Le riviste di moda tra il 1950 e il 1960

 

Sfogliamo, leggiamo, apprezziamo le nostre vecchie riviste di moda, in questo lavoro di laurea descritte e analizzante attraverso diversi aspetti. Anzitutto la rappresentazione dell’ambiente moda, la maniera in cui viene restituito al largo pubblico e come tale pubblico lo percepisce attraverso la stampa. Quindi, la raffigurazione della donna, perché le modelle delle riviste dovrebbero rappresentare le differenti connotazioni del pubblico femminile. Infine, l’obiettivo principale: la grafica dominante nel periodo prescelto e i diversi linguaggi, grafici e fotografici. Il periodo è esattamente quello tra gli anni ‘50 e ’60, durante i quali, chi confezionava una rivista incollava manualmente le immagini su di una gabbia grafica, affiancandole ai testi. A differenza di oggi, dove l’impaginazione si avvale dei sistemi digitali e dei software più sofisticati, forse non tutto risultava perfetto. Emergeva, in ogni modo, una qualità sorprendente. Perché queste pubblicazioni, così lontane dai nostri tempi e dagli strumenti per realizzarle, hanno comunque accompagnato la vita di tutti giorni del pubblico femminile e ne hanno fatto crescere gusto e aspettative.

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Il settore della pasta in Italia durante l’Ottocento

 

Alla fine del Settecento, in periodo napoleonico, il prefetto della Liguria, Chabrol, censisce, tra Savona e Portomaurizio (Imperia), 148 piccoli pastifici, di circa 5 addetti per ognuno di media. Nel 1857, nella stessa zona, sono presenti 66 pastifici. Nel 1862 la Camera di Commercio di Portomaurizio registra 26 pastifici cittadini, che producono 5 quintali di pasta al giorno. Continuando, nel 1867, un documento d’economia, per la riviera ligure, tra Savona, Genova e Nervi, censisce 134 differenti ditte produttive di pasta, di 1000 operai, per una produzione totale di 450.000 quintali di grano lavorati.
Dai dati economici a confronto, si deduce, non tanto il numero dei pastifici, quanto un aumento della loro produttività, grazie a più operai ed attrezzature non da poco. Ad esempio, nel settore viene introdotta la gramola a molazza, simile ad un torchio per le olive, ma azionato da un motore a vapore. Generalmente, la gramola a molazza, anziché manualmente, viene azionata con forza animale, che si evolverà utilizzando forza idraulica e poi elettrica. Vi è un risparmio di fatica ed una maggiore produttività.

Tutta questa nuova tecnologia è già presente all’esposizione di Genova del 1846. Lo sviluppo tecnico è presente, ovviamente, anche nelle regioni del Sud, ma è più lento. Torre Annunziata si evidenzia sullo scenario nazionale quale la più attiva. Nel 1793 fa registrare 445 quintali circa di produzione giornaliera, mentre Portomaurizio, nel 1862, ne lavora solo un quarto.

Nel 1830, Andrea de Jorio, napoletano, descrive con grande curiosità il “paesaggio” dei pastai. I maccheroni esposti al sole per le strade e davanti ai magazzini, lungo le vie della costiera napoletana. Consiglia ai turisti, oltre alla visita alle strade, anche quella delle manifatture, dove ammirare grossi giovanotti seminudi al pesante lavoro dei torchi per la pasta, non ancora meccanizzati. Anche se, bisogna dirlo, gli stessi viaggiatori stranieri, anziché ammirarli, ridicolizzano i pastai al lavoro.
A Gragnano e a Torre Annunziata le innovazioni sono viste con grande diffidenza e tale situazione permarrà per lungo tempo, giungendo il finire dell’Ottocento. Dopo l’Unità d’Italia, a Gragnano, il numero dei torchi passa da 81 a 120, ma è ancora poco.  Nonostante l’occupazione di migliaia di persone nel settore, la produzione di pasta continua ad essere di manifattura. Si toccano però anche nuove vette produttive.

Ciononostante, a Marsiglia (e in genere al Nord), la produzione di pasta meccanizzata, produce il doppio di quella dei pastifici di Napoli. Le remore verso la modernizzazione e l’automazione, del Sud, lasciano il settore nell’arretratezza, perdendo vendite, diffusione e mercati, conquistati invece da altri. Tutto questo è presente in uno scritto di Alessandro Betocchi, molto critico e impietoso. In ballo vi era il futuro stesso delle loro fabbriche. Infatti, nel 1860, la concorrenza estera, in particolare francese, perfettamente industrializzata, fa balzi in avanti, superando la produzione italiana in generale e napoletana in particolare. Tutto il settore italiano inizia, in questo periodo, un’attenta riflessione e analisi, smuovendo dall’inerzia l’attività intera. Inizia così la modernizzazione, che porta la produzione della pasta da manifatturiera ad industriale.

I pionieri della grafica dell’ultimo trentennio

 

Si parte dall’epoca di Toulouse-Lautrec e si arriva all’epoca della grafica digitale, che diviene elemento definitivo di cesura rispetto al passato. Nel 1984, infatti, compare il primo Macintosh. Dice l’autore del testo: «Se da un lato la nuova tecnologia porta un progresso e una maggiore rapidità, nonché la possibilità nella produzione di artefatti comunicativi, allo stesso tempo riscontriamo un chiaro ritorno alle origini, ad una cosiddetta “grafica libera“. Molti sono gli autori considerati in questo testo. Enumeriamo: Milton Glaser, Seymour Chwast, Wolfgang Weingart, Paula Scher, Rudy VanderLans e Zuzana Licko (Emigre), April Greiman, Neville Brody, David Carson , Stefan Sagmeister, John Maeda. Attraverso il profilo creativo di questi artisti, pionieri di una grafica fuori dalle regole e attraverso il loro background e le loro opere, è possibile ripercorrere momenti importanti e avvincenti della modernità dei nostri tempi.

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Vite di scarto: i rifiuti della globalizzazione

 

Zygmunt Bauman è stato uno dei più noti e influenti pensatori al mondo. In questo libro tratta della modernizzazione, cioè di quella che definisce la più prolifica e meno controllata linea di produzione di rifiuti e di esseri umani di scarto. La sua diffusione globale ha sprigionato e messo in moto quantità enormi e sempre crescenti di persone private dei loro modi e mezzi di sopravvivenza. I reietti, i rifugiati, gli sfollati, i richiedenti asilo sono i rifiuti della globalizzazione. Ma non sono i soli rifiuti: vi sono anche le scorie che hanno accompagnato fin dall’inizio la produzione. 

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Amore liquido: la fragilità dei legami affettivi

 

Zygmunt Bauman è stato uno dei più noti e influenti pensatori al mondo. In questo saggio sull’amore scrive: «La solitudine genera insicurezza, ma altrettanto fa la relazione sentimentale. In una relazione, puoi sentirti insicuro quanto saresti senza di essa, o anche peggio. Cambiano solo i nomi che dai alla tua ansia». I protagonisti di questo libro sono gli uomini e le donne nostri contemporanei, che anelano la sicurezza dell’aggregazione e una mano su cui poter contare nel momento del bisogno. Eppure, sono gli stessi che hanno paura di restare impigliati in relazioni stabili e temono che un legame stretto comporti oneri che non vogliono né pensano di poter sopportare.

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Modernità liquida: riflettere sulla nostra esistenza

 

Zygmunt Bauman è stato uno dei più noti e influenti pensatori al mondo. Professore emerito di Sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia, con le sue interpretazioni ha resto il mondo contemporaneo più chiaro. La metafora della liquidità, da quando Bauman l’ha coniata, ha marcato i nostri anni ed è entrata nel linguaggio comune per riflettere sulla nostra esistenza individualizzata, privatizzata, incerta, flessibile, vulnerabile, nella quale, a una libertà senza precedenti, fanno da contraltare una gioia ambigua e un desiderio impossibile da saziare.

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Per studiare i mezzi di comunicazione digitale

 

Nell’editoria, nel packaging, nelle trasmissioni televisive, nelle interfacce computerizzate e nella pubblicità, la progettazione grafica è un anello di collegamento di grande importanza che unisce chi trasmette l’informazione a chi la riceve. Tale legame ha permesso la nascita, lo sviluppo, il trionfo della civiltà moderna, caratterizzata da una comunicazione visiva di massa, in cui la grafica ha fornito uno dei linguaggi più eloquenti. Per questo motivo il libro analizza i contesti storici, le motivazioni stilistiche, le ragioni metodologiche e le tecniche progettuali, create ed usate nelle diverse epoche artistiche in un interessante discorso sia visivo che concettuale.

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Il lavoro delle donne nella produzione della pasta

 

Nel Settecento, padre Labat, nota che non tutti i formati di pasta vengono fatti a macchina. Ad esempio, i cosiddetti millefanti (pasta fine) sono fatti a mano. Ve ne sono di tutti i tipi: simili a piselli, fagioli, noccioli di arance o semi di zucca. Questo tipo di pasta è ben accetta a corte, tanto che il Venerdì Santo la famiglia reale consumava i millefanti. La tradizione, tuttavia, nel 1767, era ormai superata. Questo tipo di pasta figurata era realizzata da personale femminile. Padre Labat, ci riporta che questa pastina, a forma di pesce, veniva realizzata anche all’interno dei conventi. Facendola, le religiose in clausura potevano rompere il voto del silenzio e chiacchierare.

Anche altri formati, ma sempre dalla forma impossibile da produrre con il torchio (sferica, cilindrica, a stella, ecc.), venivano fatti a mano dalle donne. A quel tempo, ad esse era riconosciuta un’abilità particolare nell’esecuzione. Durante una fiera del settore manifatturiero a Bari, nel 1841, un giornalista loda, per l’esecuzione della pasta, le suore di clausura del monastero di Acquaviva. Descrive la loro fantasia, come per i cavatelli, cannoncetti, ritortini, e gnocchetti.

In realtà, questo tipo di attività esisteva già nel medioevo. Era, chiaramente, in aperta concorrenza con i pastai, ma ben tollerata, perché autorizzata dal governo, con facilitazioni e meno tasse sul prodotto dei monasteri. Solo nel 1665, a Napoli. Venne pubblicato un bando che vietava questo tipo di concorrenza, ma senza essere messo molto in pratica. Superato il bando, riprese la rivalità.

La vera rivalità stava nel rapporto di subordinazione delle donne agli uomini. Se nel medioevo il ruolo importante femminile nella produzione della pasta, si doveva al fatto che questa era considerata un’attività “domestica”. Quando il settore si ampliò con la meccanizzazione, le donne, pian piano, cominciarono ad essere messe in disparte. Certamente perché la nuova strumentazione era molto faticosa da usare; ma fu solo un fatto di maggiore forza fisica? No: fu un problema di specializzazione in un mestiere che andava complicandosi. Il prefetto Chabrol, funzionario napoleonico della Liguria, in un testo accenna al lavoro nei pastifici di Portomaurizio (Imperia) e di Savona. Scrive che la lavorazione era eseguita da una squadra di cinque persone: due uomini e tre donne, queste ultime pagate molto meno dei colleghi. Negli stabilimenti il personale femminile si occupava della preparazione delle materie prime, del lavaggio del grano, della stacciatura della semola, della fattura manuale di alcuni formati e della essicazione della pasta.

Lo staccio, ci riporta Lalande, era formato da maglie di varie dimensioni, con cui setacciare la semola, almeno per cinque o sei volte. Appeso al soffitto non doveva essere sostenuto con la forza. Per questo era ritenuto, come gli altri esempi citati, un compito adatto alle donne. Quando, nel napoletano, si resero conto (prima di tutti gli altri) dell’importanza dell’essicazione della pasta, il compito divenne maschile.

Mirare all’architettura sostenibile

 

Questo libro, di Paola Gallo e Rosa Romano, ha il pregio di fornire un’analisi completa del complesso processo di organizzazione inerente la struttura metodologica e organizzativa di un laboratorio progettuale, articolato in momenti di approfondimento teorico e di esercitazioni, entrambi finalizzati allo sviluppo di un progetto complesso che porti lo studente a riflettere sulla necessità di adottare soluzioni tecnologiche di impianto e di involucro innovative, capaci di incidere positivamente sull’impatto ambientale degli edifici e, parallelamente, su quello del luogo urbano in cui sono collocati. Lo afferma Marco sala, nella prefazione di questa stimolante pubblicazione a carattere progettuale.

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Per concepire oggetti e contesti

 

Il corso di storia del design IED, condotto dal professore Leonardo Rossano, ha concepito, grazie anche alla buona volontà della studentessa Luana Leo, questo particolare libro che passo passo ripercorre la storia del design nelle sue variegate sfaccettature. Possiamo trovarvi nozioni sulla scuola scandinava e il design organico, l’industria al design negli Stati Uniti, la scuola di Ulm, Il design italiano del secondo dopoguerra, quindi gli anni ‘60 e i maestri del design italiano, nonché gli anni ‘70, il post moderno, il design giapponese, quello minimalista, per approdare finalmente al design dello star system. Ogni momento storico mette in luce i protagonisti e le proposte da loro progettate. Vale la pena di leggere, per un ripasso generale.

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