Elementi giusti per realizzare il futuro che sarà

 

“Elementi” è una rivista e di questa rivista scegliamo il numero 42 ovvero lo speciale energia che riguarda «il futuro che sarà». Attraverso l’intervento di esperti percorriamo proprio gli “elementi” in base ai quali sarà possibile costruire l’avvenire. L’efficienza energetica, la geotermia, la decarbonizzazione per generare elettricità, il fotovoltaico, il ritorno all’agricoltura (perché i contadini saranno i nostri maestri) e tanto altro ancora. La missione dello sviluppo sostenibile rispecchia le esigenze delle comunità territoriali, lo sappiamo; ma non si può disconoscere l’importanza delle letture intelligenti, perché, come diceva Nelson Mandela, l’educazione è lo «strumento più potente per cambiare il mondo». E se il mondo non lo cambiamo ora, quando dovremmo cambiarlo?

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I sogni siciliani di Giuseppe Samonà

 

Riportiamo il testo della scheda di presentazione di questo libro di Cesare Ajroldi, del quale presentiamo un estratto: «L’architettura ha da sempre due dimensioni: quella dello scenario costruito che l’uomo predispone e trasforma nel volgere del tempo e quella dei pensieri e delle immaginazioni che la incontrano e alimentano. Si è detto che l’architettura è opera umana per eccellenza; sistema complesso di oggetti e relazioni; concrezione materiale poderosa che avvolge e condiziona la vita. Ma da sempre essa ha un fondamento speculativo e intellettuale autonomo. Oltre che nelle figure e nei disegni, vive nelle catene di parole e di pensieri che la accompagnano. Sta dunque anche e per una parte importante nei libri. I libri hanno al pari delle opere costruite una storia e formano un paesaggio con una organizzazione e dei capisaldi. Tra libri scritti e da scrivere vi sono legami forti, così che s’inseguono in una trama di corrispondenze e di rimandi. Una collana è un arco di libri che aspirano a un’intenzione e a un disegno. È bene che essa si riferisca alla ricchezza di culture di paesi diversi».

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Pratiche relazionali: il cibo come legante sociale

 

Zygmunt Bauman ci ha ricordato la liquidità della nostra epoca. Nonostante ciò, si sta diffondendo una nuova voglia di condivisione e di socialità, cioè una nuova “voglia di comunità”. Manuel Castells sostiene che: «in un mondo di cambiamenti incontrollati, confusi, la gente tende a raggrupparsi attorno alle identità primarie: religiose, etniche, territoriali, nazionali. In un mondo di flussi globali, di ricchezza, di potere di immagini, la ricerca dell’identità, collettiva o individuale, conferita o costruita, diviene la fonte essenziale di senso sociale». Questo pensiero è sottinteso nelle pagine del libro che stiamo iniziando a leggere: Evelyn Leveghi, “Pratiche relazionali del cibo. Mangiare nell’epoca dei social“. Un libro per comprendere come il cibo sia diventato, oggi più di un tempo, legante sociale (da semplice nutrimento quale era), espressione di umanità, opportunità di relazioni e di condivisioni. Tutto ciò in contrapposizione al nichilismo intellettuale, allo scetticismo collettivo, al cinismo istituzionale, che hanno contraddistinto gli anni dell’età moderna e contemporanea.

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Raymond Carver e il mestiere di scrivere

 

Il libro è del 1997, ma rimane intatto il suo fascino per coloro che vogliono imparare a scrivere, in un mondo come il nostro in cui qualcuno stenta persino a saper parlare. L’autore è Raymond Carver, che i critici del Daily Telegraph hanno definito «maestro del racconto americano moderno». Era figlio di un semplice operaio di segheria: ha “imparato a scrivere” e poi ha anche “insegnato a scrivere” alle generazioni successive. A dimostrazione che, nonostante natali umili e non elitari, si può scrivere, narrando di sé stessi, della propria vita, del proprio lavoro, dei propri pensieri. Anche se si è portati a pensare di non poterlo o saperlo fare. Questo libro di scrittura creativa incoraggia, perciò, ogni lettore a cercare dentro di sé la propria autonoma voce. Un approccio del genere è, probabilmente, più utile di qualsiasi altro tentativo didattico, realizzato su basi teoriche, giacché la materia dello scrivere è delicata e complessa più di quante altre mai.

 

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Le riviste di moda tra il 1950 e il 1960

 

Sfogliamo, leggiamo, apprezziamo le nostre vecchie riviste di moda, in questo lavoro di laurea descritte e analizzante attraverso diversi aspetti. Anzitutto la rappresentazione dell’ambiente moda, la maniera in cui viene restituito al largo pubblico e come tale pubblico lo percepisce attraverso la stampa. Quindi, la raffigurazione della donna, perché le modelle delle riviste dovrebbero rappresentare le differenti connotazioni del pubblico femminile. Infine, l’obiettivo principale: la grafica dominante nel periodo prescelto e i diversi linguaggi, grafici e fotografici. Il periodo è esattamente quello tra gli anni ‘50 e ’60, durante i quali, chi confezionava una rivista incollava manualmente le immagini su di una gabbia grafica, affiancandole ai testi. A differenza di oggi, dove l’impaginazione si avvale dei sistemi digitali e dei software più sofisticati, forse non tutto risultava perfetto. Emergeva, in ogni modo, una qualità sorprendente. Perché queste pubblicazioni, così lontane dai nostri tempi e dagli strumenti per realizzarle, hanno comunque accompagnato la vita di tutti giorni del pubblico femminile e ne hanno fatto crescere gusto e aspettative.

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Il settore della pasta in Italia durante l’Ottocento

 

Alla fine del Settecento, in periodo napoleonico, il prefetto della Liguria, Chabrol, censisce, tra Savona e Portomaurizio (Imperia), 148 piccoli pastifici, di circa 5 addetti per ognuno di media. Nel 1857, nella stessa zona, sono presenti 66 pastifici. Nel 1862 la Camera di Commercio di Portomaurizio registra 26 pastifici cittadini, che producono 5 quintali di pasta al giorno. Continuando, nel 1867, un documento d’economia, per la riviera ligure, tra Savona, Genova e Nervi, censisce 134 differenti ditte produttive di pasta, di 1000 operai, per una produzione totale di 450.000 quintali di grano lavorati.
Dai dati economici a confronto, si deduce, non tanto il numero dei pastifici, quanto un aumento della loro produttività, grazie a più operai ed attrezzature non da poco. Ad esempio, nel settore viene introdotta la gramola a molazza, simile ad un torchio per le olive, ma azionato da un motore a vapore. Generalmente, la gramola a molazza, anziché manualmente, viene azionata con forza animale, che si evolverà utilizzando forza idraulica e poi elettrica. Vi è un risparmio di fatica ed una maggiore produttività.

Tutta questa nuova tecnologia è già presente all’esposizione di Genova del 1846. Lo sviluppo tecnico è presente, ovviamente, anche nelle regioni del Sud, ma è più lento. Torre Annunziata si evidenzia sullo scenario nazionale quale la più attiva. Nel 1793 fa registrare 445 quintali circa di produzione giornaliera, mentre Portomaurizio, nel 1862, ne lavora solo un quarto.

Nel 1830, Andrea de Jorio, napoletano, descrive con grande curiosità il “paesaggio” dei pastai. I maccheroni esposti al sole per le strade e davanti ai magazzini, lungo le vie della costiera napoletana. Consiglia ai turisti, oltre alla visita alle strade, anche quella delle manifatture, dove ammirare grossi giovanotti seminudi al pesante lavoro dei torchi per la pasta, non ancora meccanizzati. Anche se, bisogna dirlo, gli stessi viaggiatori stranieri, anziché ammirarli, ridicolizzano i pastai al lavoro.
A Gragnano e a Torre Annunziata le innovazioni sono viste con grande diffidenza e tale situazione permarrà per lungo tempo, giungendo il finire dell’Ottocento. Dopo l’Unità d’Italia, a Gragnano, il numero dei torchi passa da 81 a 120, ma è ancora poco.  Nonostante l’occupazione di migliaia di persone nel settore, la produzione di pasta continua ad essere di manifattura. Si toccano però anche nuove vette produttive.

Ciononostante, a Marsiglia (e in genere al Nord), la produzione di pasta meccanizzata, produce il doppio di quella dei pastifici di Napoli. Le remore verso la modernizzazione e l’automazione, del Sud, lasciano il settore nell’arretratezza, perdendo vendite, diffusione e mercati, conquistati invece da altri. Tutto questo è presente in uno scritto di Alessandro Betocchi, molto critico e impietoso. In ballo vi era il futuro stesso delle loro fabbriche. Infatti, nel 1860, la concorrenza estera, in particolare francese, perfettamente industrializzata, fa balzi in avanti, superando la produzione italiana in generale e napoletana in particolare. Tutto il settore italiano inizia, in questo periodo, un’attenta riflessione e analisi, smuovendo dall’inerzia l’attività intera. Inizia così la modernizzazione, che porta la produzione della pasta da manifatturiera ad industriale.

I pionieri della grafica dell’ultimo trentennio

 

Si parte dall’epoca di Toulouse-Lautrec e si arriva all’epoca della grafica digitale, che diviene elemento definitivo di cesura rispetto al passato. Nel 1984, infatti, compare il primo Macintosh. Dice l’autore del testo: «Se da un lato la nuova tecnologia porta un progresso e una maggiore rapidità, nonché la possibilità nella produzione di artefatti comunicativi, allo stesso tempo riscontriamo un chiaro ritorno alle origini, ad una cosiddetta “grafica libera“. Molti sono gli autori considerati in questo testo. Enumeriamo: Milton Glaser, Seymour Chwast, Wolfgang Weingart, Paula Scher, Rudy VanderLans e Zuzana Licko (Emigre), April Greiman, Neville Brody, David Carson , Stefan Sagmeister, John Maeda. Attraverso il profilo creativo di questi artisti, pionieri di una grafica fuori dalle regole e attraverso il loro background e le loro opere, è possibile ripercorrere momenti importanti e avvincenti della modernità dei nostri tempi.

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Vite di scarto: i rifiuti della globalizzazione

 

Zygmunt Bauman è stato uno dei più noti e influenti pensatori al mondo. In questo libro tratta della modernizzazione, cioè di quella che definisce la più prolifica e meno controllata linea di produzione di rifiuti e di esseri umani di scarto. La sua diffusione globale ha sprigionato e messo in moto quantità enormi e sempre crescenti di persone private dei loro modi e mezzi di sopravvivenza. I reietti, i rifugiati, gli sfollati, i richiedenti asilo sono i rifiuti della globalizzazione. Ma non sono i soli rifiuti: vi sono anche le scorie che hanno accompagnato fin dall’inizio la produzione. 

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Amore liquido: la fragilità dei legami affettivi

 

Zygmunt Bauman è stato uno dei più noti e influenti pensatori al mondo. In questo saggio sull’amore scrive: «La solitudine genera insicurezza, ma altrettanto fa la relazione sentimentale. In una relazione, puoi sentirti insicuro quanto saresti senza di essa, o anche peggio. Cambiano solo i nomi che dai alla tua ansia». I protagonisti di questo libro sono gli uomini e le donne nostri contemporanei, che anelano la sicurezza dell’aggregazione e una mano su cui poter contare nel momento del bisogno. Eppure, sono gli stessi che hanno paura di restare impigliati in relazioni stabili e temono che un legame stretto comporti oneri che non vogliono né pensano di poter sopportare.

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Modernità liquida: riflettere sulla nostra esistenza

 

Zygmunt Bauman è stato uno dei più noti e influenti pensatori al mondo. Professore emerito di Sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia, con le sue interpretazioni ha resto il mondo contemporaneo più chiaro. La metafora della liquidità, da quando Bauman l’ha coniata, ha marcato i nostri anni ed è entrata nel linguaggio comune per riflettere sulla nostra esistenza individualizzata, privatizzata, incerta, flessibile, vulnerabile, nella quale, a una libertà senza precedenti, fanno da contraltare una gioia ambigua e un desiderio impossibile da saziare.

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