Desmond John Morris – I surrealisti? Scoprii subito che erano diversi l’uno dall’altro

Foto di gruppo degli artisti surrealisti. «Un gruppo di figli di papà», così li definiva Giorgio De Chirico che vi aveva fatto parte.

L’etologo Desmond Morris è diventato famoso in tutto il mondo nel 1967, col suo bestseller La scimmia nuda. Vi chiederete: come mai uno studioso è riuscito a trasformare un libro scientifico in un bestseller? Lo spiega lui stesso, da maestro o meglio da presentatore televisivo: «Quando ero un giovane scienziato dell’Università di Oxford, usavo il gergo tecnico. Come tutti i miei colleghi. Quello che scrivevamo era difficile da comprendere: volevamo apparire il più possibile accademici. Poi, mi è accaduto qualcosa di inaspettato. Sono andato a Londra e ho cominciato a parlare di animali in tv. Ho curato un programma televisivo ogni settimana. Per undici anni. È allora che ho imparato a servirmi di un linguaggio più diretto».  Dopo una vita di studi dedicata a esaminare gli aspetti che accomunano l’uomo agli altri esseri appartenenti al mondo animale, nella ricerca di un denominatore comune, oggi fa invece seguito la sua volontà di analizzare criticamente i “numeri primi” della natura, che dovremmo essere noi umani. Quale è la «caratteristica più appassionante che ci rende unici»? Si è domandato Morris. La risposta è stata: l’arte. Perché l’arte, sostiene riferendosi ad Aristotele, può «rendere straordinario l’ordinario». Lo fa proponendo un nuovo libro, questa volta dedicato a Le vite dei surrealisti (edito da Johan&Levi). Racconta una storiella su Dalì, forse il più famoso fra i pittori surrealisti, che un giorno si spinse perfino a dichiarare: «Il Surrealismo sono io». Quando un suo amico mostrò a Dalí la prestazione pittorica compiuta dallo scimpanzé Congo, l’artista la osservò con interesse e poi sentenziò: «La mano dello scimpanzé è quasi umana; la mano di Jackson Pollock è in tutto e per tutto quella di un animale». Non è semplicemente una battuta di spirito, se Morris riesce a leggervi quello che noi non vi abbiamo per nulla colto. Interpreta Morris: «Il commento di Dalí la dice lunga sul modo in cui si era sviluppato il Surrealismo dalla sua nascita nel 1924. Nel primo manifesto Breton lo definì come “automatismo psichico puro”, un concetto che si addice perfettamente a ciò che faceva Pollock quando picchiettava il colore sulla tela. Secondo questa definizione il pittore americano sarebbe il surrealista per antonomasia mentre Dalí, in confronto, apparirebbe più che altro come un grande maestro del passato».

A novant’anni Morris ha deciso di leggere il mondo che ha conosciuto, utilizzando l’ottica dello studioso e nel contempo quella dell’artista che era da giovane, quando dipingeva quadri surrealisti con i quali nel 1950 esponeva a fianco di Joan Mirò. Oggi, da anziano signore, non trasforma la memoria in nostalgia fine a sé stessa, ma attraverso la ricerca riesce a mantenere il gusto della conoscenza. «Ho sempre condotto una doppia vita. Il cervello umano ha due emisferi: mentre uno è specializzato nell’analisi fattuale, l’altro si occupa prevalentemente dell’intuizione e della fantasia. Sono uno scienziato analitico, che studia il comportamento animale e umano. Ma sono anche un artista surrealista, interessato al funzionamento della mente inconscia. Quando lavoro come scienziato, rendo semplice ciò che è complesso. Quando lavoro come artista, rendo complesso ciò che è semplice. A novant’anni dipingo ancora nel mio atelier ogni sera fino alle 4 del mattino». Dal 1947 fino a oggi ha realizzato circa tremila dipinti e seimila disegni, una produzione da fare invidia ad un professionista dell’arte, e dal 1987 ha preso anche a vendere le sue opere. È straordinario e semplice, quanto la sua spiegazione sulla nascita dell’arte: «Nelle prime tribù di cacciatori-raccoglitori, l’uccisione di un grosso animale era motivo di gioia. Per rendere speciale quell’evento, le tribù decoravano il loro volto con colori vivaci, indossavano costumi speciali, facevano musica e ballavano. Così sono nate le arti. Da allora abbiamo sempre apprezzato coloro che sono riusciti a rendere le cose “straordinarie”». È la forza dei maestri: staresti ore a sentirli parlare; non recitano brani a memoria ma esperienze di una vita. Oppure le scrivono nei libri, come ha fatto Desmond Morris.

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DESMOND JOHN MORRIS (Purton, 24 gennaio 1928) è uno zoologo ed etologo britannico, divulgatore scientifico e autore di libri sulla sociobiologia umana. Dopo aver studiato alla Dauntsey’s School di West Lavington, in Wiltshire, e aver prestato il servizio militare, ha frequentato l’Università di Birmingham, laureandosi brillantemente nel 1951 in zoologia. Nel 1954, grazie alla sua tesi sul comportamento riproduttivo dello spinarello, curata dal Premio Nobel Nikolaas Tinbergen, ha conseguito il dottorato presso l’Università di Oxford. In seguito, iniziò a lavorare per la Società Zoologica di Londra come curatore dei mammiferi dello Zoo di Londra, ma nel 1966 lascia l’incarico dopo contrasti interni. Si pose inizialmente all’attenzione del pubblico negli anni sessanta come presentatore del programma televisivo Zoo Time della Independent Television (ITV). La fama mondiale arrivò però nel 1967 con la pubblicazione del saggio La scimmia nuda. Studio zoologico sull’animale uomo(Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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IL GIORNALE

Pare surreale, ma questi artisti erano tutti figli di papà…

Gli animali nel millenario progetto culturale dell’uomo

 

Gli artefatti forniscono informazioni essenziali sulle radici culturali e storiche della comunità umana e costituiscono un’imprescindibile lezione di design; partendo da questo presupposto il libro affronta la problematica del rapporto uomo-animale fornendo alcuni elementi di contestualizzazione e percorrendo trasversalmente l’argomento, senza la pretesa di mettere un punto fermo, quanto piuttosto ponendo una serie di spunti per ulteriori approfondimenti e documentando, anche con esempi didascalici, quella articolata realtà. Il testo illustra, inoltre, un inventario di oggetti chiaramente di ispirazione zoomorfa, animalier, ovvero addirittura ibrida. Si tratta di differenti tipologie e livelli di oggetti che possono essere visti come una sequenza temporale di ‘storia delle cose’.

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