Fratelli Montgolfier – Tra la folla stupita il pallone si levò nell’oceano d’aria

 

Prima dimostrazione pubblica ad Annonay, segnata 4 giugno 1783.

 

“Il mondo che verrà” è una raccolta di storie. Autore è Jim Shepard, scrittore americano. Nove storie di viaggio che rievocano le vicende di esploratori e di navigatori. Il racconto da cui prende il titolo la raccolta è una storia che richiama la frontiera americana, quella rurale e ottocentesca nella quale due donne prendono a frequentarsi, viaggiando scambievolmente nei propri sentimenti. Ma la storia che interessa noi è “L’oceano d’aria”, che l’autore dell’articolo, da cui prende spunto il FLIP di oggi, definisce «una magistrale divagazione sulla vita dei fratelli Montgolfier». È il racconto nel quale Joseph Michel e Jacques-Etienne Montgolfier, dodicesimo e quindicesimo figlio di una famiglia di cartai, sono riusciti – dapprima per gioco, poi per capacità migliorate dall’esperienza – a conquistare il cielo, quell’oceano di aria e di nuvole, che non fu più il luogo dei sogni, ma il luogo della realtà. Il 5 giugno 1783 (altre fonti riportano il giorno precedente) il pallone aerostatico fu fatto sollevare da terra nel corso della prima dimostrazione pubblica, ad Annonay. Dinanzi ai notabili degli “états particuliers” e ad una frolla gioiosa, nonostante la pioggia, si compì la prima ascensione. Un pallone sferico ad aria calda, di oltre 850 metri cubi, costruito con un involucro di taffetà rivestita di carta, si levò in cielo; coprì un volo di circa 2 km, per 10 minuti e raggiunse l’altitudine stimata di 1.600-2.000 metri. Al pallone non era sospeso alcun cesto; la qualcosa avvenne invece quando l’esperienza fu ripetuta il 19 settembre del 1783. l’Aerostate Révellion si alzò con un equipaggio composto da una pecora, un’oca ed un gallo, ma a differenza della volta precedente la dimostrazione ebbe luogo nella piazza che fronteggia il palazzo reale di Versailles, alla presenza dei monarchi: il Re Luigi XVI e la Regina Maria Antonietta. Il volo durò meno, circa 8 minuti, a causa di qualche difficoltà che rese il velivolo instabile. Furono coperti circa 3 km, ad un’altezza massima di circa 500 metri. Per i meriti imprenditoriali della famiglia, il governo francese riconobbe un pubblico finanziamento e quel pallone prese il nome di Mongolfiera. Il bel racconto di Jim Shepard fa rivivere i sogni che prendono forma nel laboratorio della fabbrica paterna, i debiti accumulati, gli esperimenti di volo, il freddo pungente e secco, che si trasformarono infine nello “spettacolo garantito dall’immensità dell’orizzonte a quelle altezze”.

LEGGI ALCUNI BRANI DEL RACCONTO: L’OCEANO D’ARIA da Il mondo che verrà di Jim Shepard

 

FRATELLI MONTGOLFIER. I fratelli Joseph Michel Montgolfier (Annonay, 26 agosto 1740 – Balaruc-les-Bains, 26 giugno 1810) e Jacques Étienne Montgolfier (Annonay, 6 gennaio 1745 – Serrières, 2 agosto 1799) sono stati gli inventori della mongolfiera, il pallone aerostatico che funziona con aria calda. La loro invenzione fu il primo aeromobile a portare un essere umano in cielo. In seguito al successo dei loro esperimenti, furono nominati membri straordinari dell’Accademia delle scienze di Parigi ed il padre Pierre ricevette, come riconoscimento, il titolo nobiliare ereditario de Montgolfier dal re Luigi XVI nel 1783. Il poeta neoclassico Vincenzo Monti scrisse in onore dei fratelli un’ode, paragonando la loro impresa a quella mitica degli argonauti. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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IL GIORNALE

“Che bello il mondo che verrà.
E sarà merito della letteratura”

La pasta, un successo del XX secolo in Italia come all’estero

 

 

La popolarità della pasta nel mondo si deve a piccoli, improbabili personaggi: gli emigranti. Queste persone hanno portato ovunque la nostra cultura e i nostri gusti, che sono divenuti modello di riferimento. Gli emigranti hanno aperto piccoli ristoranti italiani, dove gustare le nostre eccellenze gastronomiche, in particolare la pasta. Oggi, grazie a loro, l’Italian Food è un modello di successo nel mondo. La pastasciutta è divenuta alimento simbolo dell’Italia, e l’espressione “al dente”, che è intraducibile, fa parte del nostro stile di vita, in quanto storico. Già i napoletani usavano l’espressione “il nervo”, per indicare il giusto grado di cottura. Ugualmente nel suo celeberrimo testo sulla cucina dell’Ottocento, Artusi raccomanda di mangiare gli spaghetti “durettini”.
L’abitudine italiana, però, non vuol dire anche quella estera. Altrove la pasta viene consumata scotta, non sempre ma spesso come contorno. Per questo la pasta, la pizza e la cucina fanno parte dell’invidiabile Italian Stile, cioè del nostro stile di vita.

Se a tavola, in Italia, la prima portata è la pasta, cosa considerata ormai scontata in quanto usuale, il nostro stile di vita è dovuto al successo dei pastifici industrializzati, che hanno saputo, producendo di più e a basso costo, conquistare sicuramente il mercato italiano. Questo è avvenuto con la meccanizzazione totale degli stabilimenti, cioè a partire dagli anni ’20, per affermarsi pienamente dal secondo dopoguerra. Il miglioramento di vita, lo sviluppo industriale e l’esplosione dei consumi, ma soprattutto la raggiunta omogeneità dei costumi, ha comportato sicuramente il successo nazionale della pasta. I dati, infatti, ci riportano che il consumo di pasta passò, tra il 1936 e il 1954, dai18 ai 28 kg pro capite.
Così, con il Sud ed il Nord insieme, la pastasciutta “al modo napoletano” è divenuta la pastasciutta “al modo italiano”. La pasta, alimento meridionale per eccellenza, ha reso giustizia di ogni torto subito dal Sud dopo l’Unità d’Italia, entrando nelle abitudini di tutta la realtà nazionale.

 

Carlomagno – Cavalieri e amori cortesi nei castelli della Savoia medievale

 

La mostra “Carlo Magno va alla guerra”, è allestita nella Corte Medievale di Palazzo Madama, a Torino. Prorogata da luglio a settembre 2018, presenta il rarissimo ciclo di pitture medievali del Castello di Cruet (Val d’Isère, Francia), che testimoniano un esempio importante della pittura del Trecento in Savoia. Proprio la Savoia è il nodo centrale di questa mostra, ideata nell’ambito delle iniziative della Rete internazionale di musei che ricadono oggi nei territori anticamente parte del ducato di Savoia. La mostra espone le pitture murali del Castello de La Rive a Cruet. Realizzate alla fine del secolo XIII dai signori di Verdon-Dessous, vassalli di Amedeo V di Savoia (1285-1323), prendono ispirazione dalle vicende narrate nel Roman de Girart de Vienne, scritto nel 1180 da Bertrand de Bar-sur-Aube. L’ambiente culturale è dunque quello dell’amore cortese, della guerra, con battaglie, duelli, l’assedio di un castello, una investitura feudale, ma anche momenti distensivi e piacevoli legati a scene di caccia nelle ubertose foreste di epoca medioevale e la rappresentazione di un banchetto. Tante scene che accompagnano specifici episodi narrativi del poema cavalleresco. Le pitture in mostra, che misurano complessivamente oltre 40 metri, sono il risultato di un distacco murario avvenuto nel 1985 per ragioni conservative e, dopo un restauro terminato nel 1988, sono stabilmente esposte nel Musée Savoisien di Chambery. Oltre a questi distacchi, la mostra presenta una cinquantina di opere provenienti dalle collezioni di Palazzo Madama e da altre istituzioni, con pezzi fino ad oggi mai esposti al pubblico. Tali pezzi arricchiscono l’esposizione, permettendo di immaginare la vita nei castelli medievali della contea di Savoia tra 1200 e 1300.

Il percorso espositivo è, infatti, imperniato attorno a dieci sezioni tematiche: Le pitture murali di Cruet, che raccontano la storia dell’edificio e la delicata operazione relativa al distacco degli affreschi; I committenti dell’epoca, come Amedeo V Conte di Savoia e Filippo Principe di Acaia, attraverso l’esposizione di documenti preziosi del XIII secolo; Momenti salienti della guerra, dei tornei e della caccia grazie alla presentazione di spade, speroni, punte di freccia e di lancia e naturalmente armature che evocano i cavalieri medievali. Un raro corno d’avorio ricorda le battute di caccia a cervi e cinghiali, passatempo preferito della nobiltà; Gli interni gotici, con l’esposizione di mobilio medievale; Poesie e romanzi cavallereschi, attraverso manoscritti e pagine miniate; Spese di corte illustrati da una pergamena con il resoconto delle uscite dei Savoia, accompagnato da alcune monete d’argento coniate durante il regno di Amedeo V e Aimone di Savoia; Oggetti preziosi e giochi con cofanetti in cuoio e legno dipinto, pettini e specchi in avorio, e alcuni giochi da tavolo per adulti (scacchi, tris) e bambini (bambole in terracotta); La tavola del principe, con oggetti usati nella mensa dei castelli; La devozione privata con sculture sacre provenienti dalle cappelle dei castelli della Valle d’Aosta; I cavalieri sacri, con sculture in legno e avorio che rappresentano i santi venerati nel Medioevo, come San Vittore e San Eustache.

VISITA LA MOSTRA: “CARLO MAGNO VA ALLA GUERRA”
Cavalieri e amor cortese nei castelli tra Italia e Francia
PALAZZO MADAMA – TORINO dal 29 Marzo 2018 al 17 Settembre 2018

CHEVALIERS ET AMOUR COURTOIS DANS LES CHÂTEAUX ENTRE L’ITALIE ET LA FRANCE

LEGGI ANCHE IL PIEMONTESE.IT: Gli affreschi del castello di Cruet in mostra a Palazzo Madama

 

CARLO, DETTO MAGNO O CARLOMAGNO (2 aprile 742 – Aquisgrana, 28 gennaio 814), è stato re dei Franchi dal 768, re dei Longobardi dal 774 e dall’800 primo imperatore del Sacro Romano Impero. L’appellativo Magno (dal latino Magnus, “grande”) gli fu dato dal suo biografo Eginardo, che intitolò la sua opera Vita et gesta Caroli Magni. Figlio di Pipino il Breve e Bertrada di Laon, Carlo divenne re nel 768, alla morte di suo padre. Regnò inizialmente insieme con il fratello Carlomanno, la cui improvvisa morte (avvenuta in circostanze misteriose nel 771) lasciò Carlo unico sovrano del regno franco. Grazie a una serie di fortunate campagne militari (compresa la conquista del Regno longobardo) allargò il regno dei Franchi fino a comprendere una vasta parte dell’Europa occidentale. La notte di Natale dell’800 papa Leone III lo incoronò imperatore dei Romani, fondando quello che fu definito Impero carolingio. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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LA LETTURA (CORRIERE DELLA SERA)

Carlo Magno va alla caccia
(e, dopo, invita tutti a cena)

“Benvenuti a Messina”: il video proiettato sulle navi crociera

 

Godetevi questa bella città di Messina, il suo mare e il suo spettacolare entroterra fra Taormina e Tindari. Questi sono i luoghi dove accogliere il turismo internazionale costituito da oltre 500.000 croceristi che ogni anno sbarcano nel porto falcato. Non è possibile trascurare queste ricchezze. Occorre un moto d’orgoglio col quale afferrare il futuro.

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Van Gogh – Penso di accettare apertamente il mio mestiere di matto

 

Gli stati d’animo singolari di Vincent Van Gogh, i suoi entusiasmi o le sue inquietudini, emergono nelle opere, dove soggetto e colore riflettono il mutare delle emozioni. Questo è il caso di una bella quantità di tele sul tema dei girasoli. Le troviamo esposte in molti musei del mondo: da quello statale di Amsterdam ovvero il Van Gogh Museum interamente dedicato all’opera dell’artista olandese, alla National Gallery di Londra, dal Kunstmuseum di Berna al Metropolitan Museum di New York. Cominciò a dipingere girasoli recisi a Parigi, a fine estate del 1887. Quando si trasferì ad Arles, a partire da febbraio del 1888, prese a dipingere girasoli in vaso: in una tela se ne contano 15, in un altra 12, oppure 5 o 3. Ne parla in varie lettere a suo fratello Theo. Agosto 1988: «Sto dipingendo con il gusto di un marsigliese ghiotto di boullabaisse, e non ti sorprenderà che i soggetti siano dei grossi girasoli», cosi scrive richiamandosi alla zuppa di pesce bollita a fuoco lento come sanno farla in Provenza. «Ci sto lavorando ogni mattina, dall’alba in avanti, in quanto i fiori si avvizziscono così rapidamente». Quando a ottobre Gauguin lo raggiunge e prende a vivere con lui, lo trova che dipinge ancora, ossessivamente, girasoli. A dicembre l’amico lo raffigura intento al cavalletto, un po’ infastidito perché non ama essere ritratto nel suo stato febbrile. Il tema è sempre lo stesso, solo che non è più stagione di girasoli quindi non c’è più preoccupazione che i fiori avvizziscano. Ne ha dipinti così tanti che li può replicare a memoria o ispirandosi alle tele che ingombrano le stanze che occupa al n.2 di place Lamartine, la sua «casa gialla». Gialla come la rappresenterà in un quadro e che arrederà con i suoi girasoli immancabilmente in variazioni di giallo: «Nella speranza di vivere con Gauguin in un nostro studio, mi piacerebbe realizzare una decorazione per l’ambiente. Mi piacerebbero molto dei grandi girasoli».

Il colore dominante di questi suoi lavori è, dunque, il giallo. Ora il Museo Van Gogh di Amsterdam lancia l’allarme: il giallo sta pian piano virando verso toni più cupi di un marrone olivastro. Non hanno torto i giornali di questi giorni quando titolano «I girasoli di Van Gogh stanno “appassendo”». La scoperta è frutto di due anni di studio. La “mappatura chimica” ai raggi X ha rivelato, infatti, che l’artista ha utilizzato due tipi differenti di colori a olio, uno dei quali risulta scadente, per cui è più sensibile alla luce e portato a smorzarsi. Tale variazione non è visibile ad occhio nudo, ciò nonostante in futuro il giallo di sfondo, i petali, i verdi dello stelo ottenuti sempre miscelando il colore giallo, potrebbero virare sulla gamma dei bruni. Sembrerebbero invece immuni le parti dove prevalgono gli arancioni. Frederik Vanmeert, esperto dell’Università di Antwerp, chiarisce: «Van Gogh usava un giallo cromo molto sensibile alla luce, un tipo di verde smeraldo e un rosso detto “di piombo” in aree molto piccole del dipinto, che diventeranno molto più chiare, nel corso del tempo». La motivazione è evidente. Vincent spiega a Theo le proprie ristrettezze economiche in una delle lettere: «Finora ho speso più in quello che mi serve per dipingere, tele e pigmenti, che per me stesso». A Parigi era solito acquistare i pigmenti da Tasset et Lhôte; a volte economizzava recandosi da Tanguy. «Non ti devo precisare – insiste per lettera – che, se mi comprerai i colori, le mie spese si ridurranno del 50%». Arlem non è Parigi e la scelta dei fornitori si restringe. La storia dell’arte, come si può capire, non si legge solo sui libri e anche le analisi dei restauratori possono avvalorare le parole di un artista. Fortuna è che individuate le cause del deterioramento spesso si riesce a trovare anche il rimedio. Marco Ciatti, soprintendente dell’Opificio delle Pietre dure di Firenze, conosce il fenomeno e nell’articolo del Corriere della Sera, qui di seguito, fornisce la sua soluzione al problema.

 

VINCENT WILLEM VAN GOGH (Zundert, 30 marzo 1853 – Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890) è stato un pittore olandese. Fu autore di quasi novecento dipinti e più di mille disegni, senza contare i numerosi schizzi non portati a termine e i tanti appunti destinati probabilmente all’imitazione di disegni artistici di provenienza giapponese. Tanto geniale quanto incompreso in vita, Van Gogh influenzò profondamente l’arte del XX secolo. Dopo aver trascorso molti anni soffrendo di frequenti disturbi mentali, si suicidò all’età di 37 anni. In quell’epoca i suoi lavori non erano molto conosciuti né apprezzati. Van Gogh iniziò a disegnare da bambino, nonostante le continue pressioni del padre, pastore protestante che continuò ad impartirgli delle norme severe. Continuò comunque a disegnare finché non decise di diventare un pittore vero e proprio. Iniziò a dipingere tardi, all’età di ventisette anni, realizzando molte delle sue opere più note nel corso degli ultimi due anni di vita. I suoi soggetti consistevano in autoritratti, paesaggi, nature morte di fiori, dipinti con cipressi, rappresentazione di campi di grano e girasoli. La sua formazione si deve all’esempio del realismo paesaggistico dei pittori di Barbizon e del messaggio etico e sociale di Jean-François Millet. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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CORRIERE DELLA SERA

Si scoloriscono i girasoli di Van Gogh
Il giallo del capolavoro è a rischio

Storia e gestione del paesaggio nelle aree rurali

 

Il volume costituisce una raccolta di grande interesse per la presenza dei diversi specialismi che offrono un quadro assai ampio delle problematiche connesse con la riforma agraria, ma soprattutto, offrono un bagaglio di conoscenze e di riflessioni prodromiche ad attività progettuali alla scala del territorio, della città e dell’architettura e si propone di analizzare, leggere e interpretare i paesaggi rurali storici, in particolare quelli siciliani, anche comparativamente con quelli di altre aree mediterranee, con specifica attenzione al rapporto tra forme dell’insediamento umano e sistemi agrari e urbanistiche. La finalità del lavoro è quella di costruire una base conoscitiva dei valori paesaggistici al fine di orientare le politiche di governo del territorio e le strategie culturali di formazione e di educazione al paesaggio.

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Galleria civica del Museo di Bassano – Le opere voltano le spalle al visitatore

 

Contro il muro Le tele girate per Abscondita che si terrà dal 2 giugno al 3 settembre.

Nella Galleria civica del Museo di Bassano circa cento opere d’arte, selezionate fra quelle facenti parte delle collezioni dell’istituto, «voltano le spalle» al visitatore. Non perché si sono offese di qualcosa! Per carità! Lo fanno soltanto per offrire una diversa prospettiva di lettura. Per rivelare segreti. Una mostra del tutto particolare, intitolata «Abscondita. Segreti svelati delle opere d’arte» (dal 2 giugno al 3 settembre, tutti i giorni dalle 10 alle 19, tranne il martedì). Le tele, sono esposte faccia al muro e mostrano solo il retro, che nessuno spettatore ha mai veduto. Ritratti, paesaggi, nature morte, scene sacre e profane sono occultate. Perché mai? Perché questa volta a raccontare e documentare la loro storia sarà il retro, che metterà in luce la trama della tela, il telaio, i chiodi, la cornice. A tutti gli effetti sono il supporto del dipinto, ma sono anche una fonte interessante di informazioni. Servono a comprendere le vicissitudini dell’artista e dell’opera, di quanti l’hanno posseduta, per leggere i segni dei restauri, per tracciare viaggi e mostre, attraverso etichette e timbri d’inventario, cartellini di esposizioni, nomi di mercanti d’arte e di collezionisti, dediche, annotazioni contenute in bigliettini, targhette, firme, ritagli di giornale, e ancora di più, come addirittura sonetti, dediche, attribuzioni cancellate, disegni o ripensamenti dell’artista. Ne viene fuori una storia dell’arte inedita. Leggiamo sulla scheda ufficiale che riportiamo di seguito: «La presenza sul retro di informazioni determinanti per la comprensione dell’opera si è rivelata di una ricchezza inaudita e nel panorama internazionale non è mai stato realizzato un progetto espositivo come questo volto a raccontare e documentare l’affascinante storia delle opere, ignota al pubblico che invece ben conosce il fronte».

Insomma, è come fare entrare gli spettatori di un’opera teatrale, anziché in sala, direttamente dietro le quinte: farli curiosare tra i fondali e gli attrezzisti al lavoro, passare sulle passerelle delle luci o entrare nei camerini degli attori. Con le tele di un museo non era mai stato fatto, a quanto se ne sa. In verità, questa analisi dei dipinti fatta osservando il retro, per gli addetti ai lavori è abituale e scontata, non lo è invece per lo spettatore. Da dove nasce, dunque, l’idea? La mostra è stata ideata da Chiara Casarin, direttrice dei Musei Civici di Bassano: «Ci siamo chiesti se nel Museo di Bassano ci fossero opere in grado di raccontare qualcosa di nuovo, favorire un cambio di abitudini nel visitatore, stimolando una nuova cultura. Mi sono documentata se ci siano stati dei precedenti simili, ma non ho trovato nulla». L’ispirazione è nata da un dipinto di Cornelius Norbertus Gysbrechts (Anversa, 1630 circa – dopo il 1675), conservato presso la Galleria Nazionale della Danimarca di Copenaghen, che raffigura proprio il retro di una tela. Quel dipinto, spiega la curatrice della mostra, è il tentativo di osservare l’arte attraverso «un medium che pensa a sé stesso e alle sue strutture nascoste, generando un nuovo linguaggio, in questo caso meta-pittorico, privo di rappresentazione referenziale. Proponendo la prima manifestazione assoluta – integrale – di un gesto auto-riflessivo della professione del pittore, lontano dall’autoritratto in studio». Chiara Casarin, sintetizza con una battuta l’essenza dell’esposizione: «Se davanti troviamo le invenzioni, dietro c’è un mondo di inventari». Aggiungeremmo che c’è anche il retro dei musei fatto di depositi. Qui, per fare un esempio, i frammenti scultorei sono conservati in casse, che possono rivelare oggetti impensabili. Quindi, in esposizione troviamo anche la coda del cavallo, parte di un imponente monumento equestre in gesso, oggi andato perduto, eseguito da Antonio Canova: «In questo caso “guardare sul retro” significa accedere dietro le quinte del lavoro, iniziato a marzo 2017, e che in futuro restituirà al pubblico la grande scultura che avrebbe dovuto sorreggere il regale cavaliere Ferdinando I». È un’anticipazione da parte della curatrice, perché, si sa, una mostra tira l’altra.

LEGGI ANCHE LA SCHEDA UFFICIALE DELLA MOSTRA: Abscondita dal 2 giugno al 3 settembre 2018

 

IL MUSEO CIVICO DI BASSANO DEL GRAPPA, situato in Piazza Giuseppe Garibaldi a Bassano, è un museo veneto sorto nel 1828. A partire dal 1840 la sede del museo civico è situata nell’ex convento di San Francesco e fin da allora sono ospitate collezioni di storia naturale (erbari, raccolte entomologiche, geopaleontologiche, malacologiche, mineralogiche) e vari libri, molti dei quali lasciati dal naturalista Giambattista Brocchi oltre a dipinti di varie dimensioni (provenienti da chiese e conventi soppressi in età napoleonica), che furono depositati nelle sale adiacenti al chiostro della chiesa di San Francesco a partire dal 1831. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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IL GIORNALE

L’arte dietro l’arte da Canova a Sironi: ecco i segreti del “lato B” delle opere

Domenico Fontana: un architetto svizzero a Napoli

 

Domenico Fontana – Architetto (Melide, Lugano, 1543 – Napoli 1607). Venuto a Roma ventenne, lavorò dapprima come stuccatore, poi (dal 1570) il card. F. Peretti, il futuro Sisto V, lo prese al suo servizio affidandogli l’elaborazione del nuovo piano regolatore di Roma (nell’ambito del quale realizzò nuovi tracciati viarî di collegamento di S. Maria Maggiore con Trinità dei Monti e le basiliche di S. Giovanni, S. Croce in Gerusalemme, San Lorenzo) e imprese di notevole impegno ingegneristico, come l’erezione di grandi obelischi (sulle piazze di S. Pietro, 1586, di S. Maria Maggiore, 1587, di S. Giovanni in Laterano, 1588, del Popolo, 1589) quali punti focali di significativi spazî urbani e, nell’ambito della costruzione della cappella Sistina (o del Presepe) in S. Maria Maggiore, il sollevamento e la conservazione integrale dell’antico sacello.

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Plautilla Nelli – Correte, c’è bisogno di voi per l’Ultima cena

 

Un particolare centrale dell’Ultima cena di suor Plautilla Nelli, pittrice rinascimentale

 

L’eco mediatico sta per spegnersi, quindi occorre un richiamo, una iniziativa. L’eco è quello della mostra aperta agli Uffizi di Firenze da marzo del 2017 e che si chiuderà il quattro di giugno prossimo. Oltre un anno di esposizione, non è poco. Plautilla Nelli (Firenze 1524-1588), merita: è infatti la “prima pittrice fiorentina”, recita così la scheda della mostra sul sito ufficiale: «Entrata a quattordici anni nel convento domenicano di Santa Caterina in Cafaggio – a Firenze, in piazza San Marco -, Plautilla, imbevuta della mistica savonaroliana, fu interprete appassionata della poetica figurativa ispirata al magistero di Girolamo Savonarola nel campo delle arti e al nuovo modello disciplinato di santità femminile della riforma tridentina». Una suora pittrice (oggi attira di più qualche suora cantante). La sua attività artistica fu subito indirizzata dai superiori a soddisfare la richiesta di “parenti e clienti”, intorno alla catena dei conventi toscani dell’Ordine dei Predicatori. Alcuni dei dipinti erano addirittura prodotti in serie da suor Plautilla, tanto era pressante la richiesta devozionale. La vendita di queste opere, d’altronde, era indispensabile per il mantenimento del convento di Santa Caterina. Nulla da meravigliarsi: fino all’invenzione della stampa, in altri conventi possessori di qualche prezioso manoscritto, era stato fondamentale riprodurre codici miniati. Tuttavia, dopo l’insorgere dei movimenti protestanti in Europa e la conseguente riforma cattolica, con l’emanazione dei decreti tridentini (1566), fu proibito adoperarsi anche in pratiche artistiche fuori delle mura conventuali.

L’interessante esposizione degli Uffizi, il catalogo Plautilla Nelli. Arte e devozione in convento sulle orme di Savonarola e il breve documentario che arricchisce la mostra, hanno ottenuto finanziamenti “fuori delle mura conventuali”, ora che la riforma tridentina è lontana ed anche perché il convento di Santa Caterina non è più destinato alle religiose. Ecco dunque che con il contributo della Advancing Women Artists Foundation (AWA), si sono potute restaurare 5 opere e 2 manoscritti esposti. Ma, dicevamo in apertura, ora che l’eco mediatico sta per spegnersi (giacché la mostra si avvia a chiusura) nasce l’idea di proporre il progetto “Adotta un apostolo”. Sono gli apostoli che compaiono nel dipinto, conservato a Firenze nel refettorio di Santa Maria Novella: L’ultima Cena. L’opera è dipinta da suor Plautilla Nelli, sempre la nostra pittrice fiorentina rinascimentale. Il fatto che sia rinascimentale e in più una donna, oggi come oggi, sono requisiti ottimi per attrarre l’attenzione sia nella penisola che fra gli amanti dell’arte italiana all’estero. I dodici discepoli ritratti nel dipinto, infatti, potranno essere “adottati a distanza”. Il costo non è per tutte le tasche dei comuni cittadini: c’è una tariffa al buon cuore. Un apostolo? Offerta: 10.000 dollari ciascuno. Gesù Cristo? 25.000 dollari. Scrive Patrizia Baldino, sull’articolo di Repubblica che FLIP vi propone, che l’autrice dell’opera ha voluto lasciare una esortazione ai suoi estimatori: «Orate pro pictora», vale a dire «Pregate per la pittrice». L’esortazione è oggi diventata per la verità: «Pagate per la pittrice».

LEGGI ANCHE SUL SITO DELL’AWA: Art In Need – What can I help restore now? – Adopt an Apostle

LEGGI ANCHE: Partito il crowdfunding per il restauro dell’Ultima Cena di Plautilla Nelli

LEGGI ANCHE SUL SITO DEGLI UFFIZI A FIRENZE: Plautilla Nelli. Arte e devozione in convento sulle orme di Savonarola

 

PLAUTILLA NELLI al secolo Polissena de’ Nelli (Firenze, 1524 – Firenze, 1588) è stata una religiosa e pittrice italiana. Pulisena Margherita nata nella famiglia fiorentina dei Nelli nell’anno 1524 fu battezzata il 29 gennaio 1525. Dopo la morte della madre e il secondo matrimonio del padre, Piero di Luca Nelli, mercante, entrò adolescente nel convento domenicano di Santa Caterina da Siena a Firenze dove prese i voti quattordicenne nel 1538 con il nome di Suor Plautilla. Con questo nome fu molto conosciuta nell’ambiente pittorico dell’epoca. Vasari ci informa che Plautilla avrebbe imparato a dipingere autonomamente, attraverso l’imitazione di altre opere: sappiamo che possedeva dei disegni di Fra Bartolomeo e, probabilmente, anche stampe di opere che circolavano all’epoca. Non ebbe la possibilità di seguire i progressi della pittura perché viveva in convento, le rimase oscuro il passaggio dal rinascimento al manierismo, anche se ebbe la possibilità di conoscere le opere dei maestri che avevano lavorato per i domenicani. La cerchia chiamata “Scuola di San Marco” era frequentata da artisti del calibro di Mariotto Albertinelli, Lorenzo di Credi e Giovanni Antonio Sogliani, oltre lo stesso Fra Bartolomeo. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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LA REPUBBLICA

“Adotta un apostolo”, l’iniziativa per salvare ‘L’ultima cena’ di Plautilla Nelli

L’orto dei bimbi: giochi e attività per creare un orto bio

 

Non solo un libro: L’orto dei bimbi è una guida pratica per adulti e piccini, per imparare, giocare e crescere coltivando ortaggi e erbe aromatiche. A partire dai principi della permacultura, bambini e bambine progettano un orto a loro misura. Un manuale utilissimo per Insegnanti, educatori, genitori e nonni, con più di 40 attività ludiche e didattiche per ogni fascia d’età, dai più piccolini fino agli adolescenti. Autore: Serena Bonura Editore: Terranuova Edizioni

 

ANTROPOLOGIA DEL GIOCO. Il gioco come forma di svago ha avuto importanza storica e antropologica in ogni epoca e cultura, come evidenziato da autori quali J. Huizinga (1939) e R. Caillois (1958); ma oltre al lato puramente ludico il fenomeno del g. presenta una grande varietà di aspetti e possibili approcci – sociologico, filosofico e psicanalitico – fino a diventare una forma di situazione tipica della realtà quotidiana.

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