Uffizi Decameron: il progetto social per portare l’arte nelle case

Al via Uffizi Decameron, campagna social lanciata dalle Gallerie degli Uffizi. L’obiettivo è tenere compagnia, nel segno della grande arte, a tutti coloro che restano in casa per aiutare la campagna di prevenzione del contagio da coronavirus.

©  Aleandro Biagianti / AGF –  Firenze. Galleria degli Uffizi

Il nome della campagna, con hashtag #UffiziDecameron, si ispira alla raccolta di cento novelle scritta da Giovanni Boccaccio nella metà del Trecento, presumibilmente tra il 1349 (anno successivo alla peste nera in Europa) e il 1351. Si parla di 10 giovani che cercano rifugio dal contagio in una villa sui colli di Firenze. Ogni giorno ciascuno di loro racconta una storia. Dal canto loro, gli Uffizi ai tempi del coronavirus potenziano la propria offerta web con l’apertura di un nuovo canale social su Facebook, alla pagina Gallerie degli Uffizi. Un evento da seguire a casa.

IMMAGINE DI APERTURA Schermata della pagina Facebook

Andrea Appiani – Ritratto di Giambattista Bodoni

Ritratto di Giambattista Bodoni

IL DIPINTO

Il ritratto di Giambattista Bodoni, realizzato da Andrea Appiani è un dipinto ad olio su tela (60,3 x 51,2 cm) eseguito nel 1799 e conservato presso la Galleria nazionale di Parma. Il ritratto rappresenta Giambattista Bodoni, celebre incisore, tipografo e stampatore parmense. Con pennellata fluida e sintetica l’intellettuale è inquadrato a mezzo busto su uno sfondo compatto incorniciato da un’aura di prestigio e di nobiltà, che viene connotata in particolare nei lineamenti del viso, nelle sopracciglia aggrottate, nelle labbra carnose e nello sguardo deciso.

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Autoritratto, Pinacoteca di Brera

L’ARTISTA

Giovanni Andrea Melchiorre Appiani (Milano, 31 maggio 1754 – Milano, 8 novembre 1817) è stato un pittore italiano. Alfiere del neoclassicismo in Italia, fu uno dei maggiori esponenti di quel periodo compreso tra l’Illuminismo e le vicende napoleoniche, grazie alla specificità espressiva del suo stile, vero e proprio trait d’union tra la morbidezza del tratto leonardesco e la grazia del classicismo. Nel 1807 viene nominato direttore della Pinacoteca di Brera.

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Ma che sta succedendo…o che è successo in Lombardia?

Dott. Paolo Ferrara

Questa che pubblichiamo è la sintesi dettagliata e documentata della conversazione tra Paolo Pantani, che da Napoli collabora con Experiences, e il dott. Paolo Ferrara. Insieme hanno analizzato quello che tutti noi stiamo dolorosamente vivendo.

di Paolo Ferrara

Stiamo tutti vivendo, in tutto il mondo, un momento difficilissimo, che vede i governi coinvolti in complesse scelte decisionali articolate su due livelli di strategia temporale. Un primo livello di vera e propria resistenza alla fase acuta della pandemia, ancora drammaticamente in corso, ed un secondo livello, terminata la fase acuta, volto sia a prevenire la re-insorgenza di altri focolai, che a permettere una graduale ripresa della produzione economica, attualmente completamente bloccata. Valutando però, attraverso l’analisi dei dati che il Ministero della Salute ci sta quotidianamente fornendo, le risposte del Sistema Italia alla drammatica condizione che stiamo vivendo, risaltano immediatamente degli “esiti” molto preoccupanti perché non solo sono molto peggiori di altre nazioni a noi paragonabili quali la Germania, la Spagna o gli Stati Uniti, ma specialmente perché sono purtroppo evidenti anche delle macroscopiche differenze tra le varie regioni italiane, con i peggiori risultati coinvolgenti proprio la regione Lombardia, da sempre ritenuta “il fiore all’occhiello” della nostra Sanità nazionale. Affrontando innanzitutto i dati che sono più strettamente omogenei e comparabili fra di loro, incomincio con l’analisi di quali potrebbero essere le ragioni delle differenze rilevate tra le varie regioni italiane, che pur dovrebbero rappresentare un campione omogeneo sia per composizione che per esiti, partendo dall’analisi dei dati fornitici oggi (5 aprile 2020) dal Ministero della Salute.

 Vi sono solo 3 regioni che presentano una mortalità “a due cifre” la Lombardia (17.64%) le Marche (12.45%) e l’Emilia-Romagna (12%) mentre tutte le altre regioni, almeno quelle che hanno più di 2000 casi, presentano una mortalità compresa tra 5.5% della Toscana e 9.44% del Piemonte.

Certamente la valutazione della mortalità considerata unicamente come rapporto percentuale tra il numero totale degli ammalati riconosciuti, e il numero dei decessi, senza l’uso di altre variabili di definizione, è abbastanza grossolano, ma, applicando questo medesimo criterio per tutte le regioni, si ottiene in effetti la possibilità di un confronto omogeneo. Inoltre, parlando di mortalità da Corona virus nella Regione Lombardia, non possiamo non ascoltare le tante voci che accusano una mortalità “sommersa” praticamente doppia rispetto a quella dichiarata dal Ministero della Salute, dovuta ai numerosissimi decessi consumatesi tra le mura domestiche che, seppur non suffragati dall’esecuzione di tamponi, mostravano tutte le caratteristiche sintomatologiche del Corona virus. Sono le voci dei Sindaci, dei Medici di Medicina Generale delle provincie di Bergamo e di Brescia, le testimonianze di tantissimi cittadini, insieme alla ampia e documentata inchiesta giornalistica fatta ieri da Isaia Invernizzi per l’Eco di Bergamo.

Ma perché questi dati così contrastanti, e specialmente, perché questi dati così negativi della regione Lombardia? L’ipotesi, da qualche parte prospettata, che la causa fosse attribuibile alla strategia attuata dalla Regione Lombardia di un minor utilizzo dei tamponi diagnostici, è in effetti poco credibile perché esiti nettamente migliori della Lombardia sono presenti sia in regioni che hanno realizzato un maggior numero di test, che in regioni che ne hanno realizzato addirittura molti di meno della stessa Lombardia. Infatti la Lombardia, che ha testato circa l’1.5% dei suoi abitanti, mostra una mortalità del 17.6%, mentre il Veneto con una mortalità del 5.6%, ha testato il 3.3% dei suoi abitanti, e il Lazio, con un dato di mortalità del 5.5%, molto vicino a quello del Veneto, ha testato solo lo 0.75% della sua popolazione. Forse questa ipotesi, pur con le dovute differenze di struttura del campione, sarebbe  possibile solo in una valutazione globale comparativa dei dati nazionali di Italia e Germania (che oggi presenta una mortalità dell’1.3%) visto che quest’ultima ha realmente messo in atto una strategia di tamponi a tappeto, partendo da una fase iniziale di 60.000 tamponi al giorno per arrivare in pochi giorni a 100.000, compreso i cosiddetti “corona taxi”, test fatti a domicilio, che le hanno permesso di testare i contagi in fase iniziale e quindi di intervenire subito sia con le terapie che con le quarantene.

Quindi, scartata l’ipotesi che il basso numero di tamponi eseguiti, possa essere stata la causa di una così alta mortalità alla quale va anche aggiunta quella “nascosta”, sfuggita ai censimenti ufficiali, il tentativo di spiegazione dei disastrosi dati di esito lombardi, va spostato nel campo “strutturale” dell’organizzazione e della risposta sanitaria. Infatti il primo problema che risalta davanti agli occhi è la constatazione che il Sistema Sanitario Territoriale è completamente mancato, mostrandosi distratto e impreparato.  Esempi lampanti di ciò sono l’alto numero di vittime domestiche e quelle dei centri di residenza assistita per anziani, nonché l’alto numero di contagi e vittime tra i Medici di Medicina Generale. Ma in effetti questa mancata risposta del Sistema Sanitario Territoriale, che invece è funzionato certamente meglio in altre regioni quali il Veneto o la Toscana dove le mortalità sono risultate molto più basse, è un problema che ha sicuramente radici più antiche. Il depotenziamento della Medicina Territoriale è progressivamente incominciato subito dopo l’acquisizione dell’autonomia della Regione Lombardia in tema di politica sanitaria. Infatti la Regione Lombardia, scegliendo di puntare su una Sanità di grande “visibilità” che potesse essere un attrattore di pazienti e quindi di flussi economici ( Il Sud….conosce bene questo problema !) ha essenzialmente investito negli ospedali, coinvolgendo molto in questa impresa anche il Privato che, trovando condizioni estremamente favorevoli, è cresciuto a dismisura costruendo degli enormi poli sanitari, che si sono ulteriormente concentrati tra di loro, creando non solo ospedali ad alto volume con poli di eccellenza ( particolarmente nelle specialità con migliore remunerazione) ma anche corsi di laurea in Medicina sia mediante convenzioni con Università Statali e sia costituendo proprie Università private, a loro volta abbinate a Centri di ricerca farmacologica per brevetti di nuove medicine e vaccini. Quindi grandi Ospedali privati che contemporaneamente crescono, trasformandosi anche in Università private e Centri di Ricerca privati, diventando così enormi concentrazioni di potere, spesso con partecipazioni dirette anche nel mondo dei ”Media”, delle grandi testate giornalistiche, del Web e dell’alta Finanza che, tramite questa loro attività “a tutto tondo”, possono condizionare facilmente la politica sanitaria lombarda. Tanto potenti che ben pochi si sono scandalizzati quando, nel pieno della iniziale emergenza, la “influencer” Chiara Ferragni insieme con il marito, il “rapper” Fedez, hanno lanciato una mega raccolta fondia favore del Privato e non a favore della Protezione Civile o di un Ospedale di trincea! Il San Raffaele è stato abilissimo e rapidissimo ad accettare i circa 20 milioni di euro raccolti, trasformandoli subito in nuovi posti super-attrezzati e super-tecnologici di Terapia Intensiva, certamente superiori a quelli che contemporaneamente si andavano attrezzando negli Ospedali Pubblici, ma nessuno si è chiesto a chi sarebbe rimasta la proprietà di tale costosissima tecnologia una volta finita l’emergenza. Allo Stato italiano, coinvolto in una emergenza nazionale? O a un privato che in tal modo, seppur in corso e a causa di una emergenza nazionale, avrebbe sensibilmente aumentato il suo personale patrimonio tecnologico? Tanto più che pure è passata sotto silenzio la notizia che la presidente dell’AIOP quale rappresentante della Sanità Privata Italiana, ha permesso ai suoi associati di accettare malati di Covid-19, lavorando nell’emergenza a fianco del Sistema Sanitario Nazionale SOLO dopo aver trattato con il Governatore della Lombardia la certezza di come e quanto sarebbero stati remunerati per le loro prestazioni.

Così  il Sistema Sanitario Territoriale, di nessun interesse per il privato poiché espressione di missione sociale e non di profitto, non è stato curato neanche dalle politiche sanitarie della Regione Lombardia, che lo ha sotto-finanziato e ridotto essenzialmente ad un sistema di contabilità di cassa per il privato, con la conseguenza che difronte ad una emergenza improvvisa, inattesa e terribile, la popolazione è rimasta completamente sprovvista di assistenza, di controlli, di informazioni certe, ad eccezione del solo impegno dei Medici di Famiglia che, senza mezzi, direttive chiare e specialmente privi di sistemi di  protezione individuale adeguati, sono molto spesso diventati ….delle “vittime sacrificali”. Quindi la tragedia del Corona virus che ha così gravemente flagellato la Lombardia, cancellando quasi completamente l’intera generazione delle persone al disopra dei 75 anni, ha al contempo drammaticamente messo in luce una serie di errori, di disfunzioni, di errate valutazioni politiche, che hanno disastrosamente condizionato, dal primo momento, gli esiti della pandemia in questa regione. Sebbene un giudizio completo si potrà avere solo dopo la fine di questa tragedia, però già adesso si possono indicare quelli che sono i principali punti nei quali il Sistema Sanitario lombardo ha mostrato delle chiare falle funzionali:

  • L’emergenza è stata interpretata come una emergenza intensivologica, mentre si trattava di una emergenza di Sanità Pubblica che, insieme alla Medicina Territoriale, erano state in precedenza, entrambe trascurate e depotenziate. (L’on. Giorgetti, ritenuto “l’anima moderata della Lega” ha recentemente dichiarato di ritenere i Medici di Base… ”un’istituzione di tipo medioevale”)
  • Mancanza di dati sull’esatta diffusione dell’epidemia: tamponi fatti solo ai ricoverati, diagnosi di morte attribuita solo ai decessi ospedalieri
  • Assenza di attività di Igiene Pubblica con mancato mappaggio e isolamento dei contatti, mancato Governo del Territorio con gravi indecisioni nella chiusura di alcune zone ad alto rischio
  • Gestione confusa delle Residenze Sanitarie per Anziani nelle quali sono state spesso allocati, per decreto, dei malati convalescenti da Covit 19 con la creazione così di un ampio fronte di contagio con la popolazione di anziani ricoverati.
  • Eccessivo spazio dato al Privato in assenza di un progetto strategico comune finalizzato al miglioramento globale dell’assistenza sanitaria creando così una pericolosissima frattura tra l’area del profitto e l’area della missione sociale dell’assistenza

Quando tutto sarà finito, speriamo presto, anche se non ci sono concreti segnali in questo senso, si dovrà capire se e come questi errori strutturali potranno essere corretti, per esempio ricostruendo da capo un Sistema di Medicina Territoriale veramente moderno, costituito da una serie di Spot messi in rete con i grandi Hub Ospedalieri di cui la Regione Lombardia è già dotata, riducendo al contempo la eccessiva influenza del Sistema Privato. Certo non sono positivi i messaggi e le continue polemiche che anche in questa fase di emergenza nazionale molti politici lombardi, coinvolti nel governo regionale stanno quotidianamente lanciando. Speriamo che non siano segnali volti a portare il Sistema Sanitario Lombardo ad una completa secessione dal Sistema Sanitario Nazionale Universalistico con anche l’abolizione dell’articolo 32 della Costituzione Italiana.

Certo è che, per il momento, al dolore per il Corona virus, dobbiamo anche aggiungere il dolore di dover tristemente constatare che quello che ritenevamo un modello gestionale virtuoso e da portare ad esempio, si è invece dimostrato, alla nuda prova dei fatti, un modello pieno di negatività.

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Syaibatul Hamdi da Pixabay 

Edwin Lutyens – Rashtrapati Bhavan

L’ARCHITETTURA

Rashtrapati Bhavan è la residenza ufficiale del Presidente dell’India. Può sia riferirsi alla sola residenza (di 340 stanze) che ospita gli appartamenti presidenziali, saloni, camere degli ospiti ed uffici, sia all’intera tenuta di 130 ettari che include i giardini moghul presidenziali, ampi spazi aperti, gli alloggi del personale, le scuderie, gli uffici secondari ed altri edifici compresi nelle mura perimetrali. Per fare un paragone, l’intero complesso della Casa Bianca negli Stati Uniti è 17 volte più piccolo. È la terza residenza più estesa di un capo di Stato del mondo dopo il Palazzo del Quirinale a Roma e Ak Saray ad Ankara.

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Edwin Landseer Lutyens

L’ARCHITETTO

Sir Edwin Landseer Lutyens (Londra, 29 marzo 1869 – Londra, 1º gennaio 1944) è stato un architetto e designer britannico, noto per la fantasia con cui adattò gli stili architettonici tradizionali alle esigenze della sua epoca. Progettò molte case di campagna inglesi. Fu incaricato, inoltre, di progettare l’impianto urbanistico di Nuova Delhi. Figlio di Charles Henry Augustus Lutyens e Mary Theresa Gallwey, Edwin nacque a Londra, ma si trasferì in tenera età a Thursley (Surrey), dove trascorse la giovinezza. Lutyens studiò architettura alla South Kensington School of Art di Londra dal 1885 al 1887. Dopo il college fu assunto dallo studio degli architetti Ernest George e Harold Peto, dove incontrò per la prima volta Sir Herbert Baker. L’artista morì a Londra nel 1944 all’età di 74 anni.

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Le Passeggiate del Direttore: Sekhmet, i colossi di Memnon e la Iside di Copto

Cosa c’è di meglio di una web serie per tenervi compagnia? A grande richiesta, vi presentiamo LE PASSEGGIATE DEL DIRETTORE, la prima stagione di una serie firmata dal Museo Egizio, un viaggio nella storia suddiviso in brevi episodi. 

Il Museo Egizio di Torino è il più antico museo, a livello mondiale, interamente dedicato alla civiltà nilotica ed è considerato, per valore e quantità dei reperti, il più importante al mondo dopo quello del Cairo. Nel 2004 il ministero dei beni culturali l’ha affidato in gestione alla “Fondazione Museo Egizio di Torino”. Nel 2019 il museo ha fatto registrare 853 320 visitatori, risultando il sesto museo italiano più visitato. Nel 2017 i Premi Travellers’ Choice di TripAdvisor classificano l’Egizio al primo posto tra i musei più apprezzati in Italia, al nono in Europa e al quattordicesimo nel mondo.
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Le Passeggiate del Direttore: Sekhmet, i colossi di Memnon e la Iside di Copto

IMMAGINE DI APERTURA – Ingresso del museo egizio, Torino (Fonte Wikipedia)

Bertel Thorvaldsen – Le tre Grazie

Le Grazie con Cupido

LA SCULTURA

Le tre Grazie, o Le Grazie con Cupido, è un gruppo scultoreo in marmo realizzato dallo scultore Alberto Thorvaldsen (1770-1844) in diverse esecuzioni. L’esemplare scolpito nel 1820-1823 è esposto al Museo Thorvaldsen di Copenaghen in Danimarca. Il soggetto mitologico delle Grazie ricorre nella produzione scultorea di Thorvaldsen nell’arco di tutta la vita; a cominciare dalla prima realizzazione del 1804, lo scultore ritorna sul tema nel 1817, nel 1819, nel 1821 e, ormai in età avanzata, con il gesso conservato all’Accademia di San Luca di Roma, nel 1842.

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Joseph-Marie Vien

L’ARTISTA

Bertel Thorvaldsen, noto in Italia come Alberto Thorvaldsen o anche Thorwaldsen, (Copenaghen, 17 novembre 1770 – Copenaghen, 24 marzo 1844), è stato uno scultore danese, esponente del Neoclassicismo e maggior rivale di Canova. Operò principalmente a Roma, sua patria artistica adottiva. La sua fama fu grandissima fra i contemporanei e pari a quella di Canova; nel tempo il giudizio critico sulla sua opera si è limitato riconoscendole un valore meramente culturale.

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Jean-Auguste-Dominique Ingres – La grande odalisca

La grande odalisca

IL DIPINTO

La grande odalisca (La grande odalisque) è un dipinto a olio su tela (88,9 cm×162,56 cm) di Jean-Auguste-Dominique Ingres, realizzato nel 1814 e conservato dal 1899 nel museo del Louvre di Parigi. Sebbene sia stata pesantemente criticata per le sue fattezze sproporzionate al Salon del 1819, anno della sua prima esposizione, l’opera ricevette un consenso unanime positivo dopo un arco di tempo di circa dieci anni. Riferendosi al dipinto il professore d’arte Robert Rosenblum la definì: «Una pigra creatura dell’harem, i cui piedi non sono mai stati segnati o sporcati dall’uso, l’odalisca è presumibilmente in mostra passiva per il nostro diletto… Giace reclinata nel lusso ovattato, carezzata da rasi, sete, pellicce e piume.»

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Jean-Auguste-Dominique Ingres

L’ARTISTA

Jean-Auguste-Dominique Ingres (Montauban, 29 agosto 1780 – Parigi, 14 gennaio 1867) è stato un pittore francese, considerato uno dei maggiori esponenti della pittura neoclassica. Nacque a Montauban, in Francia, primo di sette fratelli (cinque dei quali sono sopravvissuti al periodo neonatale). Il padre, Jean-Marie-Joseph Ingres (1755–1814), era un decoratore e miniatore non privo di talento; la madre, Anne Moulet (1758–1817), era invece la figlia quasi analfabeta di un parrucchiere. La formazione di Ingres avvenne nell’ambito artistico francese sotto la guida del padre, che fu in grado di valorizzare il precoce talento del figlio introducendolo all’esercizio del disegno. A partire dal 1786 iniziò a seguire le lezioni dell’École des Frères de l’Éducation Chrétienne locale; Ingres frequentò la scuola sino a quando venne chiusa a causa di alcuni tumulti popolari che già preludevano allo scoppio della Rivoluzione Francese.

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Fabiano Massimi – L’angelo di Monaco

Sullo sfondo di una Repubblica di Weimar moribonda, in cui si avvertono tutti i presagi della tragedia nazista, L’angelo di Monaco è un thriller in miracoloso equilibrio tra inoppugnabile realtà storica e avvincente finzione, un viaggio all’inseguimento di uno scampolo di verità in grado, forse, di restituire dignità alla prima, vera vittima della propaganda nazista: la giovane e innocente Geli Raubal.

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IMMAGINE DI APERTURA:  Foto di bluebudgie da Pixabay 

MyBrera: L’ascolto visibile

Il progetto “myBrera” rende visibile il ruolo di tutta la squadra di Brera (Pinacoteca, Biblioteca, Mediateca) attraverso i ritratti scattati da James O’Mara. A ognuno è stato chiesto di scegliere un’opera, un oggetto, un luogo per offrire un personale punto di vista, condividendo una descrizione emotiva dell’arte e della cultura.

La Pinacoteca di Brera è una galleria nazionale d’arte antica e moderna, collocata nell’omonimo palazzo, uno dei complessi più vasti di Milano con oltre 24000 metri quadri di superficie. Il museo espone una delle più celebri raccolte in Italia di pittura, specializzata in pittura veneta e lombarda, con importanti pezzi di altre scuole. Inoltre, grazie a donazioni, propone un percorso espositivo che spazia dalla preistoria all’arte contemporanea, con capolavori di artisti del XX secolo. Un tratto caratteristico di Brera, che lo differenzia da altri musei italiani, è la presenza di grandi capolavori di diverse scuole: lombarda, toscana e dell’Italia Centrale, veneta oltre che di dipinti importanti di scuola fiamminga. Questo deriva dall’impostazione data al museo fin dall’epoca napoleonica, quando fu concepito come luogo rappresentativo di tutta l’arte italiana di ogni epoca e di ogni regione, accogliendo opere prelevate da chiese e conventi (parte dei quali soppressi), nell’ottica illuministica e “rivoluzionaria” (che condivide con il Louvre) di mettere a disposizione del pubblico quadri fino allora difficilmente accessibili.
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La Biblioteca Nazionale Braidense appartiene allo Stato e dipende dalla Direzione Generale Biblioteche e Istituti Culturali, del Ministero per i Beni e delle attività culturali e del turismo; è la terza biblioteca italiana per ricchezza del patrimonio librario, attualmente comprensivo di circa 1.500.000 unità. In virtù delle normative vigenti sul diritto di stampa, la Biblioteca riceve dagli editori di Milano e provincia il 40% delle pubblicazioni nazionali, il che concorre ad accrescerne di continuo il posseduto. Tra i maggiori sottoinsiemi di quest’ingente patrimonio ricordiamo: i 2.367 manoscritti, i 40.000 autografi, i 2.368 incunaboli, le 24.401 cinquecentine, le oltre 23.000 testate di periodici di cui 4.500 correnti, le 5.200 stampe fotografiche anteriori al 1950, i 50.000 negativi su lastra, le 30.000 bobine di microfilm che riproducono 1.300 testate di periodici, le 120.000 microforms.
Dal luglio 2015 è confluita nel sistema museale della Pinacoteca di Brera, sotto la direzione generale di James M. Bradburne. È sita a Milano, in via Brera 28.
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MyBrera

IMMAGINE DI APERTURASchermata della Home MyBrera

Cosimo Morelli – Palazzo Braschi

Palazzo Braschi – Museo di Roma

IL PALAZZO

Palazzo Braschi è un palazzo di Roma, sito nel rione Parione, compreso tra piazza San Pantaleo, via San Pantaleo, via della Cuccagna, via di Pasquino e piazza Navona. Ospita al suo interno il museo di Roma dal 1952. Per volere di papa Pio VI il vecchio palazzo fu demolito nel 1791 e su committenza del principe Luigi Braschi-Onesti, nipote del pontefice, fu eretto un nuovo edificio, progettato dall’architetto imolese Cosimo Morelli. I lavori si interruppero nel 1798 a causa della morte del papa e ripresero nel 1802, concludendosi due anni dopo. Il palazzo rappresenta uno degli ultimi esempi del nepotismo pontificio, infatti per la costruzione furono impiegati anche fondi provenienti dalla Chiesa.

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Francesco Cosimo Cassiano Morelli

L’ARCHITETTO

Francesco Cosimo Cassiano Morelli (Imola, 6 ottobre 1732 – ivi, 26 febbraio 1812) è stato un architetto italiano. Nella sua vita costruì 40 chiese, tra cui varie cattedrali, undici teatri e palazzi in tutto lo Stato Pontificio. La sua opera fu espressione emblematica del trapasso dal gusto arcadico del tardo barocco a quello più asciutto dello stile neoclassico, al quale tuttavia non aderì in senso strettamente antichizzante.

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