Bonelli, lo sceneggiatore di Tex 1/6

 

Sergio Bonelli Editore, la più importante casa editrice italiana nel campo dei fumetti, fu fondata da Giovanni Luigi Bonelli (detto anche Gian). Questi era il fumettista, che, insieme ad Aurelio Galleppini, diede vita ai fortunati album di Tex Willer. Bonelli, nato a Milano nel 1908, verso la fine degli anni ’20, inizia la sua carriera collaborando con il Corriere dei Piccoli, dove pubblica alcune poesie e tre racconti: Le Tigri dell’AtlanticoIl Crociato Nero e I Fratelli del Silenzio. Subito dopo, negli anni ’30, lavora per diverse case editrici, anche di fumetti. Collabora con la Società Anonima Editrice Vecchi (S.A.E.V.) di Lotario Vecchi e per la Casa Editrice Nerbini. Quest’ultima gestisce le due testate per ragazzi: L’Audace e L’Avventuroso. Per esse scrive sceneggiature (come quella di Rintintin). Nel 1940, Bonelli fa “il grande salto” acquisendo i diritti dell’Audace e dando vita alla sua casa editrice. Prima con il nome della moglie Tea, poi del figlio Sergio e, successivamente, del nipote Davide. Oggi è conosciuta come Sergio Bonelli Editore.

Nel secondo dopoguerra l’Italia comincia la sua ricostruzione. Bonelli dà vita nel 1948 a due nuovi fumetti: Il Giustiziere del West (con disegni di Giorgio Scudellari) e la Pattuglia dei Senza Paura (con disegni di Guido Zamperoni e Franco Donatelli). Contemporaneamente, con il fumettista Aurelio Galleppini (pseudonimo Galep), crea altri personaggi e storie: Occhio Cupo (in formato ad albo) e Tex Willer. Invero, il successo del secondo personaggio sorprende, avendo puntato di più sul primo. Gian Luigi Bonelli è un uomo vulcanico ed instancabile. La sua casa editrice non si ferma a Tex, anche se di enorme successo, ma dà vita (su sceneggiature sue) a moltissimi personaggi per fumetti, come: Plutos nel 1949 (disegni di Leone Cimpellin), Yuma Kid nel 1954 (disegni di Mario Uggeri), Davy Crockettnel nel 1956 (disegni di Renzo Calegari e Carlo Porciani), e Hondo nel 1957 (disegni di Franco Bignotti).

Come romanziere scrive anche un libro Il massacro di Goldena (nel 1951), dove il protagonista è lo stesso Tex Willer. In seguito, come scrittore e sceneggiatore, redige testi per personaggi ideati da Guido Nolitta (nom de plume) o su ideazione del figlio Sergio, quali Un Ragazzo nel Far West, Zagor e l’episodio conclusivo di Il Giudice Bean. Nel 1991, Bonelli scrive la sua ultima storia della serie di Tex (con disegni di Guglielmo Letteri), già in gran parte passata a Claudio Nizzi. Riserva per sé soltanto la supervisione delle storie, cosa che farà fino alla morte, avvenuta nel 2001.

L’attività di Gian Luigi Bonelli, come scrittore e sceneggiatore, ha particolari riferimenti e modalità. I suoi autori preferiti erano proprio quelli del romanzo avventuroso d’appendice di fine Ottocento e primi del Novecento. Tra questi i grandi Alexandre Dumas, Jack London, ed Emilio Salgari. Infatti, egli si definirà sempre un “romanziere prestato al fumetto”. Con modernità Bonelli trasferiva i suoi copioni ai disegnatori attraverso “sceneggiature disegnate”. Erano veri e propri storyboard. Elaborava, cioè, testi accompagnati da schizzi della scena che occorreva disegnare e con il taglio dell’inquadratura da considerare per ogni singola scena. Un “plus” abbastanza significativo.

 

 

Le antichità archeologiche del British Museum 3/5

 

Dopo la sconfitta dell’esercito napoleonico nella battaglia del Nilo, l’Egitto e l’intero Medioriente entrarono a far parte della sfera politica britannica. Ciò comportò l’arrivo a Londra di pezzi archeologici egiziani. Tra questi, nel 1802, apparve la famosa stele di Rosetta, presentata agli studiosi dallo stesso re Giorgio III, dalla quale scaturì l’interpretazione dell’antica scrittura geroglifica egiziana; mentre nel 1818, fu esposta la colossale statua di Ramesse II, recuperata, in loco (tra i numerosi reperti), dal console generale Henry Salt. Grazie a lui, il museo inaugurò la sala della collezione di scultura egiziana. Nel 1805, invece fu donata da Charles Townley, la sua raccolta di sculture romane. Thomas Bruce, ambasciatore in Turchia (l’allora Impero ottomano), nel 1806, sull’Acropoli di Atene, arrivò a rimuovere dal Partenone le sue sculture marmoree. Uguale sorte ebbero i fregi del Tempio di Apollo Epicurio di Phigalia, antica città greca. Inoltre, dal Medioriente, arrivarono in Inghilterra, nel 1825, reperti archeologici di antichità Assire e Babilonesi, stavolta tramite acquisto, da parte della vedova di Claudius James Rich. Il tutto (sancito da una legge), fu acquisito dal British Museum, che aprì, così, numerose sale archeologiche.

La crescita esponenziale degli oggetti reperiti e raccolti, che aumentava ogni giorno, compreso il numero di visitatori in costante aumento, creò la necessità di una nuova sede istituzionale più ampia. Nel 1802, con l’ulteriore donazione della King’s Library appartenente al re Giorgio III, i problemi balzarono agli occhi. La collezione, infatti, si componeva di 65.000 libri, 19.000 pamphlet, oltre a diverse mappe, carte e disegni topografici. Per accogliere, in particolar modo, la Royal Library, fu deciso di dare il via alla costruzione di una nuova sede attraverso un ampliamento nella zona ad est. L’architetto neoclassico Robert Smirke fu incaricato del progetto. Quando, nel 1823, la Montagu House, fino ad allora sede del British Museum, fu demolita, si iniziò la costruzione per la King’s Library. Tuttavia, l’anno seguente, si ebbe la nascita della National Gallery, che tolse un po’ di fretta a tutti.

Il museo rimase chiuso, fatta eccezione per aperture straordinarie come fu nel 1851 per l’Esposizione Universale. L’edificio venne ultimato e riaprì i battenti nel 1852. Successivamente, furono realizzate le Infill galleries, per le sculture assire. La sala di lettura circolare con volta in ferro, progettata da Smirke per ospitarvi un milione di volumi, venne aperta alla cittadinanza, come la King’s Library, nel 1857. Durante gli anni di chiusura, nel museo operò l’italiano Antonio Panizzi. Egli rese ben organizzata e strutturata la sezione della biblioteca, quintuplicandola per numero di volumi, e portandola ad essere la seconda biblioteca d’Europa, dopo la Bibliothèque nationale de France di Parigi. Da molti è ritenuto il “secondo fondatore” del British Museum.

La collezione libraria di Sir Thomas Grenville, che contava 20.240 volumi, venne devoluta nel 1847 al museo inglese. Non venne esposta fino alla nascita della British Library a St Pancras, nel 1998. Proprio per la costante necessità di spazio, si decise di trasferire, nel 1887, la collezione di storia naturale a South Kensington, in un edificio che sarebbe divenuto poi il Natural History Museum. Con questa suddivisione il museo ritrovò lo spazio necessario. Verso la fine del XIX secolo, furono introdotte innovazioni, come l’illuminazione elettrica degli ambienti nella Reading Room e nelle gallerie.

 

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Le torri moderne, i grattacieli 1/2

 

Tra il 1910 ed il 1941, anno in cui gli Stati Uniti entrano in guerra, l’isola di Manhattan cambia volto, riempiendosi di edifici alti ed altissimi. Con la sua trasformazione cambia il modo di fare architettura e si acquisisce un modello di società totalmente innovativo. In questo continente la società mondiale entra in una nuova fase civile. È il futuro. Tra gli edifici eretti in questo periodo vi sono: il Chrysler Building (319 metri), il Chanin Building (215 metri), il General Electric Building (270 metri), il 500 Fifth Avenue (212 metri) ed il più famoso e più alto, Empire State Building (381 metri). Lo spazio che li contiene è ristretto alla sola parte sud e centrale di Manhattan, vicino a Wall Street (oggi fulcro di tutta l’area). Lo spazio è talmente ristretto, che i grattacieli vengono demoliti per far posto ad altri più elevati. È il caso del Singer Building, di 205 metri, che viene abbattuto per costruire, nella stessa zona, il Chase Manhattan Plaza, che raggiunge i 260 metri.

Dal secondo dopoguerra, naturalmente, non ci si è fermati nella costruzione di grattacieli. Le famose Torri Gemelle di New York, costruite nel 1973, erano il simbolo della cultura americana, divenendo (per questo) oggetto dell’attentato terroristico dell’11 settembre del 2001. Ciononostante, la tipologia ha preso piede in tutto il mondo, e oggi i grattacieli sono diventati simbolo di progresso e civiltà. 20 costruzioni superano sul globo un’altezza tale da essere definite “supergrattacieli”. Di questi, 20 hanno oltrepassato i 400 metri, ma solo 6, in tutto il mondo contano più di cento piani. Tra questi sei, il più elevato è il Burj Khalifa a Dubai. Fu terminato nel 2009 ed aperto al pubblico nel 2010. L’ultimo livello termina a 636 metri, mentre le sue antenne raggiungono gli 828 metri. Fa parte di un complesso molto più ampio nel centro di Dubai, che comprende altri edifici significativi, tra cui il secondo albergo più alto sul pianeta.

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Una voce per Bullenhuser Damm

Nella giornata della memoria un messaggio di Giuseppe Marchetti Tricamo alla professoressa Teresa Lazzaro, autrice del libro “Venti farfalle e una nuova primavera” edito da Experiences.

È la pagina più crudele e feroce della storia recente dell’umanità questa che vi viene raccontata. La più scellerata, infame e intollerabile, non perché non ce ne siano state altre – ancora più intrise di atrocità di cui sono zeppi quegli anni bui, nei quali il mondo smarrì la ragione – ma perché quella di Bullenhuser Damm riguarda venti piccoli innocenti, venti vite appena sbocciate, venti farfalle pronte a levarsi in volo per vivere la loro primavera – dice Teresa Lazzaro ­- ma caduti nella rete dell’orco nazista.

Sognavano, quei piccoli, di perdersi nel bosco incantato delle fiabe, volevano offrire il loro sorriso al mondo, come dice Sergio De Simone (il primo bambino arrivato ad Auschwitz) nei toccanti versi di Teresa Lazzaro “volevo essere il bimbo sorridente di un dipinto”. Ma tutto gli fu negato. Furono traditi. Furono ingannati. “Chi vuol vedere la mamma faccia un passo avanti” gli dissero, per convincerli ad offrirsi ma, invece di ritrovare il tepore e l’amore di un abbraccio, diventarono cavie di esperimenti aberranti.

Si prova una stretta al cuore nel leggere le parole vibranti di memoria e i versi teneri e struggenti di Teresa Lazzaro. Sì, professoressa Lazzaro, mantieni l’impegno che manifesti in chiusura di questo tuo libro, quando dici: “Bullenhuser Damm è dentro di me. Non smetterò mai di raccontare quanto accaduto”. Sì, non smettere. Séguita nella tua testimonianza, continua a ridestare la memoria degli adulti e a sollecitare la giovane sensibilità dei tuoi studenti perché, per concludere con un pensiero di Primo Levi, “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”.

Le due sorelle Bucci con al centro il loro cuginetto Sergio De Simone, il bimbo italiano ucciso a Bullenhuser Damm.

Il 14 gennaio del 2015 Saro Abate, preside del Liceo Classico Maurolico e allora preside delI’stituto Jaci, ha organizzato al Palacutura un commovente incontro con le sorelle Bucci e Teresa Lazzaro. Questo il suo ricordo.

Il 27 gennaio si celebra “Il Giorno della Memoria” che ricorda il 72° anniversario della liberazione del Campo di concentramento di Auschwitz e di tutte le vittime del genocidio perpetrato dai nazisti contro la popolazione ebraica. Vorrei ricordare il commovente e struggente incontro che il 14 gennaio 2015 ho organizzato con l’Istituto Jaci al Palacultura di Messina con Adra e Titiana Bucci, Teresa Lazzaro e gli studenti messinesi. Le sorelle Bucci sono le più giovani sopravvissute ebree italiane di Auschwitz ancora viventi. I ricordi di ciò che era effettivamente un campo di concentramento e di come il loro aver attraversato l’inferno da bambine vivendo una tragedia che probabilmente non riuscivano nemmeno a concepire, ed il loro uscirne come quasi uniche superstiti, abbiano influenzato la loro vita è stata toccante emotivamente ed ha rafforzato la coscienza sull’argomento, sensibilizzando i presenti alla riflessione.

Guardiamo il servizio della RTP trasmesso quel giorno.


Uscire dal sentiero battuto della logica comune

 

Il pensare differente, ricordato la scorsa settimana, si richiama alla tag-line «Think different» inventata per “oggettivare”, nei prodotti Apple, un insolito approccio creativo. È bene, infatti, evidenziare che si può riuscire a risolvere una molteplicità di interrogativi, osservando le questioni da angolazioni diverse. Ciò significa prescindere da logiche sequenziali, che spesso portano ad individuare percorsi ideali irrealizzabili di fronte ad infiniti ostacoli. Molte volte l’alternativa è intuire soluzioni fuori dalla rigida consequenzialità logica. Ad esempio, fare recuperare a questa città un amor proprio, progressivamente smarrito, continuando a parlare di identità nei pubblici dibattiti o su libri e giornali, si finisce col rivolgersi solo a quanti sono già sensibilizzati sul tema. Collateralmente esiste una moltitudine che non frequenta dibattiti e non legge. Come attrarre il loro interesse? “Oggettivando” la realtà, ovverosia restituendo l’astrazione di un pensiero attraverso una evidenza materiale. Come può essere la maglietta “Free Tibet” del nostro sindaco Accorinti – osteggiata da alcuni o al contrario amata da altri – che non simboleggia solo un Tibet oppresso, bensì una Messina realmente libera di cercare e ritrovare sé stessa. “Oggettivare” l’attenzione sulla Galleria Vittorio Emanuele e recuperarla con una gara di solidarietà, come è riuscita a fare l’assessore Ursino, ha rivitalizzato la percezione dei beni monumentali da valorizzare. Tale oggettivazione rende, quindi, espliciti concetti comunemente inafferrabili. Supera gli elementi materiali per estendersi a quelli immateriali, come sono le idee. E con queste idee animare quel processo di costruzione sociale di una realtà che vorremmo migliore.

I nostri calendari lunari 3/3

 

Non tutti sanno dell’esistenza del calendario lunare e del calendario luni-solare. Il primo ha una durata di circa 354 giorni ed è legato alle dodici lunazioni (le rotazioni della luna intorno alla Terra). Il secondo tipo cerca di fare coincidere l’anno lunare con quello solare (che è di 365 giorni), applicando degli espedienti.
L’uso del calendario lunare è antichissimo. Arcaiche popolazioni, come i babilonesi, ma anche gli indù o i cinesi, lo utilizzavano. Il loro però era un calendario luni-solare, data la necessità di armonizzare le coltivazioni con il cambiamento delle stagioni. Tra i calendari luni-solari il più famoso è quello cinese, in vigore da tempi remotissimi, adottato in tutto l’impero (che era molto vasto). L’uso permetteva alle popolazioni di utilizzare l’astrologia, allora molto importante (se non essenziale). Anche il calendario ebraico è del tipo lunare, ma nella necessità di farlo coincidere con quello solare, gli ebrei aggiungono un mese intercalato, chiamato embolismico.

Senza rendercene conto anche noi utilizziamo un calendario lunare. Infatti, poiché la chiesa cattolica adotta ancora il calendario ecclesiastico (lunisolare) la data della Pasqua è stabilita con quello. Ecco perché il giorno di Pasqua varia tutti gli anni. Il calendario ecclesiastico non considera, quindi, le reali irregolarità del moto lunare, ma ne fa una media, basandosi su una luna ipotetica.

Il calendario islamico
Il più importante calendario lunare è quello islamico. Anch’esso è di tipo luni-solare, detto “Hijri”. Si basa su 12 mesi lunari, di 29-30 giorni. Tuttavia, la regolarità dei mesi non permette una sincronizzazione con i noviluni, né con le stagioni. I musulmani perciò aggiungono ogni tanto un giorno in più ad un mese di 29 giorni, detto di Ramadan. Questo permette loro di ottenere un anno di 355 giorni. Il ritardo che si crea con l’anno solare, viene risolto con l’aggiunta di una decina di giorni ogni 33 anni, permettendo un collegamento perfetto con i vari calendari solari e luni-solari.

 

 

Antipasti appetitosi 3/3

 

Risale al giugno del 1711 la descrizione di un antipasto offerto a Padre Labat, giunto a Messina durante il suo viaggio in Italia. Invitato alla tavola dei Domenicani di S. Girolamo, durante la domenica, così descrive le prelibatezze che furono servite: “come antipasto due cipolle bianche di buone dimensioni con salsa allo zafferano. Ne aprii una e la trovai piena di un tritato di carne con pinoli, uva di Corinto, coriandolo e buccia di limone candita”.

Gli antipasti, semplici o complessi, non esistono nella cucina popolare. Si trovano invece gli apri-appetito, in dialetto “grape u pitittu” o “sbrogghia pitittu” o “tornagusto”. Si tratta di preparazioni che oggi, come allora, costituivano la cosiddetta gastronomia da marciapiede e che è possibile gustare anche nelle rosticcerie: arancini, crocchette, panelle…

Un elenco interminabile di ingredienti rientra nella elaborazione di questi piatti appetitosi. In primo luogo le verdure: zucchine, melanzane, carciofi, peperoni, pomodori. Tante olive: verdi o nere, lucide, condite (cunzate), fritte, infornate, dolcificate in salamoia, schiacciate, farcite. Persino piccole “guastedde” venivano servite un tempo in un noto ristorante palermitano: erano delle pagnottelle morbide, cosparse di sesamo, spaccate e ripiene con fettine di milza soffritta, frittole, caciocavallo ragusano e ricotta. Non mancano formaggi freschi o stagionati, come tuma, pecorino, ricotta; pesci, molluschi, salumi, carni…e persino alimenti insoliti quali alghe, castagne e lumache.

 

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Le innovazioni del British Museum 2/5

 

Il British Museum fu il primo museo nazionale, aperto gratuitamente al pubblico, che non fosse di proprietà ecclesiastica o reale, e incentrato su ogni produzione umana, in generale. Un vero museo illuminista.

Se, tuttavia, in principio l’attività del museo era imperniata, soprattutto, sulla tematica naturalistica e libraria, nel 1772, ricevette la collezione di ceramica greca di proprietà di William Hamilton, che rappresentò il primo nucleo artistico e storico, su cui si sarebbe sviluppato in seguito. Ebbe donazioni pure di materiali provenienti dalle “stanze delle meraviglie” e altre donazioni, come la Collezione Thomason e la biblioteca di David Garrick (circa 1.000 opere).

L’Inghilterra di fine Settecento era protesa verso il mondo. Numerosi erano gli esploratori che vi affluivano nei Mari del Sud, tra cui James Cook. Così, dal mondo intero, giunsero al museo oggetti di culture etniche fino ad allora sconosciute. Da Clayton Mordaunt Cracherode si ebbero in donazione libri, gemme intagliate, monete, stampe e disegni.

La Royal Society era già in contatto con esploratori, viaggiatori e lontani ambasciatori britannici. Tra questi ultimi, l’ambasciatore di Napoli fece giungere da Pompei ed Ercolano reperti archeologici autentici o riproduzioni di questi e, naturalmente, disegni del Vesuvio.

 

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Diabolik ed Eva Kant 2/2

 

Diabolik è tutto meno che gentiluomo. È invece spietato e deciso nel suo intento di rubare soldi, oro o gioielli. Le sue vittime, tuttavia, sono banche, miliardari disonesti o ricche famiglie. Diabolik non è solo. Fidanzato con Elisabeth Gay nel primo episodio, incontra, nel terzo, Eva Kant, una bionda bellissima, senza scrupoli come lui. Faranno coppia fissa in rocamboleschi furti, che permettono loro una vita lussuosa e agiata. Come 007, utilizzano trovate tecnologiche, a volte fantascientifiche, ma spesso ai limiti dell’impossibile.

Nel numero 5 del 1968, le sorelle Giussani confezionano una storia, intitolata “Diabolik, chi sei?”, dove narrano le origini di Diabolik. Ancora in fasce, dopo un naufragio, unico sopravvissuto arriva sulla spiaggia di un’isola abitata solo da un piccolo gruppo di malfattori, il cui capo è denominato King. Con esso cresce e impara, oltre la disonestà, anche il loro bagaglio di tecniche criminali. Fuggirà dall’isola con il tesoro della banda, dopo aver ucciso King. Prenderà come alias il nome di una feroce pantera nera, che King chiamava proprio Diabolik.

Fuggito dall’isola, inizia il suo lavoro di ladro in oriente, nel Deccan. Ma l’esordio non è tra i più felici. Viene salvato, comunque, da Ronin, un contrabbandiere. Entra nella sua squadra. Impara nuove tecniche e trucchi per sfuggire alla polizia. Gli viene insegnato il celebre lancio del pugnale, che diventerà caratteristico, tecniche di combattimento ed arti marziali. Una vera e propria università del malaffare. Adotta il suo classico costume nero per confondersi nella notte. Ma il male ha anche il suo peggio. Ronin e la sua squadra vengono uccisi da un “cattivo” più cattivo, Walter Dorian, proveniente da Clerville, e sosia, in tutto e per tutto, dello stesso Diabolik. Diabolik, al solito, si salva e vendicherà i suoi compagni, uccidendo, a sua volta (almeno così sembra), il nuovo nemico. Si impossessa della sua auto, una Jaguar, e della sua identità. Sempre in questa fase iniziale, in oriente, Diabolik incontra l’ispettore Ginko, che stava conducendo indagini su alcuni trafficanti di droga. In un incredibile faccia a faccia, si scontrano. Anche stavolta egli riesce a sfuggire. Da qui inizia la guerra personale tra Diabolik e Ginko.

I primi numeri della serie, naturalmente, servono di assestamento. Diabolik, sotto le mentite spoglie di Walter Dorian, adottandone anche le tecniche, prende di mira la nobile e facoltosa famiglia Garian, mandandola in rovina. Da questo ecco il nuovo personaggio di Gustavo Garian, che farà da assistente nelle ricerche di Ginko. Troviamo pure Elisabeth Gay, la sua ingenua fidanzata, che crede che Diabolik sia solo un ricco uomo d’affari. Quando, nel terzo numero, scopre la sua vera identità, lo denuncia e lo fa arrestare (l’episodio, infatti, si intitola L’arresto di Diabolik). È a questo punto che interviene la bella Eva Kant, che lo farà scappare, iniziando un sodalizio con il ladro nero per il resto della serie.

Se Diabolik esordisce come spietato ladro e assassino, re del terrore, il suo carattere si ammorbidirà nei toni progressivamente (sarà l’incontro con Eva Kant?), facendolo sfociare in una specie di “giustizia” e senso morale. Inoltre, con gli sviluppi sessantottini, Eva Kant acquisisce importanza, spesso nel buon esito delle avventure, guadagnandosi il rispetto di Diabolik stesso.

 

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