Le storielle di Pitrè: Giufà e l’otre

 

La madre di Giufà, vedendo che con questo suo figliolo non si poteva reggere, lo mise come sguattero da un taverniere. Il taverniere lo chiamò: «Giufà, va a mare e lava questo otre, ma lavalo bene, sai! Altrimenti le buschi!».
Giufà si prese l’otre e se ne andò in riva al mare. Lava, lava; dopo avere lavato per una mattinata, disse: «E ora a chi lo domando se è ben lavato?».
In quel mentre scorge un bastimento che stava salpando, esce un fazzoletto e si mette a far segnali ai marinai e a chiamarli: «A voi! A voi! Venite qua! Venite qua!».
Il capitano lo scorse e disse: «Ferma, ragazzi, chi sa cosa ci siamo dimenticati a terra…». Scese a terra e andò da Giufà: «Che c’è?».
«Vossia, mi dica: è ben lavato quest’otre?».
Il capitano (per la collera) uno era e cento si fece: afferrò un pezzo di legno e gliele suonò ben bene.
Giufà piangendo gli chiese: «Allora come devo dire?».
«Devi dire: – gli rispose il capitano – Signore, fateli correre!, così ci rifaremo del tempo perduto (a causa tua)».
Giufà con le spalle belle calde (per le botte), si prese l’otre e fuggì per una campagna, ripetendo sempre: «Signore, fateli correre! Signore, fateli correre!».
Incontra un cacciatore che teneva stretti due conigli. Di colpo Giufà disse: «Signore, fateli correre! Signore, fateli correre!».
I conigli scapparono.
«Ah! Figlio di puttana! Ti ci metti pure tu?» gli disse il cacciatore e lo prese a colpi di culatta con lo schioppo.
Giufà piangendo-piangendo gli disse: «Allora, come devo dire?».
«Come devi dire? Signore fateli uccidere!».
Giufà si prese l’otre e (s’incamminò) ripetendo cosa doveva dire. Si imbatté con due che litigavano. Disse Giufа: «Signore fateli uccidere!».
«Ah infame! Pure tu attizzi!» gli dicono questi due, smettono di litigare e prendono a schiaffi Giufà.
Povero Giufà, restò con la schiuma alla bocca e non poteva parlare. Dopo un pezzetto, disse singhiozzando: «Allora, come devo dire?».
«Cosa devi dire? – rispose quello – Devi dire: Signore, fateli spartire!».
«Allora, Signore, fateli spartire! – incominciò a ripetere Giufà – Signore, fateli spartire!…». E se ne andava camminando con l’otre in mano e sempre ripetendo la stessa cantilena.
Camminando, camminando, a chi incontra? A due sposi che uscivano dalla Chiesa, maritati allora allora.
Appena sentono «Signore, fateli spartire! Signore, fateli spartire!», corre il marito, si scioglie la cintura e picchia e ripicchia (colpi) sopra Giufà, dicendogli: «Uccellaccio di malaugurio! Mi vuoi fare separare da mia moglie!..».
Giufà, non potendone più si gettò per morto.
I parenti degli sposi si avvicinarono per vedere se Giufà fosse morto o vivo. Dopo un pezzo, Giufà rinvenne e si rialzò. Gli diceva la gente: «Dunque così arrivi a dire agli sposi?». «E come dovrei dire?», domandò Giufà.
«Dovresti dirgli: Signore fateli ridere! Signore fateli ridere!».
Giufà si prese l’otre e se ne tornò alla taverna. Passando per una strada, in una casa c’era un morto con le candele davanti e i parenti che piangevano lacrime a dirotto. Appena sentono dire Giufà: «Signore fateli ridere! Signore fateli ridere!», cioè quel che avevano detto quelli del corteo nuziale, parve loro una cosa fatta apposta. Esce uno con un bastone e a Giufà ne dette per lui e per un altro.
Allora vide Giufà che era meglio starsi zitto e correre alla taverna. Il taverniere appena lo vide gli dette il resto, ché lo aveva mandato con tutta la mattina e si raccolse verso le undici di sera. E per (concludere) gli dette pure il benservito.