Il cannolo, tipico dolce siciliano del periodo invernale, un tempo veniva confezionato solo in occasione del carnevale, per la ricchezza e la complessità della sua ricetta. Oggi, questa golosità palermitana, si trova nell’isola durante tutto l’anno e viene esportata ovunque. È un dolce dai forti contrasti: di colori, di profumo, di sapore, di consistenza. Intrigante la sua forma cilindrica, conservatasi nel tempo. Giuseppe Coria evidenzia in uno studio sul rapporto tra la geometria e la simbologia che il suo aspetto rappresenterebbe la forma fallica. Sotto questo aspetto, il cannolo esprime, dunque, un significato di fecondità, di forza generatrice, ma anche un valore apotropaico, cioè di allontanamento delle influenze maligne. Un altro nome, infatti, con cui è identificato questo dolce è “scettro da re”. A Regalbuto, per S. Martino, si confeziona un biscotto di forma cilindrica, in analogia col cannolo, che richiama secondo la tradizione popolare il sesso del santo. Un cilindro di pasta, infatti, è cotto, tagliato due, svuotato, e riempito con una crema di ricotta arricchita di cioccolato e fili di zuccata.
L’ipotesi sull’origine di questo dolce, stimolante per il gusto ed accattivante per le interpretazioni tra sacro e profano, è descritta dal Duca Alberto Denti di Pirajno, cultore di gastronomia. In “Siciliani a tavola” (la cui edizione fu terminata da Massimo Alberini, dopo la scomparsa del nobile siciliano) il Duca sostiene che il cannolo sarebbe stato inventato dalle abili mani delle suore di clausura di un convento nei pressi di Caltanissetta. Per l’esattezza, si legge: “Il cannolo non è un dolce cristiano, ché la varietà dei sapori e la fastosità della composizione tradiscono una indubbia origine mussulmana”. Caltanissetta, effettivamente, in arabo significa “Castello delle donne”, poiché gli emiri saraceni vi tenevano i loro harem; queste donne, aspettando l’arrivo del consorte si suppone ingannassero il tempo a preparare squisite leccornie. Quando gli arabi furono estromessi dai normanni, gli harem si svuotarono e, tra conversioni ed abiure, non si esclude che qualcuna delle favorite, convertita alla fede cristiana, si sia ritirata nei monasteri, portando con sé quelle ricette che avevano sedotto le corti degli emiri, trasmettendole in seguito a “quelle sante ancelle del Signore sino a noi poveri peccatori”.