Il senso di un museo di tutti e di tutto

 

Myseum.co è un progetto smart. Dove smart non significa solo intelligente, ma un modo al passo con i tempi per riallacciare la triade passato/presente/futuro. È un museo virtuale, ideato da quattro giovani siciliani. Si rivolge ai collezionisti di tutto il mondo, ma anche ai musei che del territorio rievocano la storia, attraverso oggetti desueti, reperti di vecchia fattura, memorie di tempi andati. Ecco così che la formula attrattiva dei social network, con i loro tweet, post, like, è resa disponibile anche per coloro che raccolgono ricordi, affinché non rimangano isolati sui piani di uno scaffale, ma riescano ad essere oggetto di condivisione in rete. “Il mio museo” ha da pochi giorni aperto le porte e tocca agli estimatori riempirlo, costruirlo, migliorarlo. Come funziona? Ce lo dicono Livio Lombardo, catanese, Danilo Garro, siracusano, Sebastiano Cataudo e Alberto Mangione, ragusani: «Myseum è una raccolta organizzata di immagini, contenuti multimediali e descrizioni relative agli oggetti posseduti dagli utenti registrati. Ciascuno ha un proprio spazio. Raccogliere in tutto il mondo immagini e descrizioni degli oggetti è il primo passo per la creazione di un archivio, organizzato per categorie, anni di fabbricazione, provenienza, stili, marche, eventi collegati». Raccolte analoghe non sono nuove sul web, in Europa e fuori; ma poco importa. Ciò che conta è l’interesse verso il nostro passato crepuscolare, quello tanto recente da ritenersi inutile. Così distante da quel passato troppo ingombrante che ha caratterizzato lo scontro tra classicisti e innovatori romantici. Chi ricorda la voce di Byron? «We have too much memory», abbiamo troppa memoria. Oggi la memoria rischia, invece, di annullarsi. I giovani di Myseum propongono di conservarne il senso.

Il Castello di Charlottenburg a Berlino

 

Dei diversi palazzi reali di Berlino, l’unico sopravvissuto alla seconda guerra mondiale è quello di Charlottenburg, che si trova nell’omonimo quartiere. È definito Schloss, traducibile come palazzo o castello. Originariamente l’area era identificata con il nome di Lietzenburg e si trovava in campagna nella periferia di Berlino. Nacque infatti come residenza estiva. A volere la costruzione del palazzo fu la regina Sophie Charlotte, moglie di Federico III di Brandeburgo, salito al trono come Federico I di Prussia, nel 1701. Dopo la prematura morte della regina, avvenuta nel 1705, il re Federico cambiò il toponimo della zona in Charlottenburg, in onore alla moglie scomparsa.

Il primo architetto incaricato da Carlotta fu Arnold Nering, che lo realizzò in stile barocco italiano. Seguentemente, dal 1709 al 1712, furono operati lavori di ingrandimento della struttura, ad esempio, con l’inserimento delle torrette, che tanto lo caratterizzano.
Il successivo re tedesco Federico II di Prussia, nel 1740, diede l’incarico della realizzazione dell’Ala Nuova, ad est del palazzo, all’architetto Georg Wenzeslaus von Knobelsdorff. Poi, sotto Federico Guglielmo II, il progettista Carl Gotthard Langhans, aggiunse anche la mancante Ala ovest.

Se l’edificio, inizialmente, era costruito in stile barocco, gli interni, differentemente, sono in stile rococò (lo stile seguente). L’edificio possiede moltissimi ambienti. Caratteristica è la successione di quelle cerimoniali, aperte l’una nell’altra. Tra le sale più rilevanti (e curiose) del Palazzo di Charlottenburg vi è quella detta “Camera della Porcellana”, perché presenta alle pareti antiche porcellane cinesi, risalenti al XVII e al XVIII secolo. Rilevante è pure la sala dei balli e dei ricevimenti, lunga 42 metri e denominata “la Galleria dorata”. Una terza è la “camera d’ambra” realizzata nel 1716, per decisione del seguente re tedesco Federico Guglielmo I (re Federico era morto nel 1713). Questa fu dedicata appositamente allo zar di Russia, Pietro I. L’immancabile giardino circostante alla Reggia fu ideato. nel 1697, da Siméon Godeau. Inizialmente era in stile francese, ma nel seguente secolo venne in parte modificato in stile inglese. All’interno, come si deve, sono distribuiti numerosi piccoli edifici e fontane.

 

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BERLINO CASTELLO DI CHARLOTTENBURG~1
Berlin-Charlottenburg
Viaggio a Berlino Cosa Vedere in un Weekend a Berlino – Documentario –

 

 

John Kennedy


Citazioni e aforismi sono passati dalla carta al web. Ne leggiamo in continuazione, ma noi stessi dimentichiamo di mettere in pratica quanto abbiamo sollecitato all’attenzione degli altri. Non sarebbe il caso di passare dalle citazioni alle citAZIONI?

Le uova nei riti pasquali

 

L’uovo di Pasqua, insieme alla colomba, sono divenuti il simbolo della Pasqua cristiana. Se l’invenzione dell’uovo di cioccolato è relativamente recente, lo scambio a Pasqua di uova vere decorate è d’origine medievale. Nella cristianità le uova sono l’icona della resurrezione del Cristo.

Nell’antichità
Tuttavia, l’uovo, di per sé, ha sempre rappresentato la vita e la sua sacralità, sin dai tempi più antichi. Gli Egiziani lo consideravano il fulcro dei famosi quattro elementi in cui era costituito l’universo, cioè acqua, aria, terra e fuoco. Successivamente, nelle religioni pagane e mitologiche, l’uovo rappresentava il rapporto tra i due emisferi, cielo e terra. Tra i Persiani era uso scambiarsi semplici uova di gallina, beneaguranti, all’inizio della primavera, periodo che gli egizi consideravano una sorta di primo dell’anno. Tra i Greci e, perfino i cinesi, avveniva uno scambio di uova decorate. Praticamente, in tutte le civiltà antiche del pianeta, l’uovo era simbolo della cosmogonia. Nelle tombe spesso si trovano uova di creta, come augurio di un ritorno alla vita.

Questo significato fu ripreso dai cristiani dei primi secoli, interpretandolo, però, come il simbolo del ritorno alla vita dopo la morte del Cristo, cioè il simbolo della resurrezione di Gesù. Quindi, l’uovo da simbolo della rinascita della natura in primavera, divenne segno della rinascita dell’uomo in Cristo. Durante il medioevo lo scambio delle uova era tradizionale. Se spesso i nobili le regalavano alla propria servitù, gli aristocratici medievali se le scambiavano anche tra di loro, ma rese preziose da un rivestimento di oro, argento o platino. Edoardo I, re d’Inghilterra, arrivò ad ordinare circa 450 uova di valore.

Le moderne uova di cioccolato
In genere, durante la quaresima, se si è a digiuno, si evita di mangiare uova sode, che però, messe da parte, arricchiscono la successiva tavola pasquale. L’uovo mantiene un ruolo principale, in moltissimi paesi e tradizioni. È il caso delle festività nei Balcani, dove si professa la religione greco ortodossa, in cui ci si scambia uova colorate di rosso (simbolo della Passione del Cristo). I colori, comunque, in altre zone possono essere diversi. Questi nel passato erano d’origine vegetale, mentre ora si usano coloranti alimentari frequenti in pasticceria. Nel giorno del giovedì santo, in particolare (data la commemorazione dell’Ultima Cena), e nei giorni specifici della Pasqua, si donano e si consumano molte uova sode, ricche di significati.

Attualmente
Nell’ultimo secolo l’uovo maggiormente diffuso è quello di cioccolato, amato dai bambini soprattutto per la sua sorpresa chiusa all’interno. Tuttavia l’invenzione della sorpresa nell’uovo non è recentissima. Fu l’orafo Peter Carl Fabergé che la ideò nel 1883, quando lo zar russo gli commissionò un regalo “speciale” per la zarina Maria. Ispirandosi forse alle famose bambole Matriosca, egli creò un uovo particolare. Era realizzato in platino smaltato di bianco, al cui interno ve n’era un altro in oro, il quale, aperto, rivelava due sorprese: il facsimile della corona imperiale ed un piccolo pulcino, immancabilmente, d’oro. Era nato il primo “uovo di Fabergé”.

Una volta le uova di cioccolato venivano realizzate da mastri pasticceri. Negli ultimi decenni quest’uovo è prodotto industrialmente da grandi ditte dolciarie. Nei banchi dei supermercati vengono esposte uova di cioccolato di tutte le dimensioni, già un mese prima della Pasqua. Ciononostante, le uova di cioccolato, confezionate da pasticceri, mantengono un proprio mercato un po’ ovunque. Ultimamente si sono diffuse anche uova decorate a tema. Nel giorno di pasquetta, poi, di uova se ne mangiano nei picnic, con gran gioia dei bambini.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: RESURREZIONE

VIDEO SULLE UOVA DI PASQUA
Uova di Pasqua, come si preparano
Come fare in casa le uova di cioccolato di Pasqua – videoricetta di dolci di Pasqua
DIY: Uova decorate effetto seta,FAI DA TE Semplice e Veloce
CANDELE UOVA di PASQUA fai da te || EASTER EGGS CANDLES

 

Uno dei significati della Pasqua

 

È Pasqua. Resurrezione o risurrezione, sappiamo tutti di che cosa stiamo parlando: della resurrezione di Gesù Cristo. Nell’antichità la morte era la fine della vita. Nella mitologia greca solo gli dei erano immortali. Gli uomini rimanevano ombre nell’Ade. Nella Bibbia, l’uomo ritornava polvere. Se si moriva prematuramente, l’accadimento era giudicato come punizione divina. Solo a livello di comunità salvata, si concepiva la morte del singolo. Il concetto di resurrezione appare, per la prima volta, nella Bibbia con Isaia e Daniele. La morte poteva essere superata solo per volontà divina. Altrimenti la resurrezione avveniva alla fine dei tempi, nel Regno di Dio, con la vittoria finale sul peccato.

Il nostro concetto di resurrezione, viene spiegato da Gesù Cristo stesso, per più volte e in contrasto con le credenze dei Sadducei. Questo si ritrova nei vangeli, gli Atti degli Apostoli e nelle Lettere di S. Paolo (ai Romani). L’evangelista Marco usa, a questo proposito, un termine greco ad indicare l’atto di “rialzarsi” per acquisire un altro corpo, Gesù ammonisce gli apostoli a parlarne solo dopo la sua resurrezione. Nelle lettere di S. Paolo (agli Ebrei), ammettendo il controllo della morte al diavolo, S. Paolo afferma che solo Dio salva, dà la vita o ridà la vita. Il Cristo ha liberato dalla schiavitù e ha reso l’uomo una nuova creatura, regalandogli una nuova vita. La sua venuta, morte e resurrezione è fondamentale per l’uomo. Tanto che Marco scrive: Non avere paura, abbi solo fede.

Col tempo, la Chiesa ha posto il tema della resurrezione come fondamentale, essenziale. Mentre, infatti, agli inizi del Cristianesimo, il destino delle anime veniva toccato di passaggio. Si attendeva la seconda venuta (l’arrivo di Parusia, la presenza del Divino) e la salvezza dell’umanità. Il tema dello Sheol (il “mondo delle anime”) divenne poi centrale. Nel corso dei secoli, si è rivalutata, non solo la resurrezione di Gesù Cristo, ma anche quella di Lazzaro di Betania (Vangelo di Giovanni) e le altre presenti nei racconti evangelici (ad esempio in Matteo). Anche S. Paolo si dichiara sicuro della risurrezione dei morti (negli Atti): “nutrendo in Dio la speranza (…) che ci sarà una risurrezione dei giusti e degli ingiusti”. Altre citazioni si ritrovano nei Tessalonicesi e nell’Apocalisse.

Non essendo prossima la Parusia (o ritorno del Cristo) si modulò il concetto di resurrezione. Nell’ebraismo i giusti erano accolti nel “seno di Abramo” (viene citato anche nel Vangelo). Nel Cristianesimo, questo venne denominato “Paradiso”, che sarebbe giunto dopo un eventuale periodo di purificazione (in Purgatorio). Ecco che diventa fondamentale la preghiera per la salvezza delle anime scomparse, soprattutto nei primi tre giorni dopo la morte e, naturalmente, anche dopo. La sostanza e l’importanza della preghiera, la ritroviamo nella Chiesa Cattolica e in quella Greco-Ortodossa. Alla fine del mondo ecco il Giudizio universale, per i giusti e gli ingiusti, con la resurrezione della carne e la vita eterna nel Regno di Dio, come premio o per punizione.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: PASQUA

VIDEO SULLE PROCESSIONI DI PASQUA
Lipari, la processione di Pasqua 2016
Processione Pasqua Noto 2015
Processione di Pasqua a sulmona
Domenica di Pasqua – Processione di Cristo Risorto a San Ferdinando di Puglia – 27/03/2016

Fonte dell’immagineAntonello da Messina, Crocifissione, 1475 circa, Anversa.

 

 

L’arte pasticcera nei conventi di clausura

 

Simbolo religioso per eccellenza è l’agnello pasquale; ecco allora agnellini dormienti di pasta frolla ripieni di cedro candito o i picureddi, pecorelle di pasta reale, raffigurate in piedi o sdraiate su di un fianco sopra un prato verde ornato di confetti e ovetti multicolori di cioccolato: immancabile una banderuola rossa, simile a quella che nell’iconografia sacra è tenuta da San Giovanni. Erano dolci preparati dalle monache di clausura per i signori dell’epoca, ma oggi si trovano in tutta le pasticcerie della Sicilia; campeggiano nelle vetrine insieme alla classica frutta martorana, imitazioni molto elaborate fatte di pasta reale, tipica produzione delle monache del convento palermitano della Martorana.

Il dolce per eccellenza della pasticceria siciliana è la cassata, conosciuta in tutto il mondo. Un tempo era preparata solo durante le celebrazioni pasquali, come nel napoletano le pastiera, ma oggi si può trovare nel corso dell’intero anno. Certi detti popolari richiamano alla memoria l’abitudine ad assaporare questo dolce durante queste festività, perché è mischìnu cu nun manciàu cassàti ‘a matìna ‘i Pasqua, poveretto chi non ha mangiato neppure una fetta di cassata la mattina di Pasqua. La cassata è ripiena di ricotta dolcificata, lavorata fino a renderla cremosa, cosparsa di frutta candita e cioccolata fondente, arricchita in alcune ricette con gelatina di albicocca, ed infine ricoperta da uno strato di pasta reale o da una glassa verde al pistacchio. In origine era un dolce arabo, il quas’at, una sorta di zuccotto di tuma fresca dolcificata con zucchero, sostituita in seguito con la ricotta.

Non sono delle piccole cassate, invece, le cosiddette cassateddi, che, secondo quanto scrive Pitrè sono un «dolce fritto nell’olio e composto di pasta con dentro ricotta». Fritti sono anche i ravioli, formati da una sfoglia esterna di farina, strutto, zucchero e vino ed un ripieno di ricotta impastata con tuorli d’uovo, aromatizzata alla cannella. Non c’è proprio che dire, questi i dolci, più che i grandi monumenti della cultura siciliana, continuano a mantenere vive le tradizioni anche fra i più smemorati ed ignari. Una fatica in meno.

Antichi mestieri: il panettiere

 

I panifici sono ovunque, segno che il mestiere è tutt’altro che antico (o scomparso), ma sicuramente storico. È un lavoro semplice ed essenziale, faticoso, ma che può riservare grandi sorprese nella maniera in cui esso è fatto. Vi sono innumerevoli formati di pane, geograficamente parlando, ma anche nella tradizione rituale e culturale. Vi è, poi, la possibilità di specializzarsi nella produzione di pizze, grissini, biscotti o cornetti. Esiste la pasticceria panaria (che non tutti offrono), ma anche la produzione di pani dolci, sul tipo del buccellato di Pisa. Un caso particolare è l’Inghilterra. Dalla relativa trasmissione televisiva, “Bake off UK”, apprendiamo come usino unire il lavoro del panettiere con quello del pasticcere. Eseguono, infatti, veri e propri dolci creati con il pane. Sono quindi estremamente versatili, in tutti e due i campi. Se il pane è un alimento essenziale, nella sua semplicità, mette realmente in moto la fantasia.

Il grano e la farina
La farina più comunemente utilizzata in cucina è ottenuta dal grano tenero, nelle farine di qualità 00 e quelle di tipo 0. Esistono poi altre varietà di grano, più o meno conosciute. Comunemente, tra queste viene inserito il cosiddetto grano saraceno, che però non fa parte della famiglia delle Graminacee e, quindi, erroneamente, inserito tra i cereali. Il nome, infatti, non è d’origine botanica, ma commerciale. Nonostante questo, in cucina, viene utilizzato per la preparazione di alcuni tipi di pasta, come i pizzoccheri e le manfrigole (in Valtellina), per la polenta saracena, le crespelle, oppure in dolci o biscotti.

IL GRANO TENERO
Il grano tenero, chiamato comunemente anche frumento, deriva da un’ibridazione antichissima. È d’origine mesopotamica (tra il Tigri e l’Eufrate), detta anche Mezzaluna Fertile. Fu tra le prime colture intensive. Attualmente, la sua coltivazione è praticamente globale, in quanto, essendo resistente al freddo, può essere prodotto anche in climi nordici a temperature basse. Oggi, tra i maggiori produttori vi sono sia la Cina che il Canada. Il grano fu, infatti, introdotto dagli Spagnoli nel Nord America, durante il XVI secolo, che ne divenne il maggiore esportatore.

Il grano consumato attualmente è frutto di attenti studi genetici, che ne hanno aumentato la forza, la resistenza alle malattie e, soprattutto, la produttività. Dal frumento, previa macinazione, si ottiene principalmente la farina, poi una sostanza bianca e farinosa, chiamata amido, olio di germe di grano, ma anche alcol, dopo un’opportuna fermentazione. La maggior parte della produzione viene, comunque, impiegata per la produzione di farine per la panificazione. Ne esistono di vari tipi, quali: farine 00, 0, 1 e 2., tutte specifiche per determinate lavorazioni. La numerazione indica la purezza della farina da componenti di scarto, come, ad esempio, la crusca., che ne fanno variare il colore. La farina 00 è la più bianca e quindi la più pura. Crusca, Cruschello o Tritello e Farinaccio, sono tutti scarti, che vengono tuttavia anch’essi utilizzati, ad esempio, nella zootecnia.
La farina è classicamente usata per la fattura del pane (di tutti i tipi), pizze e creme, oppure per la pasta fresca.

Un’altra varietà di grano è quello duro, che produce, però, solo semole e non farine. Ciononostante, rimacinata più volte, anche la semola di grano duro è adatta alla produzione del pane. Tra i diversi tipi, ricordiamo il pane di Altamura, o il Pane di Matera. Pur presentandosi più consistenti e di colore giallo, i pani di grano duro, hanno il vantaggio di mantenere l’appetibilità per parecchi giorni, cosa che non avviene con il pane di farina bianca. Naturalmente, la semola di grano duro viene utilizzata per la realizzazione della pasta secca.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: IL PANE

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VIDEO ANTICHI MESTIERI:
Il Panettiere – Palermo
Dj Francesco – Il Panettiere (Official Video)

 

Appunti sulla storia del comprensorio

 

Gaetano La Corte Cailler non era un gitante della domenica. Durante le escursioni per la conoscenza del territorio raccolse annotazioni attente: una ricca documentazione composta da pagine manoscritte e dattiloscritte, sulle quali ha incollato ritagli di giornali e fotografie, schizzato disegni a matita, indicato sommarie note bibliografiche. Materiale di lavoro, che lo storico messinese ha sistemato tra il 1899 e il 1908 con certosina accuratezza a vantaggio delle ricerche storico-artistiche. Giovanni Molonia – che di La Corte Cailler è il maggiore studioso e da lui ha mutuato la passione a guardare e a valutare le attestazioni del passato – ha dato alle stampe il 1° Quaderno dell’Archivio Storico “N. Scaglione” e della Biblioteca Comunale “T. Cannizzaro” di Messina. Portando alla luce uno dei fascicoli del Fondo comunale, acquistato negli anni ’40 dal direttore Nitto Scaglione curatore memorabile degli atti della nostra identità, il Quaderno diffonde fra il pubblico notizie preziose, spesso di prima mano. La Corte Cailler le ha assemblate con mirate ricognizioni del circondario, approfittando dei giorni festivi, accompagnando storici dell’arte, colloquiando con i cultori locali. Osserva con occhio esperto, appunta e fotografa la realtà dei luoghi monumentali che di lì a poco sarebbero stati squassati dall’evento tellurico. Segna tutto, non solo opere insigni: registra persino tempi e mezzi dei tragitti, chi paga il biglietto del treno, la locanda in cui alloggia. Notizie uniche per chi sa leggerle. Eppure, dopo tanto impegno di studi, «deluso, amareggiato, gravemente ammalato, negli ultimi anni della sua vita Gaetano La Corte Cailler sceglie l’isolamento e dirada gli interventi sulla stampa». Il Quaderno di Molonia riscatta la triste verità delle attese.

Il via ai lavori della reggia austriaca 2/2

 

I lavori, iniziati nel 1696, andarono per le lunghe (a causa delle guerre di successione). Nel frattempo, l’edificio si ridimensionò, in quanto ad imponenza e maestosità. Per la base di Schönbrun fu adottata la “pietra dell’Imperatore”, una varietà gialla, molto compatta e dura, caratteristica della zona. I lavori proseguirono, ma con lentezza. Nel periodo dell’imperatore Carlo VI, l’attenzione per la “piccola” residenza crebbe maggiormente. Questo decise di destinare la costruzione a residenza estiva della famiglia asburgica. Tuttavia, i lavori di ampliamento della struttura, morto lui, furono curati dalla figlia Maria Teresa d’Austria, che, tra il 1743 ed il 1749, dette la direzione all’architetto Nicolò Pacassi, il quale stravolse l’aspetto della costruzione portandola da piccolo palazzo di caccia a Reggia, vera e propria. Durante il regno di Maria Teresa, fu realizzato gran parte dell’arredo in stile rococò austriaco, che è una caratteristica saliente.

Nel 1747 venne eretto il teatro di corte, dove si eseguirono pezzi di Joseph Haydn e Wolfgang Amadeus Mozart, eseguiti dagli stessi autori. Nel 1765, Johann Ferdinand Hetzendorf von Hohenberg, architetto neoclassico, mise a punto l’immagine della reggia e dal 1772 realizzò nel parco l’edificio della Gloriette, che costituisce la grande prospettiva del giardino imperiale. Maria Teresa d’Austria riuscì a vedere, poco prima della sua morte, l’ultimazione dei lavori di costruzione della reggia austriaca. Era il 1780; ma, tra il 1817 ed il 1819, vennero eseguiti nuovi lavori di ristrutturazione dell’aspetto della residenza.

Nel 1830, nella reggia di Schönbrun, nacque l’imperatore Francesco Giuseppe, dove regnò e morì nel 1916. Con la sconfitta nella prima guerra mondiale, si spense, così, la lunga storia secolare degli Asburgo. Si concluse anche l’epoca monarchica in Austria. Successivamente, una parte della reggia fu trasformata in scuola per bambini orfani di guerra o dalle famiglie povere. In essa trovarono spazio ben 350 bambini. Dopo le vicende della seconda guerra mondiale (le bombe caddero anche sulla reggia), l’edificio fu rapidamente restaurato. Già nel 1948, in parte fu aperto al pubblico.

ENCICLOPEDIA TRECCANI:  VIENNA

VIDEO SU VIENNA:
Vienna – Itinerari in 3 giorni
Austria da amare: la Vienna di Sissi, breve storia degli Asburgo.

 

 

Avìri cchiù chiffàri di lu furnu di Pasqua

 

Nei giorni delle celebrazioni pasquali la memoria della Sicilia storica è tenuta viva non solo dalle manifestazioni religiose, ma persino dai celebrati “dolcieri”, che tramandano ricette di una tradizione ancora fortemente radicata nell’isola. Secondo gli ingredienti di base di queste ricette, possiamo distinguere i dolci preparati con farina e uova, quelli di pasta reale (che fuori di Sicilia chiamano marzapane), quelli di ricotta. Già prima della Settimana Santa si possono gustare i famosi quaresimali, biscotti di mandorla ricoperti da una glassa di bianco d’uovo oppure le palmette di mandorla tostata e uova, dalla forma di palma, e ricoperte di zucchero fuso colorato. Sono, questi, i veri sapori del passato, ben lontani da quelli abituali della produzione industrializzata e pubblicizzata. È un modo per gustare prelibatezze che legano la loro origine alla grande pasticceria barocca, ma per alcuni dolci anche a tradizioni più antiche.

Un proverbio ricorda le indaffarate giornate nella preparazione delle squisitezze pasquali: “avìri cchiù chiffàri di lu furnu di Pasqua”, cioè avere più da fare del forno di Pasqua. Molti sono proprio i dolci da forno. Ad Avola, per esempio, si trovano i cannileri, lunghi tortiglioni glassati fatti con pasta di pane, che si legano alla grande varietà isolana dei pani votivi, a forma di animali e figurine devozionali. Classici dolci esposti nelle vetrine delle pasticcerie o dei panifici dolciari sono panarina e panareddi oppure aciddi ccu l’ova, palummedde, cuddùre e cudduredde, cioè pani dolci o biscotti, a seconda delle località, a forma di panierini o di uccelli, ornati con uova sode colorate.

Nelle comunità agro-pastorali erano dolci di casa da regalare ai bambini; cotti nei forni a legna, emanavano un profumo inebriante che si confondeva con quello del pane appena sfornato, preparato fresco per i giorni di festa. Le uova venivano colorate immergendole in infusi vegetali: di barbabietole per ottenete il rosso, di ortiche o di spinaci (verde), di mammole (viola), di bucce di cipolla (marrone). L’uovo era il simbolo di rigenerazione e, non a caso, questi dolci si riallacciano alla tradizione religiosa, anche se non mancavano, un tempo, canzonature anticlericali come alcuni “viscotti r’ova”, biscotti a base d’uova e farina, detti ironicamente “affucaparrini”, affogapreti.