Costruire una Macroregione Europea del Mediterraneo è divenuta necessità vitale

di Cosimo Inferrera

L’attuale corso delle relazioni internazionali è caratterizzato dalla presenza di potenze – quali Cina, India, Russia – che hanno generato una serie di iniziative destinate a rivestire un ruolo determinante nella configurazione dell’assetto mondiale e del sud Mediterraneo. Dal canto suo, l’Unione Europea si presenta come un disaggregato, privo di una visione condivisa su tematiche considerate strategiche, quali la politica estera e quella economico-finanziaria, industriale, energetica, demografica. Insomma, in tale “quadro multipolare” l’UE, pur rappresentando un indispensabile presidio dei nostri valori etico-morali, civili e religiosi si dimostra alquanto inadeguata a dare risposte efficaci sui grandi temi, che costituiscono il cuore della vita dei popoli europei, incapace finora di affrontare le sfide poste dalla competizione “globale”.

Occorre dunque saper intendere il problema della formazione di nuovi raggruppamenti, che focalizzino in modo dinamico e propositivo l’attenzione del contesto europeo in via di costituzione su tre elementi, vitali per formulare un programma unitario, quali infrastrutture, tecnologie, coesione sociale. In comunione con gli ideatori di “Vision and global trends”, sin dal Convegno di Roma presso “Spazio Europa” della UE in Italia (17 giugno 2015) ci siamo mossi e ci muoviamo su temi di prospettiva, avendo costituito via via il Comitato per la Macroregione Mediterranea (C-MMO), indi l’Associazione Europea del Mediterraneo (AEM).

In un recente Convegno su “La Nuova Visione della Città Metropolitana dello Stretto”, organizzato nel Salone delle Bandiere del Palazzo Municipale di Messina il 23 Febbraio u.s., l’Ing. Giovanni Saccà, responsabile per l’AEM del Settore ricerca infrastrutture, mobilità trasporti ha illustrato lidea/progetto del nuovo Ponte ME-RC. Da questo, ed intorno a questo, possa scaturire finalmente (!) in un quadro razionale, armonico, equilibrato il programma per realizzare de facto gli obiettivi del Corridoio Europeo Scandinavo Mediterraneo e per affrontare i problemi interattivi delle Città sorelle dello Stretto. Questi si trovano tuttora irrisolti, ostativi a percorsi di rinascita del Sud, se non vivificati dal congiungimento stabile, dalla mobilità urbana, dalla riqualificazione urbanistica in un concerto grandioso, generatore della Città Metropolitana dello Stretto, la 3^ del Sud, finora impossibile perché by passata da altre soluzioni. Ecco, una nuova Buda-Pest !

A tale riguardo, di grande significato propositivo, di rilevanza particolare suona l’annuncio: “Ora è ufficiale: esiste agli atti l’Area integrata dello Stretto” per un viatico euromediterraneo della Sicilia e della Calabria, riportate al loro geo-centro naturale. Ormai costruire una Macroregione Europea del Mediterraneo, multilevel, in grado di cooperare con le nuove potenze ed anche di competere con loro sviluppando una propria visione autonoma, ambiziosa, di lungo termine, multi-dimensionale è divenuta la necessità vitale da perseguire in via prioritaria, per mettere i nostri progetti più ambiziosi sul piano della concretezza !

Con questi auspici saremmo lieti e onorati di vedere con noi, partecipi ai lavori in un giorno di metà Marzo (fra il 16, il 17 o il 18), i Signori Sindaci delle Città dello Stretto, il Signor Presidente della Conferenza interregionale e (sperabilmente) i vertici delle Regioni Calabria e Sicilia, riuniti in proiezione verso un Tavolo comune VILLA-ME-RC per l’Agenda 20.30.  

Storie plurali di un territorio… per un Mediterraneo regione, non frontiera – 2/5

di Giuseppe Campione

2. Le città e le stanze del territorio, nella metafora di L.B. Alberti, scene locali dai contorni incerti e sovrapposti, che “nel loro montaggio complessivo, si catalizzeranno nei luoghi di maggiore dinamismo”, e allora la regione del nostro possibile approccio saranno connessione, relazione, in una maglia di gravitazioni e di gerarchie, saranno sistema. (G. Campione, La composizione visiva del luogo, Rubbettino, 2005).

Ma come si costruiscono le ‘città leggenda’ per un immaginario catalogo? Dalle grandi epopee letterarie eurocentriche dell’Ottocento alla filmografia contemporanea, la ‘narrazione’ della città e l’edificazione dei suoi ‘miti’ divengono le reali strategie di marketing urbano e, al tempo stesso, in modo più o meno consapevole, influiscono sui modi della città di intervenire su se stessa, come operazioni di trasformazione e cosmesi: la città prospera alimentando la propria leggenda, e il progetto architettonico – realizzato – diventa strumento della città per restare, rinnovandosi, comunque in modo percepibile all’altezza del proprio mito. Il ‘percorrere’ la città, il ‘camminare’, il ‘pedalare’, divengono in questo contesto non più solo strumenti di lettura, ma di vera e propria ‘scrittura’ delle narrazioni urbane o metropolitane.

Fattore in controtendenza, di livellamento e tendenziale omologazione percettiva delle diverse emergenti specificità di ogni mito, uno spazio pubblico che oscilla fra indebita metastasi del ‘pianeta degli slums’ e luogo globale dell’insicurezza e della paura. Ma anche la paura è un potente mezzo di narrazione: il discorso sulla città, ciò che la città narra, diviene allora “discorso della paura, esso stesso capace di contribuire, fino alla concretezza dell’intervento fisico, alla costruzione e al mantenimento del mito. In questo caso però è lo stesso mito ad omologarsi: le ‘geografie della paura’ contemporanee disegnano – e costruiscono – città che, a partire dalla loro unicità e differenza, in contesti fra loro dissimili e remoti, tendono a replicare i medesimi ‘antidoti’ rassicuranti.

Cinema, arti visive e letteratura sviluppano il “tema della città”, come, in maniera altrettanto massiccia, la pubblicità e tutte quelle immagini e discorsi che ogni giorno ri-creano le “città del mito”. In certi casi, la mappa mentale delle città può dirsi addirittura creata dall’insieme dei discorsi e delle rappresentazioni che si sono succedute e integrate componendo un’immagine che a volte oscilla tra lo stereotipo e il ritratto sfaccettato. Così ad esempio riflette Italo Calvino: Prima che una città del mondo reale, Parigi, per me come per milioni d’altre persone d’ogni paese, è stata una città immaginata attraverso i libri, una città di cui ci si appropria leggendo.
Augè (“Per inventare un nuovo futuro”, La Repubblica,1 febbraio 2005) ci riporta a quella che Lyotard chiamava la fine delle grandi narrative, un momento che corrisponde alla perdita delle illusioni: dai miti d’origine che sono spariti da tempo ai miti escatologici del futuro. Nel postmoderno spariranno anch’essi. Diamo per scontato, ad esempio, che le consuete rappresentazioni dell’integrazione mediterranea si fondino su presupposti decaduti: che le regole del gioco territoriale siano mutate e che serva ridefinire le specificità delle regioni rivierasche e dei loro possibili rapporti, nella traccia di denominatori comuni tra e nella varietà che si cela in ogni classificazione fatta dall’esterno, celandone la loro coessenzialità alla rappresentazione che partoriamo. Che il mondo mediterraneo, si riprendano le complesse definizioni, sia vario all’infinito, induce però a cercarne significato operativo ai nostri fini di geografi intenti a ridefinire le opportunità di connessione.

Una concezione suggerita dalle forme, confermata da strutture territoriali comunque fondate su baie riparate, lembi costieri di pianura, promontori difendibili anche se appoggiate a masse continentali. Fino all’estremo lembo di cultura greco-mediterranea verso nord, in fondo all’Adriatico, su una costa senza rocce, nel fango rimodellato in arcipelago della laguna, da dove Vincenzo Coronelli descriverà il mondo come un generale arcipelago, un Isolario che copriva i cinque continenti. Una concezione che affascina oggi per la sua efficacia nel dar conto di un mondo frammentato sì, ma connesso come non mai (G.Zanetto ( pro man.) e Campione, 2007, cit.).
Il declino di una concezione dello spazio geografico come susseguirsi di distese contigue, dominate da un’enfasi sui confini come sedi di conflitto, con i mari come vuoti; l’estinguersi rapido di un assetto geopolitico ha abbattuto (o, meglio, reso inutile) una frontiera che è stata caricata di significati di separazione tra mondo moderno e spazi, più o meno organizzati della povertà, spazi dei conflitti. Nella simultaneità, che sostituisce la velocità del moderno, il piccolo globo azzurro simbolo della rete globale rappresenta un mondo in cui non hanno senso le avanguardie, in cui il confine tra cultura ed economia è dissolto, in cui è decaduto il mosaico di aree omogenee garantite dal costo di superamento dell’attrito della distanza.

Ma che territorio costruisce la simultaneità della rete, dato che in esso la competizione ha infiniti partner e tutti possono sottrarsi ai monopoli ed al conformismo locali? E, ci sembra, finiscano col disegnare un paesaggio urbano diffuso che si squaderna in un territorio allargato? Territorio che non si ramifica necessariamente in conurbazioni lineari, né in sovrapposizioni sostanzialmente degradanti il tessuto urbano, ma denota rarefazioni insediative molteplici, in un processo di cariocinesi.
Il mondo contemporaneo così, ci ricorda Guarrasi (La città incompleta, Palumbo, Palermo, 2002), può essere considerato come un sistema territoriale complesso, articolato appunto in complessi regionali: ognuno di questi complessi manifesta a sua volta un certo grado di differenziazione interna derivante da vincoli storico-ambientali, la cui azione si sviluppa nel lungo periodo. Una tipologia di situazioni territoriali aperte, collocate nell’intersezione di uno spazio relazionale, con le sue relazioni verticali, orizzontali, complesse, per utilizzare Dematteis (Progetto implicito, Franco Angeli, Milano,1995). Un territorio urbano pensato al plurale, perciò, dove si accumulano, si sedimentano storie plurali. Nella polifonica dissonanza e nella programmatica incompletezza dell’agire umano: Un evento che accade, che sta accadendo e che si disloca perturbando, disordinando, secondo i canoni decostruttivi di Derrida (Come non essere postmoderni, Medusa, Milano,2002). Un evento come storia, dice ancora Augé (id.), come perturbazione del sistema proprio per il carattere eretico di ogni utopia. Così eventi emergono dalla ormai stentata omogeneità degli stati nazionali e lo stato sussiste solo in quanto efficiente sostegno in un libero trascorrere di capitali e tecnologie che li trova intenti a fluidificarne il mercato anziché segregarlo e proteggerlo.

E’ nelle keywords di Gottmann sulla teoria geografica che troviamo un definirsi dell’iconografia, l’insieme dei simboli cioè in cui crede la gente, anche, e perché no?, in un modo acritico che però si è sedimentato nel tempo, come un qualcosa (una forza?) che può determinare l’organizzazione degli spazi. Un elemento perciò discriminante o cloisonant, proprio perché esprime, in cospicua misura, “la caratteristica dei gruppi sociali a trovare identità religiosa, nazionale, culturale attraverso la costruzione di un set definito di credenze, di idee e di icone, a scala locale”.
A guardare quel che succede oggi, ci ricorda il Gottmann, la realtà non è così semplice; “alla liberazione dai vecchi ceppi -dalle minacce ancestrali a tutte le promesse della globalizzazione- risponde il risveglio dei nazionalismi, dei regionalismi, degli interessi locali, dei vecchi istinti tribali. La vera compartimentazione dello spazio non è nella geografia della materia” (“Geographie politique”, in Encyclopédie de la Pléiade, Géographie Générale, Gallimard, Paris, 1992). Comunque se è in ragione di questi fattori “à la fois matériels et spirituels”, diciamo culturali, che si determina le cloisonnement politique du monde, l’iconographie “permette di selezionare tra i fattori culturali quelli che condizionano i fenomeni di cloisonnement, i regionalismi”, creando altresì “la chiave del dialogo tra geografia culturale e geografia politica. Da questo dialogo ne verranno ulteriormente evidenziate appartenenze, identità radicate, idee ereditate, miti, linguaggi, simboli, icone.

Tuttavia la dissoluzione dell’ordine territoriale tradizionale non produce necessariamente le informi distese tipiche delle urbanizzazioni del terzo mondo, non dissolve i luoghi, non sostituisce con solidarietà di rete gli organismi locali: se pur può essere così, non è necessariamente essere così. Se gli standard comunicativi si fanno globali e implicanti una gamma vastissima di attività (fino alla omologazione in poltiglie culturali sincretiste scambiate per tollerante integrazione), resta pur vero che nessun attore economico è competitivo se con lui non compete il suo territorio: dai servizi pubblici alla solidarietà sociale all’identità etnica, alla semplicità, chiarezza e rispettabilità delle regole, dalla qualità e disponibilità di energia e acqua, dalla sicurezza personale al livello di tecnologia ed efficienza delle altre imprese tutto ciò fa spesso il differenziale di competitività.

Più direttamente soggetto al controllo diretto dei suoi membri, dotato della forza delle strutture spontanee (cioè rodate da infinite azioni di correzione ed aggiustamento e condivise dai suoi attori), il territorio consolidato (giustamente inteso come la forma tipica della regione geografica come frutto possibile e raro) compete e viene confermato se non addirittura consolidato dai processi di omologazione dei mercati. La coincidenza di economia, cultura e società nello stesso territorio è uno strumento formidabile di competitività.

La possibilità di rapide ed efficienti connessioni a tutto campo mina le strutture territoriali artificiose e coatte, premia quelle spontanee; la possibilità di connessione con qualunque luogo non lede l’utilità delle connessioni col vicino con l’obiettivo di costruire territori efficienti. Cadute le grandi cortine tra blocchi, le grandi aree limitrofe trovano ravvivati interessi di integrazione, di tessitura di trame territoriali fondate sulla reciproca specializzazione e scambio.

Parte prima
Parte seconda
Parte terza
Parte quarta
Parte quinta

Palazzo Chiericati e Gallerie d’Italia – Palazzo Leoni Montanari: Il Trionfo del colore

Mostra “Il Trionfo del colore. Da Tiepolo a Canaletto e Guardi
Vicenza e i capolavori dal Museo Pushkin di Mosca
Palazzo Chiericati e Gallerie d’Italia – Palazzo Leoni Montanari
Dal 23 novembre 2018 al 10 marzo 2019

I capolavori della grande stagione settecentesca dell’arte veneta patrimonio del Museo Pushkin di Mosca tornano eccezionalmente in Italia per essere ammirati dal 23 novembre al 10 marzo nella mostra “Il Trionfo del Colore. Da Tiepolo a Canaletto e Guardi. Vicenza e i Capolavori dal Museo Pushkin di Mosca”. 

I capolavori della grande stagione settecentesca dell’arte veneta patrimonio del Museo Pushkin di Mosca tornano eccezionalmente in Italia per essere ammirati dal 23 novembre al 10 marzo nella mostra “Il Trionfo del Colore. Da Tiepolo a Canaletto e Guardi. Vicenza e i Capolavori dal Museo Pushkin di Mosca”. 

L’esposizione avrà luogo a Palazzo Chiericati, sede del museo civico e alle Gallerie d’Italia – Palazzo Leoni Montanari, sede museale di Intesa Sanpaolo a Vicenza dove sarà esposta la Madonna con i santi Ludovico di Tolosa, Antonio di Padova e Francesco di Assisi di Giambattista Tiepolo, incorniciata dalla collezione di dipinti del Settecento veneto conservata nel Palazzo vicentino, tra i quali il celebre corpus di dipinti di Pietro Longhi. 

La mostra, che sino ad ottobre è visitabile al Museo Pushkin, è prodotta da MondoMostre e congiuntamente promossa dal Comune di Vicenza, il Museo delle Belle Arti A.S. Pushkin di Mosca e Intesa Sanpaolo, in doppia veste di sponsor per entrambe le sedi e di partner culturale, grazie alla propria sede museale vicentina. La curatela è di Victoria Markova, capo Dipartimento di cultura italiana del Museo Pushkin, insieme al Prof. Stefano Zuffi, storico dell’arte con la consulenza scientifica del Prof. Giovanni Carlo Federico Villa. 

I dipinti provenienti dal Pushkin saranno coprotagonisti di un’affascinante narrazione con trenta opere dello stesso ambito e periodo, selezionate dall’ampio patrimonio dei Musei Civici di Vicenza, ricco di oltre 50.000 pezzi, e dal patrimonio di Intesa Sanpaolo conservato a Palazzo Leoni Montanari, sede vicentina delle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo. Il percorso creerà un racconto capace di mettere in scena lo sviluppo dell’arte veneta del Settecento e il suo impatto deflagrante sull’arte europea, con artisti attivi in ogni angolo del vecchio Continente: apprezzati, imitati, seguiti, collezionati; abili nel muoversi in ogni ambiente ed eseguire soggetti sacri e profani che saranno modello per le generazioni successive.

In attesa del nuovo allestimento della sezione Sette-Ottocentesca di Palazzo Chiericati, la mostra costituirà un importante momento per le opere della collezione provenienti dalla Pinacoteca stessa, poiché torneranno a poter essere esposte in Italia dopo oltre un decennio. Il percorso conduce all’interno di quel magico momento dell’arte europea che fu il Settecento veneziano e veneto, reso eterno dai suoi protagonisti quali Giambattista Tiepolo, Giambattista Pittoni, Luca Carlevarijs, Giambattista Piazzetta, Antonio Giovanni Canal detto Canaletto, Francesco Guardi e Pietro Longhi. 

Si potrà fruire della bellezza delle loro opere nelle due sedi della mostra ma anche in chiese, palazzi e ville della città e del territorio. Percorrendo gli Itinerari appositamente messi a punto dagli organizzatori. Tra le tappe il Palladio Museum e le tre ville a pochi minuti da Vicenza e che rappresentano i maggiori capolavori ad affresco del Settecento europeo: Villa Valmarana ai Nani, Villa Cordellina e Villa Zileri che, anche per le pitture che li adornano, sono “Patrimonio dell’Umanità”.

“Abbiamo fatto conoscere all’ampio pubblico moscovita e russo l’arte veneta e i tesori d’arte della nostra Pinacoteca e di Palazzo Leoni Montanari – sottolinea Francesco Rucco, Sindaco di Vicenza – Ora offriamo ai veneti e ai nostri turisti la possibilità di ammirare i tesori dell’arte veneziana oggi patrimonio del Pushkin e avere un “saggio” di quanto il museo civico di Palazzo Chiericati offrirà stabilmente non appena ne sarà completato il nuovo allestimento”.

L’eccezionalità di questa mostra è data dalla possibilità di contemplare, tutti insieme, oltre cinquanta capolavori di cui una parte significativa appare sui manuali di storia dell’arte. In una straordinaria avventura visiva che consente di percepire appieno una grande stagione che ha visto la nostra arte – con Giambattista Tiepolo, ma anche Sebastiano Ricci, Pittoni e Canaletto – essere esempio assoluto per quella occidentale.

“Il Trionfo del colore mette insieme i principali valori che fondano il Progetto Cultura della nostra Banca, a partire dalla valorizzazione delle straordinarie collezioni d’arte Intesa Sanpaolo e dalla condivisione di iniziative con prestigiose istituzioni nazionali e internazionali. Abbiamo portato al museo Pushkin i nostri dipinti del Settecento veneto ed ora ammiriamo i capolavori provenienti da Mosca e quelli conservati nella Pinacoteca civica di Vicenza. Si conferma così un rapporto di profondo dialogo e scambio culturale sia con la Russia, sia con l’amministrazione di Vicenza, dove ha sede la prima delle Gallerie d’Italia cui la Banca ha dato vita”, commenta Michele Coppola, Direttore Centrale Arte, Cultura e Beni Storici, Intesa Sanpaolo.