Auguste Rodin – Il bacio

Scultura nel Rodin Museum, Paris
François-Auguste-René Rodin (Parigi, 12 novembre 1840 – Meudon, 17 novembre 1917) è stato uno scultore e pittore francese.

Il bacio

Nel 1880, lo Stato commissiona ad Auguste Rodin una porta decorativa dedicata alla Divina Commedia di Dante: compaiono già nei primi progetti Il pensatore, Ugolino e Paolo e Francesca. La coppia evocata nel V canto dell’Inferno è quella formata da Paolo Malatesta e Francesca da Rimini, colpevoli di un amore che ne causa la morte e la dannazione (Sanders 1975, pp. 169-177), tema prediletto dai romantici. Il primo abbozzo della coppia era una voluta sul battente sinistro della Porta, di fronte a Ugolino sul battente destro: eliminato nel 1887, è sostituito da una variante di Paolo e Francesca intensamente drammatica. Nello stesso anno Rodin espone per la prima volta a Parigi alla galleria Georges Petit, poi a Bruxelles il gruppo del Bacio, commissionato dallo Stato nel 1888 in marmo, per comparire all’Esposizione universale del 1889. Per realizzarlo in una dimensione doppia rispetto al modello in gesso viene scelto Jean Turcan, che in primavera lascia il gruppo non finito (il che spiega la presenza di segni di riferimento sul blocco di marmo e la mancanza di firma); il gesso è presentato a Chicago nel 1893 (dove provoca uno scandalo), poi il marmo, esposto a Parigi al Salon de Mai del 1898, entra al musée du Luxembourg il 18 febbraio 1901 (Lux. 132) e al musée Rodin nel 1918 (S. 1002).

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Il mercato della pasta secca


Tecniche originarie

Nel XV e XVI secolo, per quanto buona fosse la diffusione della pasta secca, i più rinomati cuochi dell’alta società dell’epoca tendevano a disprezzare la pasta in commercio, preferendo quella fresca. Un po’ ciò che succede attualmente per i prodotti surgelati, evitati dai cuochi pluri-stellati. Ciononostante, la pasta secca era presente sulle tavole nobiliari (nonostante la “fama”). A dimostrarlo, l’invio del viceré di Sardegna di una “barixella plena de maccaroni” (il 15 febbraio del 1467) a Giovanni II d’Aragona. È comunque presente tra gli acquisti della casata d’Aragona (in particolare, ai tempi di Pietro IV).

In effetti, la cattiva nomea aveva un motivo, ed era quello della sua inefficace conservazione. Se non perfettamente essiccata la pasta, contenendo ancora acqua, tendeva a deteriorarsi. Lo dimostra un manuale catalano del 1455, che consiglia, prima della cottura, di controllare il colore dei fideus secchi, raccomandando che siano “molto bianchi e sani”. Se l’idea commerciale dell’essiccazione della pasta era ottima, non altrettanto lo era la fattura e la conservazione ideale del prodotto. La fabbricazione, l’essiccazione, il trasporto e la giusta conservazione erano tutti fattori di rischio riguardo la sua commestibilità ottimale. Basti pensare al problema della corretta essicazione, che portò, dati i fattori climatici, alla superiorità della pasta secca prodotta nelle aree dell’Europa meridionale, rispetto a quelle dell’Europa settentrionale. Ma vi erano differenze tecniche, a volte, anche tra città “limitrofe”, come per la pasta prodotta a Gragnano rispetto a quella di Torre Annunziata.

Nonostante il discredito dei cuochi del XV secolo, la pasta secca era un prodotto ambito. A dimostrarlo i registri contabili della compagnia Datini di Valenza. Su di essi si scopre che la pasta aveva un costo quasi doppio di quello della carne. Nonostante il prezzo elevato, la vendita di pasta continuò e fu calmierata al fine di favorire l’uso interno e la tranquillità popolare. La pasta era un piatto molto gradito, con un buon consumo delle classi medio-alte e urbanizzate, con la praticità di un piatto buono, da cucinare facilmente e velocemente.

Anche nella marineria la pasta secca aveva un ruolo importante nell’alimentazione dei marinai, come il biscotto e lo stoccafisso. Mentre alcune compagnie, però, permettevano un piccolo uso della pasta trasportata, secondo una minima percentuale, altre preferivano imbarcare cuochi, che confezionassero la pasta fresca, pur di non toccare i fideus secchi trasportati per essere venduti.

Gustave Courbet – L’atelier dell’artista

 

Courbet, L’Atelier du peintre, 1855, Musée d’Orsay, Paris
Jean Désiré Gustave Courbet (Ornans, 10 giugno 1819 – La Tour-de-Peilz, 31 dicembre 1877) è stato un pittore francese.

L’atelier dell’artista

L’opera, di dimensioni monumentali (359×598 cm), venne eseguita nel 1854-55 dal pittore realista Gustave Courbet a seguito di una complessa elaborazione che ha richiesto la stesura di parecchi disegni preparatori. Courbet volle realizzare quest’opera per esporre compiutamente tutte le proprie scelte artistiche, politiche e morali: ciò si capisce dallo stesso titolo completo dell’opera, ufficialmente denominata «L’atelier del pittore, allegoria reale che determina sette anni della mia vita artistica e morale» (L’Atelier du peintre. Allégorie réelle déterminant une phase de sept années de ma vie artistique et morale).

Dopo averla portata a compimento Courbet decise di presentare l’opera al Salon del 1855, incontrando tuttavia lo sfavore della giuria che, pur accettando diverse altre tele dell’artista, rifiutò questa a causa delle sue dimensioni colossali. Fu proprio quest’affronto a indurre Courbet a esporre tutte le sue opere in una mostra personale in un edificio eretto a sue spese e polemicamente battezzato con il nome «Padiglione del Realismo».

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Il giudizio del popolo dei social network

Oggi BLOGROLL propone un progetto grafico realizzato da Giovanna Giuliano. L’illustratrice si richiama al comune vivere quotidiano e ci avverte… Attraverso vari esempi di post inseriti su Facebook (ma gli altri Social network non sono da meno) è possibile capire come i nostri contenuti siano sottoposti al “giudizio del pubblico”. E nessuno si può sottrarre. Tale pubblico è per noi quello circoscritto agli amici, che gradiscono o meno quanto poniamo alla loro attenzione. Pur tuttavia, questo loro particolare responso ci permette di vivere, in piccolo, l’ansia che può provare ad esempio un divo dello spettacolo in attesa del gradimento dei suoi ammiratori oppure la tensione che si può immaginare all’interno di un ufficio marketing aziendale al lancio di un nuovo prodotto. Per qualcuno tutto ciò può essere divertente, ma c’è da chiedersi: alla lunga non diventerà anche questo una nuova occasione di stress? Buon divertimento.

PEOPLE ON FACEBOOK

 

Robert Lee Frost

 

Citazioni e aforismi sono passati dalla carta al web. Ne leggiamo in continuazione, ma noi stessi dimentichiamo di mettere in pratica quanto abbiamo sollecitato all’attenzione degli altri. Non sarebbe il caso di passare dalle citazioni alle citAZIONI? Oppure sforzarci di rifletterci su?

Thonet, da un piccolo laboratorio a una produzione mondiale

 

Michael Thonet (al centro) con i suoi cinque figli.

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Michael Thonet (Boppard, 2 luglio 1796 – Vienna, 3 marzo 1871), falegname/ebanista/ artigiano/progettista/industriale è ricordato soprattutto per la sua produzione di mobili in legno curvato a vapore. Le famose “sedie in paglia di Vienna” nome che fu attribuito alle sue sedute largamente utilizzate nei famosi caffè viennesi.

Fu il vero e proprio inventore di una tecnica – applicata all’arredo – totalmente innovativa, grazie alla quale era possibile piegare con il vapore listelli o aste di faggio. Notato dal principe Klemens von Metternich a una fiera nella vicina Coblenza si trasferì con l’intera famiglia a Vienna nel 1841.

Il 1° novembre 1853, la Gebrüder Thonet viene iscritta alla Camera di Commercio di Vienna da parte di Michael Thonet, che apre la società con i suoi cinque figli maschi  intestandola direttamente a loro nome. In verità,

Michael aveva aperto il primo laboratorio di falegnameria/ebanisteria già nel 1819 e negli anni successivi  e aveva fabbricato mobili e parquet utilizzando varie tecnologie di piegatura del legno; quando nel 1851 Michael Thonet, dopo  anni pieni di  molti tentativi con parziali successi e insuccessi, partecipa  all’Esposizione Internazionale di Londra, ha già pienamente acquisito piena maestria nella tecnica di curvatura del legno, come dimostrano le magnifiche curve delle gambe che sorreggono il tavolo/ scrittoio presentato in quell’occasione. L’arte di Thonet tuttavia non è compresa, la novità della sua produzione – troppo in anticipo sul gusto dominante – dovrà attendere l’Esposizione di Monaco del 1854 per raccogliere il plauso meritato. A questo punto il successo meritato è enorme.

Nel 1853 ha un laboratorio di falegnameria di ben 42 lavoranti al 396 in Haupstrasse a Gumperdorf a Vienna. Nel giro di pochi anni Michael e i suoi figli costruiscono 5 fabbriche che produrranno più di un milione di oggetti l’anno. Michael però non si limita al disegno di nuovi modelli. A lui si devono le macchine di curvatura, i forni di essiccatura, l’utilizzo mi speciali viti da legno senza punta. L’intero ciclo produttivo è opera del geniale Michael.

Il prodotto finale, la sedia perfetta viene assemblata alla fine degli anni Sessanta pochi anni prima della sua morte. Ancora oggi le sedie in legno curvato a vapore vengono prodotte nello stesso modo.

 

[Ringraziamo l’arch. Giovanni Renzi per l’attenzione che ci ha riservato, contribuendo ad eliminare le inesattezze ravvisate in questa pagina. l’arch. Renzi è un esperto che si occupa professionalmente di consulenza e formazione sulla storia del marchio Thonet, datazione pezzi storici, organizzazione di mostre (Friedberg, Udine, Milano), valutazione del materiale storico. Molti articoli sull’attività di questa storica azienda si possono trovare sul suo Blog www.legnocurvatodesign.it ].

Strumenti culturali per comprendere la realtà

 

Mandanici è il luogo dove a settembre, per input di “Archetipi e territorio, osservatorio di antropologia cognitiva”, confluiscono numerosi studiosi afferenti ad aree del sapere obiettivamente distanti. Sono chiamati a sviscerare un tema, nella settima edizione incentrato su “Mediterraneo Europa Occidente, nuovi scenari, immaginario e destino”. Chi ha organizzato e coordinato la connessione fra saperi, in tre giorni d’intense esposizioni, è Pino Mento: «La vera conoscenza di un “territorio” – puntualizza – dovrebbe sempre tendere ad una “esplorazione cognitiva delle memorie” dalla quale possa emergere una nuova coscienza collettiva dell’abitare e attraversare i luoghi, non solo in senso fisico ma anche in senso spirituale, immaginario, metafisico e simbolico». Ecco, allora, che discipline differenti tendono a convergere su principî comuni. Questa intesa è stata concettualmente definita da Jean Piaget come “interdisciplinarità”, poiché dà seguito «a interazioni vere e proprie, a reciprocità di scambi, tali da determinare mutui arricchimenti». Cito di Piaget “L’épistémologie des relations interdisciplinaires” dal momento che il termine è ormai entrato nel frullatore delle parole abusate, confuso in un tutt’uno con multidisciplinarità, pluridisciplinarità, transdisciplinarità. Sinonimi? Vale distinguere. Multidisciplinarità e pluridisciplinarità evidenziano una presenza concomitante di discipline senza relazione alcuna la prima e un accenno la seconda. A Mandanici, invece, i 50 studiosi convenuti hanno tentato di superare i limiti delle proprie conoscenze specialistiche per guardare l’uno con gli occhi dell’altro. La transdisciplinarità? Sarà il traguardo dei prossimi anni; non soltanto sui Peloritani. Le diverse discipline avvieranno una coordinazione complessa tralasciando origini distinte a vantaggio delle soluzioni.

Eugene Delacroix

 

Vi siete mai chiesti dove vivono la propria creatività gli artisti? Lo studio in cui operano è importante, può dirci molto della loro personalità. Proveremo dunque a raccogliere immagini e a riproporvele. Iniziamo, dunque, con una carrellata retrospettiva che parte con l’Ottocento e giunge ai nostri giorni.

 

Facciamo visita al grande Eugene Delacroix, anima del movimento pittorico romantico. Contrariamente alle espressività neoclassiche del suo principale rivale Ingres, Delacroix ha tratto ispirazione dall’arte di Rubens e dai pittori del Rinascimento veneziano, con un’attenzione tutta particolare nei riguardi del colore. Le sue pennellate hanno profondamente influenzato l’opera dei pittori Impressionisti, mentre il suo trasporto per l’esotico ha stimolato gli artisti del movimento Simbolista.  I contenuti drammatici e romantici dei suoi dipinti hanno caratterizzato il momento nascente dell’arte moderna.

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La pasta secca esportata viaggiava in barili

 

GENOVA E SICILIA
In atti notarili, databili al 1316 e 1329, in un testo culinario napoletano, viene citata una ricetta di Tria tipica di Genova. Pur non essendoci notizie su una ipotetica produzione genovese di pasta, è lecito pensare che la città ligure fosse impegnata in un’attività di commercializzazione in tutto il Mediterraneo di prodotti provenienti da Sicilia e Sardegna. A provarlo esistono dei contratti, stilati tra il 1157 e il 1160, di esportazioni dalla Sicilia normanna alla Repubblica genovese. Solo, infatti, nel XVI secolo si ha notizia di Fidelari, produttori di pasta secca, a Genova.

La pasta secca in esportazione viaggiava contenuta in barili. Questa attività non era sporadica, ma continua. Essa è ampiamente attestata dai Registi del dazio del Banco di San Giorgio a Genova, per un lungo periodo (dal 1497 al 1535). Oltre alla pasta secca, la Repubblica marinara di Genova otteneva dalla Sicilia anche grano, farina, semola e biscotti, cioè tutti ingredienti derivati da prodotti molitori siciliani. A sua volta le navi genovesi smerciavano i prodotti in tutto il Mediterraneo occidentale. Non solo Roma, Napoli e altri centri del tirreno, ma raggiungendo anche Barcellona e Marsiglia.

La pasta di produzione sarda, invece, subiva la concorrenza di Pisa e di importatori spagnoli, che godevano di privilegi fiscali. Questi originavano dalla conquista spagnola di Alfonso IV d’Aragona (del 1326). Proprio il re incitò i mercanti spagnoli a vincere la concorrenza pisana e genovese, favorendo gli imprenditori catalani in ogni maniera. Tra il 1351 e il 1397, infatti, i Registri annotano traffico in partenza da Cagliari diretto proprio verso la Catalogna di tutti i formati di pasta secca e dei relativi prodotti di molitoria.

In questo periodo, al di fuori della penisola italiana non si hanno notizie di una sostanziosa produzione di pasta, se non in Provenza. Da rilevare che in Spagna, in periodo medievale, non si aveva la necessità di produrla, in quanto la Sicilia e la Sardegna erano sotto la corona aragonese.

Una irrefrenabile fantasia coloristica

 

C’è sempre uno scarto tra immaginazione e realtà. Théophile aveva vagheggiato la casa di Lucie nell’ordine assoluto della sua, dove ogni oggetto aveva il suo posto e giocava per l’equilibrio che ne scaturiva. E invece la casa di Lucie assomigliava a quella di Marion più di quanto una irrefrenabile fantasia coloristica avesse potuto fare concepire. Anzi, la casa di Marion e quella di Lucie erano ambedue luoghi in cui la fantasia trova appropriata sede. Al cospetto di tanta creatività, Théophile avvertì la gravità del proprio rigore monacale. Cucina-studio-soggiorno inviluppavano con armonica linearità il vano d’ingresso tanto ridotto da preparare l’insospettata sorpresa: un unico, singolare, spazio aperto, immerso nel paesaggio della città nuova che senza invito prorompeva dalle vetrate a tutt’altezza. La cucina di Marion, così intima come un bozzolo da cui nasce una farfalla, qui si dilatava, perché quella di Lucie si affacciava su di un lungo tavolo da pranzo, separato solo da un’isola attrezzata. Ingombro com’era, quel tavolo, di tinture e boccette d’inchiostri, matite e pennelli, fogli in carta di riso e di cotone, sembrava che Lucie non mangiasse mai. «Un aspetto che non conoscevo di te», mormorò Théophile a mezza bocca, mentre lei godeva per intero della sua meraviglia. In verità Théophile cercava i libri, che non tardarono a balzargli agli occhi, allineati in pile verticali quale schienale di un confortevole divano a sacco anni Ottanta. Ma ce n’erano anche negli scaffali a parete, dai quali si affacciavano burattini smorfiosi e pendevano marionette in studiatissime pose. Ma lo sbigottimento più grande fu scorgere, in un canto del soggiorno, un telaio dai fili tesi coloratissimi e, lungo la parete di fondo, ripiani e rastrelliere colme di gomitoli, rocchetti, matasse di cotone, seta, lana, alpaca. «Amo i filati tinti a mano», sospirò Lucie porgendogli una tazza di caffè e raggomitolandosi con la sua, a piedi scalzi, sul divano soffice. Quei fantastici piedi che avevano attratto Théophile sin dalla prima occhiata in libreria. Era come il rammagliarsi di un racconto rimasto sospeso, tra letteratura e arte.

Théo Feel, Racconti senza senso nella babele delle lingue.

Pubblicato da Entasis.it