FERRARA BUSKERS FESTIVAL® – 33^ edizione

26-30 AGOSTO 2020
FERRARA BUSKERS FESTIVAL®
Sito internet: www.ferrarabuskers.com

Un’edizione LIMITED, nel senso di speciale, della Rassegna Internazionale del Musicista di Strada con le migliori 15 buskers band d’Europa che suoneranno in totale sicurezza in 5 location storiche della città.

L’iniziativa vivrà una preziosa anteprima, martedì 25 agosto, a Comacchio, con esibizioni in luoghi particolarmente suggestivi della cittadina sul Delta del Po.

Ferrara capitale della musica.

Dal 26 al 30 agosto 2020 torna il Ferrara Buskers Festival®, la Rassegna Internazionale del Musicista di Strada, giunto alla sua 33^ edizione, che si fa portavoce del messaggio di speranza che forse solo la musica e il suo desiderio di partecipazione riesce a dare.

Stefano Bottoni, ideatore e direttore artistico di Ferrara Buskers Festival®, e Rebecca Bottoni, presidente della manifestazione, hanno pensato a un programma più snello, che tenesse conto di alcune limitazioni di fruizione, per garantire l’assoluta sicurezza degli artisti e del pubblico.

Sarà una limited edition davvero speciale e curata nei dettagli di Ferrara Buskers Festival®, con una proposta musicale di altissima qualità, con le migliori 15 buskers band d’Europa, selezionate tra oltre 700 richieste che suoneranno in 5 location storiche della città, come il Giardino di Palazzo dei Diamanti, il Cortile di Palazzo Crema, il Chiostro di San Paolo, il Cortile del Castello Estense e Palazzo Roverella.

I protagonisti di Ferrara Buskers Festival® saranno gli esordienti: Beranger (Australia, Francia), Giorgia Job (Italia), Hot Club Du Nax (Italia, Germania, Repubblica Ceca, Austria, Inghilterra), Level Spaces (Brasile, Australia), Sissos (Australia), ai quali si uniranno AmbraMarie (Italia), Cosmonautix (Germania, Ucraina, Kazakistan, Bulgaria), Daiana Lou (Italia), Enrico Cipollini Duo (Italia), Marco Sbarbati Duo (Italia), Ruperts Kitchen Orchestra (Germania), The Orange Beat (Italia, Olanda), The Trouble Notes (Stati Uniti, Regno Unito, Austria), Tribubu (Costa d’Avorio, Spagna), Tutto Good trio (Francia).

Il Ferrara Buskers Festival®, sarà preceduto – martedì 25 agosto – da una preview a Comacchio (FE). La serata si aprirà, alle 19.00, con il concerto nell’incantevole scenario della Salina e proseguirà, dalle 21.30 a mezzanotte, nel centro della cittadina sul Delta del Po, con i musicisti che si esibiranno in luoghi particolarmente suggestivi come l’area di Palazzo Bellini e la piazzetta retrostante, i Trepponti, la piazza Museo del Delta Antico e la Manifattura dei Marinati.

L’inaugurazione del festival si terrà ufficialmente a Ferrara mercoledì 26 agosto, con una serata di totale apertura alle arti. Tra le 18.00 e le 19.00, i musicisti incontreranno il pubblico in una serie di aperitivi nei locali della città estense e dalle 18.30 spazio agli appuntamenti musicali, uno fra tutti, il concerto di Raffaele Kohler, il trombettista milanese che, nei giorni del lockdown, suonava O mia bela Madunina dietro le finestre di casa sua.

Da giovedì 27 a sabato 29 agosto, il Ferrara Buskers Festival® proporrà i concerti delle 15 band selezionate, dalle 20.00 alla mezzanotte.

Il Ferrara Buskers Festival® si chiuderà domenica 30 agosto con i concerti dei buskers d’oltreoceano che, non potendo partecipare fisicamente, eseguiranno i loro brani in streaming, trasmessi sul ledwall installato al Castello Estense, e sulle piattaforme social della rassegna, offrendo alla platea un giro del mondo musicale virtuale.

L’utilizzo delle nuove tecnologie sarà infatti una delle caratteristiche dell’edizione 2020, per consentire a un più vasto numero di persone di seguire le performance degli artisti. Al sito internet della manifestazione (www.ferrarabuskers.com), si affiancheranno i canali social di Facebook, Instagram, Twitter, YouTube, oltre alla piattaforma blog di medium.com (medium.com/ferrara-buskers-festival) su cui leggere approfondimenti, storie, rassegna stampa e molto altro.

Tutti i filmati, le testimonianze e le fotografie raccolti quest’anno, andranno ad arricchire l’archivio multimediale di Ferrara Buskers Festival®, il più grande al mondo, dedicato agli artisti di strada. 

ll Festival è stata la prima manifestazione culturale italiana, ecologica e sostenibile, a essere certificata ISO 20121. Il progetto Buskers GREEN è una iniziativa che, oltre ad aver ottenuto importanti riconoscimenti come il Premio Cultura in Verde e il patrocinio del Ministero dell’Ambiente, è diventato modello di riferimento per eventi analoghi, soprattutto in tema di gestione dei rifiuti.

Ferrara Buskers Festival® è organizzato dall’Associazione Ferrara Buskers Festival, col patrocinio del Comune di Ferrara, dal MiBACT – Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, della Regione Emilia-Romagna, della Camera di Commercio di Ferrara, col sostegno di HERA; media partner Berlino magazine e Radio Bruno.

Brevi cenni storici

Ferrara Buskers Festival® è il più importante e longevo festival al mondo dedicato ai musicisti di strada.
Il progetto nasce nel 1987, da un’idea Stefano Bottoni, ancora oggi direttore artistico della manifestazione. Amante della musica e musicista a sua volta, Stefano Bottoni, dopo un viaggio a New York, ha capito quanto fosse importante valorizzare la figura del musicista di strada – il busker – le cui esibizioni sono spesso vietate in molte città del mondo. La sua intuizione è stata quella di dare al festival un respiro internazionale: in questi anni infatti sono arrivati a Ferrara centinaia di artisti da tutto il pianeta, desiderosi di condividere la loro arte. Da segnalare, nel 1989, la partecipazione in incognito di Lucio Dalla, che volle accogliere l’invito di Stefano Bottoni, esibendosi con il suo clarinetto tra lo stupore della folla. Ogni edizione è dedicata a un paese o a una città internazionale diversa, da cui provengono la maggior parte degli artisti invitati, con l’obiettivo di creare nuovi rapporti culturali.

IMMAGINE DI APERTURA – Uno dei gruppi musicali che si esibiranno al FERRARA BUSKERS FESTIVAL® 

A proposito di ponte sullo Stretto, di tunnel, o niente di niente

di Sergio Bertolami

Nel medioevo, mentre i preti elevavano lodi al Signore e la folla pregava, i costruttori innalzavano cattedrali. Il mio interesse è rivolto a questi ultimi. Loro non si fermavano alle parole, né tantomeno alla tradizione consolidata. Con giudizio prendevano dalla tradizione e la innovavano. Se si fossero fermati al millenario arco a tutto sesto non avrebbero mai immaginato l’arco a sesto acuto. Se avessero continuato a tracciare su di un foglio un semicerchio, puntando il compasso su di un solo centro, l’architettura romanica sarebbe giunta immutata ai nostri giorni. Invece quei costruttori si accorsero che, doppiando i semicerchi, l’intersezione dei due segmenti d’arco originava una forma nuova, appuntita, lanceolata, svettante. L’idea non rimase sulla carta e passarono alla pratica. Fu allora che la distanza fra le colonne portanti diminuì e i carichi murari furono più equamente distribuiti. Le cattedrali crebbero in altezza e le preghiere degli uomini si avvicinarono a Dio, un tantino di più. Il miracolo si avverò. Fu un miracolo della scienza costruttiva. Un miracolo umano, condiviso fra le comunità. Non fu la conquista di un’archistar, perché i nomi di molti fra quei costruttori non sono statti neppure incisi sulle pietre, né tantomeno riportati sui codici miniati. Si sono dissolti nel tempo. Occorreva, però, fare proprio quel miracolo. Chi conosce la storia dei tre tagliapietre mi può comprendere. Un pellegrino, passando vicino a un cantiere edile, s’imbatté in un operaio tutto sudato che, nel segare pietre, imprecava per la fatica. Gli domandò cosa stesse facendo e quello rispose scortese: «Non lo vedi? Mi rompo le ossa». Proseguendo il pellegrino rivolse la stessa domanda ad un secondo operaio, che sbozzava conci con mazza e scalpello. Fiducioso rispose: «Mi sto guadagnando da vivere, per me e per la mia famiglia». Fu un terzo scalpellino a sorprendere il viandante quando, alzandosi da terra, si asciugò il sudore e mostrandogli i lavori già avanzati rispose lietamente: «Sto lavorando alla costruzione di una cattedrale». Come si vede, i tre uomini facevano tutti lo stesso umile mestiere, faticoso, muscolare, bruciati dal sole in estate e inzaccherati dalla fanghiglia d’inverno. Ciò che cambiava era il loro modo di guardare il mondo. Il primo mosso da un senso di rifiuto. Il secondo sopportava un destino apparentemente immutabile. Solo l’ultimo esprimeva il senso della comunità, consapevole che ciascuno, grazie al proprio ruolo, partecipa a una costruzione collettiva.

Sono atteggiamenti che in questi giorni vedo fra amici e conoscenti a proposito della questione sull’attraversamento dello Stretto. C’è chi non vuole sentire parlare di ponte e chi, al contrario, si arrocca in difesa di un progetto vecchio di cinquant’anni e ripetutamente stracciato. Ho un terzo gruppo di amici, al quale per la verità mi sento di far parte. Questi miei amici hanno fatto notare che una terza via esiste. Per attraversare stabilmente lo Stretto propongono la soluzione tunnel. Ma guai a parlarne. Siamo ricoperti di improperi aberranti.
Ora che esponenti del governo e in prima persona il presidente del Consiglio hanno rilasciato dichiarazioni proprio a favore del tunnel, sia gli sfavorevoli al ponte e sia i favorevoli (anche quelli dell’ultimo minuto, perché dicono che solo i cretini non cambiano mai parere) si sentono due volte turlupinati. In primo luogo, perché temono di vedere sfumare, in modo definitivo, l’effetto delle proprie convinzioni. In secondo luogo, perché nessuno li ha mai interpellati: loro, che nei capitoli delle cattedrali sono ripetutamente entrati, usciti, rientrati.
Noi, invece, abbiamo sempre lavorato nei cantieri. Come Ingegneri o architetti, oppure come umili operai. A vario titolo abbiamo disegnato carte o cavato pietre e scalpellato conci, elevato ponteggi e trasportato materiali ogni giorno più in alto, dove sembra che il lavoro non debba mai concludersi. Noi, che lavorando, a fine giornata, non abbiamo fiato per “banniare” nella piazza del mercato dove si fanno gli affari o nelle sale del capitolo dove si decide a chi va il cucchiaio di minestra. Bene! Noi oggi siamo contenti se qualcuno fra i nostri amici ha potuto mostrare le “sudate carte” al Governo per discutere le idee elaborate. Ora forse serviranno a portare avanti i lavori del cantiere comune. Sono idee esposte ripetutamente in pubblico. Nobili e clero, a suo tempo, le hanno con sufficienza ascoltate. Oggi gridano alla catastrofe, mentre fingono di elevare lodi al Signore e la folla inconsapevole continua a pregare. Noi, costruttori o spaccapietre, proseguiamo invece a disegnare e sperimentare archi di forma diversa da applicare nelle opere di cantiere. Per il bene comune. Senza infingimenti. Con coraggio, perché «bisogna avere il coraggio di pensare che durante la propria vita si è costruita una cattedrale. Sì, tale pensiero richiede coraggio» (Pierre Jean Jouve, En mirroir).

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica del video presentato dal Corriere della Sera sul web riguardante 4 minuti stralciati dalla relazione dell’ing. Giovanni Saccà al convegno “Le macroregioni europee del Mediterraneo e l’area dello Stretto”. In questi giorni molti quotidiani italiani stanno prendendo innumerevoli documenti dal nostro sito Experiences.it, senza chiedere permessi e senza neppure citare la fonte. Non ci pare un buon costume.

Medardo Rosso – Ecce Puer

L’Ecce Puer. Riproduzione situata sulla tomba di Medardo Rosso, cimitero monumentale di Milano

IL DIPINTO

Ecce Puer (conosciuto anche come: Portrait de l’enfant Alfred Mond, Enfant anglais, Impression d’enfant) è un’opera di Medardo Rosso (1858-1928) che rappresenta la «vision de purité dans un monde banal» ossia la visione di purezza davanti ad un mondo banale, lo stupore di un bambino davanti ad un evento che ad un adulto appare banale. «Una sera c’era stato un ricevimento e la sala era piena di ospiti eleganti. Ad un tratto la tenda era aperta un po’ ed un bambino guardò dentro, le labbra aperte di sorpresa poi si è ritirato. Medardo corse alla sua stanza, ha lavorato tutta la notte fino al giorno dopo per completare la testa. L’hanno trovato sul divano con i vestiti serali indosso» (Scolari-Barr).

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Ecce Puer

Medardo Rosso al lavoro nel suo laboratorio

L’ARTISTA

Medardo Rosso (Torino, 21 giugno 1858 – Milano, 31 marzo 1928) è stato uno scultore italiano, importante esponente dell’impressionismo italiano. Medardo Rosso nacque a Torino nel 1858. Si trasferì con la famiglia a Milano nel 1870. Frequentò dal 1882 al 1883 l’Accademia di belle arti di Brera dove si dimostrò insofferente all’insegnamento accademico. Iniziò la sua carriera artistica nell’ambito della scapigliatura milanese. Nel 1885 sposò Giuditta Pozzi e nello stesso anno ebbero un figlio, che fu l’unico, Francesco Rosso. Il matrimonio naufragò già nel 1889. Proprio nel 1889 si recò a Parigi, dove venne a contatto con artisti impressionisti. Ritornò a Milano nel 1914, dove morì nel 1928 in seguito ad un’infezione dovuta a un problema al sangue. Realizzò soprattutto sculture in cera, ma anche in bronzo, terracotta, gesso e disegni a matita e a colori. Metteva molte cose insolite nei suoi “impasti”. Espose le sue opere a Parigi al Salon des Artistes Français, al Salon des Indipendents, nella Gallerie Thomas e Georges Petit, e a Vienna nel 1885. Eseguì alcuni busti per il cimitero monumentale di Milano. Nel 1886 espose a Londra e a Venezia e nel 1889 all’Esposizione universale di Parigi. Fu stimato, tra i suoi contemporanei da Edgar Degas e Auguste Rodin. Influenzò, successivamente, artisti come Boccioni, Carrà e Manzù.

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Medardo Rosso

Qual è oggi la soluzione migliore per far arrivare in Sicilia l’Alta Velocità ferroviaria?

I giornali di questa mattina danno ampio spazio al tema dell’attraversamento stabile dello Stretto di Messina: dal Corriere della Sera al Giornale di Sicilia. La Gazzetta del Sud (quotidiano di Messina e Calabria) nei giorni scorsi ha riportato che il ministro Paola De Micheli, durante il question time al Senato, ha dichiarato che la questione «richiede un’attenta valutazione delle problematiche tecnico-costruttive, delle ricadute occupazionali, ambientali e trasportistiche e, più in generale, degli esiti di una puntuale analisi costi/benefici. A questo seguirà una compiuta verifica e valutazione dell’opera da parte di tutte le forze politiche e dei territori interessati». Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ne ha parlato espressamente domenica sera dalla piazza di Ceglie Messapica come di un «miracolo di ingegneria». Le carte sono dunque sul tavolo del governo e quello che fa più scalpore è che al progetto ponte sembra preferirsi il progetto tunnel sottomarino. Experiences ha dedicato molte pagine all’argomento, attraverso i dettagliati resoconti dell’ing. Giovanni Saccà, il quale sta discutendo con la commissione di esperti del Ministero dei Trasporti la soluzione tunnel, che sembrerebbe indubbiamente la più logica ed economica. Uno dei nostri lettori, seguendo il video da lui elaborato per uno dei convegni a favore della Macroregione Mediterranea e pubblicato su YouTube (canale di Experiences), ha posto proprio all’ingegnere Saccà questa domanda: «Ho visto che ci sono varie soluzioni per attraversare lo stretto, inizialmente si è puntato sul classico ponte, poi è uscita la versione dei tunnel sotto il fondale marino, infine c’è una versione tra il fondale e il livello del mare. Sarebbe interessante un video riepilogativo tra i pro e i contro di tutte le soluzioni…».
L’ingegnere Saccà, da noi contattato, ha prontamente risposto segnalandoci una sua recente pubblicazione sulla rivista “Il Giornale dell’Ingegnere”. Lo stesso Saccà ci ha rimandato anche ad un articolo di riepilogo uscito sul sito web Teknoring.com, portale delle professioni tecniche. Sulla base di questi suoi contributi è possibile chiarirsi meglio le idee, che allo stato dei fatti sembrano nella maggioranza dei casi ancora molto confuse e soprattutto legate ad argomentazioni ideologiche.

LEGGI L’ARTICOLO: Ponte sullo Stretto di Messina: a che punto siamo?

giornale_ingegnere_luglio_2020-1

Infrastrutture Strategiche – Dalla relazione dell’ing. Giovanni Saccà

Milano ALDAI-Federmanager – Infrastrutture Strategiche – Giovanni Saccà

Eugenio Montale: Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

Questa è una fra le più note liriche scritte da Eugenio Montale. Fu composta nel 1967 in memoria della moglie Drusilla Tanzi. Noi vorremmo dedicarla a Daniele Bertolami. Come Drusilla, Daniele era affetto da un male alla vista, ma nonostante tutto, ogni giorno, non mancava di elaborare le pagine di Experiences. Daniele ci ha lasciati tre anni fa, esattamente 50 anni dopo Drusilla. Noi lo ricordiamo ogni giorno.

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di skeeze da Pixabay

Le Passeggiate del Direttore: L’Amduat, il viaggio notturno del Dio Sole

Cosa c’è di meglio di una web serie per tenervi compagnia? A grande richiesta, vi presentiamo LE PASSEGGIATE DEL DIRETTORE, la prima stagione di una serie firmata dal Museo Egizio, un viaggio nella storia suddiviso in brevi episodi. 

Il Museo Egizio di Torino è il più antico museo, a livello mondiale, interamente dedicato alla civiltà nilotica ed è considerato, per valore e quantità dei reperti, il più importante al mondo dopo quello del Cairo. Nel 2004 il ministero dei beni culturali l’ha affidato in gestione alla “Fondazione Museo Egizio di Torino”. Nel 2019 il museo ha fatto registrare 853 320 visitatori, risultando il sesto museo italiano più visitato. Nel 2017 i Premi Travellers’ Choice di TripAdvisor classificano l’Egizio al primo posto tra i musei più apprezzati in Italia, al nono in Europa e al quattordicesimo nel mondo.
CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Museo Egizio di Torino

Le Passeggiate del Direttore: L’Amduat, il viaggio notturno del Dio Sole

IMMAGINE DI APERTURA – Ingresso del museo egizio, Torino (Fonte Wikipedia)

Autori vari – Il menù dell’amore

Le più appetitose ricette dei lettori de “Gli ingredienti segreti dell’amore” di Nicolas Barreau. Parmigiane da capogiro, seducenti tagliatelle, peperoni che fanno perdere la testa e dolci ad alto contenuto di passione: non perdetevi l’occasione di conquistarlo o conquistarla con le ricette di questo ebook.

SCARICA IL LIBRO FORMATO E-BOOK GRATIS DA IBS.IT

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di OpenClipart-Vectors da Pixabay

Antoine Bourdelle – Ercole arciere

Hercules the Archer nel Metropolitan Museum of Art, New York, bronzo dorato

IL DIPINTO

Ercole arciere (Hercules the Archer) è una scultura di Antoine Bourdelle, originariamente realizzata nel 1909, riprodotta in molteplici versioni. Fu commissionata del finanziere e filantropo Gabriel Thomas, come opera unica in bronzo dorato nell’aprile del 1909; Bourdelle lavorò alla scultura nell’estate del 1909. Fu scelta da Eugène Rudier e fu esposta alla National Society of Fine Arts nel 1910, e molto apprezzata. Le dimensioni erano 2,50 m × 2,40 m. La seconda versione fu sviluppata intorno al 1923. Differiva dalla prima versione per l’aggiunta di rilievi sulla roccia a destra, che rappresentano l’idra di Lerna e il leone di Nemea. Infine, sia uno stendardo lungo la base della scultura che un monogramma completarono il lavoro.

CONTINUA LA LETTURA IN INGLESE SU WIKIPEDIA: Hercules the Archer

Antoine Bourdelle in un ritratto fotografico scattato nel 1925

L’ARTISTA

Emile-Antoine Bourdelle (Montauban, 30 ottobre 1861 – Le Vésinet, 1º ottobre 1929) è stato uno scultore francese. All’età di 24 anni aveva vinto una borsa di studio per l’École nationale supérieure des beaux-arts di Parigi. Bourdelle fu assistente di Rodin, la fama di quest’ultimo ha ingiustamente spesso messo in secondo piano la figura del grande scultore francese, esempio della sua maestria sono L’arciere, La Forza (braccio del combattente), Centauro morente, fra i moltissimi lavori di pregio, in un’abbastanza recente mostra al Palazzo Ducale di Genova è stata resa giustizia in ambito locale al grande scultore: per un’idea più completa del suo lavoro occorre riferirsi a Parigi: ebbe numerosi incarichi pubblici e la monumentalità ed i mezzi economici e tecnici di molte sue opere lo stanno a dimostrare, ma soprattutto in Italia è ben poco conosciuto in quanto la “cultura” accademica non ha mai ben digerito il suo distacco dal seguire le stesse orme di Rodin.

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Emile-Antoine Bourdelle

Pienza: “Mio vanto, mio patrimonio” – L’arte del ‘900 nella visione di Leone Piccioni

“MIO VANTO, MIO PATRIMONIO” L’arte del ‘900 nella visione di Leone Piccioni
Pienza, Palazzo Piccolomini – 29 agosto 2020 – 10 gennaio 2121
Mostra a cura di Piero Pananti e Gloria Piccioni

Filippo De Pisis, Il maniscalco, 1941, Olio su tela

“Mio vanto, mio patrimonio” è il titolo dell’importante mostra sull’arte del Novecento che il Comune di Pienza propone dal 29 agosto 2020 al 10 gennaio 2121, nel Museo della Città, nel cuore della magnifica Città Ideale toscana. E a precisare il titolo viene “la visione di Leone Piccioni”, a indicare che quel Novecento in pittura è quello che è stato scelto, riunito e appeso alle pareti della sua casa da un fine intellettuale, Piccioni appunto, nel corso di una intera vita.

Ciascun collezionista, grande o piccolo che sia, crea una collezione che lo rispecchia, che di lui è un po’ il reale ritratto. La collezione d’arte – davvero magnifica – che Leone Piccioni (Torino, 9 maggio 1925 – Roma, 15 Maggio 2018) ha riunito nel corso di tutta la sua lunga esistenza, è il chiaro specchio del suo essere stato uno dei più fini intellettuali che l’Italia abbia potuto vantare la seconda metà del “secolo lungo”.

Dietro ciascuna delle oltre 95 opere esposte al Museo della Città c’è una frequentazione, una precisa assonanza, un richiamo con la poesia o la letteratura, un pensiero condiviso. Ma anche la semplice emozione d’un momento. L’elenco, in rigoroso ordine alfabetico degli artisti della Collezione Piccioni, recita i nomi di: Afro Basaldella, Remo Bianco, Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi, Carlo Carrà, Mario Ceroli, Filippo De Pisis, Piero Dorazio, Jean Fautrier, Lucio Fontana, Remo Formichi, Giosetta Fioroni, Franco Gentilini, George Grosz, Renato Guttuso, Carlo Guarienti, Mino Maccari, Mario Mafai, Giacomo Manzù, Mario Marcucci, Giorgio Morandi, Ennio Morlotti, Aleardo Paolucci, Ottone Rosai, Piero Sbarluzzi, Mario Schifano, Gregorio Sciltian, Graham V. Sutherland, Venturino Venturi. Presenti in Collezione talvolta con più opere, anche diversissime per caratteristiche e dimensioni.

Piero Pananti e Gloria Piccioni, figlia di Leone, che curano la mostra pientina, sottolineano lo spirito con cui è stata nel tempo costituita la Collezione: «l’amore per il bello e per la cultura, l’impulso per la condivisione delle arti e della conoscenza, le affinità elettive che legano il critico ai pittori, poeti, intellettuali suoi amici». E viene subito alla memoria la lunga vicinanza di Piccioni con Ungaretti e la scelta di Dorazio per illustrare “La Luce”, sua raccolta di poesie degli anni 1914 – 1961. Perché Piccioni, da autentico intellettuale, non si pone steccati, cercando semmai assonanze tra pittura, letteratura, poesia, musica, teatro… All’interno di quella Cultura che sapeva realmente divulgare nelle sue trasmissioni televisive, quando la tv era ancora uno strumento, forse “lo” strumento, di crescita anche culturale di un’Italia alla ricerca di una nuova identità negli anni difficili ma vitali del secondo dopoguerra.

Breve biografia di Leone Piccioni

LEONE PICCIONI (Torino 9 maggio 1925 – Roma 15 maggio 2018) è stato allievo di Giuseppe De Robertis e di Giuseppe Ungaretti.

Docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università la Sapienza di Roma e poi alla Iulm di Milano, alla carriera accademica e di critico letterario ha affiancato quella di giornalista e dirigente Rai.

È stato direttore del telegiornale, responsabile della terza pagina de Il Popolo, redattore de L’Approdo letterario e curatore dell’omonima trasmissione radiofonica e televisiva e, successivamente, vicedirettore generale della Rai. Curatore di Vita d’un uomo, la raccolta di tutte le poesie di Giuseppe Ungaretti (Milano, Mondadori, 1969), è autore di numerosi saggi dedicati ad autori tra i quali Pavese, Vittorini, Gadda, Foscolo e Leopardi, diari di viaggi, libri di memorie, ritratti. E proprio la formula del ‘ritratto’, emblematica di quella appartenenza alla “letteratura come vita”, cifra della sua ricerca e del suo magistero, è il cuore di uno dei libri più celebri di Leone Piccioni, Maestri e amici (Rizzoli, 1969), dove oltre ai profili dei suoi maestri (De Robertis, Ungaretti, Cecchi, Bo), spiccano quelli degli amici pittori Alberto Burri, Renato Guttuso, Giacomo Manzù, presenti nella raccolta di opere esposte in questa mostra.

Tra i libri più recenti di Leone Piccioni Ritratto in bianco e nero (Quaderni del Circolo “Silvio Spaventa Filippi”, 2010), Un’intimità ormai impossibile (Firenze, Pananti, 2014), Attualità del mio Novecento (a cura di Silvia Zoppi Garampi e Giovanni Piccioni, Dante &Descartes, 2015), Ungaretti e il Porto Sepolto (Succedeoggi Roma, 2016), Com’è tutta la vita e il suo travaglio – Lezioni su “Ossi di seppia” di Eugenio Montale (Dante & Descartes, 2017) e, pubblicato postumo, Lungara 29 – Il caso Montesi nelle lettere a Piero (Polistampa, 2018). Appena uscito di Leone Piccioni: Giorgio Morandi – Opere, Scritti, Corrispondenza 1952-1963 pubblicato da Gli Ori, Pistoia.

IMMAGINE DI APERTURAMino Maccari, Ungaretti (1960-1965), Olio su cartone telato

Una conversazione con Vanni Santoni: “La scrittura non si insegna”

Scrive Alessandra Castellazzi, traduttrice e caporedattrice del Tascabile da cui riprendiamo questa interessante conversazione: «”Leggere, leggere, leggere” e “poi scrivere, scrivere, scrivere”: queste dovrebbero essere le due occupazioni fondamentali di un aspirante scrittore o scrittrice. Vanni Santoni, nel suo La scrittura non si insegna (minimum fax 2020), costruisce attorno a questa idea un pamphlet sul mestiere dello scrivere, senza tracce dei classici consigli su “come si fa un incipit”, “come si tratteggia un personaggio”, o “come si struttura un arco narrativo”. Al loro posto, nutrite liste di lettura e un rigore ascetico quando si tratta di affrontare la pagina bianca».

CONTINUA LA LETTURA SU IL TASCABILE

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Gerd Altmann da Pixabay