La bellezza del vento. Eolico e paesaggio nella sfida della transizione energetica

CIVITA ANEV ED ERG LANCIANO IL CONCORSO PER GIOVANI FOTOGRAFI E VIDEOMAKER

Roma, 5 ottobre 2020Associazione Civita e ANEV (Associazione Nazionale Energia del Vento) con il supporto di ERG, primario operatore Europeo delle rinnovabili, primo produttore eolico in Italia, annunciano il lancio del concorso per fotografia e brevi video intitolato La bellezza del vento. Eolico e paesaggio nella sfida della transizione energetica” rivolto a giovani fotografi e videomaker professionisti e amatoriali.

Obiettivo dell’iniziativa è raccontare attraverso immagini e video come l’eolico si sia inserito nel tempo all’interno del nostro territorio, conciliandosi con la bellezza dei paesaggi italiani, diventandone parte integrante e facendosi altresì portatore di importanti messaggi legati alla salvaguardia dell’ambiente e del Pianeta Terra. Eolico dunque come elemento caratteristico del paesaggio e simbolo di transizione energetica legata ad obiettivi di decarbonizzazione dell’economia in contrasto ai cambiamenti climatici.

Oggetto del Concorso è l’identificazione di canoni ed esempi in cui il connubio tra tecnologia eolica e natura è in grado di esprimere armonia e bellezza; in particolare le immagini fotografiche e i brevi video dovranno raccontare i casi in cui le installazioni di aerogeneratori (detti in gergo “pale eoliche”) sul territorio nazionale trovano una propria integrazione ambientale e paesaggistica, valorizzando i territori che li ospitano, anche nella loro vocazione attrattiva e turistica.  

La partecipazione al Concorso è libera e gratuita, ed è rivolta a fotografi e videomaker professionisti ed amatoriali, di età compresa tra i 18 e i 35 anni (compiuti). Una Giuria qualificata di esperti – composta da Antonella Clerici, conduttrice televisiva, Cristina Tullio, Presidente AIAPP-Associazione Italiana Architettura del Paesaggio, Denis Curti, Direttore artistico Casa dei TRE OCI di Venezia, Fabrizio Ardito, giornalista e fotografo e Lucia Pappalardo, Vice Presidente dell’Associazione Nazionale Filmaker e Videomaker Italiani – valuterà il materiale pervenuto e selezionerà le 3 fotografie e i 3 brevi video vincitori.

In palio, per ciascuna delle due categorie, una bicicletta elettrica (1° Premio), un monopattino elettrico (2° Premio) ed un Solar Backpack (3° Premio).

I contributi vincitori inoltre, insieme ad una selezione dei migliori tra quelli partecipanti, saranno poi oggetto di una pubblicazione digitale edita da Marsilio Editori.

Ciascun concorrente potrà candidarsi solo ad una delle due categorie previste dal Concorso, inviando una fotografia (a colori o in b/n, in formato jpg 300 dpi, in risoluzione massima di 2MB) oppure un breve video (durata max 3 min., in formato MP4) via email a bellezzadelvento@civita.it, a partire dal 5 ottobre, data del lancio dell’iniziativa, fino al prossimo 5 novembre incluso, e indicando nell’oggetto la dicitura “Concorso ‘La bellezza del vento’ ”.

In linea con le nuove sfide che, anche nell’evoluzione del nostro paesaggio, la transizione verso un’economia decarbonizzata ci spinge ad affrontare, l’iniziativa sostiene l’importanza di rafforzare quel legame sinergico tra ambiente, energia e territorio ad oggi indispensabile per una crescita sostenibile, nella consapevolezza che il paesaggio costituisce il contesto in cui i cittadini vivono e, pertanto, va tutelato e valorizzato.

Il Bando di Concorso è disponibile su www.erg.eu, www.civita.it, www.anev.org
Per la localizzazione dei parchi eolici si veda il database nazionale GSE-Gestore di Servizi Energetici

IMMAGINE DI APERTURA – Immagine-logo della manifestazione

Pierre Puvis de Chavannes – Il mercante di tartarughe

Il mercante di tartarughe, 1854, Musée d’Orsay, Parigi

IL DIPINTO

Il mercante di tartarughe (Le Marchand de tortues) è un dipinto ad olio su tela realizzato nel 1854 dal pittore francese Pierre Puvis de Chavannes (1824-1898), considerato un precursore del simbolismo, influenzato da Ingres. Questo dipinto è conservato nella collezione del Musée d’Orsay dalla sua acquisizione nel 2014. Il dipinto, che misura 89 × 118 cm, mostra un esterno diurno su un canale a Venezia, in primo piano, un giovane venditore di tartarughe, poco vestito, mezzo appoggiato a una colonna, lo sguardo rivolto verso una signora apparentemente benestante che sta giocando con dei cani. Al centro del dipinto una donna, accompagnata dal suo bambino, porta due secchi per mezzo di un giogo. Quale messaggio vuole trasmettere Puvy de Chavannes?

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Pierre Puvis de Chavannes

L’ARTISTA

Pierre Puvis de Chavannes (Lione, 14 dicembre 1824 – Parigi, 24 ottobre 1898) è stato un pittore francese. Appartenne alla corrente simbolista e fu l’ultimo esponente della Scuola di Lione. È considerato uno dei maggiori rappresentanti della pittura francese del 1800. Pierre-Cécile Puvis nacque in un sobborgo di Lione, figlio di un ingegnere minerario discendente da un’antica e nobile famiglia della Borgogna. Solo in seguito aggiunse “de Chavannes” al suo cognome, con lo scopo di acquisire più prestigio. Compì i suoi studi al Liceo Enrico IV di Parigi, seguendo in particolare i corsi di Retorica, di Filosofia e di Diritto, con l’intenzione di seguire la professione paterna. Ma nel 1844 e nel 1845 si ammalò e dovette recarsi in convalescenza a Mâcon. Si recò poi in Italia e vi trascorse un anno. L’incontro con le opere dei grandi maestri italiani e con lo stesso paesaggio italico gli dischiusero nuove prospettive e sconvolsero i suoi programmi per il futuro. Al suo ritorno annunciò di voler rinunciare agli studi di ingegneria per divenire un pittore. Si stabilì così in un ampio studio presso la Gare de Lyon e iniziò a seguire i corsi di Henry Sheffer. A questi primi studi seguì un secondo soggiorno di studio in Italia, quindi, rientrato a Parigi, per breve tempo si recò nell’atelier di Eugène Delacroix, ma costui, per ragione di salute, cessò la sua attività. Puvis decise allora di continuare il suo apprendistato nella scuola di Thomas Couture. Gli studi di Puvis non seguirono però la prassi consueta. Egli preferì frequentare irregolarmente i maestri e lavorare spesso da solo. Di sua iniziativa, inoltre, si iscrisse ad un corso di anatomia presso l’Accademia di Belle arti.

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William Hogarth: Marriage à-la-mode / Il contratto di matrimonio

di Sergio Bertolami

William Hogarth (1697 – 1764) è stato un pittore inglese, che si è distinto soprattutto come incisore e autore di stampe di genere satirico. Le sue opere assomigliano a vere e proprie opere teatrali, dove i personaggi portano in scena i costumi dell’epoca. Lo seguiremo nel corso delle settimane, soffermandoci sui particolari e sui risvolti a prima vista stravaganti. Cominciamo con Marriage à-la-mode una delle sue storie più famose. Nel ciclo di sei dipinti e delle sei relative incisioni che seguiranno, Hogarth rappresenta le sfortunate vicende conseguenti ad uno dei tipici matrimoni del tempo, basato su di un contratto d’interesse. Il 2 aprile 1743 il pittore mise un annuncio sul London Daily Post per pubblicizzare l’uscita del suo nuovo lavoro: «Mr Hogarth ha intenzione di pubblicare per sottoscrizione sei stampe in rame, incise a opera dei migliori maestri di Parigi da quadri propri raffiguranti una variazione su una vicenda moderna nell’alta società e intitolati Matrimonio alla moda. Si baderà in modo specifico che la decenza e la proprietà di tutta la serie non abbiano a sollevare la minima obiezione, e che le relative figure non contengano riferimenti personali». È probabile che i dipinti del 1743 non vennero completati e che le tele siano state scartate dallo stesso autore, dopo avere compiuto un viaggio a Parigi. Il lavoro fu comunque riproposto, dal momento che sul Daily Advertiser del 19 febbraio 1745 il pittore annunciava che alla fine del mese, in un’asta tenuta nella propria casa, sarebbero stati esposti i dipinti del Matrimonio alla moda. Appena le relative incisioni fossero state pronte tali dipinti sarebbero stati acquistabili. Evidentemente la vendita non ebbe luogo, perché i dipinti furono venduti in un’altra asta, organizzata dallo stesso pittore il 6 giugno 1750. Il fortunato acquirente fu un certo Lane di Hillingdon (Uxbridge) che si accaparrò l’intero ciclo per la modesta somma complessiva di 126 sterline, inferiore di gran lunga a quella che Hogarth avrebbe sperato. Solo nel 1824 i sei dipinti entrarono nella collezione della National Gallery di Londra.

Scena prima – Il contratto di matrimonio

(S.B.) In un salone in stile Kent si stanno svolgendo gli accordi che porteranno al matrimonio tra il figlio del fallito conte Earl Squanderfield (letteralmente: “Sperpera terreni”) e la figlia di un ricco e avaro mercante della città. Il nobile, affetto dalla gotta, con tutta la prosopopea del suo alto lignaggio, ha appena terminato di mostrare al suo interlocutore il proprio albero genealogico, la cui radice è rappresentata da un guerriero che indossa un’armatura. Si tratta nientedimeno che di Guglielmo Duca di Normandia, il Conquistatore d’Inghilterra. Pensando al grande valore del suo progenitore, e a tutti i meriti dei rami collaterali che nobilitano la sua stirpe (unificati nella sua stessa persona) il conte Squanderfield considera queste nozze col proprio figliolo, che rappresentano un’alleanza tra le due famiglie, il vertice dell’esaltazione. Il nobile è circondato ovunque dai simboli del suo rango: lo sgabello che sostiene il suo piede gonfio e fasciato è adornato con la corona comitale; persino le sue stampelle, richiamo alla sua infermità, portano lo stesso segno distintivo che compare su ogni mobile presente nella stanza: lo sgabello, le poltrone, il sontuoso baldacchino, la cornice del tondo o dello specchio. Nonostante ciò, per via dei debiti, il conte è costretto a unirsi al borghese arricchito che gli siede di fronte. Sul tavolino gli ha versato l’esatto ammontare della dote, in banconote da mille sterline e monete d’argento. Parte della somma è servita al conte per pagare l’ipoteca che un usuraio, di nome Peter Walter, in piedi al suo fianco, ha subito riscosso. Ora è pronto a restituire le carte che liberano finalmente i lavori di costruzione della nuova villa in stile palladiano, visibile attraverso la finestra. I lavori si sono interrotti per mancanza di fondi, dopo il tracollo finanziario causato delle pessime speculazioni nei terreni di proprietà di lord Squanderfield. Di spalle è l’architetto che ha progettato la costruzione, il quale osserva la villa circondata dalle sue impalcature di legno. Getta di tanto in tanto un occhio sul raffinato piano della nuova costruzione che tiene nelle mani, pronto a riprendere al più presto l’opera. Una schiera di pigri operai, che in cantiere siedono sui conci da montare, completa la raffigurazione del rovinoso splendore di questa nobiltà ormai decaduta.

Al tavolo, dinanzi al conte, siede anche il padre della sposa, un facoltoso borghese, che porta sul panciotto una catena d’oro che lo rende riconoscibile quale assessore del comune di Londra. Suo malgrado, è stato costretto a privarsi di una grossa somma di denaro, pur d’introdurre la figlia in una nobile e altolocata famiglia. Chiaramente, inforcando i suoi occhiali, ha prima passato meticolosamente al setaccio i documenti della transazione matrimoniale, ai quali ha dedicato fino a questo momento tutta la sua attenzione. Ora il suo sguardo si perde sulla somma appena sborsata, che si è involata dalle proprie tasche, lasciando nella sua borsa caduta in terra soltanto uno scellino.

L’altra metà della scena è rappresentata dalla coppia di sposi promessi. Nulla hanno in comune per far dire che presto convoleranno a nozze. Il giovane visconte è troppo innamorato di sé stesso per essere affascinato da qualsiasi altra persona, persino al cospetto della sua sposa designata. Contempla allo specchio il suo bel viso incipriato, con soddisfazione e gioia – dopotutto quell’accordo lucroso risolleverà le sorti di famiglia – e intanto prende dalla preziosa tabacchiera, indispensabile accessorio di moda, un pizzico di trinciato da sniffare. La ragazza imbronciata, assolutamente propensa a vendicarsi, ripaga l’indifferenza del fidanzato con scontrosità e disprezzo. Offesa dal giovane, che non le mostra alcun riguardo, si rassegna a compiacersi delle attenzioni svenevoli di un altro gentiluomo, mentre lucida con un fazzoletto la propria fede nuziale. L’asseconda il counsellor Silvertongue (letteralmente: lingua d’argento) l’avvocato i cui indirizzi fanno sembrare il peggio come la causa migliore. Tempera una penna d’oca con la quale ha finito di vergare il contratto appena sottoscritto, mentre senza ritegno, apertamente, fa la corte alla giovane donna. Ai piedi dei prossimi sposi, un’altra coppia, ma di cani, anch’essi frustrati e indifferenti, quasi a riecheggiare la situazione imbarazzante.

Alle pareti i personaggi rappresentati sembrano manifestare ogni perplessità su di un futuro familiare che si prospetta alquanto sventurato. Da un lato del muro spiccano copie di dipinti di autori famosi, come Il martirio di Sant’Agnese del Domenichino, sormontato dal Supplizio di San Lorenzo, un tondo con la Medusa di Caravaggio, il Prometeo di Tiziano e sopra Caino e Abele dello stesso autore. Fanno pendant sull’altra parete altri dipinti che si rifanno a Tiziano: David e Golia e, sotto di questo, il Martirio di San Sebastiano nel quale il santo assume la stessa posa dell’avvocato; affianco Giuditta con la testa di Oloferne. Infine, un pomposo ed enorme dipinto, alla maniera di Hyacinthe Rigaud, che raffigura (quasi a riecheggiare il suo celebre Ritratto di Luigi XIV con gli abiti dell’incoronazione) un antenato del conte con dei fulmini in mano e una cometa sopra la testa, svolazzi di nastri, decorazioni, e una bombarda che scaglia una palla. Sull’angolo del soffitto, un affresco del Faraone che passa il Mar Rosso. Hogarth, in ogni minimo particolare, sottolinea la situazione precaria, come i tre spilli (ben visibili nel dipinto) impuntati sul braccio dell’usuraio, a testimonianza dell’avarizia dei tre personaggi intorno al tavolo, interessati a trarre profitto dal contratto di matrimonio. Oppure come quella piccola macchia nera che appare sul collo del giovane sposo, indice di una salute malsana che si rivelerà nelle prossime scene.

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica dell’incisione di William Hogarth dal dipinto conservato alla National Gallery di Londra

Craig Mod – Reinventare la copertina. Dal libro all’ebook

Nel passaggio al digitale il libro si trova a rimettere in discussione sia il suo ruolo di contenitore, sia le consolidate e rassicuranti interfacce che gli appartengono da secoli, tra cui la copertina. Guscio protettivo del contenuto, prima, strumento di marketing nelle librerie, poi, la copertina scomposta in bit e fagocitata dal Web e dai colossi della vendita online come Amazon e iBookstore, si trova a dover quasi giustificare la sua presenza in un ebook. Quale la sua funzione oggi? Che cosa ha perso e che cosa potrebbe guadagnare nei formati digitali? Quali requisiti dovrebbe avere una buona copertina per libri elettronici? Craig Mod prova a rispondere tracciando un affascinate percorso tra il senso passato e il valore futuro di quella che fino ad oggi è stata la “faccia di un libro”. Il risultato non è scontato e la fine della copertina non è segnata, anzi oggi più che mai è tempo di reinventarla. Questo ebook è lungo 32.000 battute.

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IMMAGINE DI APERTURA: Foto di BRRT da Pixabay 

Padova: VAN GOGH. I colori della vita

Padova, Centro Altinate San Gaetano
VAN GOGH. I colori della vita
10 Ottobre 2020 – 11 Aprile 2021
Mostra a cura di Marco Goldin
www.lineadombra.it.

Vincent van Gogh, Il postino Joseph Roulin, 1888, olio su tela, cm 65 x 54. Kunstmuseum, Winterthur, dono degli eredi di Georg Reinhart, 1955 © SIK-ISEA, Zurich

“Van Gogh. I colori della vita” (Padova, Centro San Gaetano, dal 10 ottobre 2020 all’11 aprile 2021) non ha nulla di generico e non è solo una sfilata di quadri e disegni, che pur in molti casi sono capolavori notissimi.
È invece un sorprendente percorso volto a far conoscere, passo dopo passo, alcune trame della vita e dell’opera di Van Gogh non così affrontate finora. Questo per la volontà del curatore di ricostruire l’intero percorso, includendo anche quanto di solito non viene compreso o è stato poco o per nulla studiato. Sarà lo stesso Van Gogh a raccontarsi in mostra, attraverso le sue lettere. Esse sono il filo conduttore di un poderoso volume di 850 pagine che Marco Goldin, ideatore e curatore della mostra, ha scritto per La nave di Teseo. Libro in uscita in parallelo all’apertura dell’esposizione e intitolato “Van Gogh. L’autobiografia mai scritta”.
“Van Gogh. I colori della vita”, intende – anticipa Goldin – ripercorrere l’intero cammino della sua attività, concentrandosi sui principali punti di snodo di quel cammino. I luoghi che lo hanno visto diventare il pittore che tutti conosciamo, grazie proprio a quei luoghi medesimi, al fascino che hanno esercitato su di lui, alla loro storia che si è incisa nella sua storia. Verrà precisamente analizzato il rapporto tra l’esterno della natura, e talvolta delle città, e l’interno dell’uomo e del pittore. Per comprendere il motivo per cui sia stata così rapida l’evoluzione dell’artista e perché sia stata necessitata e indotta dall’aver vissuto in determinati posti, prima in Belgio e Olanda e poi in Francia”.
Gli 82 quadri e disegni di Van Gogh eccezionalmente riuniti al San Gaetano rappresenteranno proprio questo percorso, in una sorta di itinerario che terrà insieme l’esigenza del vedere fisico e quella dello sprofondamento interiore.
Grazie soprattutto, ma non solo, alla collaborazione fondamentale del Kröller-Müller Museum e del Van Gogh Museum, la mostra potrà proporre capolavori di ognuno tra i periodi della vita di Van Gogh, da quello olandese fino al tempo francese vissuto tra Parigi, la Provenza e Auvers-sur-Oise. Dipinti famosissimi come l’”Autoritratto con il cappello di feltro”, “Il seminatore”, i vari campi di grano, “Il postino Roulin”, “Il signor Ginoux”, “L’Arlesiana”, i vari paesaggi attorno al manicomio di Saint-Rémy e tantissimi altri.
Ma la grande esposizione padovana non si limita al pur incredibile corpus di ben 82 opere di Van Gogh. A esse sarà infatti affiancata una selezione di una ulteriore quindicina di capolavori di artisti, a partire ovviamente da Millet, passando tra gli altri per Gauguin, Seurat, Signac, Hiroshige, a lui precisamente collegati. O come nel caso delle tre grandi, splendide tele di Francis Bacon a inizio percorso, a indicare come la figura dello stesso Van Gogh abbia agito anche sui grandissimi del XX secolo.
La mostra “Van Gogh. I colori della vita” è promossa da Linea d’ombra (www.lineadombra.it) e dal Comune di Padova, con la decisiva collaborazione del Kröller-Müller Museum, ed è prodotta da Linea d’ombra, con il Gruppo Baccini in qualità di main sponsor.
Lo sforzo produttivo e organizzativo che Linea d’ombra ha messo in campo per poter realizzare questa grandiosa esposizione è davvero enorme. Basti pensare che per effetto delle normative legate alla diffusione del coronavirus, potrà entrare in mostra appena un terzo del pubblico che avrebbe potuto accedervi in epoca pre-Covid. Aspetto che, per altro, assicurerà ai visitatori l’opportunità di non incorrere in alcun affollamento, potendo anzi ammirare i capolavori riuniti nel Centro San Gaetano di Padova con tutto l’agio possibile.
È naturalmente più che consigliabile giungere alla mostra avendo già prenotato giorno e fascia oraria d’ingresso.
Le prenotazioni si possono effettuare al call center 0422.429999 oppure sul sito www.lineadombra.it. 

IMMAGINE DI APERTURAVincent van Gogh, Autoritratto con cappello di feltro grigio, 1887, olio su tela, cm 44,5 x 37.2. Van Gogh Museum (Vincent van Gogh Foundation), Amsterdam

Giuseppe Pellizza da Volpedo: La fiumana

La fiumana, 1898, Pinacoteca di Brera, Milano

IL DIPINTO

La fiumana, dipinto nel 1898 da Giuseppe Pellizza da Volpedo, è conservato alla Pinacoteca di Brera (Milano) Pellizza, prima di dipingere la grande tela del Quarto stato, decise nell’agosto 1895 di realizzarne uno studio in olio preliminare: questa redazione rappresenta di fatto un punto di rottura con gli antecedenti Ambasciatori della fame. Rispetto ai bozzetti precedenti, la massa di gente qui è vastissima, tale da formare – come suggerisce il titolo – una vera e propria fiumana umana; cambia anche la gamma luminosa, stavolta giocata con l’utilizzo di «contrasti dal giallo al rosso, con dominanti sulfuree nelle figure e su toni dal blu al verde nello sfondo, dove il cielo è di forte intensità blu azzurrata e verdi delle piante si riflettono nel terreno». Contestualmente, l’ombra in primo piano viene abolita e viene prediletto un punto di vista meno alto, in modo da dare maggiore enfasi alla folla, stavolta portata più in avanti. Viene inoltre aggiunta una nuova figura femminile con un bimbo in braccio; quest’ultima, posta in posizione subordinata rispetto al resto dei riottosi, viene intesa passivamente come allegoria dell’umanità.

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Giuseppe Pellizza

L’ARTISTA

Giuseppe Pellizza (Volpedo, 28 luglio 1868 – Volpedo, 14 giugno 1907) è stato un pittore italiano, dapprima divisionista, poi esponente della corrente sociale, autore del celeberrimo Il quarto stato, divenuto un simbolo del mondo del lavoro subordinato e delle battaglie politico-sindacali e operaie (questione operaia), a partire dall’Ottocento in poi con la seconda rivoluzione industriale. Giuseppe Pellizza nacque a Volpedo, in provincia di Alessandria, il 28 luglio 1868 da Pietro e da Maddalena Cantù, in un’agiata famiglia di contadini; frequentò la scuola tecnica di Castelnuovo Scrivia, dove apprese i primi rudimenti del disegno. Grazie alle conoscenze ottenute con la commercializzazione dei loro prodotti, i Pellizza entrarono in contatto con i fratelli Grubicy, che promossero l’iscrizione di Giuseppe all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove fu allievo di Giuseppe Bertini. Contemporaneamente, ricevette lezioni private dal pittore Giuseppe Puricelli; successivamente divenne allievo di Pio Sanquirico. Espose per la prima volta a Brera nel 1885. Terminati gli studi milanesi, Pellizza decise di proseguire il tirocinio formativo, recandosi a Roma, dapprima all’Accademia di San Luca, poi alla scuola libera di nudo all’Accademia di Francia a Villa Medici. Deluso da Roma, abbandonò la città prima del previsto per recarsi a Firenze, dove frequentò l’Accademia di Belle Arti, come allievo di Giovanni Fattori. Alla fine dell’anno accademico ritornò a Volpedo, allo scopo di dedicarsi alla pittura verista attraverso lo studio della natura. Non ritenendosi soddisfatto della preparazione raggiunta, si recò a Bergamo, dove all’Accademia Carrara seguì i corsi privati di Cesare Tallone. Frequentò poi l’Accademia Ligustica a Genova. Al termine di quest’ultimo tirocinio, ritornò al paese natale, dove sposò una contadina del luogo, Teresa Bidone, nel 1892. Nello stesso anno, cominciò ad aggiungere “da Volpedo” alla propria firma.

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Mauro Saccone: Disegnare il Pantheon. La pratica del rilievo

Disegnare il Pantheon. La pratica del rilievo
nell’insegnamento accademico del XIX secolo e nel disegno digitale contemporaneo

Il presente studio sui disegni di rilievo del Pantheon trae origine da orizzonti comuni di ricerca definiti all’interno della scuola dottorale, in particolare risponde alla volontà di mettere in atto una ricerca interdisciplinare tra disegno, restauro e storia dell’architettura. Nel solco della continuità con le ricerche avviate dai dipartimenti di Architettura del Politecnico di Bari e dell’Università degli studi Roma Tre, è stato individuato il tema del disegno di rilievo come strumento per lo studio del patrimonio architettonico. L’obiettivo della ricerca è il confronto tra i metodi di rilievo e rappresentazione delle accademie italiane e francesi tra il XVI e il XIX secolo. Un percorso di conoscenza che si realizza attraverso il confronto dei disegni di rilievo del Pantheon e che ci consente di individuare alcune tematiche trasversali agli autori e di formulare una serie di considerazioni. Le considerazioni riguardano i confronti tra i disegni, le tematiche riguardano il Pantheon e alcune sue caratteristiche specifiche che ci danno l’opportunità di formulare nuove ipotesi interpretative con l’ausilio dei più recenti studi e il supporto del nuovo rilievo realizzato con strumenti digitali contemporanei.

LEGGI IL LIBRO SU ACADEMIA.EDU (OPPURE SCARICALO)

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Andreas H. da Pixabay

Siamo tutti sotto una specie di incantesimo

1/4 – Siamo tutti sotto una specie di incantesimo
2/4 – Ma è vero che, se non stai pagando, il prodotto sei tu?
3/4 – L’intelligenza artificiale sta già governando il mondo
4/4 – Come fai ad uscire da Matrix se non sai di essere in Matrix?

The Social Dilemma, è il nuovo documentario, diretto da Jeff Orlowski e prodotto da Netflix, che da qualche settimana sta facendo discutere. In un’ora e 34 minuti le piattaforme di Google, Facebook, Twitter, Pinterest, Instagram, Youtube, TikTok, Reddit, sono mandate sotto processo dagli stessi soggetti che hanno contribuito a crearle. Questi “pentiti” della Silicon Valley raccontano quanto accade dietro le quinte, dibattuti fra l’autoassoluzione e il dilemma etico. The Social Dilemma è un lungometraggio divulgativo, non è affatto esaustivo rispetto ad una tematica complessa e probabilmente non lo pretende. È un prodotto diffuso da una piattaforma quale Netflix, la quale necessita anch’essa dell’attenzione del pubblico e lo fa esplicitando contenuti che ingigantiscono a tratti alcuni concetti e ne semplificano altri. D’altra parte, non è quello che fanno i media nel recensire questo documentario? A nostro avviso, il punto centrale è parlarne, per mettere a fuoco i problemi per poi tentare di trovare una soluzione.

All’inizio questi strumenti hanno creato qualcosa di meraviglioso nel mondo, erano una risorsa al servizio del bene. Ma, si chiedono gli intervistati, lo sono ancora? Perché esiste comunque un rovescio della medaglia che deve essere considerato. Il problema è che milioni di persone stanno diventando sempre più dipendenti da queste tecnologie e nessuno se lo aspettava. Chi fra noi non ha in tasca un qualche dispositivo col quale è costantemente connesso alla rete per tutto il corso della giornata? Sono quei dispositivi che hanno fatto crescere i guadagni delle grandi aziende informatiche, ma sono anche gli stessi dispositivi che potrebbero erodere il funzionamento della società. Questo in sintesi l’interrogativo che pone The Social Dilemma. Immaginiamo le fake-news: stiamo passando dall’era della informazione a quella della disinformazione. Sarebbe tuttavia semplicistico pensare che il problema sia costituito da questi strumenti. L’attenzione va piuttosto concentrata su come essi vengano usati. Occorrerà perciò riformare il settore tecnologico e in qualche modo tornare alle origini.

Oggi ognuno di noi lamenta il fatto che ci sono molte cose che non vanno nel settore tecnologico. Ovunque sentiamo dire: hanno rubato i nostri dati, esiste un legame tra salute mentale e uso dei social media, le notizie distorte potrebbero falsare il sistema elettorale o sociale. C’è, tuttavia, qualcosa dietro a questi problemi, i quali per giunta stanno emergendo tutti contemporaneamente. Cominciamo col domandarci: come funziona il sistema? Tristan Harris – già consulente etico di Google, oggi presidente e cofondatore del Center For Human Technology – butta sul tavolo la prima delle numerose questioni: pochi designer che hanno sede in California (più o meno una cinquantina) prendono decisioni che avranno un impatto su due miliardi di persone. Questi designer cominciano a pensare su cose riguardo alle quali nessuno avrebbe mai pensato. Cose apparentemente banali. Se, ad esempio, le mail in partenza devono avere un colore di sfondo differente da quelle in arrivo. Argomenti di discussione fuori dall’interesse comune, ma importanti per migliorare i software competitivi da offrire al pubblico. Non a caso Google è diventato una invidiata “macchina per fare soldi”. Le altre società cercano dal canto loro di delineare il modello imprenditoriale, per realizzare profitti di mercato. Ma c’è un prima e c’è un dopo. All’inizio dell’avventura informatica, si creavano dei prodotti che si vendevano ai clienti. Ognuno era invitato ad acquistare programmi e aggiornamenti (prima su floppy, poi su DVD). Molti semplicemente li craccavano; poi, quando i software sono stati messi in rete, hanno cominciato a scaricarli abusivamente. Oggi non accade niente di tutto questo, perché i social network rendono disponibili le proprie piattaforme gratuitamente: basta creare un account. Gli aggiornamenti dei programmi informatici si scaricano ad ogni ora del giorno e della notte in modo automatico. Dunque, occorre chiedersi: come vengono pagate queste aziende? La risposta è intuitiva, ma per renderla ancora più esplicita è stato inventato uno slogan: «Se non stai pagando il prodotto, allora il prodotto sei tu». Tutto questo è possibile, grazie ad algoritmi che gestiscono i social pensati esclusivamente per fare soldi. In altri termini, se non si pagano i prodotti usati dai clienti, sono i clienti stessi che sono venduti a coloro che pagano. Dal momento che il modello pubblicitario è sempre stato un “modo elegante” per fare i soldi, gli inserzionisti pubblicitari sono diventati i nuovi clienti. Nessuno di noi immagina dei servi della gleba o degli schiavi in catene. Chiaramente, non si vendono le persone, ma si vendono i loro dati, risponde qualcuno che si crede bene informato. Ma questi pentiti della Silicon Valley ci svelano che l’affare è molto più raffinato e complesso.

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Gerd Altmann da Pixabay 

ENIT al Giro d’Italia sulle bici elettriche per un turismo sostenibile

L’Ente più antico d’Italia all’evento più storico d’Italia

Venti tappe per 20 partecipanti: la squadra Enit sarà composta da giornalisti, influencer, blogger, instagrammer e operatori turistici selezionati dalle 28 sedi estere ENIT in tutto il mondo. Capitano il campione Max Lelli

DAL 4 AL 25 OTTOBRE

di Francesca Cicatelli
Enit – Direzione Esecutiva – Comunicazione e Ufficio Stampa Enit

Il ciclismo per raccontare al mondo l’Italia e la sua bellezza. Enit – Ente Nazionale del Turismo raddoppia il suo impegno nel mondo delle due ruote e quest’anno sarà partner al Giro d’Italia oltre che del Giro-E, con una massiccia campagna per promuovere il turismo in Italia.

Già protagonista con un proprio team al Giro-E 2019, Enit nel 2020 firmerà una serie di contenuti video che daranno visibilità alle località toccate dalla Corsa Rosa, che tra il 3 e il 25 ottobre attraverserà l’Italia da Monreale a Milano nelle tv di tutto il mondo. Sui canali digitali e social del Giro, saranno trasmessi video video che presenteranno il territorio attraversato quel giorno dal Giro d’Italia.

Confermata anche la presenza del team Enit al Giro-E, l’evento organizzato da RCS Sport, sulle strade e nei giorni del Giro d’Italia con le bici a pedalata assistita. Enit parteciperà con un proprio team di ciclisti non professionisti, composto – a rotazione sulle 20 tappe – da 20 partecipanti fra giornalisti, influencer, blogger, instagrammer e operatori turistici selezionati dalle 28 sedi estere Enit in tutto il mondo e provenienti dai seguenti Paesi: Francia, Germania, UK, Spagna, Olanda, Polonia, Belgio, Canada, Repubblica Ceca, Irlanda, Svizzera, Austria e Italia. L’obiettivo è raccontare le eccellenze italiane, promuovere il turismo sostenibile ed esportare la conoscenza anche dei territori meno noti.
Il capitano del team Enit sarà Max Lelli, ex ciclista professionista su strada italiano.

La partecipazione di Enit al Giro ha un significato particolare: l’ente che ha compiuto 101 anni ha la stessa età del Giro d’Italia – dichiara il Direttore Enit Giovanni Bastianelli. Un appuntamento che segna la ripartenza della promozione dell’Italia nel mondo e consente di mostrare il territorio italiano in modalità slow. La bici è un modo straordinario per scoprire l’Italia. Piace la vacanza attiva, fare movimento anche quando si è in vacanza. E piace soprattutto agli stranieri: il 61 per cento dei cicloturisti che percorrono l’Italia viene dall’estero. La bici è un’opportunità straordinaria per il turismo italiano” conclude Bastianelli.

Oltre all’impegno con il proprio team, quest’anno Enit sponsorizzerà la Maglia Arancione del Giro-E (classifica Regolarità) e sono previste forme di collaborazione con le Regioni coinvolte, momenti istituzionali in cui i testimonial appartenenti al team Enit verranno coinvolti in visite turistiche, cene tipiche ed eventi, allo scopo di immergere i testimonial nella cultura e tradizioni italiane. È previsto anche il posizionamento di una mongolfiera brandizzata “Italia – beauty to treasure” a Rimini, lungo gli ultimi chilometri della decima tappa del Giro-E.

IMMAGINE DI APERTURA Enit al Giro d’Italia sulle bici elettriche per un turismo sostenibile

Henri de Toulouse-Lautrec – Ballo al Moulin Rouge

Ballo al Moulin Rouge, 1889-1890, Museum of Art, Filadelfia

IL DIPINTO

Ballo al Moulin Rouge è un dipinto del pittore francese Henri de Toulouse-Lautrec, realizzato nel 1889-90 e conservato al museo d’arte di Philadelphia. Toulouse-Lautrec amava intensamente la vita ed era affascinato dallo spettacolo umano che, ogni sera, gli ferveva intorno al Moulin Rouge, celebre locale notturno del quartiere di Montmartre inaugurato nel 1891 e universalmente apprezzato dai parigini. I maggiori artefici del successo di questo tempio dell’eccesso e della lussuria furono, in particolare, la Goulue e Valentin le Désossé. La prima era una contadina di origini alsaziane che, giunta a Parigi alla ricerca di notorietà, si lasciò suggestionare dalle luci di Montmartre e si ingaggiò come ballerina presso il Moulin Rouge. Il successo che ebbe fu sfolgorante: illuminata da «quel poco di bruttezza, che la salva[va] dalla perfezione», per usare le parole dello stesso pittore, Louis Weber (soprannominata «Goulue» per il suo appetito insaziabile) sapeva combinare mirabilmente la sua eccentricità e la sua sfrontatezza con una grazia quasi fanciullesca. L’impressione che gli indiavolati can-can intrapresi dalla Goulue avevano sui parigini si può facilmente intuire dal seguente commento, pubblicato sul Figaro illustré del 1891: «Arrivarono [al Moulin Rouge] proprio nel momento psicologico in cui la Goulue stava eseguendo un passo impossibile da descrivere: balzi da capra impazzita, rovesciamenti all’indietro da pensare che si sarebbe spezzata in due, voli di gonne. Il pubblico scalpitava entusiasta».

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Henri de Toulouse-Lautrec in un ritratto fotografico scattato del 1894

L’ARTISTA

Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec-Montfa (Albi, 24 novembre 1864 – Saint-André-du-Bois, 9 settembre 1901) è stato un pittore francese, tra le figure più significative dell’arte del tardo Ottocento. Henri de Toulouse-Lautrec nacque il 24 novembre 1864 in uno dei palazzi di famiglia, l’Hôtel du Bosc, presso Albi, una cittadina del Meridione della Francia, a ottanta chilometri di distanza da Tolosa. La sua era una delle famiglie più prestigiose di Francia. I Toulouse-Lautrec si consideravano discendenti da Raimondo V conte di Tolosa, padre di Baudouin, che nel 1196 avrebbe dato origine alla stirpe, contraendo matrimonio con Alix, viscontessa di Lautrec. La famiglia regnò per secoli sull’Albigese e diede i natali a valorosi soldati, militarmente attivi nelle Crociate, che tuttavia non mancavano di compiacersi con le Belle Arti: nel corso dei secoli, infatti, furono numerosi i Toulouse-Lautrec che si interessavano di disegno, e persino la nonna di Henri un giorno disse: «Se i miei figli a caccia prendono un uccello, ne ricavano tre piaceri: sparargli, mangiarlo e disegnarlo». I genitori di Henri erano il conte Alphonse-Charles-Marie de Toulouse-Lautrec-Montfa e la contessa Adèle-Zoë-Marie-Marquette Tapié de Céleyran, ed erano cugini primi (le madri degli sposi erano sorelle). Era usanza delle famiglie nobiliari, infatti, sposarsi tra consanguinei, così da preservare la purezza del sangue blu, e neanche Alphonse e Adèle si sottrassero a questa tradizione, celebrando il matrimonio in data 10 maggio 1863. Quest’unione, tuttavia, fu gravida di funeste conseguenze: i due sposi, infatti, erano sì entrambi nobili, ma erano pure assolutamente incompatibili fra di loro. Il padre di Lautrec, il conte Alphonse, era un bizzarro esibizionista ed un insaziabile dongiovanni e amava consacrarsi all’ozio e ai passatempi dei ricchi, frequentando l’alta società e seguendo la caccia e l’ippica (le corse a Chantilly erano il suo pane quotidiano).

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