David Rockefeller – Venduta da Christie’s la sua prestigiosa collezione

 

L’ANSA-AP ha battuto la notizia sulla vendita clamorosa dell’imponente collezione di arte e altri tesori di Peggy e David Rockefeller. Tutti i giornali hanno, quindi, annunciato l’evento riguardante la casa d’aste Christie’s a New York. Alla ricerca dei record che fanno notizia, ecco tutti esultare per il nuovo record mondiale: 828 milioni di dollari contro i circa 500 milioni di dollari iniziali garantiti. «Si attesta come la più costosa asta di oggetti appartenuti a un singolo proprietario di sempre. Il precedente record era di ‘soli’ 484 milioni, raccolti con la vendita a Parigi della tenuta dello stilista Yves Saint Laurent, avvenuta nel 2009. L’oggetto venduto alla cifra più alta è un dipinto di Picasso, una ragazza con un cesto di fiori, battuto a 115 milioni di dollari. Subito dietro, con 84 milioni, una tela di Monet raffigurante le sue famose ninfee. Christie’s, che ha curato la vendita, ha piazzato tutti gli 893 lotti che componevano il tesoro dei Rockefeller». L’asta non è ancora finita, dal momento che online ognuno di noi è ancora in tempo per acquistare gli articoli meno costosi: un’idea regalo, come gemelli e ferma-soldi. Le attese non sono state tradite, dunque, perché autori come Monet, Matisse, Corot, Delacroix, Seguin, Morandi, Redon, hanno stabilito nuovi record di vendita e alcuni di loro hanno superato i 30 milioni di dollari ad opera. È il caso di Claude Monet, con le “Nymphéas en fleur“, serie di ninfee dipinte nel suo stesso giardino a Giverny, tra il 1914 e il 1917, è stata battuta per 84.687.500 di dollari. Le quotazioni delle varie opere le trovate su internet se avete la pazienza, la curiosità o l’interesse di cercarle. Noi di FLIP poniamo attenzione sul fatto che l’asta è formata da oltre 1600 pezzi. Sono opere d’importanza museale, nate dal dibattito artistico all’interno delle molteplici correnti dell’arte moderna e contemporanea, a partire dagli Impressionisti e passando per le Avanguardie Storiche di fine Ottocento e primo Novecento. Ma in vendita ci sono anche gioielli, argenterie e porcellane orientali, tappetti e mobili, oggetti di design.

Ciò che fa più impressione sono, comunque, le opere d’arte. Abbiamo citato, come esempio, “Fillette à la corbeille fleurie”, un olio su tela di Pablo Picasso, battuto per 115 milioni di dollari. Il dipinto del 1905, risalente al cosiddetto periodo rosa, apparteneva in precedenza alla scrittrice Gertrude Stein; il grande Ernest Hemingway l’aveva descritto nel romanzo Festa mobile. Una particolarità: l’unica opera italiana in catalogo, dipinta nel 1940 da Giorgio Morandi, “Natura morta“, uno dei due lavori su un supporto ovale che si conoscano del maestro, ha più che raddoppiato il proprio valore iniziale di 2 milioni di dollari. In poche parole, questa collezione rappresenta le attrazioni artistiche di una vita. Noi, le sfogliamo sui libri che conserviamo sugli scaffali di casa nostra; David Rockefeller e sua moglie ammiravano le opere appese ai muri di casa loro. David era il più giovane e ultimo nipote del fondatore della “Standard Oil”, quel John D. Rockefeller che molti ricordano come il primo miliardario degli Stati Uniti. David Rockefeller è conosciuto per le sue attività di filantropo che si spera siano continuate anche dai figli, eredi della gran parte del suo patrimonio, dei quali diceva: «Se avranno imparato le cose importanti sulla vita e come viverla, questo potrebbe essere il mio più grande contributo». Una cosa è certa: a quanto è stato annunciato, il ricavato della vendita della collezione, battuta all’asta da Christie’s a New York, andrà in beneficenza.

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DAVID ROCKEFELLER (New York, 12 giugno 1915 – Pocantico Hills, 20 marzo 2017) è stato un banchiere statunitense nonché uno dei fondatori del gruppo Bilderberg e della Commissione Trilaterale. David è stato il più giovane dei figli di John Davison Rockefeller Jr., il patriarca della famiglia. La sua ricchezza è stata stimata da Forbes in circa 3,3 miliardi di dollari, e per questo è sempre stato presente nelle classifiche delle persone più ricche del mondo. Tra le attività non imprenditoriali ha figurato la presidenza del Museum of Modern Art di New York nel periodo 1962-1972 e poi nuovamente 1987-1993. Nel corso della sua lunga carriera dirigenziale ha ricoperto ruoli di rilievo in alcune delle più grandi aziende del mondo (di cui ha detenuto anche quote azionarie) come la Exxon Mobil (figlia della Standard Oil fondata dal nonno John Davison Rockefeller) o la General Electric.

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IL SOLE 24 ORE

Dalla Collezione Rockefeller 832 milioni di dollari: un record per Christie’s New York

Importanti suggestioni da sottoporre ai giovani progettisti

Il volume propone una riflessione sul ruolo del disegno e del piano nella città contemporanea rileggendo l’opera di grandi maestri italiani. Un articolato insieme di contributi approfondisce, con diversi approcci, il controverso rapporto tra architettura e urbanistica che ha attraversato il dibattito sulla costruzione della città nel corso del Novecento in Italia. La ricostruzione del profilo di alcuni protagonisti, l’analisi dei temi e dei modi della discussione e la descrizione di luoghi e progetti specifici del secolo scorso costituiscono una multiforme riflessione sull’utilità del progetto urbano da cui trarre contenuti ancora attuali e importanti suggestioni da sottoporre ai giovani progettisti.

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Quirico Filopanti – L’italiano che inventò il concetto di “fuso orario”

Il FLIP di oggi è dedicato alla “politica dei fusi orari”. Non è un concetto recente perché, come spiega Franco Farinelli su LA LETTURA, già nel 1884 la comunità internazionale, dopo infuocatissimi confronti, aveva raggiunto la consonanza di idee sulla maniera di accordare i tempi dei singoli stati. Scelto il meridiano di Greenwich come meridiano di base, si pensò di suddividere l’intera superficie terrestre in 24 fusi orari, ognuno di ampiezza di 15° equivalente a un’ora, dal momento che ogni 24 ore la Terra ruota di 360° sul proprio asse.

E qui cominciarono le prime contestazioni, visto che Greenwich si trova in Inghilterra e quindi proprio l’Inghilterra diventava il punto di riferimento politico dell’intero globo terraqueo. I fusi orari, spiega sempre Farinelli nel suo interessante articolo, servirono anche in seguito per evidenziare differenze politiche. Il Nepal, ad esempio, ha deciso di adottare un fuso orario diverso da quello dell’India, per appena un quarto d’ora. Mentre l’India ha scelto un fuso orario uguale per tutti. Molti altri possono essere gli esempi, vale però ricordare di quando la Spagna, ubicata sul meridiano di Greenwich, ha mantenuto il medesimo fuso orario della Gran Bretagna fino al 1942 quando Franco preferì fissare le lancette sull’ora della Berlino di Hitler.

La domanda che, però, noi di FLIP vorremmo porre è: chi ha inventato l’idea di fuso orario? La risposta la troviamo a Bologna, dove nella Sala della Cultura di Palazzo Pepoli, il Museo della Storia di Bologna ha celebrato nel 2012 i “Duecento anni dalla nascita di Quirico Filopanti”, il cui vero nome era Giuseppe Barilli, autore nel 1858 di una proposta innovativa: i fusi orari. Fino ad allora si utilizzava l’ora solare locale, differente per ogni città. Tuttavia, con le prime linee ferrate per il trasporto passeggeri (la prima si inaugurò in Inghilterra nel 1830) occorreva mettere a punto gli orari ferroviari di arrivi e partenze. E questo valeva a maggior ragione per i contatti fra i differenti Stati. Manco a dirlo, Filopanti non trovò alcun aiuto né da parte degli stati nazionali, né da parte delle istituzioni economiche. Oggi, finalmente, anche su Wikipedia troverete che l’introduzione dei fusi orari, prima attribuita a Sanford Fleming, è riconosciuta al nostro Filopanti. È testualmente scritto: «Sanford Fleming fu ingegnere di molte ferrovie intercoloniali e della Canadian Pacific Railway. Sandford Fleming comunque non è stato il primo a proporre il tempo universale e fusi orari standard per tutto il mondo: i fusi orari sono stati infatti concepiti 21 anni prima dal matematico italiano Quirico Filopanti nel suo libro Miranda pubblicato nel 1858». Filopanti, in ogni caso, morì in povertà nel 1894. Per approfondire questo spunto di FLIP e conoscere la storia di Quirico Filopanti potere ricorrere al link posto di seguito sull’inventore dei fusi orari.

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QUIRICO FILOPANTI, pseudonimo di Giuseppe Barilli (Budrio, 20 aprile 1812 – Bologna, 18 dicembre 1894), è stato un politico, astronomo e matematico italiano. Giuseppe Barilli nasce il 20 aprile da Francesco Barilli, modesto falegname e Camilla Borghi, in località Riccardina, nei pressi di Budrio. Il padre, per guadagnare un poco di più, lavora ad ore nel vicino mulino della Riccardina, di proprietà dei Bolognesi, ricchissimi possidenti locali. Il Barilli si distingue subito alla scuola parrocchiale per l’attitudine agli studi di matematica. Date le scarse risorse della famiglia, il sacerdote Don Vittorio Viglienghi, vicepresidente delle scuole di Budrio, membro influente del Consiglio di Partecipanza e l’arciprete Don Gaetano Maria Baldini, si interessano del ragazzo che viene accolto a frequentare gratuitamente la scuola di latinità budriese. Dopo un’iniziale frequentazione dell’Università di Teologia il 3 luglio 1834 Giuseppe Barilli si laurea brillantemente in Matematica e Filosofia presso l’Università di Bologna, grazie al sostegno economico del Consiglio delle Comunità che, in seguito a una deliberazione straordinaria mai prima adottata, decide di fargli continuare gli studi a spese del Comune di Budrio. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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LA LETTURA (CORRIERE DELLA SERA)

La geopolitica dell’orologio

Il declino del mercato della pasta nel XX secolo


La produzione di pasta in Italia raggiunse il picco massimo agli inizi del XX secolo, per poi declinare nel periodo compreso tra le due guerre. Dopo la crisi degli anni ’70, in cui chiusero diverse fabbriche dell’arte bianca, oggi si è attestata ad un livello medio. Il colpo più duro fu la progressiva perdita nelle esportazioni, in particolar modo negli Stati Uniti, dove sorsero in sordina pastifici, che con l’affermarsi, fecero crollare le esportazioni italiane in America. Un dato per tutti: le esportazioni italiane, nel 1913, raggiungevano i 710.000 quintali di pasta, mentre già nel 1928 non superavano più i 120.000 quintali.

Persino la nascita dell’Unione Sovietica, produsse conseguenze negative al mondo della pasta. I raccolti di grano duro russo ed ucraino, che, nel periodo rivoluzionario, non arrivarono più in Italia, costrinse i pastai a diminuire la qualità del prodotto, finendo per miscelare semole a farine. Anche durante il periodo fascista, la pasta venne trascurata, registrando una limitazione delle esportazioni. Si registra, tuttavia, un abbassamento dei costi di produzione, ed un perfezionamento delle tecnologie per la lavorazione.

Sta di fatto che il periodo di recessione venne meglio sopportato dalle ditte del Nord, che aumentarono la loro produzione, al contrario di quelle del Sud che accusarono il colpo, con gravi perdite, pur essendo in numero maggiore. Non così a Torre Annunziata e a Gragnano, dove basandosi sulla lunga storia, la qualità del prodotto e sulla bravura imprenditoriale dei loro manager, si sono ritagliate una fetta del mercato.

Pietro Bembo – Con le sue Prose ritrovate fondò la lingua italiana

 

 

Il suo nome sfugge a chi non ha dimestichezza con i Classici. Pietro Bembo era un grande umanista, per l’appunto conoscitore dei classici latini, la cui figura è delineata nel nuovo libro della Collana “Scritture e libri del Medioevo” edita da Viella. Titolo: “Bembo ritrovato: il postillato autografo delle prose”. Autore: A. Bertolo. A riprendere il titolo vero del libro ritrovato, leggiamo: «Prose di messer Pietro Bembo nelle quali si ragiona della volgar lingua scritte al cardinale de’ Medici che poi è stato creato a sommo pontefice e detto papa Clemente VII divise in tre libri». Chissà, dunque, chi avrà il coraggio di continuare il nostro pur breve articolo per scoprire, come abbiamo fatto noi, questo lavoro realizzato su di un testo fondamentale da tre brillanti studiosi: un bibliologo, un paleografo e un filologo. Si tratta della prima edizione (stampata a Venezia nel 1525) delle Prose riguardanti la “volgar lingua”, ovverosia l’Italiano, quella lingua che stiamo usando per scrivere. Su quell’opera fu fondato l’italiano letterario e il modello che Pietro Bembo propose fu quello delle cosiddette «tre corone» (d’alloro naturalmente), meglio sarebbe dire «due corone + una». Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa. Il terzo, Dante, usava secondo il cardinale Bembo un linguaggio un po’ troppo popolare. Tre toscani, comunque, ecco perché la lingua fiorentina del trecento si affermò come lingua condivisa in Italia a scapito dell’altra lingua parlata alla corte di Federico II nel Sud d’Italia.

L’originale dell’opera giunto ai nostri giorni, è stato ben conservato nella biblioteca di un collezionista privato di testi antichi, e riporta in copertina, inciso in oro sulla rilegatura in marocchino rosso, lo stemma araldico di Bembo. Il bibliofilo aveva acquistato il volume negli anni Cinquanta presso un libraio antiquario la cui copia era pervenuta dagli eredi Foscarini, costretti a vendere nell’Ottocento il loro patrimonio librario. Era il prezioso acquisto fatto due secoli prima da Marco Foscarini, ambasciatore a Roma e futuro doge di Venezia. Ecco dunque ricostruito a ritroso il percorso del libro che Bembo aveva stampato, come s’è detto, a Venezia nel 1525 e che aveva lasciato in eredità al «suo fedele discepolo ed esecutore testamentario», Carlo Gualteruzzi. La scoperta più importante sono oggi le postille autografe di Bembo, poste ai margini del testo, perché i bibliofili i libri li custodiscono amorevolmente, ma sono gli studiosi che li esaminano e li riportano a nuova vita. Attraverso la ricostruzione filologica è possibile capire anche il metodo di lavoro dell’autore. Si comprende perciò che il grande umanista Bembo continuò ad annotare considerazioni per vent’anni dopo l’uscita del famoso libro, fino alla sua morte avvenuta a Roma nel 1547. In una seconda edizione delle Prose, parte di tali annotazioni furono inglobate nel testo a stampa, ma nell’originale si vedono quelle altre cancellate con un tratto di penna oppure ripetutamente corrette. Oggi anche le note non trascritte sono tornate alla luce grazie a quel testo, con chiose autografe, che permette di leggere le Prose come l’autore avrebbe pubblicato in una nuova edizione che non avvenne mai per mano sua, bensì di altri.

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PIETRO BEMBO (Venezia, 20 maggio 1470 – Roma, 18 gennaio 1547) è stato un cardinale, scrittore, grammatico, traduttore e umanista italiano. Contribuì potentemente alla diffusione in Italia e all’estero del modello poetico petrarchista. Le sue idee furono inoltre decisive nella formazione musicale dello stile madrigale nel XVI secolo. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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LA LETTURA (CORRIERE DELLA SERA)

Stelline a cinque punte e mezzelune: i segreti di Bembo

Gestione e valorizzazione dell’eredità archeologica

 

Il volume raccoglie le riflessioni e gli esiti progettuali del workshop tenutosi ad Agrigento nell’ambito del progetto di cooperazione Italia-Tunisie “DO.RE.MI.HE.” (Projet de Doctorat de Recherche pour la Mise en valeur de l’Héritage naturel et culturel). Il progetto è finalizzato alla stesura di un modello condiviso per l’attivazione sperimentale di percorsi di alta formazione e ricerca multidisciplinare dedicati alla gestione e valorizzazione innovativa dei siti archeologici nell’ambito dei contesti urbani e paesaggistici. Il volume indaga le modalità per concretizzare una nuova alleanza tra Patrimonio e Creatività in modo che produca un adeguato dividendo cultuale, generando un ambiente capace di innescare nuove azioni ecosistemiche che potenzino l’armatura culturale per l’innesco di un processo di culture-based renaissance di un territorio e della sua comunità.

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William Turner – La modernità si affacciava sulla scena del mondo

 

È la prima volta che le opere di William Turner sono in mostra a Roma, raccolte da David Blayney Brown per esporle al Chiostro del Bramante dal 22 marzo al 26 agosto 2018 con il titolo “TURNER, Opere della Tate”. Sono, infatti, provenienti dalla Tate Britain di Londra; ma in realtà giungono a noi direttamente dallo studio personale dell’artista, che non volle vendere, quanto donarle all’Inghilterra come lascito testamentario. Secondo il suo amico ed estimatore, John Ruskin, sono state realizzate negli anni per il suo “proprio diletto”. Rievocazioni di viaggi, vedute paesaggistiche fissate col pennello, emozioni dell’animo suscitate nel corso dei suoi soggiorni all’estero. Ruskin era solo uno degli illustri e colti intenditori che frequentavano costantemente il suo studio al numero 64 di Harley Street di Londra. Il duca di Bridgewater o Sir John Leicester avranno visto e commentato le oltre novanta opere esposte oggi a Roma: schizzi, studi, acquerelli, disegni e naturalmente dipinti ad olio. In inverno l’estroso pittore si chiudeva fra le pareti avvolgenti dello studio per trasferire su tela i ricordi di quanto gli si era impresso nella memoria dal vivo. Quando la bella stagione affiorava, prendeva a lavorare all’aria aperta. Allora, era possibile vedere in giro un ometto di poche parole, di bassa statura, robusto, sbrindellato. Anche se nel proprio ritratto giovanile sembra tutt’altra persona. Quest’uomo con tavolozza e cavalletto a spalla spaziava dai dintorni della sua residenza a mezza Europa. Disponeva il cavalletto dove percepiva una scena che lo colpiva, come il mare in tempesta o un rudere monumentale.

Davanti alle rovine di un acquedotto romano, “eterna” la Città Eterna. Qualcuno che mastica di pittura, da queste poche parole lette, si sarà ricordato degli impressionisti; si dedicavano anche loro alla pittura “en plain air”, solo che William Turner molto prima di loro ha colto modernamente la realtà che si presentava al suo sguardo curioso. Restituiva, con pennellate irrequiete, bagliori di luci e oscurità di ombre, lo scorrere o l’agitarsi dell’acqua, lo sfrecciare di un treno in una nuvola di fumo. Tutto questo lo dipingeva in modo libero, svincolato dal “controllo” che all’epoca la Royal Academy esercitava sugli artisti ammessi fra i suoi soci, come era lui stesso, ma dai quali spesso si dissociava per quel suo carattere indipendente che lo portava a dipingere a modo suo. Non era, perciò, un pittore alla moda, né era ben accetto dalla critica; anzi era oggetto di biasimi e allusioni, sui giornali dell’epoca. Questo però non gli precludeva dal rimanere sempre attratto dal giusto prezzo a cui vendere le proprie opere. E le opere di Roma sono proprio alcune di quelle invendute, perché non pagate secondo quanto da lui richiesto. Il fatto è che quelle vedute colte nei suoi viaggi affascinavano i contemporanei come luoghi esotici. Nell’agosto del 1818 è in Italia: Torino, Milano, Venezia, Roma, Napoli. Ammira i maestri della pittura nei musei, nelle chiese e nei palazzi dell’aristocrazia. Ed oggi a sua volta si fa ammirare da un pubblico incantato, perché è come scoprire il passato: non solo con gli occhi dei pittori, ma con la loro stessa sensibilità percettiva, come in quel suo acquarello nel quale ritrae Venezia e la laguna al tramonto. Turner lo dipingeva nel 1840, ma a noi tutti ricorda Claude Monet che nel 1872 rappresentava la sua evanescente impressione al levar del sole (Impression, soleil levant, al Musée Marmottan Monet di Parigi). Monet, col suo quadro connoterà la strada lungimirante, aperta molti anni prima da pittori come William Turner e non solo da lui. La modernità si affacciava sulla scena del mondo.

 

JOSEPH MALLORD WILLIAM TURNER (Londra, 23 aprile 1775 – Chelsea, 19 dicembre 1851) è stato un pittore e incisore inglese. Appartenente al movimento romantico, il suo stile pose le basi per la nascita dell’Impressionismo. Benché ai suoi tempi fosse visto come una figura controversa, Turner è oggi considerato l’artista che elevò la pittura paesaggistica ad un livello tale da poter competere con la più blasonata pittura storica. Famoso per le sue opere ad olio, Turner fu anche uno dei più grandi maestri britannici nella realizzazione di paesaggi all’acquerello, e meritò il soprannome di «pittore della luce». (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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LIBERO

Turner in Italia – Roma la folgorazione

ALMA: scuola di Cucina italiana dal respiro internazionale

 

Oggi conosciamo l’ALMA, il più autorevole centro di formazione della Cucina Italiana a livello internazionale. Cosa fa? ALMA forma cuochi, pasticceri, sommelier, manager di sala e della ristorazione, provenienti da ogni Paese, per farne veri professionisti grazie ai programmi di alto livello realizzati con gli insegnanti più autorevoli. Dove ha sede? ALMA ha sede nello splendido Palazzo Ducale di Colorno (Parma) e dispone delle più aggiornate attrezzature didattiche di cucina, pasticceria e sommellerie. A chi si indirizzano i corsi? Siamo certi che ALMA sia, per chi ha scelto di operare nell’affascinante mondo della ristorazione, un investimento decisivo per il futuro ed una straordinaria esperienza formativa. Bene! Vogliamo saperne di più!

SUL WEN: Visitiamo il website ufficiale dell’ ALMA

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Hermann Rorschach – Andy Warhol ne interpretò le famose macchie

 

I nostri lettori conoscono senza dubbio il famoso test di Rorschach. Conoscono anche le “Warhol’s Rorschach”? È una serie di sessanta dipinti realizzati da Warhol nel 1984, modellata sul famoso test “inkblot”, concepito dallo psichiatra svizzero Hermann Rorschach. Il test si compone sostanzialmente di 10 tavole: su ognuna di esse è riportata una macchia d’inchiostro simmetrica: 5 sono monocromatiche, 2 bicolori e 3 colorate. Le tavole sono sottoposte all’attenzione del paziente una per volta. Senza limiti di tempo, lo psichiatra chiede al paziente di esprimere tutto ciò che la tavola gli ispira, descrivendo una propria sensazione oppure raccontando una storia stimolata dall’immagine rappresentata. Non esistono risposte giuste o sbagliate, nondimeno Rorschach ha compilato un complesso elenco per la valutazione del test. Dall’interpretazione delle risposte è possibile delineare il profilo del paziente (attitudini, personalità, eventuali problematiche). Mentre il test effettivo, del tipo psicologico proiettivo, fornisce dieci macchie standardizzate per penetrare la personalità del paziente, Warhol dal canto suo con le “Rorschach Paintings”  ha inventato una personale interpretazione del test piuttosto che dell’osservatore delle sue macchie. Le ha ottenute dipingendo un lato della tela per poi ripiegarla verticalmente per imprimere l’altra metà.

Ironia del caso è che Warhol, inizialmente, aveva compreso erroneamente il processo clinico, credendo che i pazienti creassero loro stessi le macchie d’inchiostro e i medici interpretassero i disegni prodotti: «I thought that when you went to places like hospitals, they tell you to draw and make the Rorschach Tests. I wish I’d known there was a set». Pensava, cioè, che quando ci si recava nella sede di un ospedale, i medici chiedessero di realizzare le macchie e che in questo consistesse il test di Rorschach. Non era assolutamente a conoscenza che ci fosse un set di 10 tavole già predisposte. A causa di questo iniziale equivoco, la serie “Warhol’s Rorschach” è una delle poche opere in cui l’artista statunitense non si basa su immagini preesistenti. Nel saggio di catalogo predisposto per una mostra dedicata a questi particolari dipinti, il critico Rosalind Krauss, legge la serie “Rorschach” come una “parodica visione dell’astrazione Color Field”, praticata da Helen Frankenthaler e Morris Louis, Kenneth Noland e Jules Olitski. Questo movimento pittorico è, infatti, caratterizzato dall’uso di tele interamente dipinte con estensioni di colore, escludendo qualsiasi interesse nei confronti di segno, forma, materia.

 

HERMANN RORSCHACH (Zurigo, 8 novembre 1884 – Herisau, 2 aprile 1922) è stato uno psichiatra svizzero. Deve la sua fama soprattutto alla creazione di un originale metodo psicodiagnostico creato indipendentemente dai presupposti freudiani. Tale metodo, detto Test di Rorschach, si avvale di una serie di dieci tavole coperte di macchie d’inchiostro nere o policrome che il paziente deve interpretare. Hermann Rorschach nacque nel 1884 a Zurigo, la “capitale svizzera della psichiatria” dell’epoca (in quei decenni operarono presso l’Ospedale Psichiatrico della città, il celebre Burghölzli, psichiatri del calibro di Eugen Bleuler, Carl Gustav Jung e C.Velvet). (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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SOLE 24 ORE (in anteprima su Cinquantamila.it)

Rorschach e il suo test, anima e moda

Per chi non conosce Messina e la sua splendida zona sud

 

Una volta i libri li scrivevano per allettare a rimanere qualche ora in più in città. Oggi Brochure come questa servono per informare gli stessi abitanti della città a guardare il proprio territorio con occhi diverse. Lodevole quindi l’iniziativa della Pro Loco Messina Sud che mira a promuovere e valorizzare il patrimonio culturale e ambientale della periferia sud di Messina. Vale per tutti: giovani ed anziani.

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