratuito. Sono sul web o ad aprire la casella mail. Trovi online persino il top dei settimanali; ma chi li divulga a scrocco due giorni prima che escano nel mio abbonamento? Ahinoi! Questo lo chiamano marketing dei servizi… ma volendoti “servire” il piatto della tentazione, certuni esperti non capiscono che il lettore lascerà in tavola anche salmone e caviale, quando confuso si sarà riempito lo stomaco di noci e fichi secchi.
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