Vincent van Gogh – I mangiatori di patate

 

Vincent van Gogh, I mangiatori di patate, 1885, olio su tela, 82×114 cm, Museo Van Gogh, Amsterdam
Vincent Willem van Gogh (Zundert, 30 marzo 1853 – Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890) è stato un pittore olandese. Autore di quasi novecento dipinti e più di mille disegni, senza contare i numerosi schizzi non portati a termine.

I mangiatori di patate

Vincent trattò il soggetto dei mangiatori di patate in altri due cimenti pittorici, i quali sono sì propedeutici alla realizzazione della versione definitiva, ma non per questo poco interessanti: la prima redazione, anzi, presenta una notevole struttura compositiva e viene delineata da pennellate veloci che ricolmano la tela di una autenticità tutt’agreste. Meno spontanea, perché più meditata e monumentale, è invece la seconda versione de I mangiatori di patate, con la figura di tergo che si incunea rigidamente nella disposizione asimmetrica degli altri quattro commensali. La versione conclusiva di Amsterdam, terminato come si è già detto nel 1885, riprendeva e portava ad un maggiore grado di raffinatezza formale quei valori che avevano già reso celebre l’arte di Millet e di Breton e, pertanto, era quello più apprezzato da van Gogh, che la firmò e ne fornì persino un ampio commento letterario. Alla descrizione della tela, infatti, Vincent dedicò un’impressionante quantità di lettere, le quali nella loro intimità sostituivano il manifesto programmatico e, anzi, orchestravano un raffinato sincretismo tra passato e presente, letteratura e pittura, cromatismo e critica sociale.

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Winston Churchill

 

Citazioni e aforismi sono passati dalla carta al web. Ne leggiamo in continuazione, ma noi stessi dimentichiamo di mettere in pratica quanto abbiamo sollecitato all’attenzione degli altri. Non sarebbe il caso di passare dalle citazioni alle citAZIONI? Oppure sforzarci di rifletterci su?

 

Gli esperti del legno curvato

 

“In bella Mostra” by Giovanni Renzi

 

La rubrica BLOGROLL esplora il web ed attraverso i suoi link prova a proporre quanto di più interessante e curioso si trova. Questa settimana abbiamo scelto LEGNO CURVATO.  Per raccontare questo interessante sito web riprendiamo quanto scrive uno dei curatori, Giovanni Renzi (Architetto, CTU, Esperto e Storico del Mobile Thonet, Antiquario, Blogger). «LEGNO CURVATO è un progetto editoriale di design, dedicato allo stile Thonet, il linguaggio da cui ha origine il design nel mondo dell’arredo. Desideriamo diventare il punto di riferimento per tutti gli appassionati di questo stile e fare innamorare chi questa passione ancora non ce l’ha, ma ama le cose belle e sa che la bellezza è la via maestra per la creatività. Offriamo servizi end-to-end legati agli oggetti d’epoca, dalla ricerca alla selezione, al restauro, all’acquisto e alla vendita, alla formazione, alla curatela di eventi e mostre». Una miriade di pagine tutte da cliccare. Potremmo passarvi ore tra curiosità che ci fanno scoprire un pezzo di Europa che dall’Ottocento giunge fino ai nostri giorni. Buona lettura.

LEGNO CURVATO, STILE THONET, DESIGN EUROPEO NEL CUORE DI VIENNA

 

Artusi in cucina: tramessi, umidi e rifreddi


Ripubblichiamo, in un modo del tutto particolare, un classico della cucina nazionale: 
LA SCIENZA IN CUCINA E L’ARTE DI MANGIAR BENE di Pellegrino Artusi, riferimento assoluto della cucina ottocentesca. Arte e scienza si incontrano in questo manuale, nel quale sono riportate le nozioni fondamentali della gastronomia italiana. L’arte del cucinare si fonde con l’arte del narrare e le ricette vengono raccontate attraverso esperienze personali, aneddoti, citazioni colte che inducono al “gusto” per la lettura. I segreti escono dalla cucina attraverso pagine da scorrere con piacere per assaporare, anche mentalmente, gustose pietanze a base di carni, verdure e legumi, specialità panarie e dolciarie.

“Una per una” ecco le ricette di Pellegrino Artusi. Rivisita la gastronomia ottocentesca tra cucina e cultura, realizzando piatti sorprendenti tutti da gustare. Sfoglia ogni settimana le ricette che preferisci o acquista l’eBook integrale.

Cliccando sul link della copertina sottostante, potrai sfogliare gratuitamente: Tramessi, umidi e rifreddi

 

 

 

Incipit: Giovanni Verga, Mastro Don Gesualdo

 

Edito nel 1889, seconda parte dell’incompiuto ciclo de “I vinti”, Mastro don Gesualdo ha sicuramente un respiro più ampio rispetto a “I Malavoglia”. Il tema è quello dell’alienazione borghese, affrontato in diversi quadri che raccontano l’ascesa sociale, e l’umiliazione, del protagonista, anch’esso alla fine “vinto” nonostante il suo lavoro di una vita ed i denari accumulati.

Dall’incipit del libro:

Suonava la messa dell’alba a San Giovanni; ma il paesetto dormiva ancora della grossa, perché era piovuto da tre giorni, e nei seminati ci si affondava fino a mezza gamba. Tutt’a un tratto, nel silenzio, s’udì un rovinìo, la campanella squillante di Sant’Agata che chiamava aiuto, usci e finestre che sbattevano, la gente che scappava fuori in camicia, gridando:
― Terremoto! San Gregorio Magno!
Era ancora buio. Lontano, nell’ampia distesa nera dell’Alìa, ammiccava soltanto un lume di carbonai, e più a sinistra la stella del mattino, sopra un nuvolone basso che tagliava l’alba nel lungo altipiano del Paradiso. Per tutta la campagna diffondevasi un uggiolare lugubre di cani. E subito, dal quartiere basso, giunse il suono grave del campanone di San Giovanni che dava l’allarme anch’esso; poi la campana fessa di San Vito; l’altra della chiesa madre, più lontano; quella di Sant’Agata che parve addirittura cascar sul capo agli abitanti della piazzetta. Una dopo l’altra s’erano svegliate pure le campanelle dei monasteri, il Collegio, Santa Maria, San Sebastiano, Santa Teresa: uno scampanìo generale che correva sui tetti spaventato, nelle tenebre.
― No! no! È il fuoco!… Fuoco in casa Trao!… San Giovanni Battista!
Gli uomini accorrevano vociando, colle brache in mano. Le donne mettevano il lume alla finestra: tutto il paese, sulla collina, che formicolava di lumi, come fosse il giovedì sera, quando suonano le due ore di notte: una cosa da far rizzare i capelli in testa, chi avesse visto da lontano.

LIBER LIBER:    LEGGI IL CAPOLAVORO DI VERGA

TRECCANI SCUOLA:  Una brevissima sintesi su Mastro Don Gesualdo dal ciclo dei vinti di Verga

WIKIPEDIA: Notizie storiche sul libro e la trama dei capitoli

Paul Gauguin – Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?

Paul Gauguin, Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? (1897- 1898); olio su tela, 139×374,5 cm, Museum of Fine Arts, Boston
Paul Gauguin (Parigi, 7 giugno 1848 – Hiva Oa, 8 maggio 1903) è stato un pittore francese, considerato tra i maggiori interpreti del post-impressionismo. L’eco figurativa riscossa dalla visione dell’arte nutrita da Gauguin fu immensa: i pittori nabis e i simbolisti si richiamarono esplicitamente a lui, mentre la libertà decorativa delle sue composizioni aprì la via all’Art Nouveau, così come il suo trattamento della superficie lo rese un precursore del fauvismo e la semplificazione delle forme fu tenuta presente da tutta la pittura del Novecento.

Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?

L’opera, che pone i massimi quesiti esistenziali dell’uomo, fu dipinta dall’artista a Tahiti in un momento assai delicato della sua vita: prima di un tentativo non riuscito di un suicidio (l’artista era malato, aveva seri problemi al cuore ed era sifilitico, in lotta con le autorità locali ed isolato sia fisicamente che artisticamente). Ad aggravare le cose, giunse a Gauguin la notizia della morte della figlia prediletta Aline, avvenuta pochi mesi prima. Il dolore per la perdita spinse l’artista a creare un’opera di grandi dimensioni (la più grande del suo opus) che fosse una riflessione sull’esistenza, un testamento spirituale e quindi una summa di tutte le sue ricerche cromatiche e formali degli ultimi otto anni.

In questa pirotecnia di luttuosi eventi Gauguin volle mettere mano ad un quadro che, agendo come un vero e proprio «testamento spirituale», riuscisse a condensare la sua visione sull’arte. Egli descrisse per la prima volta Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo? in una lettera indirizzata all’amico Daniel de Monfreid; dopo alcuni schizzi preparatori, il pittore vi lavorò notte e giorno per circa un mese, imponendosi un ritmo di lavoro frenetico che finì col prostrarlo. Fu così che, ritenendosi incapace di finire il dipinto, Gauguin tentò di suicidarsi ingerendo arsenico, ma la dose troppo forte e presa di getto determinò un forte vomito che annullò l’effetto del veleno. In un paradiso tropicale che si era lentamente tramutato in inferno Gauguin ebbe la forza di infondere in questo quadro tutta la carica grezza e veemente delle sue pennellate e, ovviamente, del suo temperamento. «Prima di morire» osservò «ho trasmesso in questo quadro tutta la mia energia, una così dolorosa passione in circostanze così tremende, una visione così chiara e precisa che non c’è traccia di precocità e la vita ne sgorga fuori direttamente». Gauguin, detto in altre parole, voleva che questo quadro potesse «essere paragonabile al Vangelo», calandosi dunque nel mistico ruolo di Cristo, vittima e redentore al tempo stesso, in ciclica fuga dal labirinto della civilizzazione occidentale.

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Grano duro: il migliore per produrre pasta secca

 

IL TIPO DI GRANO
Nel XVII secolo, si menziona il grano duro come il più adatto alla produzione di pasta secca. Il termine “grano duro”, era citato comunemente dai Fidelari di Genova. Ma, anche se conosciuto ed applicato già molto presto, le proprietà scientifiche del grano duro furono scoperte solo nel 1728, da Jacopo Bartolomeo Beccari, medico bolognese. In particolare, egli effettuò la scoperta della presenza di glutine, in diversa quantità, a seconda i vari tipi di grano.

Nel 1767, fu pubblicata la prima monografia sul mestiere del vermicellaro, opera di Paul-Jacques Malouin, in cui l’autore cita alcune località di produzione del grano duro. Tra queste, la Sicilia, il Sudovest asiatico e dell’Africa settentrionale (Barbaria). I grani siciliani e del Mezzogiorno, avevano una qualità superiore a tutto il resto del Mediterraneo. Lo conferma anche Targioni Tozzetti, medico toscano, sempre nel XVIII secolo, che tentò pure di dare vita in Toscana alla coltivazione di varietà siciliane. Il grano pugliese, chiamato “Saragolla”, invece, era molto utilizzato dai pastai napoletani (a partire già dal XVI secolo). La sua qualità fu ritenuta superiore per molti secoli. Solo con le varietà ucraine e russe si raggiungerà un nuovo traguardo.

Paul Jacques Malouin, Description des arts et métiers (Paris, 1967).


LE ANNONE

La pratica dell’Annona, propria di molte grandi città, si distinse a Napoli. I suoi funzionari reperivano grano ovunque, per spedirlo alla città partenopea, dove venivano conservati in magazzini e depositi. L’approvvigionamento aumentò nel XVIII secolo, con la crescita della domanda di pasta, soprattutto da parte delle classi medio-basse e popolari. Se, da una parte, la farina del pane fu vincolata a rigide regole, dall’altra il mercato del grano duro venne quasi liberalizzato.
Con un bando, del 1713, a Napoli, si regolarizzò anche “dove” macinare i vari tipi di grano, per cui i mulini cittadini saranno riservati d’ora in poi alle farine tenere, mentre i mulini del circondario – a Torre Annunziata, Castellamare e Gragnano – saranno destinati alla macinatura di quello duro. Proprio in conseguenza di ciò, in queste zone si realizzerà un forte sviluppo dell’arte dei pastai.

 

Paul Cézanne – La montagna Sainte-Victoire

Paul Cézanne (Aix-en-Provence, 19 gennaio 1839 – Aix-en-Provence, 22 ottobre 1906) è stato un pittore francese. Nel febbraio del 1907, al Salon d’Automne, gli fu dedicata una imponente retrospettiva commemorativa, che sconvolse un’intera generazione di nuovi artisti (tra cui Picasso e Modigliani), pose le basi del cubismo ed aprì le strade alle più importanti avanguardie artistiche del Novecento.

Mont Sainte-Victoire

L’opera raffigura il Sainte-Victoire, massiccio calcareo nella valle nei pressi di Aix-en-Provence, luogo molto familiare all’autore fin dall’infanzia. La montagna Sainte-Victoire è uno dei temi più frequentemente trattati dal pittore, oggetto di una serie di quadri, di cui questo è uno degli ultimi.

Cézanne lavorerà a questo “motivo” per oltre vent’anni, realizzando diversi acquarelli e dipinti a olio. La ricerca di sintesi si fa ancora più forte nella serie di dipinti dedicati alla montagna di Sainte-Victoire, dominanti l’ultima fase dell’attività dell’artista. Il desiderio di rendere la sua arte il più possibile espressione naturale e concreta spinge il pittore ad affermare: “Il colore è biologico, è vivente, è il solo a far viventi le cose”, e ancora “Per dipingere bene un paesaggio devo scoprire prima le sue caratteristiche geologiche”. Si direbbe che il senso dell’arte di Cézanne consista in un incessante tentativo di portare alla luce ciò che in natura è immutabile, eterno, per riconoscere riflesso nell’occhio che lo contempla, seppure per un istante, la medesima divina proprietà. È lui stesso a svelarcelo:” Ora, la natura, per noi uomini, è più profonda che in superficie, e da ciò la necessità di introdurre nelle nostre vibrazioni di luce, rappresentate dai rossi e dai gialli, una somma sufficiente di colori azzurrati per far sentire l’aria”. Questo nesso tra percezione, rappresentazione e conoscenza si pone alla base della dissoluzione della forma che verrà poi operata dalle avanguardie novecentesche, in particolare dal cubismo: lo spazio della pittura non è più dell’occhio ma dell’intelletto.

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Massimo Gramellini

 

Citazioni e aforismi sono passati dalla carta al web. Ne leggiamo in continuazione, ma noi stessi dimentichiamo di mettere in pratica quanto abbiamo sollecitato all’attenzione degli altri. Non sarebbe il caso di passare dalle citazioni alle citAZIONI? Oppure sforzarci di rifletterci su?

Gli stabilimenti Wedgwood tramandano la tradizione

 

“La Fine Bone China presto troverà posto sulle tavole dei potenti di mezzo mondo: uno dei più noti esempi è il servizio da tavola Wedgwood che Theodore Roosevelt volle per la Casa Bianca” (Wikipedia, voce “porcellana”). Traditional White è con probabilità il nome di una linea di Bone China per realizzare vasellame in porcellana privo di decorazioni, che si sviluppò parallelamente al Queen’s Ware. All’inizio del secolo XIX, sotto gli influssi dello stile neoclassico, le ceramiche erano decorate con figurazioni dai colori brillanti, con molte finiture in oro e sovente richiamavano motivi orientali. La ceramica bianca era dunque usata come base, prima di essere decorata a mano o con l’applicazione di decalcomanie.

“Vale la pena ricordare che la linea White potrebbe forse risalire a un servizio di Bone China bianca (dal design differente) caratterizzato da manici e bordi dorati, prodotto tra il 1812 circa e gli anni Venti del 1900. In mancanza di una data precisa a cui far risalire il suo design e di informazioni che ne illustrino l’evolversi, si pensa che il Tradilional White sia nato dall’evoluzione della ceramica in Bone China, e abbia raggiunto l’attuale bianco assoluto, semplice ed estremamente raffinato, attraverso la progressiva eliminazione degli elementi decorativi” (AA.VV. Design in 1000 oggetti, Phaidon Design Classics, London 2006, Roma 2008). Soltanto negli anni Trenta del Novecento il Tradilional White assunse una linea di produzione autonoma, mantenendo però lo stile iniziale della fine del Settecento. Gli stabilimenti Wedgwood continuano ancora oggi a produrre ceramiche Bone chine, studiando nuove linee di design, grazie al Dipartimento di Progettazione interno.