L’insostituibile apporto dei giovani alla cultura

 

I volontari. A furia di adoperarsi gratuitamente si è loro sdilinquito lo stomaco. Sono sempre pronti quando le Istituzioni varano iniziative culturali edificanti e i giornali ne decantano la magnifica riuscita. Tuttavia, nonostante ogni contributo stanziato, ai volontari non va mai il becco di un quattrino. Per definizione aderiscono gratuitamente. Lo fanno per conquistarsi una “visibilità”, labile quanto il durare del giorno di festa. Ecco allora un’alternativa geniale: ricorrere a studenti e stagisti al fine di far loro acquisire la pratica necessaria ad un’attività professionale ancora tutta da acquisire. Al di là della prestazione, desteranno comunque simpatia. La presenza dei giovani è, dunque, basilare. Benché ministro, assessore, via via fino all’ultimo usciere, uno stipendio lo portano pur sempre a casa, ai giovani rimane soltanto una pacca sulla spalla, perché «loro sono il nostro futuro». Un leitmotiv che piace tanto. Ha una sua verità, ma il perdurare dell’inamovibile realtà delude ogni aspettativa, producendo giovani sempre più frustrati e progressivamente riluttanti. Senza speranza non potranno dare nulla: né a sé stessi né agli altri. Alla faccia del decantato “Sistema cultura”. Eppure il patrimonio esistente, unito agli investimenti da erogarsi per tutelarlo e salvaguardarlo, può incentivare attività grazie alle quali fare espletare ottime competenze. La politica preferisce, invece, sfruttare la cultura a scopo d’immagine e le Associazioni per raccogliere fondi e donazioni da investire prevalentemente altrove. Se però è vera la definizione che il volontariato è la prestazione gratuita di opere e mezzi disponibili, «a favore di categorie di persone che hanno gravi necessità e assoluto e urgente bisogno di aiuto e di assistenza» (Treccani), c’è da chiedersi: “bisogno e assistenza” a chi? Alle Istituzioni?

Pubblicato su 100NOVE n. 42 del 2 novembre 2017

Dalla pasta da ferro alla pasta d’ingegno

 

L’alba di un nuovo settore

L’Italia, alla fine del medioevo, era già leader del settore della pasta. Lo dimostra il fatto che l’antico termine di “tria” per indicarla, venne sostituito ovunque da quello di “maccheroni italiani”. Piano piano il settore della pasta lievitò, con un aumento della domanda. I pastai iniziarono ad introdurre strumenti più “sofisticati”. Dalla gramola a stanga si passò al torchio a trafila. La nuova meccanizzazione aiutò a produrre di più, con minore spesa e fatica. L’aumentato consumo di pasta diede origine ad un’attività con maggiori guadagni. Fatalmente, i pastai si staccarono da fornai e panettieri, dando il via all’autonoma corporazione dei pastai. La pasta, sempre più importante a tavola, divenne una specifica categoria alimentare, con un posto d’onore nei consumi alimentari italiani.
Nel manuale di “Agricoltura pratica” si distinguono i due tipi di grano, che producono diversamente l’uno farina e l’altro semola. Nel testo si indica l’uso della farina come migliore per il pane e la semola per la pasta.


LE MISCELE
La pasta tradizionale italiana, oggi, è principalmente a base di semola di grano duro. Alla fine del medioevo, la semola era adottata per pasta di particolare qualità, mentre si tendeva, per la gran parte della produzione, ad usare la farina. La differenza tra le due lavorazioni, già dal XIV secolo, era presente in Sicilia. Spesso i due tipi di grano erano mischiati tra loro, in particolari proporzioni. La miscelazione è presente in documenti normativi del XVII secolo, a Napoli, per abbattere i costi ed aiutare i consumi popolari.  Ugualmente le miscele vennero impiegate in Liguria nell’Ottocento, quando la marina inglese bloccò le vie marittime per la Sicilia ed il Marocco, precludendo così il rifornimento di semola di grano duro. Anche nel Novecento, è presente l’uso di miscele per la pasta. Nel 1929, nel manuale Hoepli, ve ne sono di tre tipi. Ciononostante, le miscele di grano duro e tenero, sono una cosa, le prime truffe un’altra. Nel XVI secolo, alla farina di grano vengono mischiate farine di lupini, granoturco o miglio.

Il grande successo della pasta di semola di grano duro (pura) si registra nei secoli XVII e XVIII, in particolare con i maccheroni di Napoli e quelli di Genova. Oltre il successo economico, la pasta ed il grano italiano riscuotono in Francia grandi apprezzamenti, come in una pubblicazione medica di Lione, del XVII secolo.

Pierre Seghers

 

Citazioni e aforismi sono passati dalla carta al web. Ne leggiamo in continuazione, ma noi stessi dimentichiamo di mettere in pratica quanto abbiamo sollecitato all’attenzione degli altri. Non sarebbe il caso di passare dalle citazioni alle citAZIONI? Oppure sforzarci di rifletterci su?

Riscoprire a Messina qualcosa di speciale

 

Questo è il FAI, quando «racconta un Paese che ha scelto di prendersi cura concretamente del suo patrimonio più prezioso: il paesaggio, l’arte, la cultura e la natura d’Italia». Partecipare alla giornata FAI d’autunno a Messina ha significato rivedere il Catasto e la Biblioteca Giacomo Longo con occhi diversi. Sono aperti ogni giorno lavorativo, ma domenica 15 si poteva capire come le Istituzioni possano essere amichevolmente vicine: restituendo il senso della cittadinanza, senza retoriche e infingimenti; facendo comprendere le tante energie positive e il lavoro che con passione all’interno di questi palazzi si svolge; presentando i documenti del territorio e le gemme della secolare cultura cittadina. Secondo l’uso educativo del FAI i giovanissimi hanno contestualizzato, nelle vicende della Cortina del Porto, l’edificio del Catasto. In quest’opera novecentista Giuseppe Samonà e Guido Viola «hanno voluto contrapporre alla orizzontalità caratterizzante la massa di tutto l’edificio e dell’intera palazzata, un torrione terminale sulla piazza del Municipio». Si legge così, nel luglio del 1940, su “Architettura”, la rivista del sindacato nazionale fascista degli architetti, diretta da Marcello Piacentini. Nel “salone dei rapporti” – dove campeggia un discorso del Dux, 7 x 7 mt in travertino chiaro – è stata allestita una mostra di triangolazioni grafiche, mappali, planimetrie di piazze e isolati storici, strumenti di rilevamento. Le pubblicazioni sul Catasto erano invece esposte nella sezione periodici della Biblioteca. Non solo, perché lo straordinario patrimonio cartaceo in mostra spaziava dai codici miniati del San Salvatore alle monografie della collezione Messano-Calabrese. Emozioni pure, perché in giornate come questa FAI tua la consapevolezza che sia possibile una società migliore di quella che abitualmente viviamo.

Pubblicato su 100NOVE n. 41 del 26 ottobre 2017