Le Passeggiate del Direttore: La tomba di Kha e Merit

Cosa c’è di meglio di una web serie per tenervi compagnia? A grande richiesta, vi presentiamo LE PASSEGGIATE DEL DIRETTORE, la prima stagione di una serie firmata dal Museo Egizio, un viaggio nella storia suddiviso in brevi episodi. 

Il Museo Egizio di Torino è il più antico museo, a livello mondiale, interamente dedicato alla civiltà nilotica ed è considerato, per valore e quantità dei reperti, il più importante al mondo dopo quello del Cairo. Nel 2004 il ministero dei beni culturali l’ha affidato in gestione alla “Fondazione Museo Egizio di Torino”. Nel 2019 il museo ha fatto registrare 853 320 visitatori, risultando il sesto museo italiano più visitato. Nel 2017 i Premi Travellers’ Choice di TripAdvisor classificano l’Egizio al primo posto tra i musei più apprezzati in Italia, al nono in Europa e al quattordicesimo nel mondo.
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Le Passeggiate del Direttore: La tomba di Kha e Merit

IMMAGINE DI APERTURA – Ingresso del museo egizio, Torino (Fonte Wikipedia)

Aib Marche Mab Marche – Storie da biblioteca. Le foto selezionate

Che succede quando un gruppo di scrittori e fotografi si incontrano in un museo, un archivio o una biblioteca per raccontarne in quattro ore le peculiarità e scovarne i tesori nascosti? Di certo si tratterà di un meraviglioso viaggio al centro di un mondo tutto da scoprire, anche se ci appartiene già. Ecco allora che il MAB Marche (coordinamento marchigiano tra Musei, Archivi e Biblioteche promosso da ICOM, ANAI e AIB) in collaborazione con la Regione Marche – Assessorato alla Cultura, l’Associazione culturale RaccontidiCittà, con Narcissus.me di Simplicissimus Book Farm e con Biblioteche Aperte ha proposto la terza edizione speciale di Storie da musei, archivi e biblioteche, concorso itinerante per racconti brevi e fotografie. L’iniziativa si è svolta dal 4 ottobre al 9 novembre 2014 e ha coinvolto duecentouno partecipanti in trenta strutture marchigiane, fra cui biblioteche comunali, musei, archivi, il Servizio Bibliotecario di Ateneo dell’Università degli Studi di Camerino (MC) e le biblioteche di due istituti penitenziari.In tutto sono stati raccolti ben cento racconti e quattrocentoquindici foto che raccontano le istituzioni culturali del territorio e l’importanza che esse rivestono per le loro comunità di riferimento, con una particolare attenzione al tema del Grand Tour Cultura Marche 2014: “Musei – Archivi – Biblioteche: crocevia di culture”.Avventuriamoci dunque fra le sale dei musei e tra i documenti di archivi e biblioteche in questo appassionante tour per ricostruire un’immagine delle nostre strutture che vada al di là di ogni stereotipo!

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IMMAGINE DI APERTURA: Foto di StockSnap da Pixabay

Alfred Sisley – La barca durante l’inondazione a Port-Marly

La barca durante l’inondazione a Port-Marly, 1876, Museo d’Orsay, Parigi

IL DIPINTO

La barca durante l’inondazione a Port-Marly (La barque pendant l’inondation, Port-Marly) è un dipinto del pittore inglese Alfred Sisley, realizzato nel 1876 e conservato presso il museo d’Orsay di Parigi. Nel 1874 Sisley si ritirò a Marly-le-Roi, pittoresco villaggio sulle rive della Senna dove visse una delle fasi più intense della sua vicenda pittorica. Nella primavera del 1874 proprio Marly fu falcidiata da un devastante nubifragio, a causa del quale i flutti della Senna ruppero gli argini e inghiottirono l’intero villaggio. Sisley, pittore vivamente interessato al plein air, non se lo fece ripetere due volte e subito fissò il ricordo di questa calamità naturale in sei dipinti: notevoli le versioni oggi esposte al museo di Belle Arti di Rouen e al museo d’Orsay di Parigi. Questa seconda è più famosa rispetto alla prima e perciò di essa tratteremo: d’altra parte le due opere differiscono solo per pochi, ininfluenti particolari.

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Alfred Sisley ritratto da Pierre-Auguste Renoir, 1868, Stiftung Sammlung E. G. Bührle, Zurigo

L’ARTISTA

Alfred Sisley (Parigi, 30 ottobre 1839 – Moret-sur-Loing, 29 gennaio 1899) è stato un pittore inglese. Di scuola impressionista, nacque, visse e lavorò sempre in Francia, per cui è spesso considerato un artista francese. Alfred Sisley nacque il 30 ottobre 1839 a Parigi, al n. 19 di rue des Trois Bornes, da genitori inglesi della buona borghesia britannica, stabilitisi nella capitale francese nel 1836 alla ricerca di fortuna. Il padre, William Sisley (1799-1879), era il direttore della filiale parigina di una fiorente ditta di Londra specializzata nel commercio di guarnizioni di lusso per i sarti e nella produzione di confezioni di abiti da donna. Sua madre, Felicia Sell (1808-1866), si interessava più che altro alla buona musica ed alla vita di società. Sisley fu dunque battezzato il 31 ottobre 1840 dal pastore Athanase Coquerel nella chiesa riformata di Parigi, con tutta probabilità la chiesa protestante dell’Oratorio del Louvre. Quando il giovane Alfred compì diciotto anni i genitori, come era consuetudine per una famiglia dell’alta borghesia dell’epoca, lo mandarono a studiare a Londra per indirizzarlo alla carriera commerciale. L’apprendistato commerciale di Sisley durò quattro anni: dal punto di vista paterno questo soggiorno londinese si rivelò un vero e proprio fallimento, in quanto il giovane dimostrò subito di avere poco fiuto per gli affari. Fu proprio a Londra, tuttavia, che Sisley si avvicinò alla pittura, avendo modo di fruire del ricchissimo patrimonio artistico della National Gallery. Dell’influenza dei pittori inglesi dei secoli XVIII e XIX, perdurata in maniera lunga e duratura in Sisley, se ne parlerà più approfonditamente nel paragrafo Fonti d’ispirazione.

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Ascona (Svizzera) – ALEXEJ JAWLENSKY E MARIANNE WEREFKIN. Compagni di vita

ALEXEJ JAWLENSKY E MARIANNE WEREFKIN. Compagni di vita
Ascona (Svizzera), Museo Comunale d’Arte Moderna (via Borgo 34)
20 settembre 2020 – 10 gennaio 2021

L’esposizione racconta la vicenda di due compagni di vita, pionieri dell’avanguardia del Novecento

Alexej Jawlensky, Autoritratto, 1912, Olio su cartone, 53,5 × 48,5 cm,
Wiesbaden, Museum Wiesbaden

Dal 20 settembre 2020 al 10 gennaio 2021, il Museo d’Arte Moderna di Ascona (Svizzera) ospita una importante retrospettiva che approfondisce il rapporto tra Alexej Jawlensky (1864-1941) e Marianne Werefkin (1860-1938) che, individualmente e in coppia, hanno dato un contributo fondamentale allo sviluppo dell’arte nel primo Novecento.

Per la prima volta, la mostra mette a confronto queste due originali figure di artisti, attraverso 100 opere che ripercorrono le carriere di entrambi, in un arco temporale che dalla fine dell’Ottocento, giunge fino agli anni trenta del XX secolo, ponendo particolare attenzione alla loro relazione privata.

La rassegna, curata da Mara Folini, direttrice del Museo d’Arte di Ascona, è la terza e ultima tappa di un itinerario che ha toccato due delle maggiori istituzioni tedesche per l’arte espressionista, come lo Städtische Museum im Lenbachhaus di Monaco e il Museum Wiesbaden.

Il rapporto estremamente complesso che ha legato Alexei Jawlensky e Marianne Werefkin si è sviluppato tra il 1892 e il 1921, dagli esordi a San Pietroburgo, a Monaco di Baviera (1896), città che li vide al centro del dibattito artistico internazionale dell’epoca, come fondatori della Nuova Associazione degli Artisti di Monaco (1909), premessa alla nascita del Blaue Reiter (1910) e della rivoluzionaria arte astratta del loro amico e compatriota Vassilj Kandinsky, alla quale Marianne Werefkin seppe dare fondamento teorico nei suoi scritti, fino agli anni trascorsi in Svizzera, in particolare nel borgo di Ascona, dove la stessa Werefkin fu attivissima in ambito culturale, nel partecipare alla fondazione del Museo Comunale (1922) e dell’Associazione artistica Der Grosse Bär (1924).

I due sono stati molto più di una semplice coppia d’artisti, profondamente connessi dal punto di vista emotivo: sembravano dipendenti l’uno dall’altra, compagni di vita, legati in una “relazione d’amore eroticamente platonica” (com’ebbe modo di sottolineare Lily, la moglie di Paul Klee), che in realtà nascondeva il disagio di una donna che, pur di affermarsi in un mondo declinato al maschile, decise di reprimere la sua femminilità in nome dell’arte come missione.

Il percorso espositivo segue la linea cronologica della loro liaison, iniziata nella primavera del 1892, per il tramite del loro comune maestro Ilya Repin, uno dei più importanti realisti russi, sostenitore di un’arte che emancipasse il popolo russo e “portatore” in patria del chiaroscuro di Rembrandt; Repin fu per Marianne Werefkin una figura decisiva, prima del suo trasferimento in Germania, come ne è prova il suo Autoritratto del 1893, una delle rare testimonianze di questa sua iniziale fase creativa.

Abbandonato l’ambiente russo artisticamente conservatore e limitante, la coppia si trasferisce a Monaco di Baviera nell’autunno 1896, per ricominciare su nuove basi e stimoli, affiancata da grandi personalità dell’arte quali Wassily Kandinsky, Paul Klee, Alfred Kubin, Gabriele Münter, Franz Marc, Agust Macke e altri.

È il periodo nel quale Marianne Werefkin smise di dipingere e, invece d’inseguire una personale gloria artistica, si dedicò alla promozione del talento di Jawlensky. Come scrisse lei stessa: “Cosa potrei ottenere lavorando, seppure in maniera mirabile? Qualche opera che forse non sarà male. (…) Se non dipingo e mi dedico interamente a ciò in cui credo, vedrà la luce l’unica vera opera, l’espressione della fede artistica, e per l’arte sarà una vera conquista. Per questo vale la pena di aver vissuto”.

Sono anni in cui molte artiste riflettono sulla loro identità. All’epoca, infatti, i loro contributi godevano di scarsa attenzione da parte del pubblico, poco incline a riconoscere loro una necessaria originalità e creatività.

Questo volontario esonero durò un decennio. A interromperlo fu il progressivo guastarsi del rapporto tra i due, dovuto all’ingresso di un’altra donna, la loro domestica Helena Nesnakomova, con la quale Jawlensky aveva intessuto una relazione amorosa e dalla quale nacque nel 1902 il figlio Andreas; a questo si aggiunse la scelta di Jawlensky di perseguire una nuova strada artistica, diversa da quella prospettata da Werefkin, nel suo ruolo di guida.

Ritrovata la fiducia nei suoi mezzi espressivi, nel 1906 Werefkin ricominciò a dipingere e passò a una pittura a tempera già scevra da stilemi post-impressionisti alla Van Gogh (ancora presenti invece nella pittura di Jawlensky e in quella degli amici Kandinsky e Münter), e che si richiamava invece a Gauguin e ai Nabis, nello sperimentare le tecniche più diverse – gouache, pastelli, carboncini, gessetti, penne e matite – mescolandole in campiture di colore contrastanti, verso una composizione ritmica, seriale, avvolgente e perlopiù visionaria.

Sono opere che dimostrano quanto Marianne Werefkin fosse l’antesignana di quel nuovo linguaggio espressionista che prende forma, fin dal 1907, nelle sue opere e nei suoi numerosissimi quanto febbrili schizzi, e che porta come suo contributo nei fertili soggiorni di Murnau (1908, 1909), cittadina delle Prealpi bavaresi, ricordati dalla critica come i più significativi per la svolta astratta di Kandinsky.

Nei quadri successivi al 1906 si notano tutte le peculiarità che continueranno a caratterizzare l’opera di Marianne Werefkin, come la simbolica e opprimente atmosfera di fondo (Stimmung), o gli scenari fantastici dominati da un carattere visionario e lirico. Dal punto di vista stilistico, tutti questi lavori testimoniano quanto Werefkin avesse fatta sua la lezione dei sintetisti francesi, imbastendo le sue opere in composizioni bidimensionali tendenzialmente geometriche e seriali (ellissi, file prospettiche accorciate, linearità sinuose che a volte si spezzano), grazie all’uso sapiente dell’à plat e del cloisonné, nello stile più classico di Paul Gauguin e poi dei Nabis. Esemplari a tal proposito Autunno-Scuola (1907), Birreria all’aperto (1907), Pomeriggio domenicale (1908), Il danzatore Aleksandre Sakharov (1909), I pattinatori (1911).

Quanto a Jawlensky, il suo primo decennio a Monaco aveva evidenziato quanto il colore fosse il suo mezzo espressivo per eccellenza; una cifra che lo accompagnò già nel periodo prebellico, con la serie delle pastose teste colorate che sublimerà in quelle Mistiche (dal 1914), per poi arrivare a quelle ieratiche e cupe delle Meditazioni, negli ultimi anni di vita.

Allo scoppio della prima guerra mondiale, i due furono costretti a riparare nella neutrale Svizzera; dapprima a Saint Prex sul lago Lemano (1914), poi a Zurigo (1917) e infine ad Ascona (1918). Per la prima volta conobbero la povertà e vivendo di stenti e da esiliati senza patria. Rimarranno insieme per altri sei anni, nonostante le loro strade avessero ormai preso, dal punto di vista sentimentale e artistico, direzioni diverse. Jawlensky fece il grande salto verso un’astrazione lirica e mistica che culminerà infine nelle sempre più radicali, perentorie croci buie della sua tarda produzione a Wiesbaden (1921-1938), dove si era trasferito nel 1921, abbandonando Werefkin ad Ascona.

Marianne Werefkin continuerà lungo la strada di un espressionismo più radicale, nell’enfatizzare sempre più le forme in moti vorticosi, vitalistici, che coincidono con un recupero di quesiti più esistenziali e terreni, tra il visionario e l’aneddotico, per trovare infine, negli ultimi anni della sua vita, un’intima riconciliazione con il mondo, grazie al suo rinnovato interesse per l’amore francescano di cui Ascona, patria di accoglienza d’artisti, assurgerà a simbolo cosmico di una pace interiore a lungo agognata.

Chiude idealmente il percorso una sezione dedicata alle opere di Andreas Jawlensky, figlio di Alexej ed Helena Nesnakomova, che proprio in Svizzera ha trovato la sua maturità artistica, coltivata al cospetto di suo padre e di Marianne Werefkin.

La rassegna è il frutto di una felice collaborazione tra il Museo d’Arte Moderna di Ascona con lo Städtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco e il Museum Wiesbaden, senza dimenticare l’apporto dell’Archivio Jawlensky di Muralto e della Fondazione Marianne Werefkin di Ascona. Accompagnano la mostra tre cataloghi edizioni Prestel, in italiano, tedesco e inglese.

IMMAGINE DI APERTURAMarianne Werefkin, Autoritratto, 1910 circa, Tempera e polvere metallica su carta incollata su cartone, 51 × 34 cm, Monaco, Städtische Galerie im Lenbachhaus und Kunstbau München (Particolare)

Claude Monet – La serie delle Cattedrali di Rouen

La Cattedrale di Rouen in pieno sole, 1894, Museo d’Orsay, Parigi

IL DIPINTO

La serie delle Cattedrali di Rouen è formata da 31 dipinti ad olio di Claude Monet realizzati tra il 1892 ed il 1894 e raffiguranti dallo stesso punto di vista il portale della cattedrale; quel che cambia sono le condizioni della luce che si riflette sulla cattedrale di Rouen, in particolare sul suo portale. Il 1892 fu un anno cruciale per Monet, ma anche per le sorti dell’Impressionismo e della pittura moderna in generale, poiché vide il pittore iniziare il monumentale ciclo delle Cattedrali di Rouen. Rouen era già all’epoca un fiorente centro commerciale ed industriale ubicato nella regione dell’Alta Normandia e dotata di un patrimonio architettonico di tutto rilievo: significativa, in tal senso, risulta la cattedrale, un’imponente costruzione gotica iniziata intorno al 1145 e terminata nel 1250. Quando Claude Monet si trasferì a Rouen nel 1892 certamente fu affascinato dalla grandiosa mole della cattedrale, che tra l’altro gli doveva risultare già nota in quanto riprodotta in migliaia di fotografie. Egli, tuttavia, non si fermò all’atmosfera deliziosamente cartolinesca evocata dalla costruzione e preferì sfruttarla come un pretesto per indagare le problematiche relative alla luce ed al colore. Fu per questo motivo che, una volta stabilitosi in una stanza all’hôtel de l’Angleterre, a pochi passi dalla Senna, il pittore non perse tempo e subito cercò di fissare le impressioni fuggevolissime e cangianti che scaturivano dall’interazione della luce con le forme gotiche della cattedrale. Tra il 1892 e il 1894 Monet diede vita a ben quarantotto Cattedrali di Rouen.

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Autoritratto,1886, collezione privata

L’ARTISTA

Oscar-Claude Monet (Parigi, 14 novembre 1840 – Giverny, 5 dicembre 1926) è stato un pittore francese, considerato uno dei fondatori dell’impressionismo francese e certamente il più coerente e prolifico del movimento. I suoi lavori si distinguono per la rappresentazione della sua immediata percezione dei soggetti, in particolar modo per quanto riguarda la paesaggistica e la pittura en plein air. Oscar-Claude Monet era figlio del droghiere Adolphe Monet, che dopo aver solcato i mari europei in qualità di marinaio su una nave mercantile di Le Havre, era tornato a Parigi per sposare Louise-Justine Aubrée. Quest’unione fu coronata dalla nascita di Léon Pascal, nel 1836, e di Oscar, battezzato in questo modo dai genitori ma destinato a entrare nelle pagine dei libri di storia dell’arte come Claude Monet. Il piccolo Claude fu battezzato a Notre-Dame-de-Lorette il 20 maggio 1841: egli, tuttavia, beneficiò poco del fervente clima culturale parigino perché, quando aveva solo cinque anni, la famiglia si trasferì a Le Havre, dove una sorellastra del padre aveva un commercio di articoli marittimi insieme al marito Jacques Lecarde. Monet beneficiò di uno stile di vita borghese, trascorrendo una fanciullezza agiata e all’aria aperta, grazie alla quale poté coltivare un amore viscerale per i paesaggi normanni, le campagne e il mare; una passione che sarà cruciale per la sua futura carriera pittorica.

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Parma – LIGABUE E VITALONI. Dare voce alla natura

PARMA – 19 SETTEMBRE 2020 | 30 MAGGIO 2021
LA MOSTRA DI ANTONIO LIGABUE INAUGURA IL NUOVO SPAZIO ESPOSITIVO DI PALAZZO TARASCONI

La mostra presenta 83 dipinti e 4 sculture di uno degli autori più geniali e originali del Novecento italiano e si completa con la sezione di 15 opere plastiche di Michele Vitaloni che condivide con l’artista di Gualtieri una particolare empatia verso il mondo naturale e animale.

Antonio Ligabue, Autoritratto con sciarpa rossa, 1958, olio su faesite, 75×59

Parma si riappropria di un nuovo spazio espositivo, nel cuore della città ducale, all’interno del cinquecentesco Palazzo Tarasconi, con una grande mostra dedicata ad Antonio Ligabue (1899-1965), uno degli autori più geniali e originali del Novecento italiano. A causa dell’emergenza Coronavirus, la rassegna inizialmente prevista tra aprile e dicembre di quest’anno, è stata riprogrammata dal 19 settembre 2020 al 30 maggio 2021.

L’esposizione, ideata e realizzata da Augusto Agosta Tota, Marzio Dall’Acqua e Vittorio Sgarbi, organizzata dal Centro Studi e Archivio Antonio Ligabue di Parma, promossa dalla Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma, inserita nel calendario d’iniziative di Parma Capitale Italiana della Cultura 2020+21, presenta 83 dipinti e 4 sculture di Ligabue, capaci di analizzare i temi che più hanno caratterizzato la sua parabola artistica, dagli autoritratti, ai paesaggi, agli animali selvaggi e domestici.

Il percorso prevede, inoltre, una sezione con 15 opere plastiche di Michele Vitaloni (Milano, 1967) che condivide con Ligabue una particolare empatia verso il mondo naturale e animale.

“Torneremo a guardare il mondo attraverso gli occhi di Antonio Ligabue – afferma Augusto Agosta Tota, presidente della Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma -. Come il grande pittore della Bassa, in questi mesi d’isolamento, abbiamo imparato a provare nel nostro profondo un sentimento di angoscia, di dolore e d’impotenza, mischiato a quello di speranza e di attesa di una normalità che sentivamo di poter raggiungere”.

“E ora che abbiamo una data di apertura della mostra – sabato 19 settembre – e la segreta fiducia che il peggio di questa terribile pandemia è ormai alle spalle, possiamo finalmente allenare le nostre anime ad accogliere le emozioni che solo le opere di Ligabue possono infondere. Per un sottile gioco del destino, l’esposizione si apre alle porte dell’autunno, la stagione che più si trova in sintonia con il linguaggio espressionista di Ligabue”.

“La rassegna – conclude Augusto Agosta Tota – presenta i capolavori di Ligabue, affiancati dalle sculture di Michele Vitaloni, suo epigono contemporaneo, entrambi attratti dal mondo della natura, degli animali selvatici e della loro forza vitale. Una mostra insieme affascinante e ricca di spunti di riflessione molto attuali che, oltre a essere una delle iniziative inserite nel calendario di Parma capitale italiana della cultura 2020+21, darà modo al pubblico di scoprire un nuovo e suggestivo spazio espositivo, nel cinquecentesco Palazzo Tarasconi, nel cuore della città ducale”.

L’allestimento, di grande impatto visivo e teatrale, appositamente progettato da Cesare Inzerillo per creare un’atmosfera di fusione fra pittura e scultura, condurrà il visitatore all’interno dell’immaginario creativo di Ligabue, analizzando gli argomenti più frequentati dall’artista.

A partire dagli autoritratti, che costituiscono una perenne e costante condizione umana di angoscia, di desolazione e di smarrimento; il suo volto esprime dolore, fatica, male di vivere; ogni relazione con il mondo pare essere stata per sempre recisa, quasi che l’artista potesse ormai solo raccontare, per un’ultima volta, la tragedia di un volto e di uno sguardo, che non si cura di vedere le cose intorno a sé, ma che chiede di essere guardato, anche solo fugacemente.

“C’è il mondo interiore che si esibisce nei suoi autoritratti – afferma Vittorio Sgarbi – Ligabue parla con se stesso, si chiede e ci chiede qualcosa. Anche in questo caso è evidente il disagio. Ligabue si batte la testa con un sasso, cerca di scacciare gli spiriti maligni. L’autoritratto non è una forma di narcisismo, esprime la necessità di capirsi meglio, in un processo di autoanalisi. L’autoritratto è l’immagine del malessere, e Ligabue ci tiene a farlo conoscere”.

Un nucleo importante di opere è dedicato al mondo naturale, in particolare al regno animale; sia a quello della bassa padana, ambientato in una quotidianità di duro lavoro nei campi (come nella tela Aratura del 1961), o di semplice vita agreste (come nel dipinto Cortile del 1930), ma anche e soprattutto a quello selvatico, dove protagonisti sono tigri, leoni, leopardi, iene, che Ligabue prima studiava sulle pagine dei libri e poi dipingeva, identificandosi con loro a tal punto da assumerne gli atteggiamenti: Ligabue, infatti, ruggiva spaventosamente e imitava le movenze nell’atto di azzannare la preda. Esemplari a tal proposito sono alcune opere esposte a Parma, come Leopardo con bufalo e iena (1928),  Tigre assalita dal serpente (1953), Re della foresta (1959), Vedova nera (1951).

“Gli animali che Ligabue vede nella foresta – dichiara ancora Vittorio Sgarbi – sono simboli di forza, di energia, emblemi di un desiderio di libertà, di riscatto. Ligabue, uomo umiliato ed emarginato, come pittore si afferma e vince attraverso la potenza gloriosa dell’animale. La tigre domina la foresta, la sua aggressività è vincente, ma la sua vittoria è pericolo, è la dimensione bellicosa dell’umanità. Ligabue parla di sé, definisce il suo mondo, visto e immaginato, e comunque reale. E se parla di se stesso, non parla con se stesso perché non deve comunicarsi niente”.

L’eredità di Ligabue si spinge fino alla contemporaneità. L’esposizione, infatti, dà conto di un gruppo di lavori di Michele Vitaloni, rappresentante di spicco della Wildlife Art e dell’iperrealismo scultoreo. Come il Toni, Vitaloni è attratto dal fascino della figura animale selvaggia, dall’eleganza dei loro corpi che riflettono la parte selvatica della natura umana. Tra le volte delle cantine di Palazzo Tarasconi, 15 sculture di grandi dimensioni si confronteranno con i capolavori di Ligabue raccontando l’urgenza di quell’energia del mondo animale che appartiene a tutti gli esseri umani.

“A Palazzo Tarasconi a Parma – scrive Sgarbi nel catalogo di mostra – si consuma lo scontro tra Antonio Ligabue, presente e vivo davanti a noi, e Michele Vitaloni. Vitaloni è nato due anni dopo la morte di Ligabue. Oggi, chi è vissuto abbastanza da averli visti entrambi attivi, Augusto Agosta Tota, li mette uno a fianco dell’altro e ne scopre affinità che non sono soltanto determinate dalla identità dei soggetti, soprattutto animali selvaggi, leoni, tigri, leopardi, ma da energia, animazione, vita. Ne consegue, nel motivato confronto,  che gli animali di Ligabue sono vivi, non dipinti. Vitaloni li riproduce per esaltarne la bellezza.”

In occasione della mostra di Parma, la Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma presenterà il “Catalogo generale di Antonio Ligabue. Pitture, sculture, disegni e incisioni”, in tre volumi, (edizione bilingue italiano e inglese) con testi, tra gli altri, di Augusto Agosta Tota, Vittorio Sgarbi, Flavio Caroli, Marzio Dall’Acqua.

L’esposizione mostra sarà accompagnata da un catalogo bilingue (italiano e inglese) con la riproduzione di tutte le opere esposte e saggi dei curatori.
QN Quotidiano Nazionale è media partner dell’iniziativa.

La rassegna è dedicata alla memoria di Flavio Bucci, l’attore scomparso lo scorso 18 febbraio che, con la sua indimenticabile interpretazione, aveva dato volto ad Antonio Ligabue, nel film diretto nel 1982 da Salvatore Nocita.

IMMAGINE DI APERTURA – Antonio Ligabue, Testa di tigre, 1953-54, olio su faesite, cm 66,4×57,4

Camille Pissarro – Boulevard Montmartre di notte

Boulevard Montmartre di notte, 1897, National Gallery, Londra

IL DIPINTO

Boulevard Montmartre di notte è un dipinto a olio su tela (53,3×64,8 cm) di Camille Pissarro, databile al 1897 e conservato nella National Gallery di Londra. Dopo esser stato per circa trent’anni una delle figure di riferimento per la nascita e lo sviluppo del movimento impressionista, nel corso degli anni 1890 Pissarro tornò a uno dei suoi interessi principali, ovvero la rappresentazione delle strade di Parigi. La sua tecnica, sebbene cristallizzata in forme che venivano superate in quegli anni dai post-impressionisti, dimostrava una grande attenzione agli effetti legati al progresso, dalle luci artificiali allo smog del nascente inquinamento atmosferico.

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Autoritratto, 1873, Museo d’Orsay, Parigi

L’ARTISTA

Jacob Abraham Camille Pissarro (Charlotte Amalie, 10 luglio 1830 – Parigi, 13 novembre 1903) è stato un pittore francese, tra i maggiori esponenti dell’Impressionismo. Jacob Abraham Camille Pissarro nacque il 10 luglio 1830 a St. Thomas, nelle isole Antille, all’epoca note come Indie Occidentali: il padre, Frederick Pissarro, era francese con origini ebreo-portoghesi mentre la madre, Rachel Manzano, era una creola nativa dell’isola. Papà Frederick era giunto sull’isola alla ricerca di fortuna per succedere negli affari di uno zio defunto, il quale quand’era in vita era titolare di una piccola bottega. A dodici anni Pissarro, assecondando le volontà del padre, andò a studiare in Francia, nella scuola di un sobborgo parigino, Passy. Fu proprio grazie ai continui stimoli degli insegnanti di quest’istituto che Pissarro maturò una sincera passione per il disegno e la pittura, che ebbe modo di mettere a frutto quando diciassettenne fece ritorno alle Antille. La sua passione per le Belle Arti, tuttavia, fu fortemente ostacolata dal padre, che desiderava piuttosto che si avviasse alla carriera di merciaio, ritenendola meno azzardata sotto il profilo economico. Nonostante queste rilevanti difficoltà Pissarro non abbandonò mai le sue ambizioni pittoriche, che coltivava allorquando ne avesse l’opportunità.

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Le Passeggiate del Direttore: Culti locali a Deir el-Medina

Cosa c’è di meglio di una web serie per tenervi compagnia? A grande richiesta, vi presentiamo LE PASSEGGIATE DEL DIRETTORE, la prima stagione di una serie firmata dal Museo Egizio, un viaggio nella storia suddiviso in brevi episodi. 

Il Museo Egizio di Torino è il più antico museo, a livello mondiale, interamente dedicato alla civiltà nilotica ed è considerato, per valore e quantità dei reperti, il più importante al mondo dopo quello del Cairo. Nel 2004 il ministero dei beni culturali l’ha affidato in gestione alla “Fondazione Museo Egizio di Torino”. Nel 2019 il museo ha fatto registrare 853 320 visitatori, risultando il sesto museo italiano più visitato. Nel 2017 i Premi Travellers’ Choice di TripAdvisor classificano l’Egizio al primo posto tra i musei più apprezzati in Italia, al nono in Europa e al quattordicesimo nel mondo.
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Le Passeggiate del Direttore: Culti locali a Deir el-Medina

IMMAGINE DI APERTURA – Ingresso del museo egizio, Torino (Fonte Wikipedia)

Daniela Apparente – Self-publishing: nuovi scrittori per vecchi editori?

Il self-publisher è una figura in via di professionalizzazione che si affianca a quella dello scrittore classico, legato a una casa editrice. Questo nuovo soggetto è un autore che gestisce il proprio progetto editoriale in maniera indipendente, avvalendosi degli strumenti offerti dalle piattaforme di auto-pubblicazione online. Tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, i libri auto-pubblicati ammontano al 15%-20% sul totale della produzione letteraria digitale. Un risultato eccezionale che ha attirato l’attenzione delle grandi case editrici, che iniziano a compiere i primi sforzi di integrazione nei confronti di questa nuova “auto-editoria”. Intanto, l’editoria contemporanea sta affrontando un periodo di grande democratizzazione, oltre a una sorta di “darwinismo editoriale”. Cosa aspettarsi dunque? Gli editori saranno in grado di integrare due modelli di business così differenti? E gli autori indie? Manterranno la propria autonomia o cederanno alle offerte delle case editrici aperte alla collaborazione?

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IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Виктория Бородинова da Pixabay 

Claude Monet – Impressione, levar del sole

Impressione, levar del sole, 1872, Musée Marmottan Monet, Parigi

IL DIPINTO

Impressione, levar del sole (Impression, soleil levant) è un dipinto del pittore francese Claude Monet, realizzato nel 1872. Al dipinto si attribuisce l’origine stessa del movimento impressionista. L’opera è esposta al Musée Marmottan Monet di Parigi. Si tratta di una tela dove i princìpi cardinali dell’Impressionismo sono già perfettamente delineati. A essere raffigurato è uno scorcio mattutino del porto di Le Havre, avvolto da una nebbia impalpabile e scialba che rende tutto sfocato e indefinito. In primo piano troviamo, disposte in diagonale da sinistra verso destra, tre piccole imbarcazioni che, con placidi remeggi, solcano le acque portuali. Sullo sfondo, dietro il velo di foschia, si profilano infatti i pennoni delle navi ormeggiate, le silhouette dei mezzi meccanici per la movimentazione delle merci, alcune ciminiere fumanti e persino un albero. Alzandosi dalle viscere fluviali, poi, in alto si è librato il disco rossastro del sole che, facendosi lentamente strada nel cielo, emette dei raggi aranciati che si riverberano guizzanti sullo specchio d’acqua, appena screziato da alcune onde, e inondano omogeneamente tutto il paesaggio. In basso a sinistra, infine, il dipinto è firmato e datato: «Claude Monet 72».

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Autoritratto,1886, collezione privata

L’ARTISTA

Oscar-Claude Monet (Parigi, 14 novembre 1840 – Giverny, 5 dicembre 1926) è stato un pittore francese, considerato uno dei fondatori dell’impressionismo francese e certamente il più coerente e prolifico del movimento. I suoi lavori si distinguono per la rappresentazione della sua immediata percezione dei soggetti, in particolar modo per quanto riguarda la paesaggistica e la pittura en plein air. Oscar-Claude Monet era figlio del droghiere Adolphe Monet, che dopo aver solcato i mari europei in qualità di marinaio su una nave mercantile di Le Havre, era tornato a Parigi per sposare Louise-Justine Aubrée. Quest’unione fu coronata dalla nascita di Léon Pascal, nel 1836, e di Oscar, battezzato in questo modo dai genitori ma destinato a entrare nelle pagine dei libri di storia dell’arte come Claude Monet. Il piccolo Claude fu battezzato a Notre-Dame-de-Lorette il 20 maggio 1841: egli, tuttavia, beneficiò poco del fervente clima culturale parigino perché, quando aveva solo cinque anni, la famiglia si trasferì a Le Havre, dove una sorellastra del padre aveva un commercio di articoli marittimi insieme al marito Jacques Lecarde. Monet beneficiò di uno stile di vita borghese, trascorrendo una fanciullezza agiata e all’aria aperta, grazie alla quale poté coltivare un amore viscerale per i paesaggi normanni, le campagne e il mare; una passione che sarà cruciale per la sua futura carriera pittorica.

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