di Sergio Bertolami
13 – Dal Gruppo degli XI alla Secessione di Berlino.
La Secessione di Monaco sollevava un vento trascinatore nell’intera Germania: appassionava, esaltava, persuadeva. Specialmente le giovani generazioni. Esattamente come era avvenuto un secolo prima con lo Sturm und Drang, contraddistinto dalla esaltazione, nella vita e nell’arte, dell’irrazionale e del sentimento romantico in opposizione all’intellettualismo illuministico e al classicismo delle corti. Non poteva essere altrimenti: persino il Kaiser Guglielmo II manifestava la propria insofferenza, sostenendo che «l’arte che contravviene alle leggi e ai limiti che ho imposto non è arte». L’imperatore non mancava occasione per contribuire ad infuocare gli animi con esternazioni stridenti e fuori luogo. Accadde anche il 18 dicembre 1901, all’inaugurazione del Viale della Vittoria (Siegesallee). Dal 1895 finanziava la sistemazione e l’ampliamento di questo importante boulevard di Berlino. Aveva preteso un progetto magniloquente, con angoli decorati da un centinaio di statue e busti marmorei dal forte impatto retorico. Alla cerimonia d’apertura, ancora una volta, le sue parole suscitarono clamore quando sottolineò che il compito dell’artista era quello di elevare i berlinesi con grandi ideali, non certo insudiciarli con «un’arte da fogna» (Rinnsteinkunst), rendendo «la miseria ancora più orribile di quella che è». Max Liebermann scriveva a Hugo van Habermann il 31 dicembre 1901: «L’imperatore può al massimo rallentare il movimento; se le secessioni – cui appartengono più o meno gli artisti con il talento maggiore – rimangono coese, allora non vi è nulla da temere». Questa spaccatura evidente, in verità, scatenava aspre discussioni sia fra i politici che nell’opinione pubblica. Alla mostra mondiale del 1904 a St. Louis, negli Stati Uniti, sebbene alcuni artisti tedeschi fossero stati espressamente invitati, la rappresentanza ufficiale non previde la partecipazione di alcun aderente alla Secessione. La scelta fu disapprovata apertamente nel corso di un dibattito al Reichstag, il 15 e 16 febbraio di quell’anno. Uno dei membri del parlamento tuonò: «Un grande e moderno movimento internazionale non può essere comandato come un reggimento di guardie». Nel padiglione tedesco di St. Louis, una replica del castello di Charlottenburg, si attestò la breccia profonda in fatto di arte e cultura.
Molti degli artisti tedeschi che formavano il primo nucleo della Secessione di Berlino, dopotutto volevano soltanto esprimere il loro lato raggiante dell’esistenza, piuttosto che temi storicizzanti e moralmente educativi, ormai tanto retrivi da risultare a volte patetici. Emozionati dai successi dell’impressionismo francese, i secessionisti desideravano mostrare le semplici gioie della vita: una passeggiata in campagna o in riva al mare, una stanza pervasa di luce, l’incontro conviviale in una birreria all’aperto. Luce, colore, attenzione per la natura, erano impressioni spontanee, espresse con una tavolozza leggera e pennellate libere e spedite. Eppure, sembrava che tutto ciò non potesse essere possibile. La misura fu colma quando nel 1898, la giuria della Grande Esposizione d’Arte di Berlino decise di respingere un paesaggio di Walter Leistikow, dimostrando che l’arte innovativa degli artisti emergenti non poteva contare sul favore dell’Accademia. Chi sta seguendo con attenzione questo iter narrativo ricorderà gli antefatti. Nella primavera del 1892, Max Liebermann e Walter Leistikow – rispettivamente presidente e segretario – avevano organizzato una mostra d’arte come Gruppe der Elf (Gruppo degli undici) senza, tuttavia, lasciare l’Associazione degli artisti di Berlino o evitare di presentare i propri lavori al salone annuale, la Grande Esposizione d’Arte. Il Caso Munch, scoppiato al Verein Bildender Künstler nell’inverno dello stesso anno, rese esplicita l’avversione verso un’arte differente e moderna. La risposta fu che nel 1893, il gruppo di artisti si ritirò dal Verein, per fondare la Secessione di Berlino, sulla scia di quella di Monaco. Si ebbero così due organizzazioni parallele: la Grande Esposizione d’arte di Berlino (Großen Berliner Kunstausstellung), e la Libera esposizione d’arte di Berlino 1893 (Freien Berliner Kunstausstellung 1893), quest’ultima con lo scopo di svecchiare le manifestazioni con ridotte esposizioni indipendenti. Convissero per qualche anno, fin quando nel 1898 la giuria della Grande Esposizione d’Arte di Berlino respinse, per l’appunto, il dipinto di Leistikow. Alla testa di 65 artisti, Max Liebermann chiese che al gruppo secessionista fosse accordato uno spazio adeguato di non meno 8 sale, una giuria e un comitato indipendenti. Le condizioni sembrarono eccessive per un gruppo così ridotto e furono respinte. Era giunto il momento di lasciare definitivamente l’Associazione degli artisti di Berlino e consolidare la struttura organizzativa.
All’epoca Liebermann era convinto – così almeno compare sulle sue lettere private – che Parigi e Monaco fossero in crisi e che Berlino potesse svolgere al meglio la sua parte. La Secessione a Berlino gli sembrava inevitabile e all’amico Max Linde confessava: «Berlino ha un enorme vantaggio: Monaco è morta, come dimostrato dalla loro ultima esibizione e dalla mostra qui a Berlino della scuola di Dachau. Lo stesso per Parigi. Qui ci sono i soldi e la città si espande, mentre Parigi e Londra hanno la parte migliore della loro storia dietro di loro».
I problemi immediati furono i medesimi incontrati dai secessionisti di Monaco: gli esigui spazi espositivi e la promozione adeguata delle opere. Nello stesso modo furono risolti. Liebermann si rivolse subito ai mercanti d’arte Bruno e Paul Cassirer, che si unirono al gruppo nel 1899 e acquisirono una carica nel consiglio dell’Associazione, pur senza diritto di voto. Fra i compiti, si assunsero la responsabilità di seguire la costruzione del nuovo edificio per le esposizioni. Il palazzo ufficiale della Secessione di Berlino fu progettato e costruito secondo i piani esecutivi dello studio “Griesebach & Dinklage”. Nel 1889 August Dinklage si era, infatti, dimesso dal suo impiego statale con il proposito di perseguire a Berlino la carriera di architetto libero professionista insieme ad Hans Grisebach. Come si vede, il movimento alimentava le aspirazioni personali e ciascuno offriva al gruppo il proprio contributo. L’edificio, elevato in tempi strettissimi sulla Kantstraße 12 (angolo Fasanenstraße) dalla società edile August Krauss, venne completato il 19 maggio 1899. Senza indugio furono disponibili a fornire gli allestimenti interni l’architetto van de Velde da Bruxelles, mentre a Berlino le società Keller, Reiner e B. Burchardt offrirono alcuni mobili per sedersi e l’azienda N. Ehrenhaus i tappeti. A questo si aggiunga che, in quello stesso anno 1898, i cugini Bruno e Paul Cassirer avevano aperto una galleria d’arte moderna e una casa editrice, al secondo piano di Viktoriastraße n.35. Immancabilmente editarono, perciò, il catalogo della prima mostra secessionista e per tre anni – il tempo che durò il loro sodalizio – misero in luce la rinnovata scena artistica e letteraria tedesca, ma anche le ultime novità della cultura francese, belga, inglese e russa. Nel catalogo ufficiale della prima mostra, nel 1899, troviamo tutte le indicazioni per comprendere il fervore dell’esposizione: 330 fra dipinti e grafiche ed inoltre 50 sculture. Rispetto agli anni successivi, la prima mostra si limitò all’arte nazionale: dei 187 espositori, 46 risiedevano a Berlino e 57 a Monaco. Mancavano del tutto i contributi dall’estero. Problema superato con la seconda mostra, in cui furono esposte opere di Pissarro, Renoir, Segantini e Whistler.
La distribuzione interna del palazzo espositivo evidenziava la ripartizione delle sale. Dall’ingesso sotto un arco trionfale si accedeva alla sala delle sculture e da questa, a sinistra, iniziava il percorso di visita alle opere di pittura, suddivise in quattro sale, e nell’ambiente a destra erano presentati i lavori di grafica col titolo “Mostre in bianco e nero”. Il corpo circolare era invece riservato alla Segreteria e rappresentava, a tutti gli effetti, il cuore della manifestazione. Infatti, il catalogo evidenziava, in modo preciso, le modalità di acquisto. «Le opere d’arte contrassegnate con * alla fine del titolo sono in vendita. I prezzi possono essere richiesti alla Segreteria. Tutte le vendite devono essere effettuate esclusivamente dalla stessa; pertanto, la conclusione della contrattazione dovrà segnalarsi alla Segreteria sia da parte dell’acquirente che del venditore. Un terzo del prezzo di acquisto deve essere pagato immediatamente in contanti, il resto depositato in Segreteria prima della fine della mostra. I reclami dopo un acquisto andato a buon fine non possono essere considerati. L’invio delle opere d’arte vendute può avvenire solo dopo la fine della mostra ed è fatto per conto e a rischio dell’acquirente. La Segreteria sarà lieta di fornire informazioni su tutte le richieste». I libri di storia dell’arte non parlano mai, se non di sfuggita, degli aspetti economici, come se gli artisti vivessero nel cielo empireo. Il proposito era chiaramente dichiarato nella prefazione del catalogo dove si leggeva: «Per noi non c’è solo un modo d’intendere ciò che soddisfa l’arte, ma ogni segno ci appare come un’opera d’arte – qualunque arte possa essere espressa – selezionata per la sua motivazione sincera. Sono state sostanzialmente escluse soltanto le opere commerciali di routine e quelle superficiali e dilettantistiche di chi nell’arte vede solo milk pub».
Era stato Leistikow, per primo, a comprendere che occorreva dare vita ad un nuovo spazio espressivo svincolato da dipendenze amministrative e finanziarie rispetto all’ufficialità accademica. La formula vincente fu quella dell’accordo mutualistico nella gestione delle entrate provenienti dalle vendite. Scrisse Lovis Corinth, nel suo libro dedicato a La vita di Walter Leistikow, che l’atelier del pittore divenne la sala dei ricevimenti della Secessione, in cui si poteva incontrare l’intellighenzia della capitale: il nuovo direttore della Galleria Nazionale Tschudi, l’editore Sameul Fischer, i grandi letterati Halbe, Hauptmann e Wolff, e gli ospiti scandinavi: Munch, Ibsen, Strindberg, Zorn e molti altri ancora. «Leistikow era fra tutti il più operoso, quando si trattava di agire per il meglio della Secessione. Sapeva come rivolgersi al Presidente Max Liebermann, era abile nell’interessare i facoltosi, una capacità assai rara, e a convincerli ad investire denaro per l’impresa della Secessione. Egli incoraggiava gli artisti, prendendosi la briga di convincerli a vendere i loro quadri a mecenati suoi amici. Il destino lo aveva baciato in quell’epoca con il massimo della fortuna. I suoi quadri piacevano ovunque; le gallerie li acquistavano. Era rappresentato alla Galleria Nazionale di Berlino, nei musei di Dresda, Lipsia, Magdeburgo e Krefeld. Anche i proprietari di gallerie private comprarono molti dei suoi quadri. Queste gallerie private erano creazioni di ricchi commercianti. Quando l’industria portò a Berlino ricchezze che mai si erano viste, parte di quei profitti fu utilizzata dai fortunati proprietari per fondare iniziative artistiche».
A partire dal 1901, i pittori Max Slevogt e Lovis Corinth, trasferitisi da Monaco, rafforzarono l’Associazione degli artisti e l’importanza di Berlino come principale città d’arte tedesca. Questo fino al 1911, quando Max Liebermann non presiedette l’esposizione di quell’anno per lasciare spazio alle giovani leve espressioniste. La sua motivazione ufficiale fu questa: «La Secessione di Berlino è ormai così saldamente stabile che altri possono continuare il lavoro e prosperare. Quest’anno è uno dei più decisivi per la storia dello sviluppo della Secessione. In effetti, i fondatori dell’Associazione – Liebermann, Leistikow e Paul Cassirer – hanno consolidato così bene l’edificio, durante il lungo periodo di tempo in cui hanno lavorato insieme, e l’hanno collegato così saldamente nelle singole parti, che la Secessione ha spianato tempeste esterne e confusione interna». In realtà, nonostante i buoni propositi, la motivazione era un’altra. Nel 1910 si era formata la Neue Sezession, costituita da 27 artisti esclusi dalla selezione della XX Secessione berlinese, i quali in alternativa esposero da Maximilian Macht, in Rankestrasse, più un negozio di cornici che una vera galleria d’arte. La Neue Sezession fissò la sede al n.232 del Kurfürstendamm, il grande viale, nel medesimo edificio che ospitava il Graphisches Kabinett di I.B. Neumann, mercante d’arte che si dimostrerà attivo nel divulgare l’avanguardia dadaista. Neppure la Neue Sezession fu esente da controversie e a sua volta subì una spaccatura all’inizio del primo conflitto mondiale. Sono comprensibili mutazioni di un’arte in movimento. A questo punto, dopo tutti gli anni trascorsi dalla Secessione di Berlino del 1898, le istanze erano ovunque conosciute e il movimento, contrario al passatismo, appariva ormai superfluo.
IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay