Feltre (Bl): La collezione di vetri veneziani Carla Nasci – Ferruccio Franzoia

Feltre (Bl), Galleria d’arte moderna «Carlo Rizzarda» – 08 Maggio 2021
La collezione di vetri veneziani Carla Nasci – Ferruccio Franzoia
https://www.visitfeltre.info/

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Tapio Wirkkala per Venini, Bottiglie della serie Bolle, 1966. Vetro trasparente soffiato saldato a incalmo

Verrà inaugurata l’8 maggio 2021 la nuova sezione espositiva dedicata alla Collezione di vetri veneziani Carla Nasci – Ferruccio Franzoia alla Galleria Rizzarda di Feltre. Lo annuncia l’Assessore alla Cultura Alessandro del Bianco: “In questi mesi di attesa di poter tagliare il nastro, la mostra è continuata a crescere. Non è solo un riferimento al numero e alla qualità artistica dei pezzi esposti. Quel che stiamo per inaugurare è davvero un percorso nella bellezza capace di parlare a ciascuno e di caratterizzare sempre di più la città di Feltre sul tema delle arti decorative.
Auspichiamo che l’inaugurazione della collezione possa coincidere con un periodo di ripresa, quantomeno parziale, dopo questi lunghi mesi di pandemia. A corredo dell’inaugurazione saranno presentate tutta una serie di iniziative di integrazione tra il museo e la città che ci piacerebbe sviluppare proprio a partire dall’8 di maggio”

Lo stesso architetto Ferruccio Franzoia ha curato l’allestimento permanente della sorprendente raccolta nel suggestivo ultimo piano del palazzo, che conserva le opere in ferro battuto di Carlo Rizzarda cui si deve questa splendida Galleria, tra i più importanti musei europei di arti decorative del Novecento. Si tratta di oltre 800 pezzi che spaziano dal XVIII secolo alla contemporaneità, con uno speciale focus sulla produzione muranese e, in particolare, sui grandi “creativi” del vetro. “L’anima del collezionista non si placa mai – osserva l’Assessore Del Bianco – e Franzoia, per nostra fortuna, ha continuato a collezionare anche in questi mesi, aggiungendo delle novità al nucleo originario”.

L’acquisizione di questa ambitissima collezione è in perfetta continuità con il nucleo originario della Galleria. Molte creazioni di Rizzarda sono completate da preziosi elementi vitrei di manifatture muranesi. Rarissimi vetri di Carlo Scarpa si trovano inoltre nella sua personale collezione. Per esporre i manufatti vitrei acquistati con la consorte Carla Nasci in oltre trent’anni di passione collezionistica, Franzoia ha ideato un itinerario “capriccioso”, sulla falsariga delle scelte qualitative e di gusto personale che hanno ispirato la genesi della collezione, lasciandosi guidare da empatia, assonanze, emozioni e ricordi.

La prima sala è dedicata all’esposizione della produzione della ditta costituita nel 1921 da Giacomo Cappellin e Paolo Venini, la Vetri Soffiati Muranesi Cappellin Venini & C. Figura centrale è quella di Vittorio Zecchin, primo direttore artistico della ditta, che con i suoi elegantissimi soffiati trasparenti ispirati al Rinascimento, impresse una svolta determinante nella produzione muranese coeva caratterizzata da un eccesso di ornamentazione. I modelli da lui creati continuarono ad essere prodotti dalle vetrerie nate dallo scioglimento del sodalizio tra Cappellin e Venini.
La produzione delle due manifatture, la Maestri Vetrai Muranesi Cappellin & C. e la Vetri Soffiati Muranesi Venini & C., è documentata nella seconda sala. Qui sono esposti oggetti riferibili alla presenza a Murano di Carlo Scarpa, ideatore di forme e tessuti vitrei innovativi di grande successo, che nel 1926 iniziò con Cappellin una collaborazione durata fino al fallimento della ditta nel 1931. In seguito Carlo Scarpa passò alla Venini dove rimase fino all’interruzione dell’attività per cause belliche nel 1943 e per un breve periodo nel dopoguerra, fino al 1947.

Oltre alle opere di Scarpa la sala ospita esemplari della produzione Venini degli anni tra il 1925 e gli anni ’60 e una miscellanea di prodotti di altre ditte attive in laguna e di altri autori significativi che testimoniano l’alta qualità diffusa della produzione muranese. Vi si incontrano Napoleone Martinuzzi, Tomaso Buzzi, Tyra Lundgren, Paolo Venini, Massimo Vignelli, Fulvio Bianconi, Toni Zuccheri, Alfredo Barbini, Archimede Seguso, Flavio Poli, Tapio Wirkkala, Guido Balsamo Stella, Giuseppe Barovier e Guido Bin, pseudonimo di Mario Deluigi. Non mancano contemporanei come i Santillana, Sergio Asti e Luciano Gaspari.

Il terzo e ultimo settore è dedicato ai vetri da mensa, beni di consumo destinati ad un utilizzo effimero e pertanto testimonianza particolarmente rara ed interessante. Gran parte dei pezzi in collezione fanno riferimento ai modelli creati da Zecchin negli anni ’20. Sono documentati esempi di vetri veneziani di età precedente, come un insieme di vetri Luigi XVI in cristallo sfaccettato con decorazioni in oro ed una campionatura di bicchieri storicistici con decoro di smalti policromi o incisi a ruota. Sono presenti anche cristalli da tavola di produzione non muranese di gusto Belle Époque e alcuni esempi di cristalleria boema commercializzati a Venezia dalla Compagnia Venezia Murano.

IMMAGINE DI APERTURAToni Zuccheri per Venini, Gabbiano, vetro cristallo con canne policrome rosso e grigio, zampe in bronzo, 1964

Paolo Belardi – Il rilievo insolito. Irrilevabile, irrilevante, irrilevato

Dalla prefazione di Roberto de Rubertis: «Si sa che il tradizionale strumento per la conoscenza dell’ambiente costruito è il rilievo, ma si sa anche che gli interessi finora manifestatisi in questo campo hanno riguardato in prevalenza gli episodi eccellenti dell’architettura; questo in conformità con gli indirizzi di una tradizione culturale ben attenta a registrare le emergenze qualitative, ma incerta nel cogliere le influenze che la preesistenza esercita globalmente sull’attività umana; disorientata quindi nel formulare le diagnosi e le previsioni necessarie a guidare correttamente l’attività progettuale in un mondo il cui equilibrio dipende da un numero sempre più vasto di fattori. Che il rilievo vada quindi reimpostato, non solo nelle procedure e nella metodologia, ma nei suoi stessi obiettivi, è argomento che va ormai affacciandosi di prepotenza sulla scena delle discipline del disegno; va infatti crescendo l’interesse per una sua estensione a un arco di conoscenze più vasto, in grado di coinvolgere la storia, ma anche l’ecologia, la progettazione, ma anche l’informatica, la geometria, ma anche il genius loci. Ne consegue un “nuovo rilievo” il cui compito è la descrizione critica della complessità dei fattori che condizionano la realtà urbana, l’ambiente naturale e l’intero spazio antropico nel quale devono programmarsi gli interventi di trasformazione e di adeguamento richiesti dalle necessità di sopravvivenza e di benessere dell’uomo».

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IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica tratta dalla copertina del volume

Firenze – Baci rubati di Omar Galliani: fotogrammi di una quotidianità orfana di carezze

Firenze, Tornabuoni Arte – 13 Maggio 2021 – 02 Luglio 2021
Baci rubati / Covid 19
www.tornabuoniarte.it

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Omar Galliani: 60 opere, 60 fotogrammi di una quotidianità orfana di carezze.
In mostra alla Tornabuoni Arte per esorcizzare il tempo sospeso dei giorni del lockdown.

Baci rubati _ Covid 19, 60 disegni, carboncino e grafite su tela, cm 300×500

È una potente espressione di simboli questa nuova mostra di Omar Galliani alla Tornabuoni Arte (dal 13 maggio al 2 luglio). Già a partire dal titolo “Baci rubati / Covid 19” che riporta ai giorni terribili del primo lockdown, giorni di isolamento e di rapporti negati. Simbolica anche la città che l’artista ha voluto per la “prima” della sua mostra: Firenze, città che incarna il Rinascimento, che, con la r minuscola è l’auspicio di tutti, oggi. “Baci rubati / Covid 19” propone sessanta disegni, a comporre un affresco “realizzato – ricorda Galliani – tra il mese di marzo e giugno 2020 quando il lockdown ci ha distanziati, in affannoso silenzio ho cercato queste immagini sugli schermi di casa, registrando con un fermo immagine le tessere di questo grande mosaico disegnato a matita su tela. Sono i frammenti di una quotidianità orfana delle labbra e del respiro, di carezze non date o ricevute, di un’oscurità latente che si è imposta nella nostra quotidianità in un silenzioso drammatico crescendo”.

“Osservando i quadri vediamo – scrive Sonia Zampini, che firma il testo introduttivo del catalogo della mostra – come la corsa della visione si declina in baci, abbracci, reciprocità che nascono come risposta a quell’anelito che la separazione forzata ha soffocato. In questo modo l’arte ridona forma alla negazione che il prodotto dei tempi ha generato.

La creazione artistica è essa stessa nata come sostituzione del reale. Partendo da questo presupposto Galliani ha ripreso della realtà non solo la fisionomia ma in particolare l’afflato emotivo che la travalica. L’artista ha evidenziato il bisogno e l’importanza di recuperare quella dimensione di umana comunione che diventa espressione fisica, una risposta spontanea e naturale ad una urgenza, ad uno stato di necessità nel momento in cui queste richieste sono negate.

Proprio questa impellente necessità ha spinto l’artista a ricercare visioni che descrivono contatti e ha rivolto la propria attenzione alle nostre finestre contemporanee che si affacciano sul mondo, quali sono gli schermi del computer e dei vari dispositivi ad esso afferenti. Il luogo dell’etere, abitato da moltitudini di immagini si contrapponeva, durante il periodo di confinamento forzato, alla vista che si apriva dalle finestre delle nostre case caratterizzata dalla sorda visione di un’assenza riversa su strade vuote. In questo osservare Galliani ha ricercato e prelevato fotogrammi che ritraggono persone che con il loro porsi l’uno accanto all’altro celebrano visivamente una ideale vicinanza”.

Le identità multiple descritte dal susseguirsi dei disegni sono state ideate dall’artista per essere lette l’una accanto all’altra, come una grande visione d’insieme che investe il nostro sguardo. Le opere si pongono a metà tra la realtà e il desiderio, tra la volontà e l’impossibilità. Per evidenziare meglio questo fluire tra due condizioni opposte Galliani ha reso, grazie all’uso sapiente della grafite, i soggetti evanescenti alla vista come se fossero generati dalla stessa natura eterea dei sogni”.

“L’insieme dei fotogrammi, rivisitati dalla mano dell’artista, mette in scena una sorta di dialettica della ripetizione lì dove una nuca, bocca, fronte, tempia e ancora altro, condividono il limite della propria forma nel momento in cui entrano in contatto con il loro alter ego che accanto si pone. La descrizione di questa ideale successione, nello spazio e nel tempo, di una umanità unita spiritualmente attraverso la vicinanza dei corpi, crea una condizione visiva contigua e continua che genera uno schieramento apparentemente in grado di respingere emotivamente la possibilità del distacco e dell’allontanamento”.

“Ora che il tempo dei baci e degli abbracci è sospeso tra noi e altri corpi desiderati, dove la pelle e il tempo delle carezze si è interrotto, cerchiamo nell’affannoso quotidiano delle immagini, una rinnovata carezza che rimuova il tempo dell’assenza e rifondi per noi il desiderio”, annota Galliani. Che conclude la sua riflessione con un auspicio che è impossibile non condividere: “Fiat Lux!”!.

Biografia di Omar Galliani

Omar Galliani nasce a Montecchio Emilia il 30 ottobre 1954. Frequenta e si laurea all’Accademia di Belle Arti di Bologna con Concetto Pozzati. Viene invitato alla prima Triennale Internazionale del Disegno di Norimberga nel 1979. Partecipa a 3 Biennali di Venezia nel 1982, 1984, 1986. Invitato a 2 Quadriennali di Roma, nel 1986 e nel 1996. Invitato alla Biennale di Parigi nel 1982, alla Biennale di San Paolo del Brasile nel 1981 e a quella di Tokio sempre nel 1981. Nel 1986 con la mostra “Aspetti dell’Arte Italiana“ espone al Franfurter Kunstverain , al  Kunstmuseum di Hannover, al Breghenz Kunstverain di Breghenz e a Vienna nel Hochschule fur Angewandre Kunst. Nel 1998 la New York University gli dedica una personale. È dell’anno 2000 la prima personale “Aurea” in Cina presso il Museum of the Central Academy of Fine Art a cui seguirà nel 2003 l’invito alla prima Biennale di Pechino vinta ad ex aequo con George Baselitz. Successivamente invitato alla Biennale del 2005 proseguirà il suo tour cinese toccando le città di Shanghai, Chengdu, Suzhou, Dalian, Xian, Wuhan, Hangzhou, Ningbo. Questo tour cinese culminerà poi con l’esposizione nel 2007 “Omar Galliani tra Oriente e Occidente“ alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia quale evento speciale della Biennale di Venezia. La Galleria Nazionale degli Uffizi di Firenze nel 2008 acquisisce per le proprie collezioni il trittico “Notturno”. Nel 2017 il direttore degli Uffizi prof. Eike Schmidt gli commissiona un autoritratto per la collezione ufficiale del corridoio vasariano, nell’ottobre 2018 si è tenuta la presentazione ufficiale dell’opera nell’auditorium Vasari.

IMMAGINE DI APERTURABaci rubati _ Covid 19 #01, 2020, carboncino e grafite su tela, cm 100×100

Luca Molinari – Le case che saremo. Abitare dopo il lockdown

Con l’emergenza Covid-19 la casa-mondo è diventata l’esperienza abitativa di miliardi di persone, prendendo il sopravvento sullo spazio pubblico. Che sfide inaugura, per l’architettura e l’urbanistica, questo brusco ritorno al passato? Come rilanciare nuovi modelli futuri? Luca Molinari risponde indicando le soglie che oggi più che mai abitiamo con nostalgia e coraggio: le finestre, i balconi, le porte che fino ad ora sono rimaste la scena fissa del nostro sguardo sul mondo esterno e possono essere lo spazio di partenza per un nuovo progetto urbano ed esistenziale.

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IMMAGINE DI APERTURA – di Gerd Altmann da Pixabay

Gustav Klimt – “Non puoi piacere a tutti con la tua azione e la tua arte”

di Sergio Bertolami

15 – Le polemiche sulle opere di Klimt.

«Come il comitato direttivo non può ignorare, un gruppo di artisti figurativi sta cercando da anni, all’interno dell’Associazione, di trovare riconoscimenti per le proprie concezioni artistiche. Queste concezioni culminano nell’affermazione della necessità di stabilire un rapporto più vivace tra la vita artistica viennese e l’evoluzione dell’arte all’estero e di organizzare il sistema espositivo su una base puramente artistica, libera da caratteristiche di mercato, risvegliando così in circoli più ampi concezioni artistiche più chiare e moderne e, in ultima analisi, stimolando i circoli ufficiali a una maggiore cura dell’arte». Con queste parole Gustav Klimt, il protagonista indiscusso della scena artistica viennese tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, si rivolgeva alla Casa degli artisti (Künstlerhausgenossenschaft) per annunciare ufficialmente la volontà di creare un organismo maggiormente rappresentativo delle nuove istanze. Nasceva la Wiener Sezession e i concetti espressi nella lettera non mancarono di essere ripresi nello Statuto. Gustav Klimt, al tempo trentacinquenne, fu nominato presidente e si avviò a diventare l’astro dell’arte nuova. Le sue affermazioni artistiche, tuttavia, non combaciavano con gli eventi della vita personale. Era appena uscito da una profonda crisi esistenziale che lo aveva portato ad anni di scarsa attività. Causa principale un duplice lutto in famiglia nel giro di qualche mese. Suo padre era morto a luglio del 1892, ed ecco che a dicembre veniva a mancare anche Ernst, uno dei suoi due fratelli minori. Insieme a Ernst e a Franz Matsch, compagno di studi, Gustav Klimt aveva dato vita a un atelier, con sede a Vienna, per la decorazione di pareti e soffitti in edifici privati, come quelli nascenti sulla Ringstrasse, e in edifici pubblici, specialmente teatri. Con il nome di Künstler-Compagnie (la Compagnia degli Artisti) i tre soci operarono per quasi dodici anni, a partire dal 1881. Insieme realizzarono, dal 1886 al 1888, gli incantevoli dipinti per il soffitto della scalinata del Burgtheater. Raffiguravano l’antico teatro di Taormina, il Globe Theatre di Londra e la scena finale del dramma “Romeo e Giulietta” di Shakespeare. Nel 1890 la fama riscossa valse ai tre giovani artisti la Croce d’oro al merito (Goldene Verdienstkreuz), un riconoscimento civile istituito dall’imperatore Francesco Giuseppe I. Per il suo talento, Gustav Klimt era già considerato come il continuatore del grande Hans Makart, che aveva contrassegnato la bella époque come originale e riconosciuto maestro. La morte di Ernst provocò, invece, una grave crisi nella Künstler-Compagnie. Gustav fu colto da una forte depressione, che bloccò in gran parte la sua creatività, al contrario di Franz Matsch, che raccolse i frutti di un successo finanziariamente vantaggioso, tanto da essere elevato a pittore di corte. La crisi di Klimt, però, interessava anche, e soprattutto, il piano espressivo, perché sentiva di dover prendere strade diverse dal classicismo di maniera che i lavori di studio gli permettevano.

Gustav Klimt con Ernst Klimt e Franz Matsch, Il Teatro di Taormina,
dipinto sul soffitto del Burgtheater di Vienna, 1886-1888

Ora, coinvolto nella Secessione viennese, tornava a considerare un nuovo senso della vita. Non poteva di certo immaginare che nel giro di poco tempo le considerazioni scandalizzate intorno ai suoi dipinti di sconcertante realismo lo avrebbero spinto, una volta di più, a cambiare rotta. A documentare le polemiche su Klimt fu il drammaturgo e critico Hermann Bahr. Il suo libro Contro Klimt (Gegen Klimt, Vienna 1903) a detta dell’autore, avrebbe dovuto essere la testimonianza di «un marchio d’infamia da consegnare ai posteri, per far loro sapere di che cosa si fosse capaci in Austria intorno al Millenovecento». Klimt e Bahr, legati da una forte amicizia, condivisero la causa della modernizzazione dell’arte a Vienna, spingendo verso una precisa coscienza di quanto si stesse producendo in altre nazioni europee. «Quando a Parigi, allora, parlavo di Vienna, – ricordava Bahr – la risposta era sempre la stessa: “Là-bas? C’est en Roumanie, n’est-ce pas?” (Vienna? È là, in Romania, o no?); insomma, eravamo una provincia asiatica». Da allora, con la Secessione le cose erano cambiate in meglio.

L’articolo di Hermann Bahr, Secession, sul primo numero di Ver Sacrum (Vienna, gennaio 1898)

Klimt aveva conosciuto Bahr a proposito dell’uscita della rivista ufficiale della Secessione: «Stimatissimo signore! – scriveva il pittore al prestigioso letterato – In nome dell’Unione degli artisti figurativi d’Austria sono qui a ricordarLe la gentilissima promessa, che a suo tempo fece ai nostri rappresentanti, e cioè di scrivere un articolo per Ver Sacrum, l’organo della nostra Unione, che è in procinto di iniziare le sue pubblicazioni; considerando inoltre che il primo numero dovrà essere il più raffinato possibile e che l’Unione considera di vitale importanza inserire l’articolo promesso proprio nel primo numero, mi permetto di chiederLe di comporre questo articolo. Alcuni delegati dell’Unione si prenderanno la libertà di venire a ritirarlo tra qualche giorno». Bahr inviò un suo intervento intitolato “Secessione”, che immancabilmente apparve nelle pagine 8-13 dell’elegante numero iniziale.

Gustav Klimt, Nuda Veritas, 1899,
olio su tela (252×56,2 cm)
Österreichisches Theatermuseum, Vienna

L’opera di cui Hermann Bahr s’innamorò fu, in modo particolare, Nuda veritas (Wahrheit) che Klimt dipinse nel 1898. Una donna dai capelli rossi completamente nuda tiene in mano lo specchio della verità, mentre sopra di lei una citazione di Friedrich Schiller avverte: «Non puoi piacere a tutti con la tua azione e la tua arte. Rendi giustizia a pochi. Accontentare molti è sbagliato». È una figura longilinea e ieratica, vicina all’estetica simbolista e in sintonia perfetta con la donna fatale e peccaminosa di Franz von Stuck. Fra i pochi a sostenere l’opera fu Hermann Bahr, che l’acquistò. Al confine tra Ober-St. Veits zum Lainzer Tiergarten, Bahr si stava facendo costruire da Joseph Maria Olbrich una villa, per sé e sua moglie, simile a una fattoria della Germania meridionale. Pregò, quindi, Olbrich di fare della Nuda veritas il punto focale del suo studio. Nell’ambiente volle soltanto questo quadro, assieme ad altri tre disegni, sempre di Klimt, e a una fotografia dell’artista.

La villa di Hermann Bahr, costruita su progetto di Joseph Maria Olbrich

Nel più tranquillo isolamento, la casa divenne un luogo d’incontro per la Vienna artistica negli anni fra il 1900 e il 1912. I padroni di casa accoglievano ospiti della levatura di Gustav Klimt, Kolo Moser, Otto Wagner, Arthur Schnitzler, Hugo von Hofmannsthal, Richard Beer-Hofmann, e dopo il secondo matrimonio di Bahr nel 1909 – con la cantante d’opera di corte e interprete di Richard Wagner Anna von Mildenburg – Richard Strauss e Gustav Mahler. Nel 1918 Bahr annotò che, nei giorni in cui la stanchezza degli anni si faceva più sentire, per rinfrancarsi gli era sufficiente contemplare quelle opere di Klimt. A lui era riconoscente, perché proprio alla sua sensibilità doveva «le ore più sublimi che un artista mi abbia mai donato in vita mia».

Sistemazione esterna della villa Bahr, su progetto di Joseph Maria Olbrich

Le controversie nei confronti di Klimt, alle quali accennavo, iniziarono a proposito dei dipinti commissionati dal Ministero della Cultura e dell’Istruzione (Ministerium für Kultur und Unterricht), al quale spettava delineare la politica austriaca in ambito religioso, didattico e culturale. Il contratto fu stipulato nel 1898. Klimt e Franz Matsch – fino a cinque anni prima soci dello stesso atelier – avrebbero dovuto decorare il ​​soffitto dell’Aula magna dell’Università di Vienna, nell’edificio di recente costruzione. Era stato scelto il tema del progetto, incentrato sulla Vittoria della luce contro le tenebre. Delle quattro facoltà, Klimt ebbe mandato di rappresentare Filosofia, Medicina e Giurisprudenza. Non Teologia, affidata soltanto a Matsch, insieme alla scena centrale riferita al tema, tutt’oggi presente all’Università di Vienna. Diversamente accadde per i lavori di Klimt. Il primo dei pannelli da ancorare a soffitto, riguardante La Filosofia, s’ispirava alle Porte dell’Inferno di Auguste Rodin. Nonostante fosse stato premiato all’Esposizione Universale di Parigi del 1900 – ottenendo il prestigioso “Grand Prix” come migliore opera straniera – quando fu proposto alla settima mostra della Secessione viennese, sulla stampa vicina al governo furono sollevate aspre polemiche. Erano partite all’interno della stessa Università, provocate da ottantasette docenti, guidati dallo stesso rettore Wilhelm Neumann, i quali firmarono una petizione al ministro dell’Istruzione per chiedere di respingere il dipinto di Klimt. Parte dei firmatari non conosceva neppure l’opera, ma condivideva le aspettative della committenza che avrebbe voluto una rappresentazione solenne ed edificante.

Da principio, Bahr non si espresse, d’alta parte l’anno precedente aveva lasciato Die Zeit, che aveva fondato nel 1894, e quindi non aveva neppure a disposizione le colonne di un giornale di rilievo per intervenire. Quando, però, le discussioni si accrebbero e le critiche si esacerbarono, Bahr si schierò subito a fianco dell’amico. Klimt il 15 marzo dell’anno successivo consegnò anche la seconda delle tre allegorie in contratto, La Medicina, che provocò persino discussioni in parlamento e le dimissioni del ministro in carica. Si gridava all’oltraggio delle istituzioni. Questo clamore inconsulto minacciava i progressi ottenuti finora con la Secessione. In una conferenza alla Bösendorfersaal, Bahr manifestò la sua preoccupazione, non certo per Klimt: «Il consenso non può dargli nulla, il dileggio non può togliergli nulla […] No, qui non si tratta di lui, ma di noi. Non è lui a essere in pericolo, ma noi. A lui non può capitare nulla, siamo noi che rischiamo di diventare lo zimbello di tutta l’Europa […] Nell’ambito delle arti decorative si è addirittura creato uno stile particolare ormai chiamato semplicemente austriaco. Se è così, lo dobbiamo a uno sparuto gruppo di uomini, dodici o al massimo quindici in tutto. Per nessuno di loro restare qui è una necessità; nessuno è legato all’Austria da un qualche interesse materiale, ciascuno di loro può decidere di andarsene anche domani e il giovane arciduca d’Assia, che ha la bell’ambizione di fare della sua piccola Darmstadt una moderna Atene, non potrebbe esserne più contento». L’avvocatura di Stato chiese il sequestro della rivista Ver Sacrum sulla quale comparivano i disegni preparatori per La Medicina, e gli esagitati chiedevano persino la distruzione degli originali. Ancora più scandalo provocò l’ultimo pannello, La Giurisprudenza, realizzato fra il 1903 e il 1907. Una ventina di deputati chiesero espressamente al ministro dell’Istruzione di rimuovere i tre pannelli. Le polemiche non ammorbidirono affatto le posizioni di Klimt, che per tutta risposta rese l’opera ancora più aggressiva rispetto agli schizzi preparatori. Inoltre i contrasti finirono anche per logorare i rapporti fra i due stessi ex soci. Il 24 marzo 1905, in una seduta della Commissione artistica dell’Università, Franz Matsch prese le distanze da Klimt. Fra i due fronti avversi, a questo punto, un accordo non sembrava più possibile. Quando la Commissione decise, infatti, che le tele dipinte per l’aula magna fossero collocate nella Galleria di Stato per l’Arte Moderna (Moderne Staatsgalerie) Klimt rifiutò, offeso dal ripiego suggerito. Al punto in cui si era giunti, forte di quella «mirabile sicurezza dei grandi spiriti», che l’amico Bahr gli attribuiva, il pittore prese una convinta decisione: «Attraverso ripetute allusioni – dichiarò – il ministero mi ha fatto capire che sono diventato motivo d’imbarazzo. Ma per un artista, nel senso più elevato del termine, non c’è niente di più penoso di creare delle opere, e per questo ricevere un compenso, da un committente che non gli offra col cuore e con la ragione il suo pieno appoggio». Non sorprende quindi che il 3 aprile Klimt si sia ritirato dall’incarico, mentre Matsch cercò di terminare i lavori iniziati, ma ci riuscì solo nel caso del tema centrale. Klimt restituì la somma che gli era stata anticipata e pretese di avere indietro i dipinti eseguiti. Questa fu l’ultima commessa pubblica accettata dall’artista, che da questo momento in poi lavorò solo per i privati. Le tre allegorie entrarono a far parte della collezione di August Lederer. Nel 1945, le tele confiscate dai nazisti furono trasferite nel castello di Immendorf, con altre opere d’arte e mobili di pregio. L’ultimo giorno di guerra (8 maggio 1945) sono andate distrutte da un incendio appiccato dalle truppe tedesche in ritirata. Sono scomparsi così dei capolavori destinati a influenzare come pochi l’arte moderna.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Autori Vari – Racconti e immagini. Memoria e testimonianza del vissuto al tempo del Covid-19

Brevi storie di emozioni e sentimenti vissuti al tempo del Covid-19, durante il lockdown della primavera 2020, che mescolano ciò che il tempo e lo spazio interiori dell’isolamento portano con sé: timori e incertezze, sogni e speranze, gli affetti come arma potente di resilienza, momenti, scene di vita quotidiana, incontri speciali, riflessioni, consuetudini cambiate e voglia di normalità. Sono le 187 storie, tra racconti brevi e pensieri-riflessioni, vincitrici e non del contest di scrittura #tiraccontodacasa promosso dall’Associazione Civita sul tema del “restare a casa” allo scopo di “creare memoria” della situazione eccezionale vissuta in quel periodo. Ad accompagnare la narrazione le fotografie vincitrici e quelle giunte alle fasi finali del contest #contestmostriamoci indetto da Civita Mostre e Musei S.p.A. e dedicato al medesimo tema. Ciascuno di noi è circondato di storie: le storie che vive, quelle che ascolta e quelle che racconta tutti i giorni. Ci sono poi le storie che leggiamo, e quelle che vorremmo scrivere più che mai quando siamo obbligati ad abitare lo spazio dell’interno: l’interno delle nostre case, ma anche di noi stessi. Riabitare l’interno per costruire l’esterno, trasformare l’ordinario in (stra)ordinario: è questa la sfida a cui siamo stati chiamati a rispondere, accolta con grande creatività e generosità di condivisione anche dagli autori di queste storie.

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IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Free-Photos da Pixabay 

Rovigo – Vedere la musica. L’arte dal Simbolismo alle avanguardie

Rovigo, Palazzo Roverella – 26 Aprile 2021 – 04 Luglio 2021
Vedere la musica. L’arte dal Simbolismo alle avanguardie
Mostra a cura di Paolo Bolpagni

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Paul Ranson, L’Iniziazione alla musica, 1889, collezione privata

Il tema dei rapporti tra la musica e le arti visive nell’età contemporanea ha conosciuto negli ultimi decenni una rinnovata fortuna critica, ma non è stato oggetto di mostre importanti, in grado di presentare l’argomento nei suoi aspetti fondamentali. È giunto perciò il momento di dedicare un’esposizione di vasto respiro alle molteplici relazioni tra queste due sfere espressive, dalla stagione simbolista fino agli anni Trenta del Novecento. A colmare questa lacuna è la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, con l’Accademia dei Concordi e il Comune di Rovigo, con una grande mostra in programma a Palazzo Roverella dal primo aprile al 4 luglio, affidata alla curatela di Paolo Bolpagni.
Bolpagni ricorda come, “alla fine del XIX secolo, si assista all’affermarsi in tutta Europa di un filone artistico che si ispira alle opere e alle teorie estetiche di un compositore carismatico e affascinante come Richard Wagner: i miti nibelungici, la leggenda di Tristano e Isotta, l’epopea del Graal, il tutto spesso condito di implicazioni esoteriche.
A partire dal primo decennio del Novecento, però, la riscoperta di Johann Sebastian Bach e il fascino esercitato dalla purezza dei suoi contrappunti vengono a sostituirsi al modello wagneriano, non solamente in campo musicale. Infatti, il cammino in direzione dell’astrattismo troverà riscontro nell’aspirazione della pittura a raggiungere l’immaterialità delle fughe di Bach, alluse nei titoli delle opere di Vasilij Kandinskij, Paul Klee, František Kupka, Félix Del Marle, Augusto Giacometti e molti altri”.
Del resto, se è vero che il wagnerismo non esaurisce la questione per quanto concerne l’età simbolista, qualche anno prima dell’esplosione degli “ismi” la Secessione viennese conobbe un momento fondamentale nella mostra del 1902 dedicata a Ludwig van Beethoven, che
aveva come fulcro il famoso Fregio di Gustav Klimt ispirato all’Inno alla gioia della Nona sinfonia.
Poco dopo sarebbero arrivate le avanguardie. Nel Cubismo emerge l’orientamento dei pittori a prediligere come soggetti gli strumenti musicali. Nel Futurismo ha una grande importanza la componente sonora: Luigi Russolo, oltre che artista visivo, fu compositore e inventò gli “intonarumori”.
È con Vasilij Kandinskij e con Paul Klee, però, che la musica diventa davvero centrale, facendosi paradigma di una pittura che vuole liberarsi definitivamente dal concetto di rappresentazione. Negli anni del Bauhaus, peraltro, entrambi, allora colleghi di insegnamento, sperimentarono la traduzione grafica di ritmi e melodie in linee, punti e cerchi.
Anche nel Neoplasticismo troviamo una presenza importante della musica, in particolare come richiamo, in opere di Piet Mondrian e Theo van Doesburg, ai ritmi della danza moderna.
La stagione delle avanguardie storiche è chiusa dal Dadaismo e dal Surrealismo, dove la componente sonora si manifesta in vari modi: con Kurt Schwitters nella Ursonate, con Francis Picabia nel celebre capolavoro La musica è come la pittura, mentre Salvador Dalí ci offrirà esempio di riferimento al pianoforte in funzione di un automatismo psichico esercitato in assenza del controllo della ragione, per svelare l’autentico funzionamento del pensiero.
Ad essere evidenziata da “Vedere la Musica. L’arte dal Simbolismo alle avanguardie.” è la lunga storia di relazioni, intrecci e corrispondenze. Evidenziando le infinite, originali sfaccettature delle interazioni tra l’elemento musicale e le arti visive. Proponendo esempi emblematici di entrambe le arti, creando così una mostra-spettacolo di assoluto fascino.

IMMAGINE DI APERTURALeo Putz, Parzifal, 1900, olio e tempera su legno

Luciano Crespi – Da spazio nasce spazio

Esistono molti libri sulla storia degli stili di arredamento, per esempio la famosa Filosofia dello Stile (1881) di Herbert Spencer e numerosissimi manuali sull’edilizia residenziale; ma non esiste (e forse non esisterà mai) una “Storia dell’Interior Design” intendendo con questo termine una realtà che si colloca in maniera del tutto autonoma tra la storia dell’Architettura e il Product Design. Questo libro parte proprio da questa constatazione di fatto: l’interior design non è stato ancora indagato come un corpus disciplinare autonomo, dotato di una propria capacità di incidere sulle qualità urbane generali.

CONTINUA A LEGGERE SU ACADEMIA.EDU (OPPURE SCARICA IL SAGGIO): Da spazio nasce spazio. L’interior design nella trasformazione degli ambienti contemporanei

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica tratta dalla copertina del volume

Orani (Nu) – Peter Halley. Antesteria

Orani (Nu), Museo Nivola 24 aprile 2021 – 18 Luglio 2021
Peter Halley. Antesteria
Mostra a cura di Giuliana Altea e Antonella Camarda
www.museonivola.it

Avviso. La situazione sanitaria è in continua evoluzione. Consigliamo di verificare le informazioni su giorni, orari e modalità di visita sul sito web della Mostra.

Peter Halley – Foto di Nicholas Calcott

Il Museo Nivola è orgoglioso di annunciare la mostra di Peter Halley ANTESTERIA.

Peter Halley, figura chiave del Neo-concettualismo americano degli anni Ottanta, è noto per la sua pittura geometrica che allude agli spazi sociali del tardo capitalismo e alla loro dimensione di confinamento, isolamento e reclusione. Le forme della “cella” e del “condotto”, adottate negli anni ottanta e tuttora alla base del suo lavoro, rimandano alle strutture rigide e spigolose dei grattacieli per uffici, ma anche ai microchip del computer, ai circuiti elettrici, alle “stanze” virtuali e alle infinite connessioni del web. La sua visione del mondo contemporaneo, influenzata da pensatori come Foucault e Baudrillard, è intrisa di pessimismo, ma è espressa con un linguaggio elettrizzante, vitalistico, carico di travolgente energia.

A partire degli anni Novanta, Halley ha cominciato ad affiancare alle tele una serie di interventi sullo spazio architettonico realizzati per mezzo di wallpaper e stampe digitali e sviluppati a volte in collaborazione con altri artisti. Su questo aspetto del suo lavoro si incentra anche il progetto creato per il Museo Nivola, dove Halley trasformerà completamente l’interno dell’edificio che ospita le mostre temporanee. Il lavoro è in piena sintonia con l’orientamento del museo: dedicato a Costantino Nivola, uno dei protagonisti del movimento per la “sintesi delle arti” di metà Novecento, il Museo Nivola guarda infatti con particolare attenzione ai rapporti tra arte, architettura e design, come testimoniano le mostre dedicate in passato agli sconfinamenti nell’arte da parte di maestri del design italiano come Andrea Branzi, Michele de Lucchi e Alessandro Mendini, quest’ultimo già collaboratore di Halley in una serie memorabile di installazioni.

Il formato dell’installazione ha assunto maggiore importanza per Halley a partire dal 2018, con il progetto per la Lever House a New York e con le due edizioni di HETEROTOPIA realizzate nel 2019 ai Magazzini del Sale nell’ambito della Biennale di Venezia e alla galleria Greene Naftali a New York. In questi progetti l’installazione creava spazi labirintici, disturbanti e vagamente sacrali, in cui il visitatore si aggirava inquieto e disorientato.

A Orani, invece, nell’antico lavatoio del paese usato dal museo per le mostre temporanee – un edificio chiaro e lineare simile per forma e proporzioni a una chiesa – il tono è gioioso e vivace, lo spazio euforico.
Entrando dalla terrazza, un ambiente inondato di luce affacciato sul parco del museo, il visitatore verrà colpito dallo shock visivo prodotto non solo dalle tinte fluorescenti predilette da Halley, ma anche dal carattere esuberante e dinamico delle immagini. Racchiuse in uno schema che fa pensare ai cicli di affreschi del Trecento, ma che tutt’a un tratto si impenna in una serie di onde colorate, queste combinano il repertorio tipico della pittura dell’artista (celle, condotti, esplosioni) con riferimenti all’arte del passato, dal Rinascimento a Warhol, passando per Matisse e sfiorando i graffiti delle caverne.

Il titolo greco dell’installazione, ANTESTERIA, è un riferimento alla festa primaverile dei fiori in onore di Dioniso, durante la quale, col dio presente, venivano rappresentate tragedie e commedie. Carica di associazioni di vita e morte, gioia e sofferenza, questa antica celebrazione della primavera suona oggi come auspicio di una possibile rinascita dopo la pandemia.

“Nel cuore della Sardegna – dice Antonella Camarda – Halley ha creato qualcosa di simile a una sua cappella degli Scrovegni (o se si vuole alla cappella di Matisse a Vence). L’effetto è quello di un un’eccitante immersione nel clima dionisiaco di un Mediterraneo sognato attraverso il filtro del Modernismo novecentesco e bagnato in una luce artificiale e psichedelica.”

“L’installazione – afferma Giuliana Altea – esalta i contrasti di cui è fatta la pittura di Halley, al tempo stesso concettuale e decorativa, criticamente riflessiva e spettacolare, intensamente contemporanea e nutrita del dialogo con la storia dell’arte: combina polarità opposte, non tanto per cercare tra loro una sintesi o tentarne una conciliazione, quanto piuttosto per metterle in tensione e innescare corto circuiti dell’immaginario.”

Peter Halley

Peter Halley (1953), protagonista del Neo-concettualismo americano degli anni Ottanta, oltre ad essere pittore è anche un teorico che ha pubblicato numerosi importanti saggi sull’arte contemporanea. Ha fondato e diretto insieme a Bob Nickas Index Magazine, iconica rivista della cultura indie, pubblicata dal 1996 al 2005. È stato Director of Graduate Studies in Painting and Printmaking alla School of Art dell’università di Yale dal 2002 to 20
Halley vive e lavora a New York.

Museo Nivola

Il Museo Nivola di Orani (Nuoro), sito al centro di un parco nel cuore della Sardegna, è dedicato all’opera di Costantino Nivola (Orani, 1911 – East Hampton, 1988), figura importante del contesto internazionale incentrato sulla “sintesi delle arti”, l’integrazione tra arti visive e architettura, e personaggio attivo nel quadro degli scambi culturali tra Italia e Stati Uniti del secondo Novecento. Il museo possiede una collezione permanente di circa trecento sculture, dipinti e disegni di Nivola e organizza mostre temporanee incentrate in prevalenza sul rapporto fra l’arte, l’architettura e il paesaggio.

IMMAGINE DI APERTURAPeter Halley: Installation View, Waddington Galleries, London, 1999

I Podcast del prof. Luigi Gaudio – Guido Gozzano: “La Signorina Felicita‪”‬

Guido Gozzano: introduzione, lettura e commento della poesia “La Signorina Felicita‪”‬

IL PDF DELL’OPERA
Metro: sestine di endecasillabi che rimano secondo lo schema ABBAAB

Luigi Gaudio è un Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo di Belgioioso (PV) e ha insegnato Lettere presso il Liceo Vico di Corsico (MI). Se però cercate di lui sul web troverete anche che è un professore molto seguito dai suoi studenti, fra le mura scolastiche e sui media che le tecnologie informatiche mettono a disposizione. Così potrete scoprire che Luigi Gaudio è anche l’apprezzato webmaster di vari siti, fra i quali troverete www.atuttascuola.it ricchissimo di pagine, per la condivisione in rete di articoli, tesine e lezioni. Non basta, perché ha aperto un canale su YouTube contenente video didattici seguito da più di venticinquemila iscritti. Questo è l’indirizzo: www.youtube.com/luigigaudio. Troverete anche centinaia di podcast istruttivi su svariati argomenti di letteratura, storia, geografia, musica e tanto altro ancora, disponibili su Spreaker, Spotify, iTunes, e vari aggregatori di audio ed Mp3. Noi vorremmo seguirlo, pescando qua e là alcune delle oltre 220 lezioni di letteratura del Novecento, sia italiana che straniera. Siamo sicuri che molti dei lettori di Experiences rimarranno ad ascoltare con grande interesse il professore Gaudio, per conoscere finalmente autori spesso citati, ma sicuramente non tutti letti.

IMMAGINE DI APERTURA di chiplanay da Pixabay