Gli occhi di Marion e quelli di Lucie

 

Gli occhi di Marion sono chiari, come il cielo limpido della primavera; quelli di Lucie, conosciuta in libreria, sono bruni, il colore del parco in autunno attraversato da uno sprazzo di sole quando sorride. Marion e Lucie potrebbero rappresentare lo specchio dello stato d’animo di Théophile declinato nella giornata: la prima radiosa, come avrebbe amato essere Théophile se il mondo glielo avesse permesso; l’altra profonda, quanto le sue meditate letture, che sapeva restituire con levità, come una piuma. Anche la cucina di Marion la ritraeva: piena di mille accortezze, di oggetti rutilanti, complementari al verde del terrazzino che chiamava “il mio orto profumato”. «I ricordi possono essere colorati – obiettò la ragazza – non solo nuance seppia come ti appaiono senza fantasia». Tirò per una manica Théophile fino al salotto e dal cassettone estrasse una foto in bianco e nero tinteggiata a mano, dove bimbetta giocava coi fratelli. Ognuno ha i suoi colori, ribatté Théophile, ed anche a lui sovvenne inaspettatamente di una mattina estiva in via Veneto a Roma, nei locali temperati del café Doney. Era la sua prima vacanza in Italia e, nella memoria di quindicenne, forse anche il suo primo vero espresso. I ricordi sono segni che seguono sogni, proseguì. Vagheggi conclusi, senza più evoluzione. Tracce di accadimenti come scalfiti sullo stipite di una porta vecchia. «La smetti sì o no?» lo interruppe Marion schermandogli, con le lunghe dita, gli occhi malinconici. A distoglierlo dall’inseguire inquietudini nuvolose, fu l’inatteso aroma di croissant proveniente dal forno. Dolce Marion dalle mille sorprese.

Théo Feel, Racconti senza senso nella babele delle lingue.

Pubblicato da Entasis.it