Paolo Scarpi, Chiara Ghidini – La scelta vegetariana

Essere vegetariani per la specie umana è una scelta, non un’inclinazione naturale. L’uomo è un onnivoro, non un vegetariano ‘per stomaco’, come lo sono i ruminanti, per esempio. È per questo importante capire quando in una società, in una cultura, in un certo periodo storico, in uno stato, in un gruppo, in una setta si decide di allontanarsi dal regno della carne. Si tratta sempre di una scelta culturale, e nella maggior parte delle volte è quasi sempre espressione di una prospettiva religiosa.

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Federico Peiretti – Matematica per gioco

Si può trasformare la matematica in un luna park pieno di giochi divertenti e strani giocolieri che fanno volare formule e numeri? È proprio questo che riesce a fare l’autore del libro. Riprendendo l’avvincente indagine iniziata con il precedente, “Il matematico si diverte”, Peiretti la estende ai giochi più popolari, come le carte o i dadi, che nelle mani dei matematici sono sempre diventati sorprendentemente nuovi. 

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Musei reali di Torino – Ad acqua. Vedute e paesaggi di Baghetti: tra realtà e invenzione

Musei reali di Torino – Galleria Sabauda, Spazio Scoperte
Ad acqua. Vedute e paesaggi di Baghetti: tra realtà e invenzione
Mostra a cura di Giorgio Careddu
30 novembre 2018 – 31 marzo 2019

Giuseppe Pietro Bagetti, Veduta di paese, Musei Reali Torino-Galleria Sabauda, GS Inv. 716, Cat. 100 bis

Fine disegnatore e interprete sensibile della pittura di paesaggio, Giuseppe Pietro Bagetti (Torino,1764 –1831) seppe sfruttare magistralmente le potenzialità dell’acquarello per realizzare vedute e battaglie che lo resero celebre già presso i suoi contemporanei, al punto da suscitare l’apprezzamento dello stessoNapoleone Bonaparte. I Musei Reali di Torino dedicano al pittore la mostra Ad acqua. Vedute e paesaggi di Bagetti: tra realtà e invenzione, visitabile dal 30 novembre 2018 fino al 31 marzo 2019 all’interno dello Spazio Scoperte della Galleria Sabauda che, giunto al suo quarto appuntamento, continua a proporre al pubblico opere ricercate e spesso inedite all’interno del percorso espositivo. La mostra – curata da Giorgio Careddu e inserita nell’ambito di un progetto sull’acquarello in Piemonte promosso dall’Accademia Albertina di Torino -approfondisce alcuni momenti del cammino artistico di Bagetti e mette in evidenza la capacità creativa e la competenza geografica dell’artista nel riprodurre scene urbane e rurali, presentando una selezione di 39 opere appartenenti ai fondi di grafica della Biblioteca Reale e della Galleria Sabauda.

L’esposizione prende avvio dalla serie delle Vedute del Piemonte e del Nizzardo, incise a partire dal 1793, che associano all’esigenza di documentare fedelmente i luoghi rappresentati una spiccata attenzione verso gli aspetti metereologici. Una coppia di paesaggi di Pietro Giacomo Palmieri rendono poi omaggio al maestro che indirizzò Bagetti verso la tecnica della pittura ad acquarello, tecnica considerata come una novità, e verso gli aggiornamenti culturali che provenivano dagli altri paesi d’Europa e dal quale il pittore torinese seppe cogliere importanti suggestioni nel modo di interpretare la natura. Tempesta con nubifragio e Paesaggio con ruderi e città sullo sfondo ben rappresentano l’arte del celebre vedutista, in quanto caratterizzati entrambi dal gusto per il pittoresco che costituisce uno degli aspetti tipici del suo linguaggio figurativo.

Agli anni successivi all’annessione del Piemonte alla Francia, avvenuta nel 1802, risalgono alcuni schizzi a monocromo, preliminari alla redazione definitiva degli acquarelli oggi conservati al Museo di Versailles, che ritraggono la topografia delle località piemontesi scenario delle vittoriose campagne napoleoniche. L’attività della tarda maturità in cui Bagetti si dedica, su sollecitazione di re Carlo Felice, alla pittura d’invenzione è invece testimoniata nel percorso espositivo da quattro paesaggi boschivi nei quali la natura viene indagata nei suoi vari aspetti botanici, geologici e fisici.Contestualmente alla mostra e in collaborazione con l’Associazione Amici di Palazzo Reale, potrà anche essere visitata la straordinaria collezione di 68 acquerelli realizzati da Bagetti e attualmente conservati nell’Appartamento del re Vittorio Emanuele III, comprendenti anche i dipinti raffiguranti le battaglie vittoriose di Casa Savoia.

Schio (Vicenza) Palazzo Fogazzaro – Giovanni Demio e la maniera moderna tra Tiziano e Tintoretto

Schio (Vicenza) Palazzo Fogazzaro
Giovanni Demio e la maniera moderna tra Tiziano e Tintoretto    
Dal 31 ottobre – Prorogata fino al 5 maggio

Definito da Andrea Palladio “huomo di bellissimo ingegno”Giovanni Demio, nato a Schio intorno al 1500-1505, è uno degli artisti più eccentrici e sfuggenti che si siano espressi in Italia nei decenni centrali del Cinquecento. Un caso emblematico di maestro “girovago”, oltre che nella sua città natale e nella vicina Vicenza, operò nel territorio benacense, a Venezia, Brescia, Padova, Milano, Napoli, Salerno, Pisa, Orvieto e, presumibilmente, a Verona, Firenze e Roma. Dal 31 ottobre 2018 al 31 marzo 2019 nelle sale di Palazzo Fogazzaro, saranno riunite, per la prima volta, le opere più importanti dell’artista scledense provenienti da chiese, musei e collezioni private di tutta Italia nella mostra dal titolo “Giovanni Demio e la maniera moderna. Tra Tiziano e Tintoretto” – promossa e sostenuta dal Comune di Schio, su progetto di Contemplazioni a cura di Vittorio Sgarbi con la direzione artistica di Giovanni Lettini, Sara Pallavicini, Stefano Morelli e la ricerca scientifica di Pietro Di Natale. 

Il percorso espositivo dedicato a Giovanni Demio si configura come un raffinato racconto sul Maestro e sulla sua produzione, fatta di ricerca e contaminazioni provenienti da tutta l’arte italiana ed europea del ‘500, come afferma Vittorio Sgarbi: «un ribelle, Demio, fuori quota, incontrollabile, imprevedibile, pronto a contaminarsi con tutti i pittori più forti di vita. Eppure, alla fine, un formalista, sempre più lontano dal naturalismo padano e sempre più vicino a un delirio visionario alla El Greco». Le opere raccolte mostrano il talento dell’artista, abile nel dar vita a suggestioni inimitabili ed emozioni tangibili grazie alla sua costante, personale ed elaborata ricerca manieristica come nei giovanili Compianti di Merano e di Lavenone, nella Madonna adorante il Bambino del Museo di Castelvecchio di Verona, nella pala con Martirio di san Lorenzo di Torrebelvicino, nelle ante d’organo della chiesa di San Pietro a Schio, nella Sacra conversazione di collezione privata, nel Riposo nella fuga in Egitto della Galleria Palatina di Firenze, o nella miniatura del Museo Civico Ala Ponzone di Cremona, e ancora nell’Adorazione dei pastori di Santa Maria in Vanzo a Padova oppure nell’Adorazione dei Magi di Casa Martelli di Firenze, nell’Adorazione dei Magi e nell’affresco con Santa Caterina della Pinacoteca di Palazzo Chiericati a Vicenza. 

Tiziano, Tintoretto, Veronese, Moretto, Romanino, Jacopo Bassano, Schiavone, i grandi maestri del Cinquecento che influenzarono il percorso stilistico e biografico di Giovanni Demio, arrivano oggi a Schio, con le loro opere provenienti da quei luoghi d’Italia che Demio rincorse e raggiunse. Un avvenimento unico. Il loro originale modo di rendere omaggio a colui che apprese dalla loro arte dandone vita a un’altra altrettanto unica e suggestiva.  Alla fine del percorso espositivo, i visitatori saranno accolti da un’esperienza di realtà virtuale resa possibile da Sparkling e Venetcom: un viaggio immersivo nella chiesa milanese di Santa Maria delle Grazie dove, nella Cappella Sauli la pala d’altare e l’intera decorazione comprendente gli affreschi e i bassorilievi, sono state eseguite proprio da Giovanni Demio. 

La mostra, desiderata con fervore da Vittorio Sgarbi, non solo rende giustizia a questo grande artista, dall’innegabile abilità stilistica, ma, grazie ai fondi stanziati per realizzarla, ha reso possibile un’importante operazione di restauro che ha consentito di riportare alla luce le sue opere, sottraendole dall’ineluttabile scorrere del tempo, restituendole al grande pubblico e alla città di Schio. «Si tratta di un altro importante passo nel percorso di crescita della nostra amata Città. Schio vanta tra i propri cittadini nomi importanti, che, in vari settori, hanno portato lustro al nostro territorio. Ringraziarli, ricordarli e valorizzarli con manifestazioni di qualità elevata è il giusto tributo che dobbiamo loro per quanto hanno realizzato» ha dichiarato Valter Orsi, sindaco di Schio

L’importanza storico artistica di questa operazione è evidente anche nel catalogo “Giovanni Demio e la maniera moderna. Tra Tiziano e Tintoretto” a cura di Vittorio Sgarbi e Pietro Di Natale, edito da Contemplazioni, una pubblicazione scientificamente molto rilevante per la storia dell’arte: qui ricerche inedite e contribuiti dei massimi studiosi del manierismo veneto fanno luce sulla storia e sulle opere di Demio e dei suoi contemporanei riservando dei veri e propri colpi di scena.  

Sebastiano Tusa: un mondo di conoscenze, scevre di presunzione, ricche di umiltà

di Cosimo Inferrera

Accostarsi alla figura scomparsa di Sebastiano Tusa con la pretesa di consegnare ad altri un referto è come stare sulla soglia della violenza verbale. Non possiamo aggiungere parole che siano testa di ponte per altre parole … Un profilo sintetico della Sua personalità complessa però possiamo tentarlo. Primo punto la FORZA. Forza di restare con costanza e senza cedimenti nel recinto invalicabile delle scelte etico-morali. Sempre. Dunque come virtù dantesca, da cui la Sua “virtute”. Secondo la CONOSCENZA. Cioè sintesi organica, armonica, originale di culture, dalla archeologia, alla storia, dalle religioni alla antropologia … Sono, appunto, virtù e conoscenza i capisaldi che devono presiedere alla vita pubblica, rari e preziosi più delle stesse piattaforme petrolifere che un Eroe civile, lungimirante come Enrico Mattei aveva intravisto, a rischio di vita, per ridare energia di ripresa all’Italia postbellica. Oggi non solo soffriamo della ben note carenze, ma siamo ancor più carenti, a livello gestionale e territoriale di forza morale e competenze … La scomparsa di Sebastiano Tusa lo evidenzia drammaticamente per la Sua giovane vita, per la Sicilia e … (ma non ci crede nessuno) per la stessa Italia.

Le Fisarmoniche di Castelfidardo: sfidano i nuovi gusti musicali

L’antenato della fisarmonica fu lo “tcheng” o “sheng”, un antichissimo strumento cinese e degli altri paesi del sud-est asiatico risalente addirittura a 4500 anni fa. Fu lo “tcheng”, infatti, a utilizzare per primo l’ancia libera, principio sul quale si basa anche la fisarmonica. Il deposito del brevetto della fisarmonica risale al 1829 a opera di Cyrill Demian a Vienna, ma il fondamentale rimaneggiamento avvenne in Italia nella seconda metà dell’Ottocento. A Castelfidardo infatti, nel 1860, la sconfitta dell’esercito pontificio a opera delle truppe piemontesi segnò un traguardo fondamentale nell’unificazione italiana con l’annessione dei territori delle Marche e dell’Umbria al Regno Italico. Questo territorio fu la culla che vide nascere i primi “organetti” o “fisarmoniche”, strumenti conosciuti grazie alle truppe francesi al servizio dello Stato Pontificio e poi perfezionati e adattati ai gusti etno-musicali.

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LE FISARMONICHE DI CASTELFIDARDO

Apre a Napoli la nuova sede del Centro di ricerca Euromediterraneo del Pam

Palazzo Santa Lucia a Napoli

Mercoledì 6 marzo, alle ore 10:30, presso la Sala De Sanctis di Palazzo Santa Lucia a Napoli, si è tenuta la conferenza stampa di presentazione della sede del Centro di Ricerca Euromediterraneo del PAM a Napoli. Hanno partecipato Francesco Senese (Liaison Officer del PAM), Sergio Piazzi (segretario Generale del PAM) e il parlamentare europeo On. Andrea Cozzolino, che ha rilasciato una dichiarazione all’Agenzia Videoinformazioni. Ha concluso i lavori il Presidente della Regione Campania On. Vincenzo De Luca. Il PAM, acronimo dell’Assemblea parlamentare del Mediterraneo, è un’organizzazione internazionale che raccoglie come membri numerosi paesi che insistono sul bacino omonimo. L’Assemblea, con sede a Bucarest, ha il fine di promuovere le migliori condizioni politiche, socio-economiche, ambientali e culturali per i cittadini degli stati membri.
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IL WEBSITE UFFICIALE ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL MEDITERRANEO

Urbino Galleria Nazionale delle Marche – Giovanni Santi. “Dapoi…me dette alla mirabil arte de pictura”

Urbino Galleria Nazionale delle Marche
Giovanni Santi. “Dapoi…me dette alla mirabil arte de pictura”

Mostra a cura di Maria Rosaria Valazzi e Agnese Vastano
30 novembre 2018 – 17 marzo 2019

Segnata dal giudizio negativo di Giorgio Vasari, svilita dal confronto con l’eccezionale statura artistica del figlio Raffaello, la figura di Giovanni Santi è rimasta in ombra per secoli ed ancora poco nota anche oggi, pur dopo gli studi fondamentali di Ranieri Varese. Dal 30 novembre 2018 al 17 marzo 2019, con la mostra Giovanni Santi. “Da poi … me dette alla mirabil arte de pictura”, la Galleria Nazionale delle Marche | Palazzo Ducale di Urbino contribuirà a restituire il giusto ruolo all’artista in quel contesto urbinate che costituì un momento imprescindibile di avvicinamento alla formazione e alla cultura ‘visiva’ di Raffaello.

La poliedrica personalità umanistica di Giovanni Santi – dimostrata dall’ampia produzione letteraria – sarà testimoniata dal manoscritto originario del suo capolavoro, la Cronaca rimata, proveniente dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e visibile in mostra. E dal Vaticanoverrà anche il San Girolamo, che assieme alle opere provenienti dalla National Gallery di Londra, dal Museo Puškin di Mosca ed alla quasi totalità di quelle presenti in loco o provenienti dal territorio, tenterà di rendere visibile quella rete di relazioni e di reciproche interferenze artistiche che interessarono l’ambiente urbinate in età federiciana. Urbino, patria di Giovanni Santi, e il Palazzo Ducale – presso il quale fu molto attivo – vedranno restituito al pubblico, per tutta la durata della mostra, l’intero ciclo pittorico concepito originariamente per il Tempietto delle Muse: le otto tavole – sette rappresentanti le Muse ed una Apollo – opera di Giovanni Santi e Timoteo Viti, gentilmente concesse in prestito da Palazzo Corsini in Firenze, saranno ricollocate all’interno del loro ambiente originario.

A testimonianza del contesto culturale nel quale operò Giovanni Santi, saranno presentate delle opere coeve come l’Annunciazione di Fano del Perugino o l’Angelo Musicante di Melozzo da Forlì del Vaticano, che affiancheranno i capolavori di Piero della FrancescaGiusto di GandPedro Berruguete, etc., già presenti nelle collezioni della Galleria Nazionale delle Marche. Ed ancora, opere di scultura, come la Madonna con Bambino dalla Pinacoteca Civica di Jesi di Domenico Rosselli, già attivo nel cantiere del palazzo urbinate per il Duca Federico, o l’inginocchiatoio intarsiato proveniente dalla Cappella Oliva nella chiesa di S. Francesco di Montefiorentino a Frontino – della quale si esporrà anche la pala del 1489 – che affiancherà i straordinari intarsi dello Studiolo e delle preziose porte dell’appartamento ducale.

Le curatrici della mostra – Maria Rosaria Valazzi e Agnese Vastano – intendono quindi contribuire a ricollocare la figura di Giovanni Santi nella giusta prospettiva storica che merita: riscattarne dall’oblio la capacità critica dimostrata dalla Disputa de la pictura; dimostrarne le doti imprenditoriali che seppero caratterizzare l’intensa attività produttiva divisa tra opere di grande impegno e realizzazioni “seriali” di piccolo formato; analizzarne gli aspetti tecnici che caratterizzarono la qualità materica della produzione santiana. Parallelamente alla mostra ospitata nel Palazzo Ducale di Urbino, verrà pubblicato un itinerario alla scoperta di quelle opere di Giovanni Santi che, essendo inamovibili, sono rimaste nelle loro sedi originarie distribuite sul territorio. In particolare ad Urbino, oltre al Palazzo Ducale viene coinvolta la Casa di Raffaello dove visse Giovanni Santi con il figlio adolescente, ma anche la Cappella Tiranni nella chiesa di San Domenico a Cagli, la pala della Visitazione nella chiesa di S. Maria Nova a Fano e la Madonna con Bambino ed i SS. Elena, Zaccaria, Sebastiano e Rocco nella Pinacoteca Civica di Fano ed altri numerosi siti del territorio marchigiano.

Sebastiano Tusa: Mediterraneo? Innegabile il fascino per i grandi valori culturali che produce

Rendiamo omaggio a Sebastiano Tusa, archeologo di fama internazionale, assessore regionale per i beni Culturali e ambientali della Sicilia, tra le vittime italiane del disastro aereo in Etiopia di domenica 10 marzo 2019. Lo facciamo ascoltando una sua conversazione e leggendo un’intervista rilasciata a Massimiliano Cannata per “L’impresa, rivista italiana di management” del gruppo 24Ore. Tema è il fascino del Mediterraneo. «Dietro ogni cosa c’è un’archè, un principio che fonda la realtà e che occorre investigare con perizia se vogliamo capire le dinamiche del presente… Viviamo un’epoca in cui il Mediterraneo è debole, perché i paesi che vi si affacciano hanno economie deboli e non riescono a formare un fronte forte per contrastare il potere finanziario e l’ipotesi di un’Europa a “due velocità”».

SCARICA L’INTERVISTA DAL SITO WEB DI SEBASTIANO TUSA

www.sebastianotusa.it

Gorizia, Museo della Moda – Occidentalismo. Modernità e arte occidentale nei kimono

Gorizia, Museo della Moda e delle Arti Applicate
Occidentalismo. Modernità e arte occidentale nei kimono della Collezione Manavello. 1900-1950
Website ufficiale

La mostra è stata prorogata fino al 5 maggio 2019

Il Museo della Moda e delle Arti Applicate di Gorizia del Servizio Musei e Archivi Storici di ERPAC – Ente Regionale Patrimonio Culturale della Regione Friuli Venezia Giulia, propone una mostra interamente dedicata ai kimono. Non kimono qualunque, ma quelli prodotti in Giappone tra il 1900 e gli anni Quaranta, pezzi che riflettono la volontà imperiale di occidentalizzare il Paese. Così come, nel secolo precedente, il Giapponismo era deflagrato in tutta Europa, influenzando una parte significativa della produzione artistica, all’inizio del Novecento il gusto occidentale esplode in Giappone. E questa ventata di novità investe anche il capo-simbolo della tradizione: il kimono. Ai motivi tradizionali si affiancano disegni coloratissimi che richiamano, in modo puntuale, il Cubismo, il Futurismo e le altre correnti artistiche europee. C’è anche un singolare kimono che celebra il patto tripartito Roma-Berlino-Tokyo del 1940, dove la bandiera italiana è seminascosta dentro le cuciture mentre il Sol Levante e la svastica campeggiano ovunque.

Tanto è stato detto e scritto sull’Orientalismo e segnatamente sullo Japonisme, ovvero sull’influenza delle arti giapponesi su quelle europee tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento, ma poco si sa ancora dell’inverso rapporto, ovvero di quel fenomeno complesso e sfaccettato che portò talune arti giapponesi ad assimilare forme e contenuti di matrice schiettamente occidentale: avvenne con la pittura, che interpretò originalmente la lezione prospettica, ed avvenne con i kimono che, più di ogni altra forma d’arte, furono influenzati dal mutamento della società giapponese del tempo trasferendone fedelmente gli effetti sul tessuto, utilizzato alla stregua di una superficie pittorica.

Tra i pochissimi musei dedicati alla moda presenti sul territorio nazionale, il Museo della Moda di Gorizia è ora anche il primo museo italiano a indagare un particolarissimo settore dell’arte, offrendo al pubblico uno spaccato inedito e sorprendente di storia culturale.
Il periodo è uno dei più complessi e travagliati della storia giapponese, ovvero quello del passaggio da stato feudale a temuta superpotenza, culminato con il secondo conflitto mondiale. Da un punto di vista socio-culturale, il Paese del Sol Levante visse questo lasso di tempo (fine Ottocento/anni Quaranta del Novecento) con un atteggiamento conflittuale, in bilico fra il brivido delle novità provenienti da Oltreoceano ed il rassicurante attaccamento alla tradizione.

Nell’immaginario collettivo occidentale il kimono rappresenta l’icona stessa del Giappone nella sua veste suadente di raffinatezza ed esotismo. Ma pochi sanno che una cospicua parte dei kimono prodotti entro la prima metà del Novecento, cioè i kimono Meisen, sfugge decisamente a questa categoria, adottando fantasie suggerite dai movimenti d’Avanguardia (si va dalla Secessione viennese alla Scuola di Glasgow, dal Futurismo al Cubismo, dal Divisionismo all’Espressionismo astratto di Jackson Pollock), ispirate a contemporanei fatti di storia oppure ancora alle conquiste tecnologiche, in un eccitante e quanto mai sorprendente caleidoscopio di colori, fantasie, tecniche di decorazione e di tessitura, anche queste ispirate alla produzione tessile occidentale.

La mostra presenta 40 pezzi, tra kimono e haori (sovrakimono), una selezione particolarmente significativa del contesto illustrato, per far conoscere al pubblico un settore della produzione tessile giapponese fino ad oggi poco esplorato. I capi in mostra sono vesti raffinate, destinate ad un ceto medio-alto, non confezionate per l’esportazione. Potevano essere apprezzate da persone di una certa cultura o anche semplicemente curiose o desiderose di apparire al passo con i tempi. Avevano certo tutte una visione: il loro Paese alla pari con le grandi nazioni del mondo, capace di assimilare le loro conoscenze, i loro costumi ma con l’orgoglio della propria diversità. I 40 esemplari esposti, insieme a obi, stampe, illustrazioni e riviste, provengono da una importante collezione italiana, la Collezione Manavello. Tale collezione nel suo complesso è ben più numerosa, includendo capi da uomo, donna e bambino, sia tradizionali che non, oggetti e suppellettili attinenti all’abito e al suo contesto, quali calzature e accessori per capelli, oggetti per la cerimonia del tè, bambole e documentazione cartacea.