Storie curiose: Alessandro Barbero – Come pensava un uomo del Medioevo: il frate

Salimbene da Parma era un francescano che si vergognava di chiedere l’elemosina perché, essendo nato nobile, avrebbe dovuto andare a cavallo, divertirsi nei tornei e farsi apprezzare dalle belle donne. Da giovane aveva creduto ciecamente alle profezie sulla fine del mondo, ed era rimasto molto male scoprendo che non erano vere. Si commuoveva fino alle lacrime davanti all’umiltà del re di Francia San Luigi, ma non riusciva a non ammirare il geniale imperatore Federico II, scomunicato. Scriveva in un latino infarcito di citazioni bibliche, ma pensava in dialetto padano. Non aveva riguardi per nessuno, e gli scappavano affermazioni per niente politically correct, come quando definì gli italiani del Sud “homines caccarelli et merdacoli”. Attraverso la sua monumentale Cronaca scopriamo che un frate medievale poteva essere molto più divertente e spregiudicato di quel che ci aspetteremmo.

IMMAGINE DI APERTURA – Particolare della copertina del libro di Salimbene edito da Laterza nel 1942

La comunicazione nell’era delle fake news – Quarta iniziativa della Scuola della Democrazia

L’Università di Messina – Dipartimento Di Scienze Politiche e Giuridiche e la Fondazione Nuovo Mezzogiorno promuovono la quarta iniziativa della Scuola della Democrazia come previsto nel programma relativo all’Anno 2019 -2020. Tema dell’incontro: LA COMUNICAZIONE NELL’ERA DELLE FAKE NEWS. Relatore: prof. Francesco Pira docente di sociologia della università di Messina. Introducono i professori: Patrizia Torricelli e Mario Calogero. L’incontro si terrà a partire dalle ore 15.30 del 13 febbraio 2020 presso l’aula “A. Campagna” del Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche in via XX Settembre n.4 – Messina

Visita il sito web: https://www.scuoladellademocrazia.it/

IMMAGINE DI APERTURA: La Scuola di Atene di Raffaello Sanzio (Fonte Wikipedia)

Milano: La fotografia di ricerca in Lombardia e in Italia

Milano: Spazio eventi di palazzo Pirelli
Dal 26 febbraio al 22 marzo 2020
La fotografia di ricerca in Lombardia e in Italia

Luigi Erba, Brianza, 1973 – 2009. Stampa ai pigmenti di inchiostro su carta cotone realizzata dallo Studio De Stefanis di Milano da vintage su carta baritata, eseguito con solarizzazione del negativo, 30 x 40 cm (su foglio 34 x 43.5). Courtesy Collezione Fabio Castelli

La rassegna ripercorrerà quel periodo che, dalla metà degli anni sessanta a tutto il decennio successivo, ha visto la fotografia di tipo documentario o di reportage, spostarsi nell’ambito sperimentale delle avanguardie artistiche.

Il percorso espositivo presenterà opere di alcuni protagonisti di quella stagione, da Ugo Mulas a Gabriele Basilico, da Paola Mattioli a Luigi Erba, da Nino Migliori a Mario Giacomelli, da Gianfranco Chiavacci a Franco Vaccari, da Mimmo Jodice a Ketty La Rocca, da Mario Cresci a Luigi Ghirri.

Dal 26 febbraio al 22 marzo 2020, lo Spazio Eventi del Consiglio Regionale della Lombardia in Palazzo Pirelli di Milano ospita la mostra LA FOTOGRAFIA DI RICERCA IN LOMBARDIA E IN ITALIA.

La rassegna, curata da Elio Grazioli, ideata da MIA Photo Fair in collaborazione con il Consiglio Regionale della Lombardia, ripercorrerà quel periodo che, dalla metà degli anni sessanta a tutto il decennio successivo, ha visto la fotografia spostarsi dall’ambito tradizionale, ovvero quello di tipo documentario o di reportage, a quello parallelo o interno alle avanguardie artistiche, spesso definito ‘sperimentale’ o ‘estetico’, degli “artisti che usano la fotografia” come linguaggio d’arte contemporanea, sviluppando indagini sulla luce, la percezione, l’astrazione e affiancando le ricerche di movimenti come la Body Art e l’arte concettuale.

Il percorso espositivo presenterà 80 opere di alcuni dei protagonisti di quella stagione, da Ugo Mulas a Gabriele Basilico, da Paola Mattioli a Luigi Erba, da Nino Migliori a Mario Giacomelli, da Gianfranco Chiavacci a Franco Vaccari, da Mimmo Jodice a Ketty La Rocca, da Mario Cresci a Luigi Ghirri, ad altri ancora, che documenteranno come i cambiamenti di linguaggio siano andati di pari passo con quelli della rappresentazione dei temi più ampi e determinanti della realtà, come il paesaggio, sia naturale che urbano, il corpo e il genere, l’identità e la società.

La mostra avrà un approfondimento a The Mall a Milano, durante MIA Photo Fair (19 – 22 marzo 2020), la fiera italiana dedicata alla fotografia d’arte, dove otto gallerie proporranno degli stand monografici con alcuni dei maestri che parteciparono a quella stagione, quali Luigi Erba, Aldo Tagliaferro, Lamberto Pignotti, Gianfranco Chiavacci, Paolo Gioli, Luigi Maria Patella, Franco Fontana, Michele Zaza.

E proprio in occasione della fiera, domenica 22 marzo 2020, lo Spazio Eventi del Consiglio Regionale della Lombardia rimarrà eccezionalmente aperto, dalle ore 11.00 alle 18.00.

IMMAGINE DI APERTURALuigi Ghirri, Dalla serie “Paesaggi di Cartone, 1971-1974”, Senza titolo, 1971. Courtesy Collezione Fabio Castel. Particolare

Tomaso Montanari – Dalla parte del torto

Il piccolo libro che state per leggere è l’invi­to a una ribellione intellettuale ed emotiva: un invito a liberare la parte di noi che è ri­masta fedele alle aspirazioni, alle convinzio­ni, all’etica di quando eravamo bambini. L’obiettivo di una sinistra che voglia cam­biare il mondo non è il potere sulla società, ma il potere nella società: il potere, dato a tutte e tutti, di salvare la propria vita dal do­minio del mercato. Il potere nei luoghi di lavoro, nelle lotte per le donne, per la difesa dell’ambiente, il potere della conoscenza e del pensiero critico aperto a tutti.

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IMMAGINE DI APERTURA: Foto di StockSnap da Pixabay

05 – Filosofia – Leibniz e il migliore dei mondi possibili – Piergiorgio Odifreddi

Gottfried Wilhelm von Leibniz nasce a Lipsia nel 1646. Si forma da autodidatta sui classici del pensiero, approfondendo poi gli studi in filosofia e giurisprudenza. Nel 1666, quando ha appena vent’anni, pubblica il suo primo scritto, Dissertatio de arte combinatoria, nel quale teorizza un modello logico da applicare alla conoscenza universale. Fin da giovanissimo, comincia a vagheggiare la fondazione di una scienza universale da costruire con la collaborazione delle migliori menti d’Europa, un progetto che lo porterà di capitale in capitale, mettendolo in contatto con le più grandi personalità culturali dell’epoca: in Olanda incontra Baruch Spinoza, a Parigi entra in relazione con Malebranche e il matematico Huygens, mentre a Londra conosce Isaac Newton. Nella capitale inglese, inoltre, viene ammesso alla Royal Society, grazie al progetto di una calcolatrice meccanica. Nel 1676 viene nominato consigliere e bibliotecario del duca di Hannover, il futuro sovrano Giorgio I di Gran Bretagna. A partire del 1680, comincia a dedicarsi quasi esclusivamente ai suoi studi, scrivendo e pubblicando una grande mole di opere di vario genere: dalla metafisica alla logica, dall’astronomia alla matematica. Scrive in tedesco, in francese, in latino; si fa promotore della nascita di molteplici istituzioni, come il Collegium Historicum di Vienna o l’Accademia prussiana delle scienze Gli ultimi anni della sua vita sono resi amari dalla disputa sorta tra lui e Newton a proposito della paternità del calcolo infinitesimale. Leibniz muore a Hannover il 14 novembre del 1716.

IMMAGINE DI APERTURAFoto di morhamedufmg da Pixabay  

Monza: Giappone. Terra di geisha e samurai

Monza, Villa Reale
30 Gennaio 2020 – 02 Giugno 2020
Giappone. Terra di geisha e samurai
Mostra a cura di Francesco Morena

Il meglio di due grandi collezioni private, unito per offrire a Monza, in Villa Reale (dal 30 gennaio al 2 giugno), una sorta di viaggio iniziatico in Giappone, paese la cui cultura e le cui arti affascinano da sempre, per grandissima varietà e raffinatezza.

Il percorso espositivo, messo a punto da Francesco Morena, propone uno spaccato delle arti tradizionali dell’arcipelago estremo-orientale attraverso una precisa selezione di opere databili tra il XIV e il XX secolo, tutte provenienti dalla raccolta di Valter Guarnieri, collezionista trevigiano con una grande passione per l’Asia orientale, alle quali si uniscono, in questa speciale occasione, alcuni kimono della raccolta di Lydia Manavello, collezionista trevigiana esperta conoscitrice di tessuti asiatici.
La mostra è prodotta da ARTIKA, con il Patrocinio del Comune di Monza.
Il percorso si sviluppa per isole tematiche, approfondendo numerosi aspetti relativi ai costumi e alle attività tradizionali del popolo giapponese.
La parte centrale dell’esposizione non poteva che essere dedicata al binomio Geisha e Samurai. Il Giappone tradizionale è infatti un paese popolato di bellissime donne, le geisha, e audaci guerrieri, i samurai. La classe militare ha dominato il paese del Sol Levante per lunghissimo tempo, dal XII alla metà del XIX secolo, imponendo il proprio volere politico ed elaborando una cultura molto raffinata la cui eco si avverte ancora oggi in molti ambiti. La geisha, o più in generale la beltà femminile così come la intendiamo noi (volto ovale cosparso di cipria bianca, abiti elegantissimi e modi cadenzati), ha rappresentato per il Giappone un topos culturale altrettanto radicato, dalle coltissime dame di corte del periodo Heian (794-1185) alle cortigiane vissute tra XVII e XIX secolo, così ben immortalate da Kitagawa Utamaro (1753-1806), il pittore che meglio di ogni altro ha restituito la vivacità dei quartieri dei piaceri di Edo (attuale Tokyo).
Dal mondo degli uomini a quello, affollatissimo, degli dei, sintesi di credenze autoctone e influenze provenienti dal continente asiatico. Il Buddhismo, in particolare, di origini indiane, è giunto nell’arcipelago per tramite di Cina e Corea. Esso ha permeato profondamente il pensiero giapponese, soprattutto nella sua variante dello Zen, che in questa sezione è testimoniata da un gruppo di dipinti nel formato del rotolo verticale raffiguranti Daruma, il mitico fondatore di questa setta.
Questo affascinante avvicinamento all’arte e alla cultura nipponica continua introducendo alla quotidianità del suo popolo: dalle attività di intrattenimento come il teatro Kabuki, dall’utilizzo del kimono alla predilezione degli artisti giapponesi per la micro-scultura. Di quest’ultima troviamo esempio nel nucleo di accessori legati al consumo del fumo di tabacco.

Beltà femminili, paravento a 6 ante dipinto a inchiostro e colori su carta, 173×372 cm, periodo Taisho (1912-1926). Particolare


Una sezione della mostra è riservata al rapporto tra i giapponesi e la natura, che nello Shintoismo, la dottrina filosofica e religiosa autoctona dell’arcipelago, è espressione della divinità. Questa relazione privilegiata con la Natura viene qui indagata attraverso una serie di dipinti su rotolo verticale, parte dei quali realizzati tra Otto e Novecento, agli albori del Giappone moderno.
A metà dell’Ottocento, dopo oltre due secoli di consapevole isolamento, il paese decise di aprirsi al mondo. Così, nel volgere di pochi decenni, il Giappone avanzò con convinzione verso la modernità. Intanto europei e statunitensi cominciarono ad apprezzare le arti sopraffini di quel popolo e molti giunsero a scoprire il mitico arcipelago. Il mutato scenario portò così molti artisti ad adottare tecniche e stili stranieri, e molti artigiani a produrre opere esplicitamente destinate agli acquirenti forestieri. Tra le forme d’arte inedite per il Giappone di quei tempi, la fotografia d’autore occupava senz’altro un posto d’elezione. Gli stranieri che visitavano l’arcipelago molto spesso acquistavano fotografie per serbare e condividere un ricordo di quel paese misterioso e bellissimo. È il caso dello sconosciuto che ha acquisito il nucleo esposto in mostra, il quale ha annotato in lingua spagnola, a margine delle fotografie, le descrizioni dei luoghi e delle attività raffigurate nei suoi scatti. L’ultima sala è riservata ad una delle forme d’arte più complesse e insieme più affascinanti del Giappone, la scrittura. Grandi paraventi ornati di potenti calligrafie concludono l’esaltante percorso espositivo.

IMMAGINE DI APERTURAUtagawa Kuniyoshi, Kumagaya, xilografia policroma in formato oban, 35,8×23,5 cm, della serie Le 69 stazioni sulla strada del Kisokaido, firmata Ichiryusai Kuniyoshi dipinse, 1852. Particolare

Macroregione europea del Mediterraneo unica àncora per risalire la china

C’è un’opportunità da cogliere subito per cercare di fermare il declino dell’Isola e del Meridione: si chiama Macroregione. Non è un nuovo potere, non si sostituisce a nessun ente, non toglie poltrone a chi le occupa, semmai costituisce un’iniziativa che, come è già stato fatto al Nord, può rappresentare un percorso per dialogare direttamente con l’Europa, concentrarsi su obiettivi, sveltire passaggi operativi per dare immediata concretezza ad alcuni progetti. La realtà sotto i nostri occhi non consente di temporeggiare ancora.

 Il Documento del Forum Accademia Peloritana UniMe – Gennaio 2020 

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IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Matthias Wewering da Pixabay

Carlo Berizzi – Piazze e spazi collettivi. Nuovi luoghi per la città contemporanea

Gli spazi aperti rappresentano il luogo ideale dove catalizzare le aspirazioni, le istanze, le visioni che la contemporaneità ripone nel futuro delle città. Se nel ventesimo secolo le strade e le piazze hanno assunto il significato di un’unica grande infrastruttura di mobilità per il transito e la sosta dei veicoli, consentendo alla città di espandersi e accorciando i tempi di spostamento al suo interno, il terzo millennio ha avviato una fase di riappropriazione del suolo per elevare la qualità dell’abitare assegnando al vuoto nuovi valori e significati collettivi. Il volume intende riflettere sul tema attraverso la lettura di alcuni casi studio internazionali alla ricerca di nuove figure dello spazio aperto capaci di coniugare qualità urbana, nuove forme di mobilità, ecologia e socialità. In conclusione un’intervista a Cino Zucchi, uno dei più influenti architetti italiani sulla scena internazionale.

IMMAGINE DI APERTURA – Immagine tratta dall’interno del libro a pag. 48

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Storie curiose: Alessandro Barbero – Monaci e Monasteri nel Medioevo

Lectio Magistralis del prof. Alessandro Barbero. Organizzato dall’Associazione Culturale “L’Albero Grande” il 13 maggio 2016 presso l’Abbazia S. Maria di Caramagna. Sono previste altre serate in autunno su storia ad architettura dell’Abbazia.

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di ATDSPHOTO da Pixabay 

“Raccolta di memorie” di Alberto Defez: un messaggio di impegno civile

di Paolo Pantani

Sono lieto di poter recensire il libro ” Raccolta di Memorie ” di Alberto Defez, perché posso cogliere l’occasione di celebrare la  sua figura gloriosa di combattente napoletano, ebraico, democratico, antifascista e posso raccontare di Napoli e della sua Storia millenaria, sempre sottodimensionata da una autentica “asimmetria informativa” da tutte le storiografie ufficiali. Da sempre infatti ci è toccato la definizione di “città plebea”, piena di  invereconde “pulcinellate”, in tutti i nostri avvenimenti, dalle Quattro Giornate di Napoli a risalire nel tempo.

Gli esempi sono innumerevoli,  a cominciare dall’eruzione del Vesuvio del 79 D.C. . Per la prima volta si dette luogo alla prima operazione di Protezione Civile della storia attraverso le galee della flotta imperiale romana ormeggiate a Miseno e al comando di Plinio il Vecchio la quali salparono al soccorso delle popolazioni colpite. Nessuno ne ha mai parlato in questi termini. Poi passiamo a Federico II di Svevia che affermò: «Quantunque la nostra maestà sia sciolta da ogni legge, non si leva tuttavia essa al di sopra del giudizio della ragione, che è la madre del diritto». Con questa espressione Federico II di Svevia, premesso che la legittimazione della sua autorità non proveniva dalla legge, indicava nella ragione e nel diritto le frontiere entro le quali intendeva esercitare i propri poteri. Questo configura il primo esempio della separazione dei poteri di uno stato moderno: Legislativo, Esecutivo e Giudiziario. Non solo, Federico II fu il fondatore Il 5 giugno 1224, all’età di trent’anni,  istituì con editto formale, a Napoli, la prima universitas studiorum statale, pubblica e laica della storia d’Occidente, in contrapposizione all’ateneo di Bologna, nato come aggregazione privata di studenti e docenti e poi finito sotto il controllo papale. L’università, polarizzata intorno allo studium di diritto e retorica, contribuì all’affermazione di Napoli quale capitale della scienza giuridica. Napoli non era ancora la capitale del Regno, ma Federico la scelse per la sua posizione strategica e il suo già forte ruolo di polo culturale e intellettuale.

Fino a Lorenzo Valla che propugnò a Napoli nel 1440, durante il pontificato diEugenio IV, scrisse un breve testo, pubblicato solo nel 1517 e intitolato La falsa Donazione di Costantino (De falso credita et ementita Constantini donatione), ripreso poi anche da Martin Lutero nella Riforma Protestante.  In esso Valla, con argomentazioni storiche e filologiche, dimostrò la falsità della Donazione di Costantino, documento apocrifo in base al quale la Chiesa giustificava la propria aspirazione al potere temporale: secondo questo documento, infatti, sarebbe stato lo stesso imperatore Costantino, trasferendo la sede dell’impero a Costantinopoli, a lasciare alla Chiesa il restante territorio dell’Impero romano (oggi la dimostrazione del Valla è universalmente accettata e lo scritto è datato all’VIII secolo o  addirittura IX secolo).

Sempre è presente questa  ostinata “asimmetria informativa”, eppure questo antico stato di frontiera europeo è riuscito, da solo, a contrastare l’espansionismo saraceno, con la Battaglia navale  di Ostia nell’estate dell’849, con al comando di Cesario Console,  evento che consentì anche di salvare il papato,  poi con la battaglia navale di Lepanto contro gli ottomani del 7 ottobre 1571, con la flotta armata e organizzata da Napoli con legni ed equipaggi nostri per oltre la metà della flotta, sotto le insegne congiuntamente dalle galee dell’Impero spagnolo (con il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia).

Si può tranquillamente affermare che abbiamo salvato l’Occidente almeno due volte, altrimenti ci saremmo tutti quanti addormentati come la Penisola Balcanica e la Grecia. Anche nelle rivolte popolari , come quella dei Lazzari contro i  francesi invasori e soprattutto con  la rivolta anti-inquisizione spagnola, testimoniata dalla lapide posta all’ingresso della Certosa di San Martino : «Ai popolani di Napoli che nelle tre oneste giornate del luglio MDXLVII, laceri, male armati e soli d’Italia francamente pugnando nelle vie, dalle case contro le migliori armate d’Europa tennero da sé lontano l’obbrobrio della Inquisizione Spagnola imposta da un imperatore fiammingo e da un papa italiano e provarono anche una volta che “il servaggio è male volontario di popolo ed è colpa dei servi più che dé padroni“».

Anche la prima rivoluzione anti-imperiale, antifiscale e anti-coloniale d’Europa è stata ridotta ad una “opera buffa”, come quella di Masaniello nel 1647, eppure qui nessuna  storiografia lo paragona al suo coevo Oliver Cromwell, sempre i soliti stereotipi di “città plebea”, senza dignità e senza onore, l'”inferno napoletano” descritto in maniera ignobile dal giornalista cuneese Giorgio Bocca.

Insomma questa è la nostra storia, anche il Risorgimento ha pagine  intere di napoletani come Gugliemo Pepe e Alessandro Poerio, per i moti dei costituzionali napoletani del 1820 e per  la difesa di Venezia  contro gli austriaci nel 1848,  ad Agesilao Milano che attentò alla vita del sovrano borbonico Ferdinando II colpendolo con una baionettata durante una parata militare, per non parlare del grande Carlo Pisacane che provò a fare la cosiddetta unità d’ Italia nel 1857, appena 4 anni prima di Garibaldi, ma non aveva l’appoggio della flotta inglese e delle cancellerie europee interessate alla costruzione del Canale di Suez e che ritenevano scomoda una presenza di uno stato sovrano concorrente nell’area interessata.

Inoltre, parlando del del Brigantaggio post-unitario, fu visto come una jaquerie plebea e cafona contro la realizzazione di una “perfetta e moderna” nazione unitaria e non come giusta rivolta sociale e contadina contro i soprusi della “italietta” dei borghesi e dei galantuomini proprietari terrieri, i quali erano pure razzisti contro i meridionali, secondo le teorie dell’ orripilante veronese  Cesare Lombroso, celebrato ancora oggi con un orrido museo a Torino pieno di teste mozzate ai rivoltosi contadini meridionali post-unitari, antesignano delle nefandezze compiute dai nazisti realizzando oggettistica con reperti umani delle vittime dei campi di concentramento.

Come non vedere una similitudine nelle rivolte popolari anti-inquisizione spagnola e anti-francesi del 1799 e le Quattro Giornate di Napoli? Queste cose le ha scritte anche Maria Antonietta Macciocchi nei suoi libri pubblicati nel 1993 Cara Eleonora dedicato ad Eleonora Pimentel Fonseca, e nel 1998 con L’amante della rivoluzione, sulla figura di Luisa Sanfelice.

Concludo questa lunghissima premessa, e me ne scuso, sostenendo che verso Napoli e il Meridione d’Italia esiste, oltre alla “asimmetria informativa”, anche una “censura additiva”, verso tutto quanto riguarda la nostra storia. La “censura additiva” venne definita come concetto da Umberto Eco per quanto riguardava una sua foto che lo ritraeva in maniera non consona su un noto settimanale. Per similitudine anche tutta la nostra storia viene vista in maniera fuorviante dal 1860 in poi, dalla data della Unità di Italia. Ovviamente non propugno nessuna secessione ma spero che questo squilibrio di giudizio in una Italia a due velocità finisca al più presto e mi batto per questo. A questo punto veniamo alle Quattro Giornate di Napoli: Il volume “RACCOLTA DI MEMORIE” di Alberto Defez comprende le testimonianze dirette, finora inedite, di due ebrei napoletani, figli di padri immigrati, vittime delle Leggi Razziali.

Si tratta di “MEMORIE DI ALBERTO DEFEZ“, notissimo ingegnere edile e professore di Architettura alla “Federico II”,  e di “MEMORIE DI BRUNO HERRMANN“, compagno di studi di ingegneria di Defez, che il primo a introdurre il personal computer a Napoli. Bruno Herrmann aveva personalmente consegnato ad Alberto Defez la sua testimonianza di perseguitato razziale e Defez lo aveva rilegato in dattiloscritto insieme al suo inedito. Due straordinarie testimonianze dirette  per la comprensione di due microcosmi umani sullo sfondo della storia della persecuzione degli ebrei in Italia. 

Il Memoriale di Alberto Defez è di grandissima importanza storica in quanto testimonianza di un ebreo che da vittima delle leggi razziali a Napoli, escluso dalla scuola, a 20 anni impugna la pistola datagli dal padre e con il fratello Leo Defez partecipa attivamente ai combattimenti delle Quattro Giornate, rischiando due volte la vita. Il suo coraggio e amor patrio tuttavia non finisce qui e, dopo aver combattuto per la liberazione di Napoli dai nazifascisti, si arruola volontario, coinvolgendo il fratello ed alcuni amici, nel Battaglione San Marco,  reparto di èlites di fanti da mare della allora Regia Marina partecipando attivamente alla liberazione dell’ Italia. Un Memoriale che, specie per la parte di Defez, testimonia di grandi valori umani e ne restituisce la speranza con il suo messaggio di impegno civile, oggi più che mai necessario, per i contemporanei e i posteri.

TESTIMONIANZE DIRETTE DI DUE EBREI NAPOLETANI VITTIME DELLE LEGGI RAZZIALI
Il giorno seguente 6 febbraio 2020 alle ore 17 presso l’associazione A.D.A. – Via Portiello 3 – Somma Vesuviana, Napoli si terrà un’altra presentazione a cura dell’istituto Campano per la Storia della Resistenza e condotta dal prof. Guido D’Agostino, presidente dell’istituto