Imparare a superare la soglia dello specchio

 

Il dialogo intessuto questa mattina, a colazione, con mia moglie mi ha portato a rammentare il tempo in cui molte cose si riparavano. Da bambino, mia madre mi chiedeva di andare dalla merciaia a far rammagliare le sue calze da donna, perché aveva una macchina speciale. E così era con l’orologiaio, l’elettricista e con il tecnico che armeggiava con le grosse valvole del televisore. Quanta pazienza avevano questi signori. Non è così ora. Appena qualcosa si guasta si getta. Vale anche per il desiderio o l’amicizia, il legame con la comunità o con la sua memoria. Come la roba vecchia, finiscono nel cumolo d’immondizia, che è l’unico a permanere ai bordi del cassonetto. Così nel discorso è affiorato l’insegnamento di Zygmunt Bauman. A differenza della miriade di persone specializzate nell’arte di complicare le cose semplici, era un chiarificatore convincente di concetti complessi. Ci ha spiegato il non senso di questa modernità liquida, dove nulla ha il tempo di attecchire. Instabilità, precarietà, fragilità, sono il denominatore comune, col quale imparare a convivere se, in quest’epoca di individualità, non riprendiamo a dialogare. Ma il dialogo è pazienza, perseveranza, profondità, non il risultato di un contatto dall’effetto immediato. «Il vero dialogo non è parlare con gente che la pensa come te. Entrare in dialogo significa superare la soglia dello specchio, insegnare a imparare ad arricchirsi della diversità dell’altro». Non specchiarsi in sé stessi, dunque, ma come Alice varcare il limite. Bauman ha indicato la strada di una vera rivoluzione culturale, per ripensare un modello di vita, una cultura che non permette ricette o facili scappatoie, «esige e passa attraverso l’educazione che richiede investimenti a lungo termine». Ce la faremo?

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