Antipasti appetitosi 2/3

 

L’antipasto è presente nella gastronomia dell’isola da quando, nel periodo greco, i cuochi siciliani erano rinomati e richiesti in tutta l’area del Mediterraneo. Durante il periodo romano i signori, nelle loro lussuose residenze – come la villa del Casale a Piazza Armerina o del Tellaro nei pressi di Noto marina –  imbandivano cene spettacolari. Comodamente sdraiati su triclini, in un tripudio di suoni e danze, gustavano una successione di vivande.

Petronio nel Satiricon designa con il termine “gustatio” la serie di antipasti proposti durante la cena offerta da Trimalcione, che si apriva con uno spettacolare ”asinello di bronzo le cui bisacce erano piene di olive bianche e nere”.

Più tardi in epoca barocca, in Francia e in Spagna, paesi che hanno notevolmente influenzato la cucina isolana, al termine antipasto si attribuisce un significato di contrapposizione, cioè fuori dall’opera (hors-d’oeuvre) o di intermezzo (entremès).

Proprio in posizione intermedia l’antipasto è presente tra le vivande che compongono il pranzo del Corpus Domini del 1790 nel Convento dei Benedettini di Catania. Si tratta di una “imbanata di pasta di Napoli e prosciutto” collocata tra una minestra di cous cous e un arrosto.

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Il Britisch Museum a Londra 1/5

 

Tra i musei più famosi ed antichi vi è il British Museum di Londra (in Great Russell Street). La sua storia inizia nel 1753, quando sir Hans Sloane, noto medico e scienziato inglese, con il suo patrimonio letterario ed artistico, dà vita alla biblioteca di Montague House a Londra. La collezione, acquistata dal governo britannico, fu messa in esposizione nel 1759. Oggi il British Museum possiede ben 30 milioni di oggetti, così tanti da farne rimanere molti in magazzino, data l’enorme superfice necessaria per esporli tutti. In dettaglio si contano: 30 milioni di oggetti solo al British Museum, altri 70 al Natural History Museum e 150 alla British Library. Il Natural History Museum (che contiene collezioni di storia naturale) e la British Library (la biblioteca) sono filiazioni del British Museum.

Il museo ha attualmente un carattere universalistico. Esso, infatti, si occupa della storia e della cultura materiale di tutta l’umanità, a partire dalla preistoria sino ad oggi. Il cortile centrale del museo è stato nel 1997 oggetto di lavori edili. Nello spazio rinnovato è stata realizzata, su progetto di Lord Foster, la Queen Elizabeth Great court, la più grande piazza coperta europea. Il British Museum, già nel 1923,  contava più di un milione di visitatori, oggi questi visitatori si sono moltiplicati.

Il British Museum, nato grazie ad una legge apposita di Giorgio II, poggiava inizialmente su quattro collezioni. Oltre quella di sir Hans Sloane, ne facevano parte la Cottonian Library, raccolta da Sir Robert Bruce Cotton (di età elisabettiana), e la biblioteca di Harleiana, composta dai conti di Oxford. A queste tre collezioni si aggiunse, nel 1757, la Royal Library, composta dai testi acquisiti dai re britannici nel corso del tempo. Per la grande quantità di volumi conservati, il museo fungeva anche da “biblioteca nazionale” (la prima in assoluto). Inoltre, con la cessione della Old Royal Library, si trasferì al museo il diritto ad ottenere una copia di qualsiasi libro che venisse pubblicato nel regno britannico. Questo diritto permetteva alla biblioteca una crescita continua e perpetua. Tale diritto è posseduto oggi da tutte le biblioteche nazionali. Successivamente, una parte dei libri fu trasferita nella British Library, dove si trovano scritti di una rarità eccezionale.

 

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Tu, che calendario usi? 1/3

 

Il Capodanno è passato da poco, siamo quindi all’inizio del nuovo anno, il 2017, ed è da noi inverno. In realtà, nell’emisfero meridionale sono in piena estate e, inoltre, per culture come quella musulmana e quella cinese, il capodanno arriverà in altre date. Anche la datazione degli anni non è la stessa. Sempre i musulmani non sono nel 2017. Questo perché il loro calendario è quello lunare e non solare come il nostro. Ancor più la nostra datazione ha inizio dalla nascita di Gesù Cristo, mentre il loro è riferito alla posteriore Egira.

Tutte queste differenze esistono perché il calendario, in realtà, è una convenzione dell’uomo per calcolare il passaggio del tempo e delle stagioni (importanti soprattutto in campo agricolo). Esso quindi non esiste in assoluto, ma è legato alle diverse culture esistenti sul pianeta (siamo in pieno campo antropologico). Tant’è che esistono diversi calendari ufficiali, diversi per nazione, con feste e ricorrenze legate alla propria cultura. Diciamo che generalmente si organizzano in settimane (circa quattro al mese), in mesi (per lo più dodici l’anno) ed anni (ma di diversa lunghezza).
Il nostro calendario è denominato “calendario gregoriano”, ed è adottato della maggioranza della popolazione mondiale. Tuttavia, sul pianeta esistono, oltre al nostro, Il calendario cinese, il calendario islamico, il calendario nazionale indiano, quello della Thailandia, il calendario persiano (in Iran e Afghanistan) ed infine in Israele si riferiscono al calendario ebraico.

Una curiosità: le diverse Chiese ortodosse usano ancora, per motivi liturgici, il calendario giuliano, precedente a quello nostro gregoriano. Quest’ultimo, infatti, fu adottato nel 1582, quando, dato il caos creato da quello giuliano, costrinse il papa a promulgare un calendario unico per tutti. Nel medioevo, infatti, anche se molti paesi seguivano il calendario giuliano, la numerazione degli anni cambiava, in conseguenza della data del capodanno. Così vi erano anni che partivano dal 1º marzo, il 25 marzo (il giorno di Pasqua), o, addirittura, il 1º settembre. Nella sostanza, ci volle un Papa che stabilisse il capodanno alla data del 1º gennaio.

È risaputo che la numerazione che seguiamo è collegata all’anno di nascita di Gesù Cristo. La data della nascita fu calcolata dal monaco Dionigi il Piccolo, nel VI secolo. I due calendari seguenti, il giuliano ed il gregoriano, partivano, quindi, per i cristiani da questa data. Gli anni antecedenti portano la sigla a.C., mentre quelli successivi portano quella d.C., anche se si omette per i periodi storici più recenti. Per gli antichi romani la numerazione iniziava dalla presunta fondazione di Roma. Il calendario ebraico parte, addirittura, dalla creazione del mondo (calcolata sulla Bibbia).

 

Buoni propositi per il nuovo anno

 

Una pagina di Marcel Proust mi torna alla mente per consolarmi all’idea di perdere tempo nell’ennesima riunione perfettamente inutile. A sopportare due o tre ore di chiacchiere provo, come Proust, una specie di rimorso, di rimpianto per non avere indugiato nella tranquillità del mio studio, per non essere rimasto a fantasticare, con in sottofondo la Rêverie di Debussy. Perché vado? Per amicizia. Proust annotava che quanti hanno la fortuna di un lavoro creativo hanno anche il dovere di vivere per sé. «L’amicizia è una dispensa da questo dovere, un’abdicazione a sé stessi. Persino la conversazione, che dell’amicizia è il modo d’esprimersi, è una divagazione superficiale, che non ci fa acquistare nulla. Possiamo conversare tutta una vita senza far altro che ripetere all’infinito il vuoto di un minuto, mentre il cammino del pensiero, nel lavoro solitario della creazione artistica, si snoda in profondità, l’unica direzione che non ci sia preclusa, e nella quale ci sia dato anzi progredire – sebbene con maggior fatica – verso un risultato di verità». Non è che sia radicato nel convincimento quanto lo era Proust, ma come lui mi annoio a conversare «restando alla superficie di sé, invece di proseguire il viaggio di scoperte nel profondo». Così, a inizio d’anno, non farò voti di clausura, tutt’altro, perché ascoltare il pigolio delle “fanciulle in fiore” delizia anche me. Eviterò, però, di modellarmi «ad immagine e somiglianza degli altri anziché d’un io che da loro differisca». Inviterò selezionatissimi amici ad ascoltare musica, a discorrere su qualche brano di storia o di critica d’arte, a prodigarsi per il sociale, nel tentativo di scoprirci un pizzichino migliori di quanto usualmente siamo costretti ad essere.

Fonte immagine: Gustave Caillebotte Portraits à la campagne (1876) Musée Baron Gérard di Bayeux (Di Gustave Caillebotte – [1], Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2133543 )

 

Voltata pagina ora ricominciamo

 

La Galleria V. E. di Messina è un monumento, soggetto al Codice dei Beni culturali. Con questi ultimi lavori abbiamo compiuto non un restauro, ma una manutenzione ordinaria, cioè un insieme di operazioni correttive finalizzate a riportare il sistema Galleria allo stato di buon funzionamento, in modo da affrontare l’insorgere di ulteriori problemi. Parlo dell’imbrattamento dovuto ad affissioni, scritte a pennarello e vernici spray, che deteriorano intonaci, mostre decorative e serrande di chiusura. Parlo della pavimentazione che necessiterà di integrazioni laddove il cambio di formato delle tessere musive o l’accostamento con materiali differenti dal gres – come nel caso dei tondi luciferi in vetro – creano oggettivi problemi di distacco. Nell’intervento oggi praticato è stata anche attuata una manutenzione migliorativa. Questo, chiudendo i cancelli in orario notturno; bonificando le superfici dei prospetti e collocando dissuasori chimici e fisici così da allontanare i volatili; sostituendo gli apparecchi illuminanti con più moderne lampade Led a basso consumo energetico. Ciò porterà all’accordo su di un protocollo d’intervento in grado di indicare azioni preventive e gestionali, con modalità e ruoli di coordinamento fra le parti interessate alla corretta conduzione della Galleria. Tale protocollo e l’applicazione di un idoneo progetto di valorizzazione limiteranno le problematiche pregiudizievoli all’omogeneità estetica e funzionale dell’ambiente interno fruibile dalla cittadinanza. L’obiettivo, oggi come in futuro, è mantenere un’immagine corrispondente al decoro dell’edificio monumentale. Finalmente Messina potrà godere del suo “salotto esclusivo” in Galleria, come tante altre città italiane ed europee.

 

Una figura rituale dal carattere perenne

 

Babbo Natale esiste o non esiste? “The Lancet Psychiatry” dice la propria idea sulla “aeterna quaestio” con un articolo firmato dagli psicologi Christopher Boyle dell’Università di Exeter nel Regno Unito e Kathy Mc-Kay di quella del New England in Australia. I due non hanno altre turbe psichiche su cui indagare, se non quelle dei bimbi traumatizzati alla scoperta che gli adulti li hanno turlupinati. Né avranno letto il saggio di Claude Lévi-Strauss: “Babbo Natale giustiziato”. Il 24 dicembre 1951 “France-Soir” informava: «Ieri pomeriggio Babbo Natale è stato impiccato all’inferriata del duomo di Digione e arso pubblicamente sul sagrato. La spettacolare esecuzione si è compiuta sotto gli occhi di parecchie centinaia di fanciulli dei patronati. Era stata fissata con il consenso del clero che aveva condannato Babbo Natale quale usurpatore ed eretico». L’accusa era di aver paganizzato il Natale a scapito del presepe. L’antropologo francese comprese che non si trattava di un semplice fatto di cronaca. Scrisse un lungo e documentato saggio, dimostrando che il vecchietto barbuto è una creazione moderna nella quale si mescolano «formule inedite che perpetuano, trasformano o rivitalizzano antiche usanze». Pratiche diffuse in differenti società mai entrate in contatto fra loro, ma che hanno nei riti di passaggio e di iniziazione il punto nodale. Si somigliano in modo sorprendente, perché servono agli adulti per stabilire quanta disciplina ed obbedienza i bambini debbano dimostrare per ottenere un premio. Per cui la tradizione di Babbo Natale «non costituisce un amabile inganno deliberato dagli adulti alle spalle dei bambini; ma è, in larga misura, il risultato di una transazione molto onerosa tra le due generazioni».

 

Opportunità di sviluppo per le Isole Minori

 

Nello scenario dell’arcipelago della Maddalena, il ministro Franceschini ha firmato il Contratto di Sviluppo per i Beni Culturali e il Turismo nelle Isole Italiane e del Mediterraneo. Rappresenta, come ha spiegato, «un impegno del Governo a intervenire su un settore trascurato per troppo tempo». L’accordo, sottoscritto con l’Associazione Nazionale Comuni e Isole Minori (ANCIM) e con le Regioni Sardegna, Sicilia, Campania, Lazio, Liguria, Puglia e Toscana, punta a trasformare un patrimonio dal carattere insulare in una reale opportunità. Il fine è realizzare una strategia complessiva di difesa e conservazione della natura, di sviluppo sostenibile e adeguamento infrastrutturale materiale e immateriale del sistema delle Isole minori: 36 comuni con oltre 200.000 abitanti che accolgono milioni di visitatori nel corso dell’estate. La Sicilia schiera le sue bellezze: Favignana, Lampedusa e Linosa, Leni, Lipari, Malfa, Pantelleria, S. Marina Salina, Ustica. L’intento è valorizzare peculiarità e diversità, trasformando le debolezze in punti di forza. Riferimento è il DUPIM (Documento Unico di Programmazione delle Isole Minori), che in sintesi punterà a riqualificare i centri abitati, recuperando quel patrimonio storico ed edilizio che potrebbe svolgere funzioni turistiche e culturali. Terreno fertile saranno le attività produttive tradizionali, anche adottando uno specifico marchio di qualità. Il tutto inserito in un sistema di rete materiale e immateriale. Il patto ha chiaro, fra i suoi step, che si potrà agevolare il percorso stabilito solo ricercando e realizzando azioni comuni di sviluppo nell’area del Mediterraneo. Occorrono quindi nuovi modelli di cooperazione e di integrazione e una grande forza di volontà.