La battaglia di Lepanto (Lèpanto; chiamata Efpaktos dagli abitanti, Lepanto dai veneziani e İnebahtı in turco), detta anche battaglia delle Echinadi o Curzolari, fu uno scontro navale avvenuto il 7 ottobre 1571, nel corso della guerra di Cipro, tra le flotte musulmane dell’Impero Ottomano e quelle cristiane (federate sotto le insegne pontificie) della Lega Santa che riuniva le forze navali la cui metà era inviata dalla Repubblica di Venezia e l’altra metà dall’Impero spagnolo formato totalmente dal Regno di Napoli e il Regno di Sicilia, dallo Stato Pontificio, dalla Repubblica di Genova, dai Cavalieri di Malta, dal Ducato di Savoia, dal Granducato di Toscana, dal Ducato di Urbino, della Repubblica di Lucca (che partecipò all’armamento delle galee genovesi), dal Ducato di Ferrara e dal Ducato di Mantova.La battaglia, quarta in ordine di tempo e la maggiore, si concluse con una schiacciante vittoria delle forze alleate, guidate da Don Giovanni d’Austria, su quelle ottomane di Mùezzinzade Alì Pascià, che morì nello scontro.Alla battaglia partecipò il grandissimo scrittore spagnolo Miguel Cervantes Saavedra che fu ferito e perse un braccio nello scontro, si fece chiamare dopo” El monco de Lepanto” e scrisse la famosa frase elogiativa di Napoli che è affissa nella via Cervantes omonima, sul palazzo della Banca d’Italia. E’ inutile dire che questa battaglia che salvò per la seconda volta l’Occidente fu organizzata a Napoli, la flotta partì dal nostro porto, con legni, equipaggi e soldati nostri imbarcati sotto le insegne del vicereame spagnolo. Dopo la prima in assoluto, la Lega Campana, per la seconda volta nella storia si usa il termine Lega nelle nostre terre ed è vittoria piena e totale, non come successe alla lega lombarda che con la Pace di Costanza del 25 giugno del 1183 firmò lo scambio con Federico Barbarossa in seguito al quale i comuni medievali dell’Italia settentrionale si assoggettarono a restare fedeli all’Impero in cambio della mera giurisdizione locale sui loro territori. Nei fatti rimasero gregari e subalterni a Federico Barbarossa, Imperatore del sacro romano impero, cosa che potrebbe succedere ancora oggi se si approva la loro autonomia rafforzata, saranno la succursale della Baviera. Da noi invece, con le nostre coalizioni, fu vittoria piena e totale nel Mediterraneo, non siamo finiti come l’Ungheria, i Balcani e la Grecia, il nostro indomito stato cuscinetto d’Europa ha salvato l’intero Occidente ed il papato ben due volte, ma nessuna storiografia italiana ed europea ce lo ha mai riconosciuto, solo il papato ha celebrato le vittorie delle nostre coalizioni con il culto mariano, celebrato in tutti dipinti che raffigurano la Battaglia di Lepanto e con la festa del 7 Ottobre della Madonna della Vittoria o del Santo Rosario.Pochi sanno che i colori, i simboli, le stelle, la disposizione in tondo della bandiera europea, sono un omaggio a Maria di Nazareth, la madre di Gesù. Per dirla più esplicitamente: la bandiera europea è nata come un simbolo mariano. Quindi Il colore azzurro della bandiera europea deriva da manto di Maria che si dice avvolse e protesse le navi cristiane a Lepanto.Come pure l’acquisizione ufficiale (1572) della fascia azzurra per gli ufficiali in servizio delle forze armate italiane. la Sciarpa subì leggere modifiche sia nella foggia che nel modo di essere indossata, prima alla vita, quindi a tracolla dalla spalla sinistra al fianco destro sino a che, il 25 agosto 1848, ne vennero stabilite le caratteristiche definitive. Fu, però, solo nell’ottobre 1850 che assunse la forma di segno distintivo di servizio eguale per tutti i gradi degli ufficiali.
Galleria d’Arte Moderna di Roma Donne. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione 24 gennaio – 13 ottobre 2019
Felice Casorati, Susanna, 1929, olio su tela
Nella mostra la rappresentazione femminile attraverso la storia L’evoluzione dell’immagine femminile, protagonista della creatività dalla fine dell’Ottocento alla contemporaneità
Da oggetto da ammirare, in veste di
angelo o di tentatrice, a soggetto misterioso che s’interroga sulla propria
identità fino alla nuova immagine nata dalla contestazione degli anni Sessanta:
la mostra DONNE. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione – alla Galleria d’Arte Moderna di Roma dal 24 gennaio al 13 ottobre 2019 – è una
riflessione sulla figura femminile attraverso la visione di artisti che hanno
rappresentato e celebrato le donne nelle diverse correnti artistiche e temperie
culturali tra fine Ottocento, lungo tutto il Novecento e fino ai giorni nostri.
Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza
Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con Cineteca di Bologna, Istituto Luce-Cinecittà, la
mostra presenta circa 100 opere, tra dipinti, sculture, grafica,
fotografia e video, di cui alcune mai esposte prima o non
esposte da lungo tempo, provenienti dalle collezioni d’arte contemporanea capitoline, a documentazione di come
l’universo femminile sia stato sempre oggetto prediletto dell’attenzione
artistica. Per i possessori della MIC Card l’ingresso alla mostra è gratuito.
“Le donne devono essere nude per
entrare nei musei?” – si domandava in maniera provocatoria lo slogan di uno dei
più famosi collettivi di artiste femministe americane. L’interrogativo
rifletteva su una verità incontrovertibile. Per secoli l’immagine femminile è
stata, infatti, protagonista della creatività: il nudo femminile come forma da
studiare, modello di bellezza, di erotismo o di ludibrio, mentre la modella
diventava, alternativamente, la musa ispiratrice, la fonte di ogni peccato,
l’esempio di doti domestiche e di virginale maternità. Tra la fine
dell’Ottocento e i primi anni del XX secolo la rappresentazione della donna è
incardinata in un ossimoro che ne mostra l’ambivalenza: da una parte immagine
angelica, figura impalpabile ed eterea, puro spirito immateriale, dall’altra
minaccia tentatrice, fonte di peccato e perdizione. Da Le Vergini savie e le vergini stolte di Giulio Aristide Sartorio, alle modelle discinte in pose
provocanti dei pittori divisionisti (Camillo
Innocenti, La Sultana) passando a
L’angelo dei crisantemi di Angelo Carosi, la donna vive sospesa tra il suo
essere allo stesso tempo ninfa gentile e crudele seduttrice, Musa e Sfinge,
analogamente a quanto avveniva nella contemporanea letteratura simbolista e
decadente di D’Annunzio e dei poeti d’oltralpe e nelle stupefacenti pellicole
cinematografiche che facevano vivere sullo schermo le prime dive dell’epoca
moderna.
I profondi cambiamenti sociali,
politici che seguirono la fine della Grande Guerra con la messa in crisi dei
valori tradizionali, determinarono anche la prima grande rottura di
quell’immaginario consolidato. Di pari passo all’emancipazione sociale delle
donne – dai primi movimenti delle suffragette in Europa alla prepotente entrata
nel mondo del lavoro a causa delle contingenze storiche – anche la
raffigurazione dell’immagine femminile nelle arti visive risentì delle
contraddizioni di una società che stava cambiando. Alla trasformazione delle
dinamiche sociali si aggiunse l’impatto che su tutta la cultura occidentale del
Novecento ebbero le teorie freudiane (L’interpretazione
dei sogni è del 1900)
che scardinarono per sempre l’immagine armonica della famiglia tradizionale,
ora descritta come coacervo di pulsioni e conflitti. Nella serie dei ritratti
esposti al secondo piano della mostra spicca, tra gli altri, il volto di Elisa,
la moglie di Giacomo Balla, ritratta mentre si volta per guardare qualcosa o
qualcuno dietro di sé. Il valore iconico dell’immagine è racchiuso nello
sguardo che muta lo stupore in seduzione e curiosità trasformando il ritratto
della giovane donna da oggetto da ammirare a soggetto misterioso. Figure allo
specchio si interrogano sulla propria identità, volti enigmatici restano
ermetici allo sguardo, realistici nudi espressionisti si alternano a visioni di
un’umanità felice in uno spazio senza tempo.
Il forte richiamo alla famiglia
italica tradizionale propagandata dal Fascismo, insieme al decremento
dell’occupazione femminile, al fine di sottolineare e riaffermare l’esclusivo
ruolo della donna come madre, trovò riscontro in molte delle espressioni
artistiche coeve. Eppure quel modello, fatto proprio da molta arte degli anni
Trenta e Quaranta, viene spesso disatteso pur nella ripresa di un analogo
soggetto in cui l’intimità delle mura domestiche diventa un luogo e un
universo segnati da indecifrabili solitudini esistenziali (Antonietta Raphaël, Riflesso allo specchio; Luigi Trifoglio, Maternità; Mario Mafai, Donne che si spogliano; Baccio Maria Bacci , Vecchie carte). Il voto delle donne nel 1946,
conquista ottenuta anche grazie alla partecipazione femminile alla guerra di
liberazione, rappresentò una svolta radicale nella storia italiana. Fu solo a
partire dalla fine degli anni Sessanta, però, che le lotte per il
raggiungimento della parità di diritti produssero, nelle donne, un profondo cambiamento
nella percezione di sé, delle proprie possibilità e potenzialità nei più
vari ambiti compreso quello dell’arte. Contemporaneamente alla contestazione
sociale dei modelli patriarcali, la consapevolezza di una nuova identità
femminile fu al centro della ricerca di molte artiste (Tomaso Binga, Bacio indelebile; Giosetta Fioroni, L’altra ego) ed anche
il ruolo predestinato di “madre”, passando dalla condizione di scelta
obbligata, divenne il fulcro del dibattito sulle libertà della donna e sulla riappropriazione
del proprio corpo (Sissi, Nidi).
Il percorso espositivo sarà
accompagnato da videoinstallazioni, documenti fotografici e filmici tratti da opere cinematografiche e
cinegiornali provenienti dalla Cineteca di Bologna e dall’Archivio
dell’Istituto Luce-Cinecittà che ne hanno curato la realizzazione. In una sala della mostra sarà
proiettato il film, prodotto dall’Istituto Luce, Bellissima (2004) di Giovanna Gagliardi che
attraverso documenti storici dell’Archivio Luce, spezzoni di film, canzoni
popolari e interviste racconta per immagini il cammino delle donne nel
ventesimo secolo. L’ultima sezione della mostra, dedicata alle dinamiche e le
relazioni tra gli sviluppi dell’arte contemporanea, l’emancipazione femminile e
le lotte femministe, presenta materiale documentario proveniente da ARCHIVIA – Archivi Biblioteche Centri Documentazione delle Donne – e testimonianze di performance e
film d’artista di alcune protagoniste di quella stagione fondamentale
provenienti da collezioni private, importanti Musei e istituzioni pubbliche (Museo di Roma in Trastevere; Centro Sperimentale di Cinematografia –
Cineteca Nazionale; Galleria Civica d’Arte Moderna Torino; MAMbo – Museo d’Arte
Moderna di Bologna; MART – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e
Rovereto – Archivio Tullia Denza).
Per tutta la durata della mostra il
percorso sarà arricchito da nuove opere presentate al pubblico con incontri
inseriti nel ciclo L’opera del mese secondo un calendario in corso di
programmazione che partirà da marzo prossimo. Saranno anche organizzate, fra
aprile e ottobre 2019, una serie di iniziative culturali nel segno
dell’interdisciplinarietà – incontri, letture,
performances, presentazioni,proiezioni, serate musicali e a tema – sulle tematiche
affrontate dalla mostra. La GAM Galleria d’Arte Moderna dalla primavera 2019
lancerà, attraverso il suo sito e i social
network, anche il contest #donneGAM
tramite il quale
inviterà il pubblico a postare fotografie di donne protagoniste della propria
storia familiare. Immagini di nonne, madri, sorelle, compagne, ritratte al
lavoro, a scuola, in casa o in altri luoghi di vita, di attività e di impegno
per documentare le tante storie di donne di ieri e di oggi. Tutte le fotografie
saranno trasmesse in mostra, tramite un monitor, in un’area appositamente
allestita. Fino alla fine di febbraio nelle sale della Galleria sarà presente
anche un focus sull’opera di Fausto Pirandello grazie al prestito speciale del Museo
del Novecento di Milano del dipinto Il remo e la pala (1933),
esposto insieme ad altre opere della GAM Galleria d’Arte moderna dello stesso
autore.
IMMAGINE DI APERTURA – Amedeo Bocchi, Nel parco, 1919, olio su tela