La iatrochimica di Paracelso – 8/8

 

La iatrochimica, branca della chimica e della medicina, originatasi nel Rinascimento, sosteneva che la vita dipendesse dall’equilibrio tra elementi chimici e, quindi, la salute del corpo umano consisteva nell’equilibrio tra i vari fluidi corporei. Quindi la ricerca della chimica, applicata alla medicina, poteva trovare i rimedi farmacologici contro la malattia.
Le ricerche del famoso Paracelso, medico svizzero, e degli iatrochimici, inizialmente molto simili a quelle effettuate contemporaneamente dagli alchimisti, portarono all’individuazione di primi rimedi chimici, tra i quali anche di alcuni ancora oggi utilizzati. Ad esempio, tra questi, citiamo: la tintura di ferro, il laudano, il tartaro emetico, l’acetato ammonico, il colchino, l’etere solforico (o etere dietilico).
La iatrochimica, non ancora pienamente scienza, poggiava sul concetto di fluidi corporei, teorizzati molto tempo prima da Ippocrate. Fu definito, infatti, una scuola filosofica. Apertamente in contrasto con le pratiche mediche vigenti all’epoca, la iatrochimica scomparve proprio a causa delle moderne pratiche mediche, sviluppatesi seguentemente. Il suo periodo di massima diffusione che va dal 1525 al 1660.

La fine dell’Alchimia
Nel XVII secolo, l’Alchimia, ridotta a pseudo-scienza, denunciò la caratteristica filosofica delle sue teorie. Quella che era stata l’Ars magna, condivise lo stesso destino di altre teorie esoteriche, come l’astrologia e la cabala, apparentate tra loro semplicemente dalla superstizione. L’Alchimia si svalutò d’importanza ed uscì dagli studi universitari del tempo.
Tuttavia, il grande credito che l’Alchimia aveva goduto per millenni, non poteva scomparire da un momento all’altro. Soprattutto a livello popolare, non informato delle nuove scoperte scientifiche, l’alchimia continuò ad avere una grande diffusione. Gli alchimisti seguitavano ad avere doti di guaritori e detentori del grande sapere. Molti di questi scrissero libri sulla falsariga dei grandi alchimisti del passato, autocelebrandosi ed autoaffermandosi. Nacquero veri e propri manuali, come i cosiddetti “erbari dei falsi alchimisti”.
Con l’affermazione progressiva della scienza, nel tempo, l’alchimia perse ogni prestigio intellettuale, finendo per scomparire del tutto. Solo verso la fine dell’Ottocento e nei primi decenni del secolo successivo, l’alchimia venne riscoperta, ma più come fenomeno culturale del passato, non certo per la sua “scienza”. Tra le personalità che si interessarono ad essa, vi furono, tra gli altri, lo psicanalista Carl Gustav Jung, mentre tra i primi studiosi che si interessarono all’esoterismo e all’occultismo, e quindi di alchimia, vi furono Julius Evola e Giuliano Kremmerz.

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Limone di Sorrento: il simbolo della Costiera Sorrentina

 

Probabilmente il limone giunse in Italia dall’India, in epoca anteriore al 539 a.C., anno in cui gli Ebrei rientrarono dalla Babilonia in Palestina. La cultura ebraica testimonia infatti già dal VI sec. a.C. la presenza del cedro in Israele, con valore rituale e ornamentale. È quindi certo che le piante di agrumi esistessero in Italia fin dalla prima età imperiale.

Si presume che tale agrume si fosse insediato anche nell’area sorrentina, una zona particolarmente predisposta alla coltivazione di questa specie grazie al suo microclima mite, esente da repentini abbassamenti di temperatura e favorito dagli effetti mitiganti del mare. Il limone comparve quindi nella Penisola Sorrentina in epoca antichissima.

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LIMONE DI SORRENTO
Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali

 

Paracelso tra Alchimia e Scienza – 7/8

 

Con la nascita della Scienza moderna, supportata dal metodo scientifico formulato da Galileo Galilei, l’improvvisazione dell’Alchimia entra sicuramente in crisi. E’ proprio sul metodo galileiano che si poggiano le ricerche di Robert Boyle (1627-1691), nel XVII secolo. Egli affronta con rigore e meticolosità l’analisi della trasformazione della materia, superando l’eterna ricerca della pietra filosofale. Ugualmente i vari elisir medicamentosi dell’Alchimia vennero ridicolizzati dai primi sviluppi nel campo della chimica organica, uniti ai passi in avanti della medicina, sviluppatasi a partire dalla iatrochimica di Paracelso.

Paracelso
Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, detto per brevità Paracelso (1493 – 1541), è un complesso personaggio, che fu medico, alchimista ed anche  astrologo. Il suo strano appellativo significa “eguale a Celsus”, cioè di Aulus Cornelius Celsus (prima metà del I secolo), autore latino, che compose un trattato di medicina.
Egli fu, a tutti gli effetti, uno spartiacque tra la ricerca alchemica sui metalli preziosi e le teorie magiche (che egli rifiutò) e l’utilizzo di osservazioni empiriche sperimentali mirate alla comprensione del  corpo umano e alla ricerca di medicinali. Notevolmente proteso, quindi, verso il futuro, egli non abbandonò mai le filosofie ermetiche, neoplatoniche e pitagoriche.

Paracelso si laureò all’Università di Ferrara, come il contemporaneo Niccolò Copernico. Quale studioso, aggiunse ai quattro elementi aristotelici, principi che formavano la materia nella concezione classica, ulteriori tre elementi: sale, zolfo e mercurio. Come motore del cambiamento e delle trasformazioni, egli sostenne la presenza di spiriti della natura. I tre elementi, sale, zolfo e mercurio, basilari nei corpi organici ed inorganici, formavano, a suo avviso, un tutt’uno, irriconoscibile. Solo nello stato della malattia essi si separavano, perdendo l’equilibrio del loro rapporto. Nel concetto di malattia e di cura corrispondente, Paracelso sostenne la teoria dei simili, in opposizione alla teoria dei contrari, allora in voga. Egli affermava, infatti, che alla malattia bisognasse opporre la stessa sostanza da cui era stata causata.
Sempre come innovatore, non aderì alla medicina tradizionale, ma fondò la iatrochimica. Quest’ultima rappresenta proprio l’innovazione del sapere alchemico. Paracelso, infatti, rifiutò la ricerca “metallurgica” dei materiali nobili degli alchimisti del tempo, preferendo un’utilità delle ricerche indirizzate sulla salute umana.

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Alchimisti nel Rinascimento – 6/8

 

La “rivoluzione” rinascimentale vede lo sviluppo di tutte le attività filosofiche, letterarie e scientifiche. In un complesso generale, dove alchimia e scienze naturali, astrologia e astronomia, magia e medicina, erano tutte collegate e non ancora distinte tra esse. Esempio di ciò, si evidenzia la personalità dell’alchimista Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim (1486-1535). Costui, infatti si occupò contemporaneamente di ricerche scientifiche, medicina, astrologia e filosofia. Pubblicò diversi testi, molto apprezzati dai suoi colleghi alchimisti (ad esempio, il De occulta philosophia). In un coacervo di filosofia mistica, magia occultista, scienza sperimentale e numerologia, egli si riteneva anche in grado di evocare gli spiriti dell’aldilà.

Nel 1561 a Parigi, fu pubblicata la prima “storia dell’alchimia”, scritta da Robert Duval. Se la pratica alchemica, nel Cinquecento, era misteriosa ed occulta, non bisogna pensare che gli alchimisti operassero marginalmente alla società. Tra essi, infatti, è noto come svolgessero questa pratica personaggi notori, come Caterina Sforza, Cosimo I de’ Medici e Francesco I de’ Medici, che fece dipingere nel suo studiolo di Palazzo Vecchio, da Giovanni Stradano, addirittura delle allegorie alchimistiche. In effetti, i grandi regnanti non erano lontani dall’alchimia. La celebre regina Elisabetta I d’Inghilterra possedeva un proprio “consulente scientifico”, tale John Dee, che si occupava, oltre che di alchimia, anche di astrologia e crittografia. Nel 1564, pure John Dee pubblicò un testo alchemico, Monas Hieroglyphica, facendo riferimenti anche alla Cabala.

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Alchimisti nel Medioevo – 5/8

 

Con la caduta dell’impero romano e l’inizio del medioevo, ogni cultura precedente sembrò scomparire. La cultura alchemica riprese il suo cammino con l’influenza dell’alchimia islamica. E’ in Spagna, che, probabilmente, si realizzò questo nuovo travaso. La cosa avvenne, secondo diversi studiosi, tramite Gerberto di Aurillac, che, in seguito, fu fatto papa, col nome di Silvestro II. Un secolo dopo, nel XII secolo, si distingue l’opera di traduttore instancabile di testi in lingua araba, di Gerardo da Cremona. E’ sua la prima traduzione del filosofo arabo Averroè, e del saggio l’Almagesto. Un altro traduttore molto importante è Roberto di Chester, che tradusse il Liber de compositione alchimia, nel 1144. E’ questa la data in cui gli storici segnano la rinascita dell’alchimia europea.
Nel XIII secolo, operano Alberto Magno, scrittore del De mirabilibus mundi e del Liber de Alchemia,e Tommaso d’Aquino, che arrivò ad affermare che era possibile produrre artificialmente sia l’oro che l’argento. L’alchimista, però, più importante (di quelli noti) fu Ruggero Bacone (1241-1294). Religioso appartenente all’ordine dei francescani, scrisse diverse opere sull’alchimia, divenendo punto di riferimento per tutti gli alchimisti successivi. Verso la fine del XIII secolo, altri due alchimisti si distinguono, Arnaldo da Villanova e Raimondo Lullo. Ad essi è addebitato il corpus alchemico, la complessa dottrina, propria dei ricercatori seguenti.
E’ nel XV secolo che l’alchimia ha una battuta d’arresto. E’ in questo secolo, infatti, che esce l’editto Spondent Pariter, emanato da Papa Giovanni XXII, dove si vieta la pratica dell’alchimia, in particolar modo ai religiosi. Ciononostante, la ricerca alchemica non si fermò, anzi, nacquero figure mitiche in questo settore. E’ il caso di Nicolas Flamel, vissuto tra il 1330 e il 1419. La leggenda narra che entrasse in possesso del Libro di Abramo l’ebreo, ricavandone indicazioni per l’ottenimento della pietra filosofale, unico suo interesse di alchimista. Ebbe una discreta attività editoriale. Dalle sue ricerche sempre la leggenda vuole che scoprì effettivamente la ricetta dell’elisir di immortalità. Insieme alla moglie Perenelle, Flamel sarebbe ancora vivo.
Nella loro ricerca quotidiana della trasmutazione dei metalli, dal piombo all’oro, essi credevano di effettuare un viaggio nella parallela purificazione dell’anima. Tuttavia, la vita dell’alchimista era tutt’altro che semplice. Essendo considerati anche come maghi e incantatori, spesso essi venivano perseguitati come le streghe e le praticanti la magia nera.

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Corallo di Trapani: sa farsi gioiello come immagine sacra

 

Nell’antichità il corallo trova la sua popolarità come amuleto, specie contro il malocchio come testimonia il classico cornetto. Si riteneva, inoltre, che giovasse alla fecondità delle donne e proteggesse i bambini dai pericoli. Credenza diffusissima presso i Romani, che usavano mettere un rametto al collo dei loro figli.

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IL CORALLO DI TRAPANI

 

Storia dell’alchimia: nel mondo islamico – 4/8

 

La Biblioteca di Alessandria fu un vero polo culturale dell’antichità. Dopo la sua distruzione il sapere emigrò nel Vicino Oriente. Anche la cultura dell’alchimia fu recepita dalla letteratura islamica. Anzi, le traduzioni in lingua islamica di vecchi testi greci e i nuovi trattati arabi sulle loro ricerche alchemiche ci hanno tramandato notizie più sostanziose sulla misteriosa pratica. All’interno di questa nuova letteratura si distingue l’opera di uno dei più grandi alchimisti, Jabir ibn Hayyan, vissuto nel VIII secolo, che individuò le quattro qualità della materia: caldo, freddo, secco e umido. Teorizzò, inoltre, che la fusione di due metalli avrebbe portato ad un terzo metallo.
L’unico alchimista europeo conosciuto, di questa fase storica, che abbia scritto trattati sulla pratica dell’alchimia, è Zosimo di Panopoli.

Gli alchimisti islamici hanno operato (come faranno poi quelli europei nel medioevo) nel campo della chimica, anche se marginalmente. Ad essi si deve la scoperta dell’acido muriatico, l’acido solforico e l’acido nitrico. Hanno individuato il sodio ed il potassio, oltre ad avere inventato il procedimento di distillazione. All’alchimia araba si deve anche la nomenclatura alchimistica successiva.

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Terracotta D’Impruneta: dove le lavorazioni risalgono al ‘300

 

Le origini dell’attività sono molto antiche, i più antichi esempi di cotto toscano che conosciamo sono mattoni e tegole risalenti all’XI secolo, rinvenuti nella zona del Chianti. Nel Quattrocento iniziò il rapporto tra Impruneta e Firenze, i fornaciai imprunetini impegnati nella realizzazione di vasellame per i più importanti conventi fiorentini, quali quelli di Sant’Ambrogio, della Santissima Annunziata, Santa Trinità e per gli ospedali di Santa Maria Nuova e degli Innocenti. Il Quattrocento è il secolo in cui nacque la consapevolezza del valore estetico della terracotta ed iniziò così la produzione di sculture e di oggetti d’arredo per interni e esterni. Nel XVI secolo gli artigiani si specializzarono nella realizzazione di grandi orci da olio e di conche da agrumi, iniziò la produzione di particolari formelle dette “soppani” per rivestire le soffittature interne dei palazzi e si intensificò la realizzazione di oggetti decorativi per giardini, cortili e facciate di palazzi. Ci fu inoltre a Firenze la ripresa dell’uso del mattone a vista nelle architetture. Nel corso del XVII secolo fu perfezionata la tecnica fino a riuscire a porre una vernice sull’argilla per avere maggiore impermeabilità e igienicità dei contenitori.

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LA TERRACOTTA D’IMPRUNETA

 

Storia dell’alchimia: le origini – 3/8

 

Il fenomeno dell’alchimia ha importanza e diffusione planetaria, quindi, tutt’altro che marginale. Due sono i filoni di sviluppo: uno in Asia, con l’alchimia cinese, sviluppatasi nel Taoismo, e nelle rispettive zone di influenza (come l’India), ed uno occidentale, nato in Egitto, per poi contaminare le civiltà classiche (Grecia e Roma), e poi il mondo islamico e l’Europa intera. Qui, vi furono rapporti superficiali con le varie religioni, ma l’alchimia occidentale va considerata come cultura autonoma. Se vi sono stati contatti o rapporti tra le due realtà alchemiche, non è noto.

L’alchimia occidentale
Gli stessi alchimisti pongono la nascita della loro arte nell’antico Egitto. Purtroppo non ci sono pervenuti documenti, ma ciò che sappiamo deriva da scritti greci e traduzioni arabe. Se mai fossero esistiti (ma si sostiene di no), essi bruciarono nell’incendio della Biblioteca di Alessandria. Sembra che gli antichi egizi considerassero la metallurgia come pratica mistica per eccellenza. Una leggenda vuole che l’invenzione della metallurgia fosse addebitabile al dio Thot, che, nella cultura greca, divenne Ermes. Questo “creatore” avrebbe scritto ben 42 libri sullo scibile umano, tra i quali uno dedicato all’alchimia. La famosa Tavola di smeraldo del dio Ermes Trismegistus (il tre volte grande), secondo antiche traduzioni arabe, sarebbe alla base della pratica alchemica.

Il complesso dettato alchemico trova le sue origini nella cultura filosofica dei Greci. La cultura greca, infatti, sempre caratterizzata da movimenti filosofici, assunse dalla cultura alessandrina i propri concetti. Tre furono le differenziazioni operate su di essa: quella tecnica, quella filosofica e quella religiosa. Grande importanza ebbe l’alchimia nella filosofie del Pitagorismo, dottrina passata, successivamente, nello Gnosticismo. La filosofia pitagorica, che dava enorme rilevanza ai numeri, secondo loro alla base del creato, si ritrova poi nell’importanza che gli alchimisti davano ai numeri nelle loro ricerche.
Un ulteriore contributo alla cultura alchenica fu recepito dalla filosofia della scuola ionica. Essa riteneva che vi fosse un principio unico e originario nella creazione, da ricercare. Filosofi di questa corrente furono Talete ed Anassimandro. A questo pensiero si rifecero i grandi Platone ed Aristotele. Il loro credo filosofico divenne poi base degli obiettivi alchemici.
In questo periodo storico, l’indagine filosofica analizza la realtà materiale e spirituale dell’universo. Viene posto per primo un concetto: una sola materia prima dà vita a tutto il creato. Il filosofo Empedocle distingue questo unico cardine in quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco. Aristotele vi aggiunge la “quintessenza”, cioè, l’etere, la materia di cui sono formati i cieli.

Nel successivo periodo romano, l’alchimia acquisisce il carattere di religione esoterica, il mistero e la magia. Nell’età imperiale ed ellenistica si sviluppò, infatti, sull’alchimia una letteratura specifica. Essendo riferita al dio Thot-Ermete, essa venne denominata come “ermetica”. I contenuti vennero mutuati dal Neoplatonismo e dal Neopitagorismo. Più tardi, nel II secolo, fu redatto il testo degli Oracoli caldaici, di cui è rimasto poco, ma che confermava i precedenti della letteratura ermetica. La dottrina alchemica si va a formare in tale periodo.

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Arancia di Ribera: modello alimentare, educativo, di ristorazione

 

L’agrumicoltura nasce nelle valli di Ribera agli inizi dell’Ottocento, ma solo nel 1930, con la coltivazione delle varietà Brasiliano e della Washington navel, si raggiunse uno standard qualitativo eccellente, sostituendo gradualmente le vecchie varietà, molto acide e con molti semi.
La specializzazione si è andata affinando nei decenni successivi, privilegiando tecniche produzione innovative.
L’istituzione nel 1994 del Consorzio Arancia di Ribera ha consolidato la coltivazione dell’arancia nel territorio.
Il sodalizio ha puntato da una parte alla tutela dell’Arancia di Ribera e dall’altra alla salvaguardia della qualità nel pieno rispetto della natura.
Fin dalle fasi di avvio della propria attività il Consorzio ha intrapreso iniziative finalizzate all’innovazione, alla ricerca scientifica e all’evoluzione tecnologica, consentendo in brevissimo tempo l’innalzamento dei livelli di produzione, nel pieno rispetto della qualità e della naturalità delle arance prodotte, nonché della loro tutela.

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ARANCIA DI RIBERA

Fonte originale: Consorzio di Tutela Arancia Ribera di Sicilia