Étienne Terrus – Assurto a fama per la scoperta di una truffa

 

Il grande pubblico internazionale non sapeva neppure della sua esistenza, né tantomeno di quella di un museo francese a lui dedicato. Il pittore si chiamava Étienne Terrus, nato nel 1857 e morto nel 1922 a Elne, e qui nel Roussillon trascorse la maggior parte della sua esistenza. Il museo si trova appunto a Elne, nel sud della Francia. Qui si è scoperto che più della metà della collezione in mostra è da considerarsi falsa, nel senso reale del termine, perché 82 opere attribuite all’artista non sono state affatto dipinte da lui. La collezione di acquerelli, oli, disegni, messa insieme per vent’anni era fatta di “croste”, opera di uno o più falsari che si sono approfittati dell’ingenuità dei poveri concittadini di Terrus che per celebrare il pittore avevano acquistato di tutto. Finché un giorno uno storico dell’arte, Eric Forcada, in visita al museo, ha espresso le proprie perplessità ai colleghi del museo della vicina città di Perpignan. Per mesi un comitato di esperti del mondo culturale si è alternato nelle sale, ispezionando attentamente i lavori, fino ad esprimersi sulla non originalità di buona metà delle opere esposte. Il museo di Elne ha chiuso i battenti “per ristrutturazione” e solo venerdì alla sua riapertura, dinanzi ad un museo dimezzato, la notizia è stata annunciata pubblicamente. Nelle interviste, Yves Barniol, sindaco della città dei Pirenei, ha affermato che la situazione è “un disastro” e si è scusato con tutti coloro che in questi anni, ammirando l’esposizione, hanno creduto veri degli autentici falsi. «Mi sono messo al posto di tutte le persone che sono venute a visitare il museo, che hanno visto opere false, che hanno acquistato un biglietto d’ingresso, qualunque sia stato il suo prezzo. È inaccettabile». Così ha commentato al microfono di France Bleu Roussillon, il sindaco e ha annunciato di avere presentato una denuncia contro coloro che hanno ordinato, dipinto o venduto le opere contraffatte. Le indagini si stanno concentrando su alcuni artisti regionali e naturalmente sui commercianti d’arte dei Pirenei orientali che tra il 1990 e il 2010 hanno venduto le opere. La cosa strana, in queste circostanze, è che il nome di un’artista poco conosciuto come Terrus oggi è emerso all’attenzione del mondo. Aveva iniziato nell’atelier dell’accademico Alexandre Cabanel, ma si era infine orientato verso il gruppo degli impressionisti, seguendo il solco lasciato da Paul Cézanne, meridionale come lo stesso Terrus. Ha seguito poi la nascente corrente dei Nabis ed infine, in quanto amico del pittore Henri Matisse, la corrente dei Fauves.

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ÉTIENNE TERRUS (Elne, settembre 1857 – Elne, giugno 1922) è stato un pittore francese. Si dedicò quasi esclusivamente alla rappresentazione dei paesaggi della sua terra. Nato in una cittadina del Roussillon, dipartimento dei Pirenei Occidentali, Terrus mostrò un particolare talento nel disegno già dall’infanzia. Sostenuto dai genitori, all’età di 17 anni si recò a Parigi per studiare pittura nel celebre atelier di Alexandre Cabanel. Ma Terrus era un giovane di provincia, troppo legato ai cieli e alla vita della sua terra, e non si lasciò affascinare dai ritmi della vita parigina, anche se, sotto il profilo artistico, non rimase affatto ancorato alla tradizione, ma assimilò molto bene sia le lezioni di Cabanel che i principi e le tecniche dell’impressionismo, avendo come riferimento le opere di Corot e di Cézanne. Si spinse anche oltre, seguendo per un certo periodo la corrente Nabis e superandola anche, tanto da essere considerato uno dei primi artisti della corrente dei Fauves. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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CORRIERE DELLA SERA

Il museo francese che ha scoperto che metà dei suoi quadri sono falsi

Essiccazione artificiale, il primato passa ai pastai del Nord

 

Se nel corso dell’Ottocento grande fu l’attenzione di società metalmeccaniche e pastai sulle varie fasi del processo produttivo, minore fu l’impegno riguardo alla fase dell’essiccazione. I pastai del sud potevano, infatti, contare sul sole ed il clima. Lo scirocco e la tramontana regalavano calore-umido e fresco-asciutto alla pasta distesa all’aperto. La stessa fase durava una decina di giorni. Quindi, mentre le altre fasi della lavorazione presentavano un principio di meccanizzazione, per quanto riguarda questa fase, si procedeva alla maniera tradizionale. Almeno questo accadeva nel Meridione.
In aree settentrionali, invece, il problema dell’essiccazione era veramente impegnativo. Con il clima di Parigi, la delicata fase comportava da uno a due mesi di tempo. Il favorevole clima di Napoli permetteva un’essicazione perfetta. Al nord vi erano problemi con le muffe, possibili fermentazioni e deterioramenti di varia natura. A questo si aggiungeva, con una forte produzione, la necessità di grandi locali o magazzini per lo stoccaggio e l’ultimazione della produzione. L’essiccazione naturale della pasta napoletana permetteva di ottenere una pasta che reggesse la cottura, ottenendo la cosiddetta “pasta al dente”.

I produttori del Nord iniziarono a pensare metodi meccanici che potessero risolvere la questione. Si iniziò con una gabbia di legno ruotante posta in una stanza riscaldata. Lo strumento non garantiva un’essicazione uniforme della pasta qui inserita. Secondo le informazioni che ci dà Renato Rovetta, un’altra soluzione venne introdotta successivamente, per migliorare il risultato della gabbia. Era rappresentata da un ventilatore ed un calorifero che lavoravano abbinati. Il brevetto termo-meccanico fu depositato in Italia nel 1875. Lo stesso Rovetta, ci segnala un altro brevetto, del 1889. Il pastificio abruzzese di Filippo De Cecco, fondato nel 1887 (ancora esistente), utilizzava un procedimento più sviluppato, che aveva il vantaggio di essere poco costoso. Al di là di ogni singola innovazione, dal 1875 fino al 1904, vengono depositati molti brevetti che riguardano l’essicazione artificiale della pasta. L’ennesima innovazione viene presentata all’esposizione industriale di Parigi, del 1900, dal produttore Yberty e Cie in Alvernia. Consiste in tubi che convogliano aria in ambienti più ristretti, con una ventilazione “ottimale”.

Un passo decisivo viene compiuto, nel 1898, dal procedimento di Vitaliano Tommasini, industriale milanese, che verrà poi migliorato dallo stesso nel 1900 e nel 1901, con la presentazione di nuovi brevetti. Consiste inizialmente in un cassone con vassoi fissi, ventilato con l’immissione di aria ad una temperatura di 28 gradi, la temperatura del golfo di Napoli.
Ciononostante, Renato Rovetta, che brevetta un suo dispositivo meccanico nel 1903, confessa i limiti dei metodi di essicazione fin lì presentati. Purtroppo, l’innovazione di Tommasini risolve solo uno dei tre aspetti dell’essiccazione naturale (l’incartament). Con l’ulteriore problema di un costo ancora alto e non ammortizzato dalle vendite insufficienti. Ma è proprio lui, che si rivelerà il vincitore di questa gara creativa. La sua idea si basa su un maggiore controllo delle temperature. Le tre fasi dell’essiccazione naturale vengono risolte con un metodo universale in un solo passaggio. La cella, che contiene la pasta, viene sottoposta ad una temperatura di 30-35 gradi, per un tempo che varia da mezz’ora a due ore. La variabile dipende, oltre che dal formato della pasta, anche all’umidità registrata nell’ambiente. Per la seconda fase del rinvenimento, la pasta viene spostata in un ambiente fresco e umido, coperta da teloni contro la condensazione. La pasta lunga viene fatta riposare anche solo una notte, per poi passare in un locale di asciugamento finale. La pasta corta raggiungerà direttamente questo locale. L’ambiente verrà mantenuto a temperatura media stabile.

L’idea risolutiva di Rovetta, perciò, permette una perfetta essicazione in modo artificiale e, soprattutto, in tre/cinque giorni, cioè la metà del tempo dell’essiccazione naturale. Presenta anche il vantaggio di essere maggiormente igienica. Tuttavia, i pastai meridionali perseverarono nell’essiccazione al sole, per ancora molto tempo. I pastai del Nord, con l’invenzione dell’essiccazione artificiale, raggiunsero per la prima volta la qualità dei meridionali, con il vantaggio di una maggiore potenzialità produttiva.